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I FENICI - LA STORIA

L'ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO - LA STORIA DI CARTAGINE - L'IMPERO DI CARTAGINE - LE COLONIE DI CARTAGINE - LO SCONTRO CON ROMA - LA RELIGIONE - L'ARTE - ECONOMIA E COMMERCIO
L'ALFABETO FENICIO-GRECO-ETRUSCO-LATINO
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L'ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO

Finora abbiamo tracciato in rapide linee la storia dei Fenici d'Oriente. Ma la caratteristica peculiare della civiltà fenicia è quella d'essersi lanciata alla colonizzazione dei punti più importanti, da un punto di vista sia strategico che commerciale marittimo, del Mediterraneo. E la storia più bella dei Fenici è forse proprio questa della loro espansione, della loro « diaspora » in tutte le regioni del bacino mediterraneo e anche al di là dello stretto di Gibilterra. (qualcosa di molto simile faranno poi gli Arabi, dominando il Mediterraneo per oltre circa quattro secoli.
La colonia che è un po' il simbolo di questa attività commerciale e marinara dei Fenici, e il cui destino strettamente si legherà a quello di Roma è Cartagine. La colonia divenne ben presto città autonoma e poi un formidabile impero economico e commerciale, una potenza di primissimo piano, creatrice a sua volta di nuove colonie e per lungo tempo bilancia della vita politica mediterranea.

LA STORIA DI CARTAGINE

La fondazione di Cartagine risale all'814/3 avanti Cristo, e sulle circostanze che la causarono vi sono ampie testimonianze. La tradizione vuole che i fondatori di Cartagine provenissero da Tiro, ove Elissa, sorella del re Pigmalione, aveva sposato lo zio Acherbas, sacerdote di Melqart e possessore di grandi ricchezze: Pigmalione fece assassinare Acherbas e allora Elissa, insieme ad un gruppo di cittadini fedeli all'ucciso suo sposo, fuggì in gran segreto a Cipro. Qui decise di recarsi ad Occidente e di fondare una nuova colonia. Sbarcati sul territorio, ove poi sarebbe sorta la città, Elissa ricorse ad un'astuzia per l'acquisto del terreno: concordò con il proprietario di pagare un terreno che si potesse coprire con la pelle di un bue; ma fece tagliare la pelle in minutissime striscie che coprirono tutta la collina su cui sorse la città. Da ricordare che nella tradizione al nome di Elissa si associò e poi si sostituì quello di Didone.

La nuova città stabilì subito rapporti d'amicizia con i popoli vicini: la posizione che occupava era tale però da portarla in breve tempo ad assumere una posizione di egemonia. Infatti essa era eccezionale sia in sé sia per le possibilità di irradiazione e di consolidamento dell'interno; la collina su cui sorgeva si apriva come un vasto promontorio tra due lagune, che ne difendevano ottimamente i fianchi, ed era unita al continente da un istmo sabbioso, di cui era facile e comodo assicurarsi e mantenere il controllo. Infine il promontorio offriva possibilità di terre coltivate: l'insieme era imprendibile.
Al di là di questo racconto tradizionale sulla fondazione di Cartagine mancano precise notizie sulle sue vicende, fino alla fondazione di una colonia in Ibiza, nel 654/3 avanti Cristo. Ma è indubbio che Cartagine si sviluppò presto al livello di principale centro fenicio d'Occidente, riuscendo ad imporre la propria autorità e supremazia a tutte le altre colonie. L'elemento che contribuisce in modo determinante alla realizzazione della zona d'influenza cartaginese, che poi diverrà vero e proprio impero, è la penetrazione greca nell'area mediterranea, che crea un pericolo costante per le numerosissime colonie fenicie sulle coste del Mediterraneo; ma anche la natura stessa delle colonie fenicie, avamposti isolati, facili prede delle rivolte delle popolazioni dell'entroterra, rendeva necessario un appoggio ad un centro unico, che poi era inevitabilmente proprio la colonia più forte.

Allo sviluppo sempre crescente di Cartagine fa diretto riscontro la progressiva crisi di Tiro e dell'Oriente fenicio, che, come abbiamo visto, perde sotto i colpi successivi di Assiri, Babilonesi e Persiani la forza della propria autonomia e finisce in uno stato di effettivo vassallaggio.

