E.A.POE


Morella


 
Se stesso, da se stesso, solo UNO eternamente, e singolo.
(PLATONE - Convivio, 211, XXIX)
 
 
Consideravo la mia amica Morella con un sentimento in cui si mescolava il
piu' profondo e al tempo stesso singolarissimo affetto. L'avevo
conosciuta per caso molti anni prima, ma la mia anima, al nostro primo
incontro, aveva appreso ad ardere di fuochi sino ad allora sconosciuti;
non erano pero' i fuochi di Eros, e amaro e tormentoso al mio spirito era
il graduale convincimento di non essere in grado di definire in modo
alcuno il loro insolito significato, o di regolarne la misteriosa
intensita'. Tuttavia ci vedevamo spesso, e il destino ci lego' insieme
all'altare; ma mai io le parlai di passione, o pensai all'amore. Morella
pero' scansava la societa', e attaccata soltanto a me mi rendeva felice.
Era una felicita' che rapiva, una felicita' di sogno.
 
La sua erudizione era profonda. Le sue doti psichiche erano di ordine non
comune, le sue facolta' mentali titaniche. Io sentivo questo, e sotto
molti aspetti divenni suo alunno. Ben presto tuttavia mi accorsi che,
forse causa la sua educazione presburghese, ella mi poneva dinanzi molti
di quegli scritti mistici che di solito vengono considerati semplicemente
come le scorie della primitiva letteratura tedesca. Per motivi che non
sapevo immaginare, questi scritti rappresentavano il suo studio costante
e favorito; e che col passar del tempo divenissero a mia volta la mia
occupazione principale, e' da attribuirsi al semplice ma efficace
influsso dell'abitudine e dell'esempio.
 
In tutto cio', se non erro, poco aveva che vedere la mia ragione. Le mie
convinzioni, o io dimentico me stesso, non erano affatto dettate
dall'ideale, ne' era possibile rintracciare sia nelle mie azioni sia nei
miei pensieri anche la minima sfumatura del misticismo di cui leggevo, a
meno che io non m'inganni grandemente. Persuaso di cio', mi abbandonai
implicitamente alla guida di mia moglie e penetrai col cuore risoluto
negli intrichi dei suoi studi, e in seguito, allorche', meditando
assiduamente su pagine proibite, io sentivo accendersi dentro di me uno
spirito proibito, Morella soleva porre la sua fredda mano sulla mia, e
frugare tra le ceneri di una filosofia morta qualche strana, singolare
parola, il cui misterioso significato s'imprimeva bruciante nella mia
memoria. Allora, per ore ed ore, io indugiavo al suo fianco, inebriandomi
della musica della sua voce, sino a quando, a un tratto, la sua
musicalita' si soffondeva di terrore: allora un'ombra cadeva sulla mia
anima, e io impallidivo e rabbrividivo interiormente a quegli accenti
troppo ultraterreni. Allora la gioia si tramutava improvvisamente in
orrore, e il supremamente bello di faceva ributtante, cosi' come Hinnon
divenne Gehenna.
 
E' inutile che io ricordi qui la natura esatta di quelle disserzioni che,
provocate dai volumi di cui ho detto, formarono per tanto tempo quasi
l'unico argomento di conversazione tra Morella e me. Da coloro che son
dotti in cio' che potrebbe essere definita morale teologica esse saranno
prontamente comprese, mentre i profani non riuscirebbero a intenderle o
quasi. L'avventato panteismo di Fichte; la palingenesi modificata dei
Pitagorici, e soprattutto le dottrine intorno all'IDENTITA' proposte da
Schelling, erano solitamente i punti di discussione che presentavano la
maggiore bellezza al temperamento immaginativo di Morella. Questa
identita' che viene detta personale, e' definita giustamente dal Locke,
io credo, come consistente nella sanita' di mente di un essere razionale.
E poiche' per persona noi intendiamo un'essenza intelligente dotata di
ragione, e dal momento che vi e' una consapevolezza che sempre accompagna
il pensiero, e' questa consapevolezza che ci fa essere tutti quel che noi
chiamiamo NOI STESSI, distinguendoci con cio' dagli altri esseri
pensanti, e donandoci la nostra identita' personale. Ma il PRINCIPIUM
INDIVIDUATIONIS, il concetto di quell'identita' CHE IN MORTE E' O NON E'
PERDUTA PER SEMPRE, e' sempre stato per me una considerazione del piu'
alto interesse, non tanto per la sconcertante ed eccitante natura delle
sue conseguenze, quanto per il modo strano ed esagitato con cui Morella
ne faceva parola.
 
