2000 ANNI DI PAPI

2 Studi Critici su 2 recenti "STORIA DEI PAPI"

* H. FUHRMANN, Storia dei Papi, da Pietro a Giovanni Paolo II, Laterza, Bari 1992.

** AA.VV. Storia dei Papi, Edizione San Paolo, Cinisello Balsamo 1994

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* H. FUHRMANN, Storia dei Papi, da Pietro a Giovanni Paolo II, Laterza, Bari 1992.

Siamo stati tentati di lasciar « scorrere l'acqua sotto i ponti », del Tevere, in casu, anche per questa II edizione del « libretto » (così l'A. lo definisce, con molta modestia) del Fuhrmann, il quale si avventura, conscio del pericolo che corre (basti leggere la prefazione della I edizione), a trasmettere a « una cerchia più ampia» il risultato di ricerche erudite. Ma alla finfine un dialogo franco con il noto medievalista tedesco ci è sembrato atteggiamento più rispettoso e giusto, da parte nostra, con chi conosciamo personalmente, stimiamo e consideriamo, anche perché l'oggetto del «volumetto » è di importanza, come si sa, oltre la dichiarazione di « saggio senza pretese ». Basta la fama dell'A. a smentire l'asserto, ripetiamo, oltre la modestia.
Sì, la lettura è « rapida e scorrevole », anche se la traduzione italiana lascia a desiderare (ed è qualche volta francamente infelice), e il testo, volto ad « aguzzare l'appetito », riesce nel suo intento, pure grazie alla battuta vivace, di spirito, e qualche volta ironica, se non mordace. In ciò si rivela l'origine dell'opera, una serie cioè di conversazioni trasmesse nel Maggio 1980 dalla Radio Bavarese. La opzione «mass media » è anche confermata dalle « illustrazioni » che arricchiscono « il libretto ».

Diciamo subito che preferiamo il Fuhrmann medievalista a quello universalista, lo studioso scientifico al divulgatore frizzante, « popolare », e siamo certi che egli non ce ne vorrà, poiché anche i grandi maestri possono non riuscire in tale intento, così come alcuni storici illustri possono risultare non brillanti insegnanti.
Nell'introduzione il Fuhrmann si domanda cosa sia « questo papato, che sembra agli uni un modello di sapienza politica degno di imitazione, agli altri l'incarnazione di una missione divina » e dà una sua risposta, nella prima Parte, sul papato come istituzione, e poi, nella seconda, sulle persone, sulle figure dei pontefici più eminenti, perché « una storia del papato è al tempo stesso una storia dei papi » (p. 6).
Nel capitolo I, « Qualche dato fondamentale », si presenta « il nome e la santità del papa », (che « si riferisce all'ufficio e non alla persona », anche se «fra i circa 270 pontefici riconosciuti si contano 78 santi»: p. 9) «il titolo papale completo » (non ci sembra esatto però così definirlo), « il papato come istituzione divina » (con eco di scetticismo per quanto riguarda Mt. 16, 18, mentre una tendenza ora, anche in campo protestante, è di un ritorno a favore della autenticità del passo: v. A. M. van Cangh e M. van Essbroeck, al seguito di H. Riesenfeld), con negazione magari del passaggio, a chi gli successe, dei poteri attribuiti a Pietro.

Anche l'approccio legato al « Sovrano dello Stato della Città del Vaticano » (p. 18), che per il Fuhrmann indicherebbe « la posizione e la capacità d'azione politica del papa in quanto capo di Stato », non regge in relazione alla Santa Sede, personalità giuridica internazionale, riconosciuta prima della creazione dello Stato della Città del Vaticano. Non vi è aggiornamento, poi, circa la pubblicazione, già da qualche anno, del bilancio consuntivo consolidato della Sede 'Apostolica.
Segue « Pietro a Roma », con richiamo a dubbi che « già nel Medioevo si espressero sulla (sua) venuta e sulla successione del Vescovo di Roma nel mandato petriano » noi diremmo petrino (p. 23). Su questo tema, pure, l'A. ci appare scettico, considerando le varie componenti del « problema storico », se così si può definire, che può essere visto indipendentemente dalla interpretazione che si vuol dar ai graffiti scoperti sotto l'altare della confessione, nella Basilica di S. Pietro, accanto al «monumento che apparentemente era stato oggetto un tempo di particolare venerazione » (p. 24).

