La lunga disputa del "FILIOQUE"
DA PAPA GELASIO A PAPA WOJTYLA

 

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GELASIO E L'ALBA DEL POTERE TEMPORALE DEL PAPATO

Quando papa Gelasio I (492-496) scrisse all'imperatore bizantino Anastasio I che il potere sacro dei vescovi era superiore a quello temporale dei re, non lo fece certamente col proposito di ribadire il valore della sacra diarchia (cioè l'equivalenza dei poteri), ma piuttosto con quello di affermare il primato della chiesa sullo Stato e, in particolare, quello della sede romana su tutte le altre.

Ciò che infatti Gelasio non riesce a spiegare è il motivo per cui l'imperatore, essendo costituito per diritto divino, debba dipendere dai vescovi nelle questioni religiose (al massimo avrebbe dovuto dipendere dai concili ecumenici o universali, come d'altra parte tutti i vescovi).

Gelasio si serve della specifica competenza dei vescovi in materia di fede (cui allora peraltro non erano estranei neppure i responsabili laici delle istituzioni, essendo tutti educati sin da piccoli al cristianesimo), per sostenere che l'imperatore, non avendo uguale competenza, deve considerarsi subordinato alla chiesa.

La chiesa romana dunque -stando alla posizione di Gelasio- si sentiva tenuta a rispettare le leggi imperiali solo nella misura in cui l'imperatore ammetteva la propria subordinazione alla volontà pontificia. La religione -qui è già chiarissimo- veniva usata come uno strumento di tipo politico.

La questione per Gelasio non era di merito (nel senso che su talune cose gli imperatori potevano anche manifestare opinioni eterodosse o discutibili), ma era di metodo: qualunque affermazione dell'imperatore acquistava un valore solo s'egli preventivamente manifestava obbedienza al pontefice. (In verità Gelasio parla di "vescovi", ma poiché già vigeva la teoria della superiorità di quello romano, le conseguenze era poi facile tirarle).

Nella concezione teologico-politica di Gelasio non c'è (come invece in quella di tanti teologi bizantini) la convinzione che i due poteri divini siano equivalenti o paritetici.

In Europa occidentale si comincerà a parlare di tale diarchia solo a partire dall'epoca comunale, quando impero e chiesa romana erano già fortemente in crisi, e ne parleranno solo gli anticlericali (p.es. Marsilio da Padova, Dante Alighieri…), convinti di aver elaborato un principio innovativo.

Secondo Gelasio l'imperatore non poteva assolutamente intromettersi nelle questioni di fede, cioè doveva rinunciare a priori al suo diritto di cittadino-credente (diremmo oggi) di esprimere pareri e opinioni in campo religioso (lasciando poi la decisione ultima a un Concilio cattolico). Egli doveva svolgere unicamente la sua funzione di longa manus della chiesa.

Gelasio chiedendo ai credenti di obbedire all'imperatore solo in quanto fiduciario della chiesa, poneva le basi dell'uso politico dell'arma della scomunica.

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LA COSCIENZA SPORCA DEL "FILIOQUE"

I

Probabilmente va considerato affrettato il giudizio negativo che nella sua celebre Storia del cristianesimo, Ambrogio Donini diede sulle controversie trinitarie del tempo di Ario. A suo parere, infatti, esse altro non erano che "artificiose discussioni, prive di qualsiasi valore culturale"(ed. Teti 1977, p.267).

Oggi certamente, all'occhio secolarizzato dell'uomo moderno appaiono così, anche se non dobbiamo dimenticare che, nel passato, dietro ogni dibattito teologico si nascondevano precise implicazioni di natura politica e culturale, che venivano poi dissimulate in varie maniere dalle forze che prendevano o conservavano il potere.

D'altra parte, fino alla nascita del capitalismo industriale, la religione ha sempre rappresentato il terminus ad quem di ogni riflessione speculativa: la stessa filosofia borghese, per potersi imporre, con Cartesio, dovette prima prendere le distanze dalla Scolastica. Questo per dire che dal punto di vista storico anche quelle "artificiose discussioni" sulle caratteristiche della Trinità cristiana, acquistano un'importanza tutt'altro che trascurabile.