L'IMPERO DI CARTAGINE

All'epoca della fondazione della colonia di Ibiza, con ogni probabilità i Cartaginesi si sono impiantati anche in Sardegna ed in Sicilia, e complessivamente già nel VII secolo la diffusione mediterranea di Cartagine è un fatto reale e di grande portata.
Intorno al 600, secondo quanto narra Tucidide, i Cartaginesi subirono una dura sconfitta navale per opera dei Focesi che riescono ad installarsi così a Marsiglia, una colonia che permette loro di controllare la ricca zona della valle del Rodano. In questo momento particolarmente difficile Cartagine stringe rapporti con gli Etruschi, nel comune tentativo di contrastare l'espansione greca nel Mediterraneo. Questa alleanza permetterà una piena rivincita sui Focesi: ad Alalia Cartaginesi ed Etruschi li affrontarono in una dura battaglia sul mare, riuscendo ad infliggere loro una grave sconfitta, e ad annientare la potenza dei Focesi e nello stesso tempo a bloccare per sempre la via della Corsica e della Sardegna all'espansione greca. Alcuni trattati divisero la zona d'influenza tra Etruschi e Cartaginesi e sancirono un periodo di intensi scambi anche culturali e artistici tra le due civiltà.

L'alleanza ha però un significato più vasto sul piano mediterraneo: essa salda infatti in Occidente la catena anti-greca costituita dalle nazioni orientali sotto l'egida dell'impero persiano; la prima avvisaglia di crisi nell'alleanza anti-greca d'Occidente è data dal declino etrusco e precisamente dalla proclamazione dell'indipendenza di Roma con la cacciata dei Tarquini (510). Il primo atto internazionale della Repubblica Romana sarà proprio la stipula d'un patto d'amicizia con Cartagine: praticamente ciò dimostra come nulla potesse accadere di politicamente rilevante in Occidente senza suscitare immediatamente l'intervento di Cartagine, vero pilastro in questo periodo della storia mediterranea.

Ed è significativo il fatto che quando l'avanzata persiana contro la Grecia è bloccata, anche la potenza cartaginese subisce una serie di rovesci in Sicilia, finendo col rinunciare alle sue pretese di egemonia anche sull'isola in cui forti erano le tracce della presenza greca.

LE COLONIE DI CARTAGINE

Prima di passare ad illustrare le fasi dello scontro con i Greci in Sicilia, preludio del mortale duello con Roma, sarà bene dare un'idea dell'eccezionale grado di potenza militare e commerciale raggiunta da Cartagine, rapidamente citando le colonie più importanti sparse lungo le coste del Mediterraneo occidentale.
Partiamo dalle coste africane, procedendo da est verso ovest: il primo insediamento d'un certo rilievo che si incontra è Leptis Magna, poi Ocea (l'attuale Tripoli), più avanti Bu Settha, Sabratha; nell'area geografica dell'attuale Tunisia, il primo centro punico di rilievo è Acholla, poi Thapsos e Mahdia e Leptis Minor; particolarmente importante è Hadrumetum, oggi Susa, e anche Utica, tradizionalmente ritenuta la più antica colonia fenicia dell'Africa settentrionale. Nell'attuale territorio algerino ben poco è possibile rintracciare delle colonie di Hippo Acra (Biserta) e Hippo Regius (Bona) e Philippeville; meglio nota è Cirta (Costantina); di Icosium (Algeri) poco si conosce, data la presenza della città moderna.