Un altro sottotitolo, «il mandato petriano e il pericolo dell'episcopalismo», raccoglie il pensiero del Fuhrmann circa la «pretesa» della Chiesa romana «di annunciare sempre ineccepibilmente la fede giusta e salvifica », che si affermò peraltro solo gradualmente in larghe parti della Chiesa occidentale e non fu mai incontestata » (p. 25). Non ci sembra che « ineccepibilmente » traduca il sine macula sottostante, né che la limitazione all'Occidente sia esatta. A questo proposito rileviamo che il ruolo di Roma era piuttosto, agli inizi, legato alla concessione e al ritiro della comunione, la quale solo in essa era di carattere universale, cattolico. Si potrebbero rivisitare utilmente, a tale riguardo, alcuni studi del P. Monachino. Cipriano, poi, di lettura difficile e pendolare, notoriamente, non può essere « ridotto » a quanto esprime l'A., almeno per quell'indirizzo unitario dell'episcopato (Roma è Ecclesia principalis, unde unitas sacerdotalis exorta est: ep. 59, c. 14, CSEL 111, 2, 683) che il Cartaginese riconosce nel summenzionato passaggio di Matteo. Si può così dire che per Cipriano « Pietro è solo il primo fra eguali" un primus inter pares" »? Non lo riteniamo.

Anche per la presentazione del pensiero di Leone Magno non ci sentiamo di aderire alle affermazioni del pure illustre A. (v. p. 28). Ogni parola andrebbe qui soppesata, pur tenendo conto del genere letterario «popolare». Ma basti qualche accenno problematico. Così ci domandiamo se si possa distinguere all'epoca leonina, e in che senso, potestà sacramentale e potestà pastorale. La plenitudo potestatis, poi, in questo momento storico, va presa pure con le pinze; concretamente l'espressione è usata da papa Leone in un contesto di delega di potere al suo rappresentante nell'Illirico. Conosciamo bene il percorso della formula leonina, - ci si permetta di dire - anche per averlo ripresentato, or non è molto, (v. « In partem sollicitudinis ... non in plenitudinem potestatis". Evoluzione di una formula di rapporto Primato-Episcopato », in Studia in honorem Em.mi Card. Alphonsi M. Stickler, curante Rosalio Iosepho Card. Castillo Lara, Roma, 1992, pp. 269-298) per poter auspicare una penna più acuminata in tale materia fondamentale e delicata per quanto riguarda il Primato di Roma.

Non esatta è altresì l'affermazione che nel Concilio Vaticano II « il vescovo è da un lato titolare di un potere giurisdizionale suo proprio, e dall'altroartecipe del potere esercitato su tutta la Chiesa dal papa» (ibid.). Ridurre, poi, l'intento del Concilio Vaticano II a quello «di ridare ai vescovi una maggior autonomia» (ibid.) è assai infelice.
L'A. aggiunge: « la questione, come e più di altre, è rimasta largamente giacente. Il singolo vescovo, nominato dal papa, (non è peraltro vero per le Chiese orientali in piena comunione con Roma) trae vita dal potere plenario del successore di Pietro ». Tale è di fatto, dopo il Concilio Vaticano II, una delle opinioni teologiche discutibili ed in effetti la meno seguita, pur avendo a proprio favore un influente manipolo di canonisti e storici del diritto ecclesiale.

« Il papa e il Concilio generale » è il titolo dì un altro capitoletto. Tralasciando di menzionare qui l'uso di espressioni per lo meno improprie ed indicare l'auctoritas papale o dei primi quattro Concili, ed altre successive assemblee, pensiamo non si possa dimenticare il legame di tali sinodi con il Vescovo di Roma, e gli altri patriarchi, definendoli «assisi statali», limitandosi alla considerazione della loro convocazione. Non riteniamo altresì opportuno definire come « papali » i sinodi universali « celebrati dal Papa o da un suo legato ». In effetti essi sono celebrati da tutti i Padri consiliari (come è apparso evidente, del resto, durante il Concilio Vaticano II).