Lo dimostra il fatto che persino l'istituzione occidentale che più si è cimentata in quelle diatribe -la chiesa cattolica- non ha resistito alla tentazione, nel Catechismo Universale (CCC), di alterare volutamente la verità storica sul problema, squisitamente teologico, della cosiddetta "processione dello Spirito Santo".

Essa ha avuto il coraggio non solo di affermare che il Simbolo della fede cristiana, e cioè il Credo di Nicea-Costantinopoli, è "tuttora comune a tutte le grandi Chiese dell'Oriente e dell'Occidente"(195), ma persino di falsificare tale Simbolo riportando solo quello latino con l'aggiunta del Filioque (p.61).

Quanto "sporca" sia la coscienza della chiesa romana riguardo a tale problema -che si trascina da più di un millennio-, è testimoniato da un duplice fatto: da un lato, nella disamina dei dogmi del Simbolo relativi allo Spirito Santo, non si fa cenno alcuno alle molteplici controversie teologiche che il Filioque scatenò tra cattolici e ortodossi (questa parola non è mai citata nel CCC); dall'altro tutta la trattazione dell'art.8, "Credo nello Spirito Santo", è stata chiaramente condotta con l'intenzione di dimostrare la veridicità del Filioque, per quanto il Simbolo venga commentato solo nella parte che afferma la consustanzialità delle tre persone divine, ovvero la inseparabilità dello Spirito dal Padre e dal Figlio, che per i cattolici significa la diversità delle persone assorbita nell'identità della loro natura.

La teologia ha indubbiamente, per il mondo moderno, solo un valore simbolico, poiché i suoi concetti appaiono indimostrabili alla ragione e credibili solo per fede; e non tanto perché l'esperienza cristiana ha smesso di essere un fenomeno "socialmente ovvio", quanto perché l'evoluzione dell'autocoscienza umana ha portato a considerare tale fenomeno oggettivamente inadeguato, anche quando vuole apparire "socialmente ovvio". Ormai sulla religione pesa un giudizio negativo che prescinde totalmente dal comportamento individuale o collettivo dei credenti.

E' bene tuttavia che uno storico non consideri "insensati" i concetti della teologia, ma "sensati" solo in relazione a un preciso contesto semantico (il quale, a sua volta, non può essere considerato di per sé meno libertario o meno umanistico di quello odierno, basato prevalentemente sull'autonomia della naturale rationis).

Compito dello storico è appunto quello di non disperdere il patrimonio culturale e intellettuale dell'umanità, in qualunque forma esso si presenti; in questo senso è impossibile immaginarsi degli uomini discutere per secoli su problemi oggi del tutto insignificanti. Il fatto che le soluzioni date a quei problemi ci appaiano inutili ai fini dei nostri interessi, probabilmente dipende dalla scarsa capacità che abbiamo di riattualizzare "cose vecchie", ovvero di coltivare la "memoria storica" in forme originali, non ripetitive. Non è solo questione di complessità del lavoro di ricerca, ma anche di volontà di conservare il "meglio" del nostro passato. E' questione insomma di liberarci dei pregiudizi con cui ci guardiamo alle spalle.

La vicenda storica

Che cos'è il Filioque? Questa formula, cui diede un contributo decisivo il vescovo di Siviglia, Isidoro, appare per la prima volta nel canone 3 del terzo concilio di Toledo (589), il quale, paradossalmente, lanciò l'anatema contro coloro che avessero dichiarato vera una fede diversa da quella proclamata a Nicea (325) e Costantinopoli (381), senza sapere che già il canone 7 del concilio ecumenico di Efeso (431) aveva deciso di vietare tassativamente un "Simbolo della fede" diverso da quello decretato a Nicea e a Costantinopoli! (il concilio di Calcedonia, nel 451, aveva rinnovato la sanzione).

Tale qui pro quo si spiega probabilmente sia col fatto che i prelati spagnoli di Toledo non avevano intenzione di sfidare l'autorità dei primi concili ecumenici, sia col fatto che i testi greci erano sempre meno conosciuti in Occidente. Una delle accuse che il cardinale Umberto da Silva Candida, in occasione dello scisma del 1054, rivolgerà agli ortodossi sarà proprio quella di aver omesso il Filioque dal Credo!