Procedendo ancora verso Occidente seguono Iol (Cherchel), Gunugu (Guraya), Les Andalouses, Rachgoun, Mersa Madakh. Passando nel territorio dell'odierno Marocco, il primo centro punico che s'incontra è Russadir, poi Emsa, segue Sidi Abdselam del Behar, Tamuda; per poi passare alla costa atlantica del Marocco, con Lixus e Mogador.
Naturalmente non è sempre facile poter distinguere tra gli insediamenti originalmente punici e quelli fenici passati sotto il pieno e diretto controllo cartaginese. In generale, l'affermazione di Cartagine determina il suo sostituirsi alla madrepatria nell'opera di colonizzazione in Occidente; tuttavia alcuni reperti archeologici suggeriscono un'origine direttamente orientale, o comunque contatti con il mondo fenicio.
In Occidente non meno numerose sono le colonie: a cominciare da Malta, originariamente colonia fenicia, passata poi sotto controllo diretto di Cartagine; e con Malta le altre isolette di Gozo e Pantelleria, tutte particolarmente importanti nei traffici marittimi verso la Sicilia e verso la Grecia. In Sicilia non è possibile stabilire bene se siano giunti prima i Fenici o i Cartaginesi, in ogni caso la loro presenza è cospicua anche se tormentata da lunghe guerre, che finiranno col chiamare in causa Roma.
In Sardegna le origini fenicio-puniche sono notevolmente antiche e con sicurezza l'esistenza d'una fase fenicia è di periodo precedente la presenza punica; in ogni caso l'intervento di Cartagine nell'isola è un fatto compiuto a partire dal VI secolo. Nora, Sulcis, Inosim, Karalis (l'odierna Cagliari) e Tharros sono le colonie più importanti sulla costa; ma anche all'interno si spinse la colonizzazione cartaginese, con le colonie di Othoca, Uselis, Macopsica, Magomadas, Gurulis, Nura; recentemente un importante caposaldo punico è stato scoperto a Monte Sirai. Se le città costiere sorsero evidentemente come punti di appoggio sulle grandi rotte marittime del commercio, quelle dell'interno rispondono ad esigenze molteplici, tra cui sul piano internazionale va citato l'intento di tener lontani i Greci da questa zona vitale per il traffico mediterraneo, mentre sul piano interno la creazione delle colonie ha una funzione di protezione dei centri costieri e nello stesso tempo di sfruttamento delle risorse agricole e minerarie.

In Spagna la colonizzazione fenicia ebbe lo scopo essenziale di assicurarsi il controllo delle fonti del commercio dei metalli (oro, stagno e specialmente argento) che i Fenici acquistavano in questa regione per poi rivendere in Oriente. Le principali colonie sono Cadice, forse anche la più antica, secondo la tradizione che la vuole fondata dalla flotta di Tiro nel 1110; poi Tartesso, città ricca per il commercio dei metalli, Ibiza nelle Baleari, di primaria importanza per il controllo delle rotte marittime verso i porti spagnoli.

LO SCONTRO CON ROMA

Tra il V e il IV secolo l'affermazione di Cartagine è risolutamente in autonomia nei confronti della madrepatria ed anche nei confronti del mondo greco: sulle coste africane si realizza la costituzione di uno stato autonomo, dotato d'una politica propria e caratteristica. In tale politica, che per il suo intento essenzialmente commerciale richiama e riprende l'eredità fenicia, ma su nuove basi e da un nuovo centro di gravità, non ha parte alcuna l'affermazione imperiale: le colonie cartaginesi restano colonie e non si legano con vincoli di sudditanza alla loro madrepatria: sarà proprio questa caratteristica politica essenziale a sancire il crollo di Cartagine nello scontro con Roma. Ma resta il fatto che per la prima volta Cartagine porta l'Africa a protagonista della storia mediterranea ed è l'ispiratrice di una tenace resistenza al mondo greco.
Al culmine del suo apogeo economico e politico Cartagine si vide sulla strada la crescente potenza dei Romani, che miravano a impadronirsi della Sicilia; intuisce subito che l'avversario è pericoloso e che occorre contrastarlo ad ogni costo. Più di cento anni durerà lo scontro tra Roma e Cartagine e subito tutti i protagonisti compresero che il risultato avrebbe deciso le sorti dell'intero Mediterraneo occidentale. Le vicende delle guerre puniche sono troppo note per essere qui narrate (vi rimandiamo alla Storia d'Italia, nel periodo Romano)

LA RELIGIONE

Nelle sue caratteristiche generali la religione fenicia può essere considerata come il prolungamento nel tempo, con la conservazione e l'acquisizione di elementi autonomi, della religione che nel II millennio avanti Cristo possiamo genericamente e convenzionalmente chiamare cananea. Ma il fatto che caratterizza la religione fenicia, che poi è quella punica, è che le varie città presentano elementi autonomi di culto e a volte anche divinità particolari.
A Biblo le maggiori divinità sono El Baalat e Adonis; a Sidone (Sitone) Baal, Astarte e Eshmun; a Tiro Melqart, Asthart ancora, Bait-ili, Baal-samen, Baal-Malage ed altri.

Poco sappiamo delle divinità delle altre città fenicie. La religione cartaginese presenta caratteristiche in comune con la religione delle altre città fenicie, ma finisce poi col differenziarsi in modo autonomo. Due sono le divinità che prevalgono su tutte: Tanit Pene Baal e Baal Hammon, i quali sono menzionati sempre assieme.