Nel II capitolo, dedicato all'elezione del Papa, ci sembra che alcune cose andrebbero precisate, per essere ben intese e non fuorviare il lettore non avvertito di complessità soggiacenti e di un linguaggio in evoluzione. Bisogna anche intendersi cosa possa significare la designazione del successore, poiché vi è espressa proibizione, in proposito, nei canoni antichi, per ogni vescovo. È esatto poi affermare che l'imperatore a Costantinopoli verificava l'ortodossia dell'eletto papa, dopo di che, soltanto, egli poteva farsi consacrare? (v. p. 34).
Nel capitolo I della Il Parte (« Figure del Papato »), agli inizi, non leggiamo senza una certa insoddisfazione il seguente passo: « Non possiamo dire con sicurezza chi sopraintese alla comunità romana dopo la morte di Pietro: Lino, Cleto, Anacleto. Tutti nomi non romani, d'altronde, i cui portatori non appartenevano certamente a famiglie native eminenti. Comunque sia, la compiutezza della serie di nomi fu avvalorata, perché essa dimostrava che la tradizione inaugurata da Pietro era continuata senza interruzione» (p. 53).
Tra le cime della storia papale antica, l'A. presenta brevemente Leone I «assertore dell'onnipotenza papale», come sarebbe dimostrato dal suo atteggiamento nei confronti di Ilario di Arles. Con i tempi che vanno sarebbe da chiarire, per il lettore di oggi, la questione del matrimonio di una vedova da parte di un Vescovo ... (p. 57).
L'altro Magno, Gregorio, è presentato anche come iniziatore della «missione papale » (è termine equivoco, per indicare la sua opera missionaria), mentre, successivamente, si tratta di Leone III e Carlomagno, ponendo la domanda: fu «l'impero d'Occidente creazione papale?» (p. 66). Per il noto caso del « giuramento di purgazione » di Leone, appare nel testo una contraddizione fra l'attestata riserva a sé del giudizio da parte di Carlo e la successiva, immediata, giusta affermazione: «Non si poteva, comunque, sottoporlo a giudizio» (p. 68). Infatti Prima Sedes a nemine iudicatur.
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"Verso la signoria universale del Pontefice", titolo del II capitolo di questa Parte, presenta anzitutto Gregorio VII, le cui «idee riformatrici non erano sempre originali, ma egli le imponeva con l'impeto di un fanatico» (p. 72).
Innocenzo III è invece mostrato sotto la luce della formula «non c'è salvezza fuori della Chiesa universale romana» (p. 81) e de «lo sviluppo degli strumenti di dominio: ordine, legge, possessi». La seguente citazione può dare il tono del pensiero del Fuhrmann: «Questo papa politico, che alle sue decisioni sapeva sempre dare un fondamento giuridico-scolastico e una veste morale, cominciò fin dal suo avvento a sfruttare le debolezze del regno di Germania» (p. 86). Però «accanto all'Innocenzo intensamente impegnato nella sfera politico-mondana c'è anche un altro Innocenzo, attento e sensibile a nuove forme di vita cristiana» (p. 89), cioè ai nuovi movimenti religiosi.
E siamo a Bonifacio VIII, «al culmine del dominio universale del papato? » (p. 91).

Nel III capitolo si affronta il tema «I papi dall'età della riforma all'Ottocento». Potrà interessare qui una affermazione, a proposito di Lutero, in risposta alla domanda «fu la miopia papale a produrre un evitabile incidente di percorso della storia europea?» (p. 103). Eccola: «al di là di tutti i discorsi ecumenici dei nostri giorni, non va dimenticato che il concetto della Chiesa proprio di Lutero, il suo rifiuto della tradizione, il suo disconoscimento delle decisioni dei concili generali, la sua contestazione del ruolo normativo e di controllo della fede del papato romano, per citare solo qualche punto, erano indiscutibilmente madornali eresie, che anche oggi la Chiesa cattolica non può non considerare tali ..., Lutero fu scomunicato a buon diritto» (ibid.). «Lo spirito forte della riforma cattolica» fu Sisto V, grande ma non amato, le cui opere sono presentate «con simpatia», diremmo, dal Fuhrmann, il quale passa, successivamente, ai «papi romani del Sei e Settecento fra assolutismo o illuminismo» (p. 115) e a quelli della Restaurazione (p. 122): «il papato sembrava impari agli assalti del mondo» (p. 125).

Il capitolo IV tratta de «L'età vaticana. La fine dello stato pontificio e i nuovi dogmi"». Lo introduce Pio IX, il Papa che passa «da liberale a prigioniero del Vaticano"». Maggior interesse suscita in noi la presentazione del Concilio Vaticano I, «come prosecuzione del Concilio di Trento» (p. 131) e «passaggio definitivo a una Chiesa papale che rinunciava ai cristiani allontanatisi da Roma». La trattazione si apre con l'illustrazione della battaglia di Ignaz von Dòllinger contro l'«ultramontanismo » e il «sistema papale» e citazione delle Decretali Ps.-isidoriane. Il giudizio del Fuhrmann, a questo riguardo, e cioè circa l'influsso di tale falsificazione nello sviluppo dell'esercizio del Primato del Vescovo di Roma, ci sarebbe piaciuto più sfumato e articolato. Si può infatti ritenere che «anche senza lo Pseudo-Isidoro la posizione e i diritti del pontefice sarebbero assurti alla stessa altezza»? Si tratta qui di distinguere oltretutto la realtà primaziale e quella patriarcale, propria del Papa in Occidente, il Primato e il suo esercizio. Comunque, «i dogmi dell'episcopato universale e dell'infallibilità del papa stanno al termine di uno svolgimento fondato nella struttura stessa della Chiesa. Anche se le loro radici si possono far risalire formalmente, in parte, alle invenzioni di Isidoro Mercatore, essi rappresentano nondimeno il compimento ecclesiologicamente consequenziale di ciò che un Leone Magno, un Gregorio VII, e tanti papi in tutti i secoli costruirono e proclamarono » (pp. 135-136). E continua: «Anche se per avventura occorse una personalità esaltata, e magari morbosamente esaltata, (Pio IX) per imporne la formulazione finale, la loro coerenza con gli orientamenti precedenti della Chiesa rimane fuori questione» (p. 136).

