E.A.POE


Il gatto nero


 

Per il racconto piu' straordinario, e al medesimo tempo piu' comune, che sto
per narrare, non aspetto ne' pretendo di essere creduto. Sarei davvero pazzo a
pretendere che si presti fede a un fatto a cui persino i miei sensi respingono
la loro stessa testimonianza. Eppure pazzo non sono, e certamente non vaneggio.
Ma domani morro', e oggi voglio scaricare la mia anima. Mio scopo immediato e'
di porre innanzi al mondo, in modo piano, succinto, e senza commenti, una serie
di casi semplicemente domestici. Nel loro concatenarsi questi fatti mi hanno
terrificato, mi hanno torturato, mi hanno annientato. Non tentero' tuttavia di
spiegarli. Per me essi non hanno rappresentato che orrore; a molti invece piu'
che terribili essi sembreranno BAROQUES. In seguito forse un intelletto sapra'
condurre il mio fantasma al senso comune, un intelletto piu' calmo, piu'
logico, meno eccitabile del mio, il quale scorgera' nelle circostanze che io
descrivo con terrore, null'altroche un normale susseguirsi di cause e di
effetti naturalissimi.
 
Sin dall'infanzia sono stato conosciuto per la docilita' e la mitezza del mio
carattere. Ero talmente tenero di cuore, anzi, che i miei compagni mi avevano
preso a soggetto delle loro beffe. Amavo soprattutto gli animali, e i miei
genitori mi avevano concesso di possedere una grande varieta' di bestiole
preferite. Passavo con questi animaletti la maggior parte del mio tempo, e la
mia piu' perfetta felicita' consisteva nel nutrirli e nell'accarezzarli. Questo
tratto caratteristico della mia indole crebbe in me coll'andare degli anni e,
divenuto adulto, trassi da cio' una delle mie principali fonti di
soddisfazione. A coloro che abbiano provato un vivo affetto verso un cane
fedele e intelligente non occorrera' che io spieghi la natura e l'intensita'
del piacere derivante da questa tendenza. Vi e' qualcosa nell'amore spoglio di
egoismo e ricco di sacrificio di una bestia senz'anima, che va direttamente al
cuore di colui che abbia frequenti occasioni di saggiare la pacchiana amicizia
e l'instabile fedelta' del cosidetto UOMO.
 
Mi sposai giovane, e fui felice di ritrovare in mia moglie una tendenza non
contrastante con la mia. Avendo notato la mia debolezza verso gli animali
domestici, non perdeva occasione di procurarmi quelli che mi piacevano. Avevamo
diversi uccelli, dei pesciolini, un bel cane, alcuni conigli, una scimmietta, e
UN GATTO. Quest'ultimo era un animale bellissimo, di grossezza notevole,
completamente nero, e straordinariamente intelligente. Parlando della sua
intelligenza, mia moglie che in cuor suo non era scevra di una certa punta di
superstizione, faceva frequenti allusioni all'antica credenza popolare secondo
la quale tutti i gatti neri siano streghe travestite. Non che ella si
esprimesse mai SERIAMENTE su questo punto, e cito questo particolare soltanto
perche' mi capita ora, proprio per caso, di ricordarlo.
 
Pluto, cosi' si chiamava il gatto, era il mio animale preferito e il mio
compagno di giochi. Io soltanto gli davo da mangiare, ed egli mi seguiva
dovunque, per casa: anzi duravo fatica a impedirgli di accompagnarmi persino
per la strada.
 
