TESTAMENTO DI NAPOLEONE

Ultime settimane di Napoleone a Sant'Elena, la cosiddetta "anticamera del sepolcro". Ha il presentimento della morte. Da prima dichiara di morire nella religione apostolica e romana nel cui seno era nato, che egli ha restaurato, ha sempre protetto, pur mai intimamente aderendo alla sua fede. Poi pensa alla gloria della sua tomba e scrive da francese di elezione:
"Desidero che le mie ceneri riposino sulla riva della Senna,
in mezzo al popolo francese che ho tanto amato".
Cominciano poi i pensieri per suo figlio, sul cui capo egli aduna tutto quanto possiede di diritti, di tesori e di dottrine, tutto quanto di speranza al di là della morte può nutrire una creatura umana. Per questo assicura la "carissima sposa" dei suoi piú teneri sentimenti, per pregarla, di vegliare e tutelare il figlio. A questi, che cresce da principe austriaco, raccomanda di non dimenticare che è nato principe francese e di mai prestarsi ad essere strumento di quei triunviri che opprimono i popoli d'Europa.
Viene poi un "colpo netto di lancia" contro il nemico:
"Io muoio precocemente, assassinato dalla oligarchia inglese e dal suo sicario" e aggiunge con atteggiamento eccitatore da tribuno: "Il popolo inglese non tarderà a vendicarmi".
Questa parte finisce con la dichiarazione che: "le due catastrofi delle invasioni di Francia, mentre ancora aveva tanta forza, sono dovute al tradimento di Marmont, Augereau, Talleyrand, Lafayette".
Aggiunge poi: "Io perdono loro", ma dietro la formula cristiana lampeggia l'acciaio delle sue parole: "Possa la posterità francese fare altrettanto!".
Ringrazia poi, con stile da patrizio, la cara madre, i parenti e i fratelli del loro affetto e perdona perfino Luigi per un libello irriguardoso allora appunto comparso. Segue poi la suddivisione del suo patrimonio.
La massa patrimoniale maggiore è costituita dai risparmi su una lista civile di 14 anni, nonché ciò che egli stesso ha comperato, castelli, gioielli, mobili, argenteria e i possedimenti italiani. Egli fa ammontare tutto ciò a oltre 200 milioni di franchi, rileva come nessuna legge glieli abbia tolti e li lascia in eredità…

"per la metà agli ufficiali e alle truppe ancora superstiti delle gloriose campagne dal 1792 al 1815, proporzionalmente ai loro stipendi militari; per l'altra metà lascio eredi i comuni e le province danneggiati dalla invasione".
Questo era il "ladro" Napoleone!!
Con tali misure egli tende a mettere il nuovo governo anche moralmente dalla parte del torto, qualora insista nel tenere sotto sequestro i valori effettivi rubatigli dopo l'abdicazione. Egli in tal modo si assicura anche la simpatia delle truppe e del popolo, e spera segretamente che ciò abbia per la sua dinastia un effetto analogo a quello raggiunto da Antonio col testamento di Cesare.
Seguono poi 97 lasciti a persone tutte precisamente nominate. Queste liste sono venute formandosi nel corso di dieci giorni. Ci dice il suo segretario come se "il suo spirito fosse incessantemente attivo nel ricercare il modo di manifestare la propria generosità, ricordando ogni giorno nuovi servitori devoti degni di ricompensa".

Questi lasciti sono tratti da un suo piú limitato patrimonio di circa 20 milioni del quale si sente maggiormente sicuro che non dei beni imperiali, e di cui sei milioni sono stati depositati in contanti all'epoca della partenza.
Chi sono i prescelti per questi doni?