Ma era ormai venuto il tempo in cui il mistero dell'atteggiamento di mia
moglie mi opprimeva come un sortilegio: non riuscivo piu' a sopportare il
tocco delle sue esili dita, ne' il tono sommesso della sua musicale
favella, ne' lo sfavillio dei suoi occhi malinconici. Ella comprendeva
tutto cio', ma non si ribellava; sembrava essere conscia della mia
debolezza o della mia follia, e sorridendo chiamava questo Destino.
Sembrava anche consapevole della causa a me sconosciuta di questa
graduale alienazione del mio affetto, ma non mi fece mai cenno o
spiegazione della natura di questa causa. Ma era sempre donna, e di
giorno in giorno si struggeva. In breve una macchia vermiglia si fisso'
inesorabile sulle sue guance, le vene azzurre sulla sua pallida fronte
risaltarono dolorosamente; a volte mi sentivo sciogliere di pieta', ma
subito incontravo lo sguardo dei suoi occhi carichi di significato, e
allora la mia anima si ritraeva angosciata e stordita dello stordimento
di chi si chini a fissare un cupo insondabile abisso.
 
Dovro' dunque dire che attendevo con un desiderio ansioso, divorante, il
momento del trapasso di Morella? Eppure e' vero, ma il fragile spirito si
avviticchio' al suo abitacolo di creta, per molti giorni, per molte
settimane e tediosi mesi, sino a che i miei nervi tormentati ottennero il
dominio della mia mente, e il ritardo mi infurio', e con cuore demoniaco
maledissi i giorni, le ore, gli amari momenti che sembravano allungarsi
senza fine mentre la sua dolce vita declinava cosi' come si allungano le
ombre nello smorire del giorno.
 
Ma una sera d'autunno, mentre i venti sostavano immoti nel cielo, Morella
mi chiamo' al suo capezzale. Una incerta foschia avvolgeva tutta la
terra, e dalle acque si levava un caldo riflesso, e tra le opulente
foglie della foresta autunnale un'arcobaleno era certamente caduto dal
firmamento.
 
- Questo e' il giorno dei giorni, - mi disse allorche' mi avvicinai a
lei; - il giorno fra tutti, sia per vivere che per morire. E' un giorno
bellissimo per i figli della terra e della vita... ma quanto piu' per le
figlie del cielo e della morte!
 
La baciai sulla fronte, ed ella prosegui':
 
- Sto per morire, e tuttavia vivro'.
 
- Morella!
 
- Non sono mai venuti i giorni in cui tu mi avresti potuto amare, ma
colei che in vita hai aborrito, in morte adorerai.
 
- Morella!
 
- Ti ripeto che sto per morire, ma in me vi e' il pegno di quell'affetto,
oh, ben misera cosa! che tu hai provato per me, Morella. E quando il mio
spirito si sara' dipartito, la creatura vivra': la tua creatura e la mia,
la creatura di Morella. Ma i tuoi giorni saranno giorni di dolore, di
quel dolore che e' il piu' duraturo dei sentimenti, cosi' come il
cipresso e' il piu' annoso degli alberi. Infatti le ore della tua
felicita' sono terminate, giacche' la gioia non si raccoglie due volte in
una vita, come si raccolgono invece due volte nello spazio di un anno le
rose di Pesto. Tu pertanto non innalzerai piu' al tempo versi teani, ma
ignorando il mirto e la vigna recherai indosso a te il tuo sudario sulla
terra, come fanno i musulmani che si recano alla Mecca.
 
- Morella! - esclamai, - Morella! Come puoi tu sapere questo? - Ma ella
distolse il suo viso e lo affondo' nel guanciale, e cosi' mori', mentre
un lieve tremito le agitava le membra; e io non udii piu' la sua voce.
 
Come pero' aveva predetto, la sua creatura, alla quale nel morire aveva
dato luce e che non respiro' se non quando la madre ebbe cessato di
respirare, la sua creatura, una bambina, visse. E questa crebbe
stranamente di statura e d'intelletto, ede era l'immagine perfetta di
colei che era scomparsa, e io l'amai di un amore tanto fervido quale non
credo possa essere sentito da un altro abitante di questo pianeta.
 