La nostra amicizia si protrasse cosi' per parecchi anni, durante i quali il mio
temperamento e il mio carattere in genere, ad opera del demone Intemperanza
(arrossisco nel confessarlo), subirono un radicale mutamento verso il peggio.
Ero divenuto di giorno in giorno piu' scontroso, piu' irritabile, sempre piu'
incurante dei sentimenti altrui. Ero giunto a usare verso mia moglie un
linguaggio sconveniente. Alla fine arrivai persino alla violenza personale
contro di lei. Naturalmente anche le mie besrtiole ebbero a soffrire di questo
mutamento del mio carattere. Non solo le trascuravo, ma le maltrattavo. Verso
Pluto comunque sentivo ancora abbastanza tenerezza per trattenermi dal
picchiarlo, mentre non mi facevo srupolo di perquotere i conigli, la scimmia,
persino il cane, se essi per caso o per affetto mi si mettevano tra i piedi. Ma
il mio male peggiorava, quale male infatti e' peggiore dell'alcool? E infine
persino Pluto, il quale ormai invecchiava, ed era di conseguenza alquanto
stizzoso, persino Pluto comincio' a subire gli effetti del mio cattivo
carattere.
 
Una sera, ritornando a casa dai miei vagabondaggi per la citta', ubriaco
fradicio, ebbi la sensazione che il gatto evitasse la mia presenza. Lo
afferrai, e l'animale, allora, spaventato dalla mia violenza, mi produsse sulla
mano, con i suoi denti, una lieve ferita. In un attimo fui invaso da una furia
demonica. Non mi riconoscevo piu'. Era come se la mia anima originaria mi si
fosse a un tratto spiccata dal corpo, e una malvagita' peggio che infernale,
alimentata dal gin, pervase ogni fibra del mio essere. Mi tolsi di tasca un
temperino, lo apersi, afferrai la povera bestia per la gola, e deliberatamente
gli feci saltare l'occhio dall'orbita. Arrossisco, avvampo, rabbrividisco,
mentre la mia penna descrive questa inaudita atrocita'.
 
Allorche' col mattino la ragione mi ritorno', dopo che il sonno aveva fatto
dileguare lungi da me i fumi dell'orgia notturna, provai un sentimento per
meta' di orrore, per meta' di rimorso, per il delitto di cui mi ero reso
colpevole; ma non era che un sentimento debole e ambiguo, e l'anima ne rimase
intatta. Mi rituffai nei miei eccessi, e ben presto affogai nel vino ogni
ricordo del mio misfatto.
 
Coll'andare del tempo tuttavia il gatto guari'. Certo la sua occhiaia vuota
aveva un aspetto pauroso, ma l'animale non pareva soffrire piu' alcun dolore.
Si aggirava per la casa come al solito, ma com'era da aspettarsi, fuggiva
terrorizzato non appena mi vedeva. Mi era rimasto ancora abbastanza del mio
vecchio cuore per sentirmi a tutta prima addolorato da questo evidente disgusto
da parte di una creatura che un tempo mi aveva tanto amato. Ben presto pero' a
questo sentimento succedette una viva irritazione. E infine si impadroni' di
me, per sommergermi in modo definitivo e irrevocabile, lo spirito della
PERVERSITA'. Di questo spirito la filosofia non si cura. Eppure sono sicuro,
quanto sono sicuro che la mia anima vive, che la perversita' e' uno degli
impulsi piu' primitivi del cuore umano, una di quelle facolta' o sentimenti
primari non analizzabili che dirigono il carattere dell'Uomo. Chi non ha almeno
cento volte commessa un'azione sciocca o vile, per nessun altro motivo se non
perche' sa che non dovrebbe commetterla? Non proviamo noi una tendenza perenne,
a dispetto di ogni nostra migliore saggezza, a violare cio' che e' la LEGGE,
soltanto perche' la riconosciamo tale? Questo spirito di perversita', ripeto,
produsse in me il decadimento finale. Era questo insondabile anelito dell'anima
A TORTURARE SE STESSA, a violentare la propria stessa natura, a fare il male
soltanto per amore del male, che mi sospinse a continuare e infine a consumare
l'offesa che avevo inflitta alla bestia innocente.
 