Montholon eredita due milioni, Bertrand e il cameriere Marchand ciascuno mezzo milione. Quest'ultimo è l'unico cui Napoleone dia il titolo onorifico di "amico", aggiungendo che desidera vederlo legarsi per matrimonio a qualche famiglia della sua vecchia Guardia.
Lo nomina insieme a Bertrand e a Montholon esecutore testamentario e vuole che ciascuno di essi apponga i propri sigilli a ogni documento. Cosí l'ultimo autografo di mano sua è chiuso da quattro sigilli: l'aquila a volo dell'imperatore, gli stemmi dei due conti di antica stirpe, e accanto il semplice monogramma di un proletario che si è acquistata la suprema fiducia dell'imperatore sino oltre la morte. "I servigi che egli mi ha recati sono quelli di un amico".
Ciascuno dei servi di Sant'Elena riceve un piccolo patrimonio e cosí pure ciascuno dei medici, l'uno dei quali, il chirurgo Larrey, è detto "il piú virtuoso degli uomini che io conosca". Seguono con somme eguali ex generali a lui amici, segretari, le Guardie dell'Elba, figli di generali caduti, e seguono poi ancora servitori e stallieri, ufficiali di ordinanza e cacciatori, un cavalleggero di Egitto, un bibliotecario, dei figli e nipoti di amici familiari di Corsica, figli e nipoti della sua nutrice se di nuovo in bisogno nonostante precedenti donazioni, figli e nipoti dei maestri di Auxonne; si ricorda perfino del generale comandante a Tolone che ebbe fiducia in lui e gli diede per primo il comando; del deputato che un giorno fece prevalere i suoi piani a Tolone contro il Comitato; del suo aiutante Muiron caduto in battaglia, di cui un giorno aveva assunto il nome. Segue un sottufficiale, Cantillon, che era accusato d'aver voluto assassinare Lord Wellington, cosa di cui fu dichiarato innocente:
"Egli aveva tanto diritto di assassinare questo oligarca, quanto l'oligarca di spedirmi a perire sullo scoglio di Sant'Elena. Wellington, che ha proposto tale attentato, cercava di giustificarlo con l'interesse della Gran Bretagna. Cantillon, se avesse veramente assassinato il Lord sarebbe stato giustificato dai medesimi motivi, cioè per l'interesse della Francia".

Con questa affermazione rivoluzionaria chiude la lista dei beneficati. Nella istruzione per gli esecutori sono elencate fra le altre fonti cui attingere: i mobili di malachite della Russia, il vasellame da tavola in oro, dono della città di Parigi, una piccola fattoria sull'isola d'Elba, comperata col denaro di Paolina, qualora questa alla sua morte fosse già deceduta. Cita poi un deposito di mercurio a Venezia del valore di 5 milioni, il patrimonio del patriarca di Venezia, se realmente questi lo ha lasciato in eredità all'imperatore, oro e gioielli in un nascondiglio della Malmaison, che non erano mai stati dati a Giuseppina e forse erano ancora rintracciabili: è l'elenco fantastico di un sovrano e di un avventuriero insieme.

Alla madre lascia la piccola lampada d'argento alla cui luce ha passato da sei anni le sue notti insonni, a ciascuno dei fratelli piccoli ricordi, a Giuseppe e Luciano, come se nulla fosse accaduto, per ciascuno un mantello ricamato con la giubba e i calzoni.
Ma il vero erede di Napoleone è suo figlio. A lui vuole che vadano anzitutto le sue armi, le selle, gli speroni, le decorazioni, le tabacchiere, i libri, la biancheria, il lettuccio da campo, e aggiunge a questa lista la frase nobilmente altèra: "Desidero che questo piccolo letto gli sia caro, evocandogli il ricordo di un padre di cui il mondo lo intratterrà".

Fra la prosa degli inventari, che precisano persino le federe e le mutande, vi sono come dei lampeggiamenti: "La mia spada, che portavo ad Austerlitz, il mio nécessaire d'oro da viaggio, di cui mi servii nelle giornate di Ulma, Eylau, Friedland, Lobau, Mosca, Montmirail; quattro scatole trovate sulla tavola di Luigi XVIII alle Tuileries il 20 marzo 1815, una piccola sveglia che è quella di Federico II presa a Potsdam (scatola N. 3), un mantello azzurro, che indossavo a Marengo, la spada del Primo Console, il nastro della Legion d'Onore".

Alla fine è nominato uno di fiducia che deve custodire tutto e consegnarlo al figlio quando abbia sedici anni.
Marchand viene invitato a raccogliere i capelli di Napoleone, e a farne fare dei braccialetti con piccole guarnizioni d'oro per la madre, fratelli e sorelle, e la imperatrice. "Mio figlio dovrà aver, un braccialetto piú grande".
Vengono nominate persone e località dove esistono ricordi che potrebbero un giorno interessare il figlio. "Il ricordo di me sarà la gloria della sua vita. Si raccolga per lui tutto ciò che possa formare un ambiente adatto. Se la fortuna mutasse e mio figlio salisse in trono, è dovere dei miei esecutori testamentari fargli capire quali doveri abbia verso gli antichi ufficiali e soldati e verso i miei fidi servitori".