Ma ben presto il paradiso di un cosi' puro affetto si oscuro' e su di
esso si addensarono nubi di afflizione, di orrore, di amarezza. Ho detto
che la bambina cresceva stranamente in statura e intelligenza. Strana in
verita' era la rapida crescita delle sue forme corporee, ma terribili,
oh, terribili erano i pensieri tumultuosi che si affollavano entro di me
mentre io osservavo lo sviluppo del suo essere mentale. Come poteva
essere altrimenti allorche' io di giorno in giorno scoprivo nei concetti
della bambina i poteri adulti e le facolta' della donna? Allorche' le
lezioni dell'esperienza erano proferite dalle labbra dell'infanzia?
Allorche' di ora in ora vedevo scintillare nel suo sguardo pieno,
speculativo, la saggezza e le passioni della maturita'? Quando, ripeto,
tutto cio' divenne manifesto ai miei sensi smarriti, quando non mi fu
piu' possibile celare questo alla mia anima, ne' scacciare tale realta'
dalla ragione che tremava di accoglierla, e' da stupire che nel mio
spirito prendessero a insinuarsi sospetti di carattere pauroso,
sconvolgente, o che i miei pensieri tornassero atterriti a rimuginare i
misteriosi racconti e le audaci teorie della sotterrata Morella?
Sottrassi alla curiosita' del mondo un essere che il destino mi
costringeva ad adorare, e nella inflessibile reclusione della mia casa
sorvegliavo con disperata angoscia tutto cio' che si riferiva alla mia
diletta. E piu' gli anni passavano, e io studiavo, giorno per giorno, il
suo volto austero, dolce, eloquente, e meditavo sul rapido maturare delle
sue forme, giorno per giorno scoprivo nuovi punti di rassomiglianza tra
la creatura e la madre, tra la malinconica e la morta. E d'ora in ora
quelle ombre di somiglianza s'incupivano e si facevano piu' piene, piu'
definite, piu' conturbanti, piu' spaventosamente terribili nel loro
aspetto. Che il suo sorriso fosse identico a quello della madre ancora
potevo sopportarlo; ma subito rabbrividivo a quella troppa perfetta
IDENTITA'. Che i suoi occhi fossero come gli occhi di Morella potevo
sopportarlo; ma ecco che troppo spesso essi scandagliavano le profondita'
del mio spirito con lo stesso intenso sconvolgente significato degli
occhi di Morella. E nel contorno dell'alta fronte, nei riccioli dei
serici capelli, nelle fragili dita che si affondavano in essi, nei tristi
accenti musicali della sua voce, e soprattutto, oh, soprattutto nelle
frasi e nelle espressioni della morta sulle labbra dell'amata e della
viva, io trovavo alimento a un pensiero e a un orrore divoranti, a un
verme che NON VOLEVA morire.
 
Trascorsero cosi' due lustri della sua esistenza, ma sino ad allora la
mia figliuola era rimasta senza nome sulla terra. "Bambina mia" e "amor
mio" erano gli appellativi suggeritimi di solito dall'affezione paterna,
mentre il rigido isolamento delle sue giornate precludeva ogni altro
rapporto. Il nome di Morella era morto con lei nel punto della sua morte.
Della madre io non avevo mai parlato alla figlia; era impossibile che ne
parlassi. In realta' durante il breve periodo della sua esistenza la
giovane creatura non aveva ricevuto dal mondo esteriore sensazione alcuna
se non quelle consentitele dai ristretti limiti dela sua solitudine. Ma
alla fine la cerimonia del battesimo si offri' alla mia mente turbata e
agitata come una pronta liberazione dai timori angoscianti del mio
destino. Pero' dinanzi al fonte battesimale esitai prima di proferire il
nome. E molti appellativi saggi e belli, di tempi antichi e moderni,
della mia terra e di terre straniere, si affollarono alle mie labbra
insieme a molti dolci nomi gentili, felici, buoni. Che cosa mi spinse
dunque a evocare la memoria della donna sepolta? Quale demone mi incalzo'
a proferire quelle sillabe che, allorche' soltanto le ricordavo, solevano
far rifluire in torrenti purpurei il mio sangue dalle tempie al cuore?
Quale maligno spirito parlo' dai recessi della mia anima quando tra le
aeree navate, nel silenzio della notte, io bisbigliai all'orecchio
dell'uomo di Dio le sillabe: "Morella"? Quale essere peggiore di ogni
infernale abitante nell'abisso contorse i tratti della mia creatura, li
soffuse dei toni della morte, mentre, trasalendo a quel suono di lettere
appena percettibili, ella volse i vitrei occhi dalla terra al cielo e
cadendo prostrata sulle lastre della nostra cripta avita rispose
"Eccomi"?
 
Distinte, freddamente, calmamente distinte, caddero quelle poche semplici
lettere entro il mio orecchio e di li' come piombo fuso schizzarono
sibilando nel mio cervello. Gli anni, molti anni, potranno passare, ma la
memoria di quell'attimo, mai! Ne' io ignorai certo i fiori e la vigna, ma
la cicuta e il cipresso mi addugiarono notte e giorno. Ne' piu' tenni
calcolo del tempo o del luogo, e le stelle del mio destino svanirono dal
firmamento, e la terra si incupi', e le sue creature mi passarono
davanti, simili a vane ombre, e tra tutte queste io ne vedevo una sola:
Morella. I venti dell'etere soffiavano entro le mie orecchie un unico
suono, e le increspature del mare mi mormoravano senza posa: - Morella. -
Ma ella mori', e con le mie proprie mani io la calai nella tomba, e risi
di un lungo amaro riso quando, nella cappella funebre dove avevo deposto
la seconda, non trovai piu' alcuna traccia della prima Morella.
 


Fine

 

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