Statuetta del dio Baal Ammon - Stele col segno del dio Tanit

Il nome Baal significa signore e sembra fosse un dio locale prefenicio. Dai suoi caratteri e dalle sue rappresentazioni (un guerriero col casco e con il fulmine nel pugno) lo si direbbe un dio tipicamente asiano come lo si incontra anche presso i Caldei, i Babilonesi, i Sidonii e presso il popolo d'Israele. Figli di Baal sono Alian che ha pressappoco gli stessi attributi del padre, e la sorella Anat vergine guerriera. Asthart sembra un doppione di Anat. L'antagonista di Aliyan figlio di Baal è suo fratello Mot che è di volta in volta sole di mezzogiorno, distruttore della vegetazione e dio degli inferi. Possiamo asserire che la religione dei Fenici nel mezzo del secondo millennio prima della nostra era ha conservato parecchie tracce pure della sua origine. Essa è un ramo della religione asiana primitiva delle forze, della fertilità e della fecondazione.
Sotto l'influenza della filosofia greca il carattere naturalista dell'antica religione prese una forma differente. La fonte principale a cui gli storici attingono per la sua conoscenza sono i testi dello scrittore greco Filone di Byblos, nato in Fenicia verso l'anno 42 della nostra era. Egli ci ha trasmesso le idee religiose dei Fenici riprendendole dalle opere di Sanchoniathon, prete fenicio nato a Berito circa l'XI secolo a.C. Tuttavia l'opera di Sanchoniathon è persa e nessuno prima di Filone ci parla di questo scrittore.

La tradizione fenicia dell'origine del mondo narra che all'inizio esistevano solamente un'Aria densa e il Caos. Da questi elementi derivarono il vento e il desiderio che produssero Mot la cui forma era quella di un uovo. In questo uovo erano riunite tutte le creature in germe.
Gli dei fenici furono adorati in diversi luoghi ma ogni città ebbe una preferenza e un dio come patrono.
Altri dei erano Melqart il dio della città, all'origine il dio di tribù. Agli inizi ebbe carattere solare e fu poi considerato divinità marina. Era anche venerato il dio Baaldagon, soprannominato Sitone, che col tempo acquistò anch'egli attributi marini. Poi c'è il dio Reshei, il dio luminoso. A Sidone regnava un altro dio e cioè Eshum, dio della salute. Le due grandi città del nord della Fenicia adoravano anche le Baalat, femminile di Baal che significa dama, signora. Una di queste Baalat era Ashtart (Astarte) che, come in tutta l'Asia occidentale era la personificazione della fecondità, la dea della maternità e della fertilità, la dea-madre.
Accanto a questi ve ne erano altri non considerati come dei veri e propri, ma in correlazione con quelli. Per esempio: le montagne, le acque sacre, gli alberi sacri.
Con il nome di betyle si designano certe pietre nelle quali si pensava dimorasse la divinità. Gli ultimi scavi fatti a Byblos autorizzano ad avvicinare ai betyle l'ashera, una specie di piccola colonna votiva di legno. I luoghi di culto dei Fenici erano molto spesso dei « luoghi elevati », cioè degli spazi situati al sommo di montagne e di colline. Il tempio consisteva essenzialmente in un recinto sacro a cielo aperto avente al centro o una piccola cappella, santuario della divinità, o un betyle. Davanti al betyle o alla cappella era situato un altare dei sacrifizi. Questa costruzione sopra un'altura che rinchiudeva un betyle non era particolare dell'antichità semitica: nell'Asia Minore sopra le montagne, specialmente a Kara-Dagh si possono incontrare rocce che portano disegnati dei troni, che sono i troni delle divinità. Di fianco ai betyle bisogna ricordare che i Fenici erigevano anche delle stele e dei cippi. L'iscrizione bilingue, che ha servito alla decifrazione della lingua fenicia, era ripetuta su due cippi dedicati al dio Melqart, che sono stati ritrovati a Malta, antica colonia fenicia.