Da parte nostra, dopo lo studio che concludemmo 25 anni or sono (v. Episcopato e Primato pontificio nelle Decretali Pseudo-isidoriane. Ricerca storico-giuridica, Roma 1971, pp. 274-275), ci parve poter affermare che « lo Ps.-Isidoro raccoglie sì la tradizione antica, relativa a papato ed episcopato, ma nel ripresentarla dà alla medesima nuovi indirizzi. Certamente, cioè, le idee fondamentali circa il Primato, presenti nella sua concezione, risalgono alla disciplina anteriore e il movimento di centralizzazione si era andato già via via sviluppando a Roma, dove Niccolò I aveva avuto chiara coscienza della autonomia del suo potere legislativo e giudiziario ancor prima dell'arrivo delle false decretali. Se questi rilievi son veri non si può negare, peraltro, che lo Ps.-Isidoro contribuì ad estendere, allargare ed approfondire l'influsso del Primato papale nella struttura ecclesiastica e che alcune sue nuove prospettive faranno da base, successivamente, al jus canonico. Ci sembra quindi esatto affermare che il corpus delle ps.-isidoriane, in virtù soprattutto della famosa formula in partem sollicitudinis ... non in plenitudinem potestatis, mise in luce, nel Primato del Vescovo di Roma, alcuni aspetti nuovi, specialmente quello che, anche se non direttamente inteso e voluto, e per effetto di uno sviluppo ed approfondimento di papi e canonisti, divenne infine il principio fondamentale di un nuovo tipo di rapporto tra papa e vescovi, facendo derivare dal Pontefice Romano il loro potere di giurisdizione».

Dopo la trattazione «Dalla clausura" vaticana ai Patti Lateranensi », Fuhrmann delinea alcune caratteristiche dell'« età vaticana ». A questo riguardo troviamo eccessivi i giudizi negativi a proposito del « diritto canonico vaticano » (C.J.C.). «Anche il nuovo Codice del 1983 è considerato prosecuzione, in parte, del vecchio» (p. 143). L'A. conclude: «con i Pii del XX secolo ha luogo una sintesi. È il periodo del configurarsi di un potere spirituale totalitario [!?], di un papato fortemente spiritualizzato, di alta autorità morale, ammantato di un elaborato cerimoniale: Pio XII ne fu il tipico rappresentante» (pp. 143-144).
È un po' poco (con due righe in più) per Pio XII, ci pare. Non attento alla incisività storica ci sembra anche il trattamento riservato a Paolo VI (gli sono dedicate 14 righe), per passare, lo vedremo in seguito, da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II. Avremmo anche preferito più « riserva » di storico, in quest'ultimo caso, per l'addossamento cronologico con l'odierno pontificato. Ma andiamo per gradi.
«Una forza nuova » è il titolo del capitolo V con due figure, come dicevamo, la prima è di Giovanni XXIII, «il papa delle sorprese », «di transizione a un modo nuovo di porsi ed operare» (p. 145), che convoca « un sinodo diocesano romano e un concilio generale della Chiesa » (p. 147). Grazie a lui vi è "un nuovo collegio cardinalizio e un nuovo episcopato (p.149). Segue l'illustrazione dell'apertura del papato: « Mettiamo fine alle divisioni » (p. 151). Fuhrmann conclude: «L'umanizzazione del papato, il concorso dei vescovi nel determinare gli indirizzi generali della Chiesa, l'apertura a tutta la Cristianità e al mondo quale oggi è, con non cristiani e atei: in questi campi - ma non solo in essi si compì sotto Giovanni XXIII una transizione» (p. 153).

L'altra figura del capitolo è Giovanni Paolo II, abbozzata con la domanda: «svolta ecumenica e/o richiamo al passato?» (ibid.). A suo riguardo, dopo aver giustamente affermato: «A chi voglia esprimere un giudizio su Giovanni Paolo II si impone il riserbo» (p. 157), l'A. sembra non adeguarsi a quanto egli stesso ha appena asserito, ponendo, per cominciare, un'altra domanda: «Una Chiesa modello polacco"?». A tale proposito si dichiara: «Nella ventina di viaggi compiuti finora (dicembre 1983), Giovanni Paolo Il ha svolto in pieno il ruolo ambivalente del modello polacco", combinando la forza di un magistero etico e formativo legato alla fede cattolica con l'astensione da responsabilità politiche» (p. 158). Successivamente il testo aggiorna: «Giovanni Paolo II è un papa viaggiatore, e si può collocarlo accanto agli uomini di stato che volano di qua e di là, e al segretario dell'ONU: nel 1988 ... si contavano di lui 111 viaggi, dei quali 40 fuori d'Italia» (p. 164). Continua l'A.: «Agli occhi di Giovanni Paolo Il ... la Polonia dovrebbe diventare esempio di una felice fusione fra cristianesimo, Stato e cultura: punta di lancia" della lotta contro 1' anticultura" dell' europeismo", contro quella civiltà della cupidigia e del godimento" che secondo l'opinione espressa dal papa dominerebbe il mondo occidentale (p. 159) ... L'ottica polacca ha molto peso anche a Roma, forse troppo ... Vengono rigorosamente mantenute le posizioni conservatrici contrarie all'aborto e in difesa del celibato ecclesiastico. La commistione di problemi polacchi e problemi mondiali è tipica dell'attuale visione vaticana» (p. 160).