Un mattino, a sangue freddo le passai un cappio al collo e la impiccai al ramo
di un albero; la impiccai, con le lagrime che mi sgorgavano dagli occhi e col
piu' amaro rimorso nel cuore; la impiccai PERCHE' sapevo che mi aveva amato, e
PERCHE' sentivo che non mi aveva dato alcun motivo di offesa; la impiccai
PERCHE' sapevo che cosi' facendo commettevo un peccato, un peccato mortale che
avrebbe posto in tale pericolo la mia anima immortale da sottrarla (se una cosa
simile fosse possibile) perfina all'infinita misericordia dell'Infinitamente
Misericordioso e Infinitamente Terribile Iddio.
 
La notte di quel giorno in cui avevo compiuto questo gesto crudele fui
risvegliato nel sonno da grida di "al fuoco! Al fuoco!". I cortinaggi del mio
letto erano in fiamme, tutta la casa ardeva. Fu con grande difficolta' che mia
moglie, una domestica e io stesso riuscimmo a salvarci dall'incendio. La
distruzione fu totale. Tutta la mia sostanza venne inghiottita dal disastro, e
da quel momento in avanti io mi abbandonai alla disperazione.
 
Non ho affatto la debolezza di cercar di stabilire un nesso di causa e di
effetto tra questa sciagura e l'atrocita' da me commessa. Ma sto enumerando una
catena di fatti, e non desidero percio' lasciare incompiuto anche un solo
eventuale anello. Il giorno successivo all'incendio mi recai a ispezionare le
macerie. Tutti i muri della casa erano caduti, a eccezione di uno solo. Si
trattava di un muro divisorio, non molto massiccio, che si trovava verso il
mezzo della casa, e contro il quale aveva sempre poggiato la testa del mio
letto. In questo punto l'intonaco aveva in gran parte resistito all'azione del
fuoco, un particolare che io attribuii al fatto essere stata quella parete
appunto ripulita di fresco. Intorno a questo muro si era radunata una densa
folla, e molte persone sembravano esaminare un certo tratto di parete con
attenzione minutissima e ansiosa. Le parole "Strano!", e "Incredibile!", e altre
espressioni consimili eccitarono la mia curiosita'. Mi avvicinai e vidi, quasi
fosse scolpita in BAS-RELIEF sulla superficie bianca, l'immagine di un gatto
gigantesco. L'effetto era reso con una precisione che aveva veramente del
fantastico. Intorno al collo dell'animale penzolava una corda.
 
A tutta prima, nel trovarmi di fronte a quella apparizione, poiche' non potevo
considerarla altrimenti, fui invaso da uno sbalordimento e da un terrore
incontrollabili. Ma in seguito la ragione mi venne in soccorso. Mi rammentai di
avere impiccato il gatto in un giardino adiacente alla casa. Quando era stato
dato l'allarme d'incendio questo giardino era stato immediatamente invaso dalla
folla, e tra questa qualcuno doveva aver tolto l'animale dall'albero e doveva
averlo gettato attraverso la finestra aperta, nella mia stanza. Forse avevano
fatto questo con l'intenzione di svegliarmi. La caduta di altre pareti aveva
schiacciato la vittima della mia crudelta' nella massa dell'intonaco spalmato
di fresco; e la calce di questo, unitamente alle fiamme a all'AMMONIA esalante
dalla carogna avevano poi compiuto la raffigurazione che io ora vedevo dinanzi.
 
Per quanto riuscissi a placare con questa riflessione il mio cervello, se non
completamente la mia coscienza, e giustificare cosi' il fatto sorprendente che
ho teste' narrato, non mi fu tuttavia possibile sottrarmi alla profonda
impressione che esso aveva provocato sulla mia fantasia. Per mesi interi non
riuscii a liberarmi del fantasma del gatto, e durante tutto quel tempo il mio
spirito fu tormentato da un sentimento indefinito che poteva sembrare, ma non
era, rimorso. Giunsi sino al punto di rimpiangere la perdita dell'animale e a
guardarmi attorno, nei sordidi ambienti che ormai frequentavo d'abitudine, in
cerca di qualche altro esemplare della stessa specie, se non proprio del tutto
identico, da poter coccolare, e grazie al quale sostituire la bestiola perduta.
 