SACERDOTI E INDOVINI

Vi possiamo trovare diverse analogie con le successive religioni e i loro riti (nei corsivi)
Nei templi dei Fenici c'era un gran numero di preti incaricati di compiere i riti; meno frequentemente v'erano anche delle sacerdotesse. Tra i sacerdoti si trovavano anche gli indovini. Al tempio erano addetti numerosi servitori, guardiani molto simili ai Leviti degli Ebrei; c'erano anche degli artigiani perché il
tempio possedeva una vita propria ed era un organismo con una propria amministrazione e proprie leggi.
Prestavano la loro opera anche dei
barbieri, incaricati di tagliare i capelli a coloro che si votavano agli dei. Le funzioni sacerdotali considerate onorifiche erano come presso gli Israeliti appannaggio di certe famiglie.
I Fenici attribuivano ai loro dei alcune qualifiche da cui possiamo dedurre che essi li consideravano come dei padroni oppure anche dei qadosh cioè dei « separati ».

Agli dei si sacrificavano in particolar modo sostanze alimentari che si spandevano e si
bruciavano sugli altari. Noi oggi possediamo anche alcune tariffe di sacrifici con le quali si valutavano gli oggetti sacrificati. Il più importante era il bue, poi in ordine decrescente, il vitello e il cervo, il montone e il capro, l'agnello e il capretto, gli uccelli, il grano, l'olio, il latte e sicuramente il vino. La tariffa detta di Marsiglia fu redatta verso il terzo secolo a.C. Presso i Fenici avevano luogo anche i sacrifici umani. Filone ci racconta che durante i grandi riti pubblici si usava sacrificare i bambini più cari per allontanare le sventure. Alcuni scavi hanno infatti messo in luce presso le fondamenta di alcuni edifici delle ossa di fanciulli, come se questi fossero stati deposti in quel luogo in qualità di vittime propiziatorie.
Le feste religiose consistevano soprattutto in
pellegrinaggi. Una delle più tipiche era quella di Adonis, celebrata con una specie di processione che raggiungeva le vette del Libano e che si arrestava in parecchi punti della strada per commemorare le tappe della caccia di Adonis.
I Fenici ammettevano
l'esistenza di un'anima che alla morte si separava dal corpo e continuava a vivere, ma conduceva una vita vegetativa e senza gioia. Lo spirito del defunto conservava uno stretto contatto con il corpo che egli aveva abbandonato, così che era molto importante che il cadavere venisse preservato da ogni danno, chiuso in una tomba che era chiamata casa di riposo, o casa di eternità. Per questo i sarcofaghi erano situati nel fondo di fossi molto profondi o in caverne nascoste. Non era mai praticata l'incinerazione, ma le salme erano conservate appunto in sarcofaghi e circondati da suppellettili consistenti in gioielli e ceramiche. In certi periodi della loro storia i Fenici subirono anche l'influenza dell'Egitto e così, come si disse, praticarono la mummificazione almeno degli uomini di grande importanza.

L'ARTE

Di questa grande civiltà antica restano ben poche tracce: il tempo e gli uomini hanno cancellato quelle che certamente erano le grandiose città fenicie e così nulla è a noi arrivato dei loro palazzi e dei templi. C'è da dire però che negli ultimi anni nuove ricerche archeologiche, condotte con un rigoroso metodo scientifico, hanno reso possibile il recupero di resti se non di importanza sensazionale, certamente però interessanti che permettono di ricostruire meglio e con esempi diretti la struttura architettonica e pure urbanistica di città e centri minori fenici e cartaginesi. Non bisogna però richiedere testimonianze vistose, quanto il recupero di opere d'arte minore, in particolar modo connessa con i riti funebri: sarcofaghi, maschere, tombe, suppellettili varie.

L'arte fenicia dell'Africa settentrionale, quella che si svolge, cioè attorno al polo di Cartagine è, a confronto di quella delle coste orientali del Mediterraneo, senz'altro più ricca di reperti interessanti e pertanto più conosciuta. La presenza stessa di una città grande e importante come Cartagine, che è duratura nei secoli, rende possibili questi risultati. Infatti gli scavi ampi e prolungati effettuati sul luogo dell'antica città, benché forniscano una documentazione ineguale, riescono a fornire un quadro diretto e denso di opere della produzione artistica cartaginese. Anche a Cartagine però la provenienza delle opere d'arte è per lo più funeraria: si tratta dunque di produzione minore; ma non bisogna dimenticare che l'arte tutta del bacino mediterraneo era all'epoca fenicia priva di opere statuarie di notevoli proporzioni.
Ma è proprio nell'arte, più che negli altri aspetti della civiltà cartaginese, che prima abbiamo riassunto, che è possibile indicare l'evidente legame che l'unisce alla madrepatria e misurarlo in tutta la sua intensa presenza. I reperti archeologici ci dànno però anche la conferma del ruolo « internazionale » di Cartagine nel momento della sua più forte potenza: l'arte punica appare infatti permeata di motivi egiziani e nello stesso tempo greci, essendo Cartagine, molto più della Fenicia orientale, sottoposta all'azione dell'influenza greca; e non manca pure talvolta la presenza dell'influsso etrusco. Ma ciò non significa che l'arte punica non presenti una sua propria fisionomia originale: indubbiamente stenta a differenziarsi e a muoversi secondo motivi propri, ma non per questo fallisce l'obiettivo dall'espressione originale e autonoma.