Dopo aver dedicato una qualche attenzione a « L'attentato » (p. 161), e a «L' imperturbabilità" del papa» (pp. 162-163), - in cui rileva che «Giovanni Paolo Il non è evidentemente un amministratore ... il papa dà ascolto a molti, parla con pochi e decide da solo» (p. 162) - Fuhrmann domanda: «Che ne è del ridimensionamento delle strutture gerarchiche primaziali? » (ibid.), dando una risposta in cui si sottolinea una certa restaurazione; egli del resto parla di una revisione del C.J.C. che diventa « rifacimento». «Qui come in altri campi -conclude l'A.- riforma significa richiamo alle tradizioni cattoliche come spesso è avvenuto nelle riforme ecclesiastiche» (p. 163). Dando infine spazio al fiabesco popolare, Fuhrmann si chiede «Soltanto più un papa?» (ibid.), richiamando la celebre «profezia» dello Pseudo-Malachia, e si fa portavoce ancora di varie critiche circa l'odierno pontificato che «corre il rischio di trovarsi per più versi isolato: nella ecumene, perché il dialogo interconfessionale ... si è addormentato ... nella stessa Chiesa cattolica, perché non si è riusciti né a ricondurre all'ovile i tradizionalisti dopo la morte di Monsignor Lefebvre (1991), né a procurare alle dichiarazioni pontilìcie sufficiente consenso e risonanza. Alla enciclica Centesimus
annus ... economisti cattolici rimproverano molta ignoranza dei nessi funzionali delle economie moderne. Nella teologia rappresentata dal papa ... si vede una rimitologizzazione della Bibbia. E via dicendo; con la nomina di vescovi indesiderati a Colonia, a Krems, a Coira e altrove, le diocesi locali si sentono sopraffatte, e il malumore cresce ... Anche in Italia ... il prestigio del papato sembra in calo» (pp. 164-165).

Non manca la citazione di Mons. Marcinkus, che poi è stato prosciolto. Tutto ciò l'A. definisce «solo accenni», perché «l'elenco dei lati oscuri della situazione potrebbe continuare». Comunque, prima dell'epilogo, egli così significativamente conclude: «Ma proprio questa è una caratteristica della storia del papato: che di tempo in tempo ora più, ora meno si parla di situazioni critiche, o addirittura disperate, eppure il trono di Pietro rimane saldo come la roccia fondata e annunciata da Cristo. Cosa diceva nel 1846 il giovane Jacob Burckhardt del papa regnante e della sua situazione? Si erge il vecchio signore, apre le braccia consunte ... Ah, ma il mondo ormai gli sfugge!". E tuttavia un secolo e mezzo dopo potremmo dire che la presa sul mondo del papato in apparente declino è ancora salda» (pp. 165-166).

Ci permettiamo, per una volta, di fare anche noi un po' di spirito, con un sorriso, dicendo: per fortuna che l'A. aveva affermato che «si impone il riserbo a chi voglia esprimere un giudizio su Giovanni Paolo Il»! (p. 157).
Nell'epilogo, «La storiografia del papato, ieri e oggi » (pp. 167-172), ritroviamo il Fuhrmann di sempre, vir scientificus, che, in seguito, ci fa dono di un'appendice - «elenco dei papi» (vi rileva che non è possibile dare una lista esatta di nomi «con assoluta certezza». (Cosa intende? Di che genere di certezza si tratta?) - e di un'ottima trattazione delle «Fonti e [della] letteratura » (pp. 182-198).

Nell'edizione italiana ivi è integrata una bibliografia nella nostra lingua dovuta al Prof. Alberto Melloni, il cui indirizzo storiografico è noto (lo dimostra il fatto che alla citazione dell'Alberigo, di p. 189, non fa seguito, quella della «risposta» a lui data dal Fois). Seguono gli indici (analitico e del volume: pp. 203-213).
A conclusione segnaliamo alcuni errata: « gesuita » (pp. 47, 122 e 132), « astennero » (p. 135), « il Vaticano » (pp. 138 e 165), «santificazione » (p. 144), « Varonio » (p. 169), « ausiliario » (p. 187), « nazionali » (ibid.), «Abeitskreis » (p. 189), , da leggersi: «gesuitica » « astenne », « la Santa Sede », «canonizzazione », « Baronio », «ausiliare », « residenziali », « Arbeitskreis » e « Montini, Giovanni Battista » e non Montini, Giuseppe Battista» (p. 207)».
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* * AA. VV., "Storia dei Papi" (a cura di M. GRESCHAT e E. GUERRIERO),
Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, pp. 1015.