Essi debbono far, ogni sforzo per vederlo e per "...con ogni energia illuminarlo sugli avvenimenti e le circostanze. Mia madre e i fratelli gli scrivano, quando sarà grande, i figli dei suoi ufficiali e servitori vogliano porsi a suo servizio. Mia madre voglia lasciargli qualche particolare eredità, per esempio il ritratto proprio o quello di mio padre o qualche oggetto di valore che susciti in lui il ricordo dei nonni".

La sua vita si chiude con questi semplici sentimenti, con parola commovente dei nonni, ma ecco ancora un'ultima frase grandiosa:
"Bisogna invitare mio figlio a riprendere il suo nome di Napoleone
appena è maggiorenne e lo può fare senza inconvenienti".

Dopo tale febbrile preoccupazione per la sorte dell'unico erede legittimo, vi sono, al paragrafo 37, quattro righe per dire che il piccolo Leone voglia farsi impiegato e Alessandro Walewski ufficiale. Egli non può prevedere che, decenni dopo la morte precoce del figlio legittimo, Leone finirà la sua inutile esistenza di marito di una cuoca in America, mentre il conte Walewski guiderà le sorti della Francia, dimostrando con la sua genialità e la sua bellezza da quale amore egli tragga origine.
Al figlio è destinato un altro testamento: due settimane primi di morire l'imperatore in piena notte fa venire Montholon che nelle ultime settimane lo ha curato con grande devozione. "Quando giunsi era seduto sul letto, il fuoco del suo sguardo mi fece temere che la febbre fosse aumentata. Egli però mi disse: - Non sto peggio, ma dopo che ho discusso con Bertrand quel che dovrà dire a mio figlio, la mia mente ne è ancora tutta presa... Preferirei dettare ancorai miei consigli per lui. Scrivete….".
Seguono dodici pagine che costituiscono il vero testamento politico dell'imperatore.

Non una parola si riferisce alla guerra, molte alla pace, vi sono quasi tutte le idee fondamentali intorno all'Europa del secolo nato con lui. È la visione di quel che sarebbe un suo secondo governo, è la critica alteramente acuta dell'opera propria, è profezia di nuove forme statali, è monito al secolo venturo, invocazione all'Europa di volersi stringere unita, proclamazione di idee di libertà, eguaglianza, genialità, commercio, intesa dei popoli: tutto ciò foggiato da Napoleone morente in una delle sue notti di febbre:
"Mio figlio non deve pensare a vendicare la mia morte, ma a trarne vantaggio... Tutti i suoi sforzi debbono tendere a governare in la pace. Se egli volesse riprendere le mie campagne di guerra per solo spirito di imitazione e senza necessità, non sarebbe che povero imitatore. Ricominciare l'opera mia vorrebbe dire ammettere che io non abbia nulla compiuto... Non si può in uno stesso secolo ripetere due volte le stessa cosa. Io fui costretto a domare l'Europa per mezzo delle armi; al giorno d'oggi lo si può fare con la persuasione... Io ho seminato in Francia e in Europa delle nuove idee che non possono più retrocedere. Possa mio figlio far maturare quel che ho seminato...
E' possibile che gl'Inglesi, per cancellare il ricordo delle loro persecuzioni, favoriscano il ritorno di mio figlio in Francia; ma per vivere di buon accordo con l'Inghilterra, bisogna favorire ad ogni prezzo i suoi interessi commerciali. Tale necessità implica due cose: o lottare contro l'Inghilterra oppure dividere con lei il commercio mondiale. Soltanto le seconda via è possibile oggi giorno; il problema esterno sarà ancora per molto tempo in Francia più importante di quello interno. Io lascio a mio figlio forza e simpatia sufficiente per proseguire l'opera mia esclusivamente con l'arma di una diplomazia nobile e conciliante.
Possa mio figlio non giungere al trono per influenze straniere. La sua meta non deve essere di governare soltanto, bensì conquistarsi la lode dei posteri. Cerchi di avvicinarsi appena può alla mia famiglia, mia madre è donna di antico carattere... La nazione francese è fra tutte la più facile da governare, purché non la si prenda di fronte. Nulla eguaglia la sua rapida e facile capacità di comprensione; essa distingue immediatamente chi lavora per lei o contro di lei; ma bisogna sempre parlare ai suoi sensi, se non lo si fa sorge uno spirito d'inquietudine, un fermento di ribellione...
Che disprezzi tutte le suddivisioni di partito; non consideri atro che la massa; con la eccezione di coloro che hanno tradito il paese, deve dimenticare il passato di tutti gli altri, compensare i meriti e i talenti dovunque li trovi...
La Francia è certo il paese dove i capi hanno il minore infllusso; appoggiarsi a essi significa costruire sulla sabbia. In Francia si possono compiere cose grandi soltanto se ci si appoggia alle masse.
Mi sono appoggiato alla comunità senza eccezioni, ho dato il primo esempio di un governo che favoriva gli interessi di tutti. Scindere gli interessi di una nazione vuol dire generare la guerra. Non si può dividere, ma soltanto mutilare quel che per natura è inscindibile. Io non do importanza alla costituzione... La base principale deve essere però il suffragio universale.
La nobiltà da me creata non sarà di alcun sostegno a mio figlio...