A cominciare dall'architettura, di cui, malgrado la radicale distruzione dei Romani, che furono tanto scrupolosi da gettare sulle macerie il sale perché neppure le erbe potessero rinascere tra le rovine, è possibile ricostruire l'impianto urbanistico, che si svolgeva attorno all'acropoli di Byrsa, su cui sorgeva il tempio di Eshmun; ma è nella statuaria e nella presenza di cippi e di stele, soprattutto quest'ultime, il vero punto centrale della storia artistica di Cartagine, in cui è presente l'impronta della madrepatria e dell'arte egiziana, ma pure un'autonoma espressione di motivi iconografici, soprattutto animali e umani. Notevoli sono pure i sarcofagi, chiamati del gruppo di S. Monica, e le figurine di terracotta, che compaiono in Cartagine fin dagl'inizi; ma una tipica produzione cartaginese sono le maschere, di una ricchezza davvero eccezionale: la loro utilizzazione era anzitutto funeraria ed esse servivano ad allontanare, con la loro espressione di smorfia, o a conciliare, con il sorriso, gli spiriti maligni.

ECONOMIA E COMMERCIO

Come già abbiamo detto all'inizio, i Fenici seppero sfruttare molto bene le ristrette zone di terra coltivabile a loro disposizione, ricavandone viti, ulivi, fichi e palme da datteri; ma soprattutto i boschi di cedri e di abeti rappresentano la struttura dorsale dell'economia fenicia: non solo servono per la costruzione delle robuste ed agili navi, ma il legno è largamente esportato. La principale industria fenicia fu quella dei tessuti; i fenici andavano famosi nel mondo per la loro abilità nel colorare le stoffe con il caratteristico color porpora ricavato da un tipo di conchiglia diffuso sulle coste della Fenicia. Ma anche l'industria del vetro è fiorente a partire dal VII secolo: non è più accettata la notizia di Plinio che fa dei Fenici gli inventori di questo tipo di lavorazione, ma indubbiamente furono essi a svilupparla e a migliorare la qualità dei prodotti.

E' però il commercio a stabilire la potenza economica dei Fenici. Il veicolo di questi traffici intensissimi con ogni zona del Mediterraneo era la nave. Due erano i tipi più diffusi di imbarcazione: il primo da guerra, con la poppa fortemente ricurva e lo sperone a filo d'acqua; i marinai sono disposti su due file sovrapposte, sporgendo i remi dall'inferiore e gli scudi dal superiore. Il secondo tipo, da commercio, ma anch'esso difeso da alcuni soldati, ha tutt'e due le estremità rialzate, i marinai sono disposti allo stesso modo del tipo precedente; sopra la nave mancano le strutture per la velatura. Naturalmente i Fenici usavano anche navi più piccole, per trasporti di minore entità.
La navigazione, ovviamente senza l'ausilio della bussola, si svolgeva sotto la guida dell'Orsa minore, che significativamente i Greci stessi chiamavano «fenicia». (la Stella Polare, chiamata appunto, la Stella dei
Foinike).
Le navi evitavano con cura di prendere il largo ed infatti le colonie fenicie occupano sulle coste distanze sempre regolari: erano i punti d'appoggio essenziali per una navigazione sicura.
Ma non per questo i Fenici esitarono dal lanciarsi in imprese più rischiose verso mete lontane: secondo Erodoto, e lo abbiamo già in apertura del nostro articolo ricordato, compirono addirittura la circumnavigazione dell'Africa, (conosciuto sotto il nome di "Periplo di Annone") e raggiunsero le Canarie e le Azzorre, e forse accidentalmente l'America del Sud.