L'opera, di valore, - e basta scorrere l'elenco degli AA. che vi hanno collaborato per rendersene conto - è fondamentalmente quella apparsa nel 1984-85 con il titolo Das Papsttum I-II dell'Ed. W. Kohlhammer. Vi si aggiunge, abbastanza felicemente, a mo' d'introduzione, « Il ministero del papa tra teologia e storia» (di E. Guerriero) e vi appaiono alcune «sostituzioni », quelle di Marcella Forlin Patrucco (decisamente insoddisfacente, in materia delicata ed importante: «I papi dei primi tre secoli») e di R. Aubert, A. Monticone, D. Veneruso, F. Traniello, A. Riccardi, G. Alberigo e A. Acerbi, per gli ultimi pontificati, a partire da Leone XIII con esclusione di Giovanni Paolo II Tale trattazione propria, sugli ultimi Papi, dell'edizione italiana, è ripresa, con qualche modifica, dai voll.. XXII/1, XXIII, XXV/1 della Storia della Chiesa di A. Fliche e V. Martin, diretta da E. Guerriero. Essa è di buon livello scientifico (anche se riaffermiamo qui le note nostre gravi riserve metodologiche specialmente sull'opera di Alberigo) e comprende una parte considerevole del volume (1/3: pp. 629-967), ad indicare una preferenza di ricerca per il papato chiamiamolo contemporaneo, visto cioè con gli «occhiali di oggi». Altre aggiunte puntuali sono fatte dal curatore dell'edizione italiana per rispettare la cronotassi del Liber Pontificalis (v. pp. 143-144 e 179-186).

Dopo l'elenco delle abbreviazioni, ecco l'introduzione sopra menzionata di E. GUERRIERO (pp. 7-22), con bibliografia generale (notiamo che dell'opera del Fuhrmann vi è una traduzione in lingua italiana), anticipata già nelle pagine anteriori (pp. 17-18). Rileviamo già ora, in questo contesto, che ogni capitoletto, in fine, presenta una propria specifica bibliografia essenziale. Per quel che riguarda poi la «problematica teologica» sarebbe stato il caso di non partire dal III secolo soltanto, ma di vagliare anche il tempo precedente, per non dare l'impressione di uno iato tra quello apostolico e la «costruzione successiva». E non basta, a colmarlo, lo studio su Pietro, peraltro veloce, stabilendo alternative che non ci sono (v. per esempio quella tra cum Petro e sub Petro: pp. 10 e 11).
Ci sarebbe piaciuta altresì l'introduzione della dizione « monoepiscopato », invece del fuorviante «episcopato monarchico», (v. anche pp. 42 e 43, 44 questione Vescovo-comunità -, 45, 46 e 47) e la considerazione della libertas ecclesiae, nonchè un breve approfondimento della nozione di plenitudo potestatis, per intenderci su temi fondamentali della « storia » appunto « dei papi ». Ci domandiamo, infine, cosa voglia dirci l'A. all'affermare: «Solo l'immagine di un papa potente tra i potenti sembra per sempre destinata al tramonto e, anzi, sarebbe auspicabile un rapido mutamento delle vestigia che ancora ricordano l'esercizio di un potere che mal si addice al successore di Pietro» (p. 17).

A proposito del contributo di M. FORI.IN PATRUCCO (pp. 23-53) il quale, come dicevamo sopra, non ci soddisfa, basti dire che, per non fare apologetica e qui siamo d'accordo si «minimizza » il « papato » dei primi tre secoli e qui non siamo d'accordo - e si costruisce di esso una immagine ancor più «costruita» di quelle in antecedenza compiute. Come si può dire tranquillamente, infatti, senza chiarimenti e precisazioni, che « in realtà ... il papato nella forma codificata dal sapere storico sembra istituzione ignota sia nel Nuovo Testamento sia nei documenti delle origini cristiane ... »? (p. 24). È esatto asserire inoltre, tralasciando altre cose, che « Il passaggio dalla direzione collegiale della comunità all'ufficio episcopale unitario come forma legittima della successione apostolica è realtà storica operante dalla seconda metà del secondo secolo»? (p. 30). Solo? Anche per la trattazione de «Le antiche liste episcopali» non mancano le nostre riserve. Se «è una istanza di ordine dottrinale, e non certo un interesse di tipo storico e cronologico, a governare la composizione delle più antiche liste episcopali delle maggiori chiese e in particolare di Roma » (p. 30), si può da ciò dedurre che esse non hanno fondamento storico? Anche l'esegesi del termine «presbiteri-vescovi » sta stretta, mentre ne esistono altre, pur con buon fondamento. Perché poi mettere tra virgolette il termine «vescovi» di Roma quando ci si riferisce ai primi di essi? (p. 33).
E perché parlare di «egemonia dottrinale» di Roma, di «pretese», di sue «affermazioni egemoniche», ecc., invece di considerare il tutto come abbozzo di manifestazione del suo Primato, senza confusioni con l'esercizio del potere patriarcale (p. 50)?