Una notte, mentre sedevo, in stato di semistupidimento, in una taverna
malfamata, la mia attenzione fu improvvisamente attratta da un oggetto nero che
posava sul coperchio di una delle tante botti enormi piene di gin o di rum
costituenti il principale arredamento della stanza. Gia' da alcuni minuti stavi
fissando proprio il coperchio di quella botte, e fui percio' sorpreso di non
essermi accorto prima dell'oggetto che vi era adagiato sopra. Mi avvicinai e lo
toccai con la mano. Era un gatto nero enorme, grosso quanto Pluto, e che gli
assomigliava in tutto tranne che per un unico particolare. Pluto non aveva un
solo pelo bianco in tutto il corpo, mentre questo gatto aveva l'intera zona del
petto ricoperta di una larga se pure indefinita macchia bianca.
 
Non appena lo toccai l'animale si alzo' immediatamente, si mise a ronfare
forte, si strofino' contro la mia mano, parve insomma felice della mia
attenzione verso di lui. Era dunque proprio il gatto di cui andavo in cerca.
Offersi subito al taverniere di acquistarlo, ma l'uomo dichiaro' di non avere
alcun diritto su quella bestia, poiche' non ne sapeva nulla, ne' mai l'aveva
veduta prima.
 
Seguitai ad accarezzarlo, e mentre mi disponevo a ritornare a casa, l'animale
dimostro' subito una evidente intenzione di accompagnarmi. Naturalmente ne fui
ben contento, e di quando in quando mi chinavo a lisciargli il pelo pur
seguitando a procedere nel mio cammino. Non appena giunto a casa la bestia si
addomestico' subito e divenne immediatamente il coccolo di mia moglie.
 
Per parte mia mi accorsi ben presto che in me sorgeva contro l'animale una viva
antipatia. Era proprio il contrario di quanto avevo preveduto, ma non so
perche' o come fosse, la sua manifesta tenerezza verso la mia persona mi
indispettiva e disgustava. Gradatamente questi sentimenti di ribrezzo e di
insofferenza si tramutarono in un odio profondo. Evitavo l'animale; un vago
senso di vergogna e il ricordo del mio precedente atto di crudelta' mi impediva
di maltrattarlo fisicamente. Per alcune settimane mi trattenni dal picchiarlo,
o dal fargli comunque del danno, ma a poco a poco, oh, per lentissimi gradi,
giunsi a considerarlo con un ribrezzo indescrivibile e a fuggire
silenziosamente la sua odiosa presenza come sarei fuggito dal lezzo
pestilenziale di una malattia contagiosa.
 
Quel che alimentava senza dubbio il mio odio verso l'animale era stata la
scoperta, il mattino successivo alla sua venuta nella mia casa, che anche
questo gatto, al pari di Pluto, era cieco di un occhio. Questo particolare
invece non aveva fatto che renderlo ancora piu' caro a mia moglie, la quale,
come gia' ho detto, possedeva in sommo grado quella umanita' di sentimenti che
era stata un tempo il mio tratto caratteristico, e la fonte di molte tra le mie
piu' semplici e piu' pure soddisfazioni.
 
Ma quanto piu' la mia avversione per questo gatto cresceva, tanto piu' sembrava
aumentare da parte sua la tenerezza verso di me. Seguiva i miei passi con una
ostinazione che sarebbe difficile far comprendere al lettore. Dovunque mi
sedessi, subito si accovacciava sotto la mia seggiola, o mi balzava sulle
ginocchia, importunandomi con le sue insopportabili feste. Se mi alzavo per
passeggiare, ecco che correva a mettermisi fra i piedie per poco non mi faceva
cadere, oppure conficcando nel mio vestito i suoi unghioli lunghi e aguzzi, si
arrampicava con questo sistema sino al mio petto. In quei momenti, benche' mi
divorasse il desiderio di distruggerlo con un colpo solo, ero trattenuto dal
far cio', in parte dal ricordo del mio precedente delitto, ma soprattutto,
lasciate che lo confessi subito, da un vero e proprio TERRORE dell'animale.
 