L'ALFABETO - LE COMPARAZIONI

Una delle glorie maggiori dei Fenici e forse la maggiore in senso assoluto è la diffusione dell'alfabeto nell'area mediterranea. Non c'è nessun dubbio che siano stati i Fenici ad insegnare ai Greci la scrittura alfabetica. Basterebbe questo solo fatto per assicurare ai Fenici un ruolo di prima grandezza nella storia della civiltà. Non è ancora molto chiara la questione dell'origine dell'alfabeto: che i Fenici lo abbiano diffuso non implica che lo abbiano inventato.

Ai Fenici sembra che l' idea  sia venuta  osservando (loro che viaggiavano molto) i segni  egiziani, quelli mesopotamici, gli ideogrammi cretesi, e.... ora sappiamo dell'esistenza delle Tavolette di Tartaria in Tracia sul mar Nero, e forse proprio qui ai fenici venne la singolare idea.
Il più antico documento a noi pervenutoci con i primi 20 segni; detto Alfabeto n. 1,   é quello di Ugarit  del 1650 a.C. (in questa città era in uso, ed é abbastanza singolare, già da 1350 anni il cuneiforme sumerico con tante variazioni). Ma devono passare altri 664 anni perchè l'alfabeto fenicio   arrivi a una evoluzione con quello di 22 lettere (detto Alfabeto n. 2)  nel 986 a.C.,  sempre a Ugarit (Iscrizione della Stele d'Hiram).
Certamente essi possedevano questi utili segni già verso la fine del 1200 a.C. e ad essi sicuramente spetta il merito di averlo perfezionato.. L'alfabeto fenicio si compone di ventidue lettere tutte consonanti che rendono mirabilmente il suono della lingua. Non figurano invece le vocali, che i Fenici non scrivevano mai. L'invenzione di queste è dovuta ai Greci, i quali accogliendo l'alfabeto fenicio lo modificarono in alcune parti, trasformando appunto alcuni dei suoi segni in vocali.
Fu un francese, l'abate Barthélémy, che alla fine del 1700 decifrò la lingua fenicia. Come le altre lingue essa possiede delle parole radici che per mezzo di suffissi, affissi e modificazioni interne dà le differenti sfumature necessarie all'espressione del pensiero. Queste parole radici sono generalmente formate da tre lettere.
La letteratura fenicia propriamente detta è completamente perduta, ma non doveva essere molto importante. Dotati di spirito pratico e non portati alle raffinatezze della letteratura, l'alfabeto presso questo popolo nacque soprattutto ai fini di semplificare le necessità del commercio. Fra i testi principali della letteratura ricordiamo quelli di « Ras-Shamra » che datano alla metà del XIV secolo a.C..
La semplificazione e la diffusione dell'alfabeto fu un grande apporto dei Fenici alla civiltà; era nato uno strumento di incalcolabile valore per la diffusione della cultura.

Quando però prima gli Etruschi e poi i Fenici saranno sconfitti e integrati con i romani, oltre che il loro sistema politico-economico, crollò anche l'intera loro cultura e insieme il vecchio modo di scrivere. Dopo 4-5 generazioni sia l'Etrusco che il Fenicio, svaniscono nel nulla. Creando in seguito grandi  difficoltà agli studiosi per comprendere sia la lingua che Tirreno dalla Lidia-Fenicia si era portato dietro e sia il Fenicio che ancora a Cartagine era in uso prima dell'arrivo dei Romani.
Alcune difficoltà per decifrarlo furono poi superate solo quando l'abate Barthelemy nel XIX sec. riuscì a decifrare l'alfabeto fenicio n. 2.


La lingua che le iscrizioni fenicie ci presentano è senza dubbio fortemente legata alle altre semitiche dell'area siro-palestinese, sia precedenti nel tempo sia contemporanee: ed è pure senza dubbio in sé frazionata dialettalmente, come frazionata è la storia e la cultura della Fenicia. Ma tutto sommato possiamo dire che la lingua fenicia presenta una propria autonomia ed individualità, e che quindi offre alla definizione del popolo quella componente indispensabile che è la coscienza collettiva di chi parla la stessa lingua.




FINE

Bibliografia:
Grande Storia Universale (20 vol.) Curcio Ed.
Storia Universale Cambridge, (33 vol.) Garzanti.
Il Leonardo, 1969, a cura della Dir.Gen. Educazione Popolare

vedi anche GLI ALFABETI - 1 e 2

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