L'aggiunta del concilio di Toledo fu causata dallo scontro con i visigoti ariani, onde accentuare maggiormente la "divinità" del Cristo, che l'eresia ariana negava. Gli ariani consideravano lo Spirito una creatura del Figlio, anch'egli a sua volta creato. Il Filioque non ebbe tanto lo scopo di negare la subordinazione dello Spirito al Figlio, quanto di affermare l'uguaglianza divina del Figlio col Padre nella relazione di origine riguardo allo Spirito. Sarà poi il re spagnolo Recaredo a ordinare d'introdurre il Filioque nel Simbolo di Nicea: il IV sinodo di Toledo, nel 633, lo approvò.

Nonostante che nel 681 il VI concilio ecumenico rinnovasse ancora il divieto di modificare il Credo, l'interpolazione fu poi approvata dai concili locali di Braga (675), Gentilly (767), Frioul (796), Aquisgrana (809), passando dal Simbolo spagnolo-gotico a quello gallicano. Nel 794, al sinodo di Francoforte, Carlo Magno (768-814) non solo inserì definitivamente nel Credo gallicano l'aggiunta, ma ripudiò anche, con l'approvazione dei legati del papa Adriano, le decisioni del Niceno II (787), che aveva canonizzato il culto delle immagini(1). Era solo un pretesto per scatenare un conflitto con l'impero bizantino, ma il papa Leone III, che successe ad Adriano, vi si oppose. Tuttavia, grazie anche alla solerte mediazione del vescovo spagnolo di Orleans, Teodulfo, Carlo Magno era riuscito a imporre a tutte le chiese di Francia, Germania, Italia centro-settentrionale l'inserimento dell'eresia nel Credo, incontrando solo l'opposizione di Alcuino e dell'arcivescovo di Aquileia, Paolino.

Carlo Magno era personalmente interessato a quella introduzione per provocare la controparte bizantina ed avere così un pretesto per affermare la propria candidatura al titolo di imperatore del sacro romano impero. Non dimentichiamo, infatti, che la sua incoronazione da parte di papa Leone III avverrà senza richiedere l'autorizzazione del già esistente imperatore bizantino. Tale arbitraria modalità servirà anche al papato per risolvere in maniera politica le proprie rivalità giurisdizionali (di confine territoriale) con le chiese d'Oriente.

Finché il nuovo Credo rimase una caratteristica delle chiese "barbariche" (Gallia e Bretagna) l'Oriente ortodosso non interverrà mai. Le cose invece cambiarono quando i prelati francesi, nel IX secolo, cominciarono a servirsi del Filioque per sostenere l'originarietà del Credo latino e accusare i vescovi bizantini di averlo alterato! Così, in un concilio dell'807 Carlo Magno scomunicò l'impero rivale d'Oriente.

Gli orientali reagirono per la prima volta a Gerusalemme, nel Natale dell'808. Qui, alcuni monaci delle Gallie si scontrarono coi confratelli greci sulla questione del Filioque. I monaci delle Gallie espressero le loro lagnanze al papa Leone III, il quale, invece di risolvere la questione autonomamente, scrisse a Carlo Magno. Questi ordinò al vescovo Teodulfo di redigere un trattato sullo Spirito Santo in difesa del Filioque, e convocò nell'809 un sinodo ad Aix-la-Chapelle per far decretare che il Filioque era una dottrina della chiesa cattolica e doveva mantenere il suo posto nel Credo cantato durante la messa. Teodulfo sarà il primo a contrapporre il Filioque ai Greci nei Libri Carolini.

Nel dicembre dello stesso anno Carlo Magno chiese al papa d'introdurre nel Credo il Filioque. Pur approvando personalmente la processione ab utroque, formulata nel sinodo di Aquisgrana (809), Leone III era però contrario all'inserimento del theologumenon nel Credo: infatti ordinò che si incidesse il Simbolo originario su due tavole d'argento -in greco e in latino- da esporre nella basilica di San Pietro a Roma. Politicamente il papato era favorevole alla posizione di Carlo Magno e, a tale proposito, era anche disposto a condividere la modificazione del Credo (a partire da Leone Magno, sulla scia della teologia di Agostino e di Ambrogio, nessun papa ebbe dubbi sul valore del Filioque). Non dimentichiamo che lo Stato della Chiesa, nel 756, era nato in virtù dell'aiuto militare che i Franchi avevano concesso al papato contro i Longobardi.