Questo terrore non era esattamente il terrore di un possibile male fisico, e
tuttavia non saprei come altrimenti definirlo. Ho quasi vergogna di ammettere -
si', persino in questa cella d'infamia, ho quasi vergogna d'ammettere, - che il
terrore e l'orrore ispiratimi dall'animale erano stati rafforzati da una tra le
piu' chimeriche assurdita' che sia possibile immaginare. Mia moglie aveva piu'
d'una volta richiamata la mia attenzione sulla stranezza della macchia di peli
bianchi di cui ho gia' accennato, e che costituiva la sola differenza visibile
tra questo misterioso gatto e quello che io avevo ucciso. Il lettore si
rammentera' che questo segno, per quanto grande, dapprincipio era molto
indefinito, mentre invece in seguito (per gradi lentissimi, quasi
impercettibili, e che la mia Ragione si rifiuto' a lungo di ammettere,
respingendoli come un'assurda fantasia) aveva infine assunto nettezza di
contorni e una forma precisa. Esso era divenuto ora la rappresentazione di un
oggetto che rabbrividisco a nominare, e per questo soprattutto odiavo e
paventavo e avrei voluto sbarazzarmi di quel mostro SE SOLTANTO LO AVESSI OSATO,
poiche' questo segno, ripeto, si era finalmente trasformato nella figurazione
limpidissima di un oggetto odioso e ributtante: era divenuto una FORCA, oh,
lugubre e terribile macchina di orrore e di delitto, di agonia e di morte!
 
E adesso la mia miseria superava la miseria tutta dell'Umanita' intera. E una
BESTIA BRUTA, il cui simile io avevo cosi' sprezzantemente annientato, una
BESTIA BRUTA doveva foggiare per ME, per me uomo, fatto a immagine
dell'Altissimo Iddio, un cosi' intollerabile tormento? Ahime'! Non conobbi piu'
ne' di notte ne' di giorno la benedizione del riposo! Di giorno l'animale non mi
lasciava solo neppure per un istante; e di notte mi svegliavo di ora in ora
di soprassalto, da incubi grevi di indicibile paura, per sentirmi l'alito caldo
di QUELLA COSA sulla faccia, e la vasta massa del suo corpo. Incubo incarnato
che non avevo il potere di scuotermi di dosso, eternamente incombente sul mio
CUORE!
 
Sotto l'incalzare di siffatte torture, quel poco di bene che ancora restava in
me scomparve. Pensieri malvagi divennero i miei soli compagni, ed erano i piu'
tetri, i piu' malvagi dei pensieri. L'ombrosita' abituale del mio carattere si
tramuto' in un odio forsennato di tutte le cose e dell'intera umanita'; mentre
degli scoppi improvvisi, frequenti, incontrollabili di collera ai quali ora io
ciecamente mi abbandonavo, la mia docile moglie, era divenuta, ahime! la vittima
piu' consueta e piu' paziente.
 
Un giorno ella mi accompagno' per necessita' domestiche nello scantinato del
vecchio edificio dove la nostra poverta' ci costringeva ora ad abitare. Il gatto
naturalmente mi aveva seguito giu' per i ripidi scalini, e, avendo io evitato
per vero miracolo di cadere lungo disteso per causa sua, mi aveva esasperato
sino alla follia. Sollevai una scure e dimenticando nella mia collera il terrore
puerile che sino a quel momento mi aveva trattenuto la mano, diressi contro
l'animale un colpo che certo lo avrebbe ucciso all'istante se fosse calato come
io avrei voluto. Ma questo colpo fu arrestato dalla mano di mia moglie. La sua
intromissione mi colmo' di furore demoniaco e liberando violentemente il mio
braccio dala sua stretta le affondai la scure nel cervello. Ella cadde morta
stecchita, senza emettere un gemito.
 