J. SPEIGEL, ne « I Papi nella Chiesa imperiale del secolo IV e dell'inizio del V. Da Silvestro a Sisto III » (pp. 54-69), continua l'analisi dei primi importanti secoli della Chiesa, dal punto di vista papale, con alterna soddisfazione da parte nostra. Precisazioni si dovrebbero fare sulle « basi istituzionali » del Primato (p. 54, v. altresì pp. 65 e 67) per l'Oriente e l'Occidente, sul ruolo del « culto dell'Apostolo Pietro » nella « teoria secondo la quale il vescovo di Roma assumeva l'ufficio di Pietro » (p. 56). Almeno sfuocate sono le considerazioni sul ruolo di Milano (p. 61), sul « primato giurisdizionale » in Oriente e in Occidente (p. 60), sulle nomine vescovili e le causae maiores (p. 63), per misconoscimento della speciale situazione del Vicariato di Tessalonica (pp. 61 e 68, rispettivamente, e anche p. 65), sul «sinodo imperiale » di Efeso e papa Celestino, abile « a governare più a partire dai legame tra diritto e religione che da quello tra teologia e religione». E che dire di quel «con il concilio di Efeso si era presentata l'occasione fino ad allora più propizia per estendere il primato romano alle chiese dell'Oriente»? (p. 67).

Segue la presentazione di «Leone Magno» (pp. 70-88) e de «Il papato sotto la dominazione gotica e bizantina. Da Ilario a Pelagio II » (pp. 89-104) ad opera di P. STOCKMEIER e G. HÀNDLER, rispettivamente, mentre la trattazione di «Gregorio Magno » (pp. 105-126) è affidata a G. JENAL. Si passa poi, grazie alla penna di H. H. ANTON, «Dall'egemonia bizantina all'alleanza con i Franchi. Da Sabiniano a Paolo I » (pp. 127-147), con menzione a «lo Stato della Chiesa», alla Donazione di Costantino e al Patriarcato (di Roma) «limitato all'Italia centrale, staccandosi dai suoi legami con l'Oriente. Guadagnò però una nuova oikumene in Occidente grazie al culto di Pietro e all'attività missionaria. Per questa ragione, malgrado tutti i condizionamenti fattuali, fu in grado di continuare ad avanzare la rivendicazione del primato universale, perfezionandone anche l'aspetto ideologico » (p. 142).

J. FRIED si occupa de «I Papi nell'impero carolingio, da Stefano III ad Adriano II» (pp. 148-166) e H. ZIMMERMANN del « secolo oscuro » (meno di quanto si pensi, conferma l'A.) papale, «Da Giovanni VIII a Gregorio VI » (pp. 167-188). L'analisi de «Gli inizi del Papato riformatore sotto i Pontefici tedeschi e tosco-lorenesi. Da Clemente II ad Alessandro II » (pp. 189-208) è invece opera di F.-J. SCHMALE, mentre H. FUHRMANN si occupa bene di «Gregorio VII, Riforma gregoriana" e lotta per le investiture » (pp. 209236). Ancora Schmale tratta de « il Papato nell'età di Bernardo di Chiaravalle e dei primi Hohenstaufen. Da Urbano Il a Celestino III » (pp. 236-266).
Rileviamo, en passant, qualche inesattezza a proposito delle causae maiores (p. 247), categoria giuridica piuttosto nevralgica.
«Innocenzo III » (pp. 266-283) è presentato da F. KEMPF: siamo all'apogeo del Papato. Seguono i capitoletti su «Svevi e Angioini. Da Onorio III a Niccolò IV (pp. 284-311) di O. ENGELS, su «Celestino V» (pp. 312-336), di P. HERDE, « Bonifacio VIII » (pp. 337-350), di 'I'. SCHMIDT, « I papi di Avignone. Da Benedetto XI a Gregorio XI » (pp. 351-372), di K. HAUSHERGER, e quelli « Del grande scisma d'Occidente. Da Urbano VI a Gregorio XII » (pp. 373-398), di j. KÒHLER, e su «Martino V ed Eugenio IV» (pp. 399414), di R. REINHARDT. Di quest'ultimo riportiamo qui di seguito un passo significativo per l'ampiezza della sua prospettiva: «A Basilea -- scrive Reinhardt -- e a Losanna la teoria conciliare conobbe la sua prima, decisiva, sconfitta. Ne dovevano seguire delle altre. La storia della Chiesa nel periodo successivo fu una conseguenza di tutto ciò. Non ci si illuda: i concili ecumenici dei secoli XIX e XX non hanno posto in atto la teoria conciliare, e neppure i sinodi episcopali romani, per tacere del nuovo Codex iuris canonici. Martino V ed Eugenio IV possono anche aver perso delle battaglie ma, alla fine, hanno trionfato » (p. 412).