La mia dittatura era indispensabile, ne è prova il fatto che mi venne sempre offerto maggior potere che io non volessi... Per mio figlio non sarà la medesima cosa, gli contesteranno il potere, egli deve prevenire tutti i desideri di libertà... Il compito di un sovrano non è soltanto di dominare, ma anche di diffondere l'istruzione, la morale, il benessere. Tutto quel che è sbagliato è anche un cattivo aiuto.

Il popolo francese ha due potenti passioni, che sembrano reciprocamente contrastarsi e che sgorgano invece dalla stessa sorgente: l'amore per l'eguaglianza e l'amore per le distinzioni. Un governo non può soddisfare ambedue questi bisogni, se non attraverso ad una rigidissima giustizia. Non si tratta, governando, di seguire una teoria più o meno buona, ma di costruire con i materiali dati; bisogna sapere adattarsi alle circostanze sapendole sfruttare.
La libertà di stampa deve divenire in mano del governo un'alleata potente per diffondere fin negli angoli più remoti di un paese sane opinioni e giusti principi. Abbandonarla a sé medesima significa invece addormentarsi sul ciglio di un abisso... Se non si vuole morire, bisogna o tutto dirigere o tutto impedire.

Mio figlio deve essere l'uomo delle mie idee e della causa che io ho dovunque fatto trionfare: riunire l'Europa per mezzo di patti federativi indissolubili.
L'Europa va incontro a una inevitabile evoluzione; volerla trattenere significherebbe frazionare le proprie forze in una inutile lotta; favorirla significa rafforzare le speranze e la volontà di tutti.
La situazione di mio figlio non sarà scevra d'incommensurabili difficoltà. Possa egli fare col consenso generale quel che le circostanze mi hanno obbligato a tentare con la forza delle armi. Se nel 1812 io in Russia fossi rimasto vincitore, il problema di una pace di cento anni sarebbe stato risolto, io avrei tagliato il nodo gordiano delle inimicizie tra popoli. Ora è necessario scioglierlo.
Le grandi questioni non si risolvono piú al nord, ma nel Mare Mediterraneo, là vi è materia bastante per accontentare la vanità di tutte le Potenze e con alcune terre selvagge si potrebbe comprare la felicità delle nazioni civilizzate. Possano i re comprendere che in Europa non vi è piú materia per mantenere l'odio tra le nazioni.

I pregiudizi spariscono, gli interessi si allargano, le vie commerciali si moltiplicano. Non è piú possibile a nazione alcuna affermare il monopolio commerciale.
Ma tutto quello che direte a mio figlio, tutto quello impara, poco gli gioverà, se non ha in cuore quel sacro fuoco, quell'amore per il bene che solo riesce a far grandi cose. Io spero che egli sarà degno del suo destino.
Se vi lasceranno andare a Vienna.……"
Qui cessa all'improvviso la forza. Come la parola di un profeta visionario, s'interrompe a metà. Quel che il moribondo ha dettato ad ammaestramento del suo povero fanciullo, può servire anche dopo cent'anni ad ammaestramento per l'Europa.
I problemi politici dei giorni nostri, comunque possano venir risolti, trovano qui una risposta nella sovranità di un genio.

Il 5 maggio 1821, Napoleone spirava; erano le ore 5.50 del pomeriggio, a quell'ora a Sant'Elena tramontava il sole. MA NON NAPOLEONE !

Bibliografia:
EMIL LUDWIG Napoleone, Mondadori, 1929
ADOLPH THIERS - Storia della Rivoluzione Francese - 10 Volumi
(L'OPERA L'ABBIAMO INTERAMENTE DIGITALIZZATA SU CD - VEDI QUI > >


R.CIAMPINI, Napoleone, Utet, 1941
NAPOLEONE, Memoriale di Sant'Elena (prima edizione (originale) italiana 1844)
E un vivo grazie
al sig. Kolimo da Parigi http://www.alateus.it/rfind.html


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