Appena compiuto questo odioso crimine, mi posi immediatamente e con frdda
deliberazione all'impresa di occultare il cadavere. Sapevo che non mi era
possibile rimuoverlo dalla casa, ne' di giorno ne' di notte, senza correre il
rischio di essere notato dai vicini. Formai nella mia mente molti progetti. A
tutta prima pensai di tagliare il cadavere in pezzi minuti e di distruggerli nel
fuoco. In un secondo tempo decisi di scavare una fossa nel pavimento della
cantina. Poi architettai di gettarlo nel pozzo del cortile, oppure di porlo
dentro una scatola, come se fosse della merce, e ordinare al portiere di
portarlo via da casa. Infine escogitai quello che mi parve l'espediente
migliore. Decisi di murarlo nella cantina stessa, come si narra solessero murare
le proprie vittime i monaci medievali.
 
La cantina era adattissima a uno scopo come il mio. Le sue pareti erano state
costruite rozzamente, e di fresco intonacate con cemento grossolano, cui
l'umidita' atmosferica aveva impedito d'indurirsi. Inoltre in una delle pareti
vi era uno sporto, provocato da un falso camino, o caminetto, che era stato
riempito e trasformato in modo da somigliare al resto dello scantinato. Mi
assicurai che mi sarebbe stato facile spostare i mattoni in quel punto,
inserirvi il cadavere, e tornare a murare il tutto come prima, in modo che
nessun occhio umano potesse scorgervi alcunche' di sospetto.
 
I miei calcoli non dovevano ingannarmi. Con l'aiuto di una sbarra di ferro
scostai facilmente i mattoni, e dopo avere accuratamente deposto il cadavere
contro la parete interna, lo puntellai in quella posizione mentre andavo via via
riaccomodando senza fatica l'intera opera muraria cosi' come era stata
originariamente costruita. Mi ero procurato con tutte le possibili cautele della
calce e della sabbia, avevo preparato l'intonaco in modo che non era
assolutamente possibile distinguerlo dal vecchio, e con esso ricopersi
accuratamente la nuova opera muraria. Quando ebbi finito mi accorsi con
soddisfazione di aver compiuto un buon lavoro. Il muro non sembrava essere stato
manomesso minimamente. Spazzai con attenzione minutissima il pavimento dei
rifiuti e delle scorie di cui lo avevo sporcato. Mi guardai attorno trionfante e
dissi a me stesso: "Meno male! Le mie fatiche non sono state vane".
 
Subito dopo, il mio primo pensiero fu quello di andare in cerca dell'animale che
era stata la causa di tanta sciagura, poiche' ero ormai fermamente deciso ad
ucciderlo. Se fossi stato in grado di acchiapparlo in quel momento, il suo
destino sarebbe stato indubbiamente segnato, ma, a quel che pareva, l'astuta
bestia si era spaventata del mio precedente accesso di collera, e si guardava
bene dal presentarsi al mio cospetto, date le attuali condizioni del mio umore.
Mi e' impossibile descrivere, o fare immaginare al lettore, il senso profondo,
quasi estatico di sollievo che la constatazione della scomparsa dell'odiata
creatura suscito' nel mio petto. Per tutta quella notte non si fece vedere, e
cosi' per una notte almeno, da quando si era introdotto nella mia casa, riuscii
a dormire di un sonno profondo e pacifico; si', DORMII nonostante il peso del
delitto che mi gravava sull'anima!
 