E siamo al Rinascimento: «Da Niccolò V a Giulio Il» (pp. 415-432), di A. A. STRNAD, a « I papi nell'età della Riforma e del Concilio di Trento. Da Leone X a Pio IV» (pp. 433-467), di E. ISERLOH, a quelli della Riforma Cattolica e della `Controriforma: «Da Pio V a Leone XI » (pp. 468-498) e nell'età della guerra dei trent'anni: «Da Paolo V a Innocenzo X» (pp. 499-531), entrambi capitoletti affidati a G. SCHWAIGER.
Si va poi «Da Alessandro VII a Innocenzo XII » (I papi nel periodo della supremazia francese»: pp. 532-547), di j. GELMI, « Da Clemente XI e Clemente XIV » (« Il secolo dall'Illuminismo », pp. 548-569), di H. RAAB, «Da Pio VI a Pio VII» (« L'età della Rivoluzione », pp. 570-586), ancora del Raab, «Da Leone XII a Gregorio XVI» («L'età della Restaurazione», pp. 587-604), di R. LILI., molto «moderno» in relazione alla Curia Romana e ai Rappresentanti Pontifici.
Il Pontificato di Pio IX (pp. 604-628) è affidato a K. SCHATZ in questo caso l'abbiamo trovato migliore di come ci apparve nel suo volume Il Primato del Papa e quelli di Leone XIII («Tradizione e Progresso», pp. 629-668) e di Pio X («Tra restaurazione e Riforma», pp. 669-713) entrambi dati a un Aubert più convincente nel primo caso che nel secondo. In effetti risulta a noi esagerata la sottolineatura dell' «autoritarismo» di Pio X, in una impostazione storiografica che va per la maggiore, secondo la quale il Magistero è sempre in ritardo, chiuso, a cui si «strappa», in fondo, la libertà. La storia diventa così in ultima analisi una lotta per la libertà anche all'interno della Chiesa. Ma nella Chiesa la libertà va ricercata nel contesto della fede, del depositum fidei.
Troviamo esagerazione insomma in tutto questo. Ciascuno in effetti, nella Chiesa, ha la sua funzione, anche perché «Pio X apparì come riconosce bene l'A. contemporaneamente un precursore ed un tradizionalista» (p. 700).

Ad A. MONTICONE si deve lo studio de «Il pontificato di Benedetto XV» (pp. 714-757), di buona fattura, come quello relativo a Pio XI (pp. 758-794) di D. VENIRUSO. Il periodo pacelliano è analizzato da F. TRANIELLO («Pio XII, la seconda guerra mondiale e l'ordine postbellico», pp. 795-831), che si dilata molto sul pensiero del Papa, e da A. RICCARDI («Pio XII: un decennio difficile 1948-1958», pp. 832-857), con ricerca ritmata soprattutto dai documenti pontifici di tale periodo. Entriamo qui in materia da noi già recensita (dei voll., cioè, XXIII e XXV/1 della Storia della Chiesa, sopra menzionata, del Fliche-Martin - v. Apol N. 3-4 (1994), pp. 789ss. e N. 1-2 (1995), pp. 412ss. e di varie opere del, o curate dal, Riccardi, per cui vi rimandiamo il lettore anche per quanto riguarda i capitoli seguenti, cioè « Il pontificato di Giovanni XXIII», di G. ALBERIGO (pp. 858-897), e quelli di Paolo VI (pp. 898-949) e Giovanni Paolo I (pp. 950-967), entrambi di A. ACERBI.

Seguono «La successione dei Papi da Pietro a Giovanni Paolo II» (pp. 968-976), - con presentazione che pensiamo dovrebbe essere più sfumata nel giudizio storico l'indice dei nomi (pp. 977-1006) e quello generale (pp. 1007-1015).

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Bibliografia:
(testo riportato integralmente, e autorizzato dal
Arciv. Agostino Marchetto, autore dell'opera:
"Chiesa e Papato nella storia e nel diritto"
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Libreria Editrice Vaticana - Marzo 2000

(vedi qui recensione del libro)

Vedi anche la Pastorale
"ISTRUZIONE"
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I MIGRANTI “ERGA MIGRANTES CARITAS CHRISTI":
Ne riportiamo la presentazione in queste pagine > >

Altro suo intervento: " Su i silenzi di PIO XII

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