Passo' il secondo giorno, passo' il terzo, ma il mio tormentatore non comparve.
Tornai a respirare come un uomo libero. Certo il mostro, spaventato, era fuggito
dalla mia casa per sempre! Non lo avrei piu' veduto! La mia felicita' era al
colmo! Non sentivo quasi la colpa del mio truce misfatto. Mi erano state rivolte
alcune domande, ma avevo saputo rispondere a tutte in modo soddisfacente. Era
stata persino ordinata un'inchiesta, ma naturalmente nessuno aveva scoperto
nulla. Ero certo di avere ormai assicurato un avvenire tranquillo e sereno.
 
Il quarto giorno successivo all'assassinio entro' pero' inaspettatamente in casa
mia una squadra di poliziontti che procedette a un rigoroso esame dei locali.
Sicuro pero' della inaccessibilita' del mio nascondiglio non provai alcun
imbarazzo. I funzionari di polizia mi pregarono di accompagnarli nela loro
perquisizione. Ogni angolo, ogni ripostiglio fu attentamente esplorato. Infine
scesero in cantina per la terza o quarta volta. Non uno solo dei miei muscoli
tremo'. Il mio cuore batteva calmo come batte a chi dorme nel sonno
dell'innocenza. Percorsi la cantina da un capo all'altro, tenendo le braccia
incrociate sul petto, e aggirandomi di qua e di la' con disinvoltura. I
poliziotti si dichiararono soddisfatti e si disposero ad andarsene. L'esultanza
del mio cuore era troppo intensa perche' potessi trattenerla.
Bruciavo dal dire ancora una parola sola, per rafforzare il mio trionfo, e
rassicurarli doppiamente dela mia innocenza.
 
- Signori, - dissi infine, mentre gia' stavano salendo i gradini, - sono lieto
di avere calmato i vostri sospetti. Vi auguro buona salute, e vi porgo i miei
omaggi. A proposito, signori, questa... questa e' una casa costruita
meravigliosamente bene. - (Nel desiderio morboso di parlare con disinvoltura,
quasi non mi rendevo conto delle parole che proferivo). - Posso dire anzi che e'
una casa costruita in maniera ECCELLENTE. Queste pareti, ve ne state gia'
andando, signori? queste pareti, guardate come sono solide! - E a questo punto,
in una vera frenesia di sfida, picchiai pesantemente con la mazza che tenevo in
mano proprio su quel tratto di opera muraria dietro al quale stava il cadavere
della moglie che io avevo tanto amata.
 
Ma possa Iddio proteggermi e liberarmi dagli artigli dell'Arcidemonio! Non
appena gli echi dei miei colpi si furono spenti nel silenzio, ecco che ad essi
una voce rispose dal segreto loculo! Era un pianto, dapprima soffocato e
interrotto, come il singhiozzare di un bambino, che rapidamente si enfio' sino a
divenire un unico lungo, alto, continuo urlo, indicibilmente strano e inumano,
un ululato, uno strido guaiolante, per meta' di orrore e per meta' di trionfo,
quale solo avrebbe potuto levarsi dal fondo dell'inferno, se le gole di tutti i
dannati nella loro angoscia e tutti i demoni nell'esultanza della dannazione
umana si fossero insieme congiunte.
 
Di quel che fossero i miei pensieri in quel momento e' follia parlare.
Sentendomi venir meno, arretrai barcollando verso la parete opposta. Per un
attimo i poliziotti, giunti gia' in cima alle scale ristettero immobili,
raggelati dall'orrore e da una specie di arcana paura. Un attimo dopo dodici
braccia robuste si davano da fare attorno alla parete. Questa cadde di colpo in
tutta la sua massa. Il cadavere, gia' quasi interamente decomposto e chiazzato
di sangue raggrumato, apparve eretto dinazi agli occhi degli agenti. Sul suo
capo, con la sua rossa bocca spalancata e l'unico occhio di fiamma, sedeva lo
spaventoso animale la cui malizia mi aveva indotto al delitto, e la cui voce
rivelatrice mi aveva consegnato al boia.
 
Avevo murato il mostro entro la tomba!

 


Fine

 

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