Tuttavia, sul piano più propriamente ecclesiale, la chiesa romana temeva che quella eresia avrebbe potuto procurare divisioni e scismi, specie in quei territori (ad es. i Balcani) che sperava di sottrarre all'influenza bizantina. Il papato aveva bisogno d'essere appoggiato militarmente dal nuovo impero occidentale che stava emergendo nelle Gallie, onde far valere con sicurezza l'aggiunta nel Credo e il primato del pontefice e della sede romana. Per sostenere la teoria del primato papale la chiesa romana, nei secoli VIII e IX, elaborò addirittura dei falsi, in accordo con la monarchia francese: il Sesto canone del concilio di Nicea, la Donazione di Costantino e le Pseudo-Decretali di Isidoro. Proprio in virtù di tale teoria, il papato non avrebbe certo potuto tollerare che, dopo essersi liberati dalla presenza ingombrante dei bizantini, i Franchi cominciassero a rivendicare un'egemonia cesaropapista.

La questione rimase in sospeso per alcuni anni, finché, durante la polemica tra il papa Nicolò I e il patriarca Fozio, di nuovo fu al centro di accesi contrasti. Fozio infatti non solo condannò l'aggiunta nel Credo, ma anche il contenuto teologico del Filioque in sé. Tuttavia, solo nel 1014 l'imperatore Enrico II, incoronato a Roma, prese la decisione d'imporre a tutto il mondo latino il rito germanico della messa. Il papa Benedetto VIII accettò. Bisanzio reagì sopprimendo il nome del papa dalle sue preghiere liturgiche. La cristianità europea, fino a quel momento unita, sulle questioni fondamentali della dogmatica, giungerà alla separazione definitiva nel 1054.

Tale rottura verrà formalmente ma non sostanzialmente superata solo nel 1965, in una dichiarazione congiunta di papa Paolo VI e del patriarca di Costantinopoli (Istanbul) Atenagora, i quali si assunsero le reciproche responsabilità dello scisma. (Prima del 1054 le divergenze di natura disciplinare, giurisdizionale e di altro genere -come ad es. si possono riscontrare nel sinodo Trullano II del 692, detto Quinisextum- non erano mai sfociate in una rottura teologica).

La chiesa romana deciderà di canonizzare l'eresia nel concilio del Laterano del 1215, sotto Innocenzo III, dopo il trionfo latino della quarta crociata (1202-1204) sulla Costantinopoli ortodossa. Successivamente, nei concili voluti per riunificare le due confessioni della cristianità (Lione nel 1274, sotto Gregorio X, e Ferrara-Firenze nel 1439, sotto Eugenio IV), si è cercato, da parte cattolica, d'indurre gli ortodossi ad accettare il Credo modificato, ma senza successo. L'importanza del Filioque di colpo cessò dopo il 1453, allorché Bisanzio fu conquistata dai turchi, e dopo l'affermarsi delle idee umanistico-rinascimentali e protestantiche in Europa occidentale.

In seguito, i cosiddetti "uniati" (credenti cattolici di rito ortodosso) si opporranno all'aggiunta, benché, ovviamente, non alla teologia ivi implicita. Ancora oggi alcune chiese cattoliche di rito orientale presenti in Occidente, e alcune comunità cattoliche di rito latino che vivono in Oriente recitano il Credo senza il Filioque (in Grecia dal 1973). Recentemente anche i vecchi-cattolici e gli anglicani sembrano essersi orientati in questa direzione.

Per concludere

Qui naturalmente non si ha intenzione di ripercorrere l'iter delle controversie teologiche che per secoli hanno diviso ortodossi e cattolici, anche perché -come già detto- il problema vero, per uno storico, non è quello di "ripetere" i fatti o le idee del passato, ma quello di riattualizzarli (il che richiede tempo, studi approfonditi e, soprattutto, apertura mentale).

Indubbiamente la confessione ortodossa, su questo argomento, esprime una posizione di maggiore equilibrio e profondità, dovuta probabilmente al fatto ch'essa, a differenza della chiesa cattolica, ha sempre cercato di salvaguardare il messaggio più antico della tradizione cristiana, che era di tipo comunitario ed escatologico, rinunciando a trasformarsi in un'istituzione di potere, concorrenziale a quella degli Stati politici.

Tuttavia non è nel nostro interesse prendere le difese dell'ortodossia contro il cattolicesimo, poiché ogni religione è, in ultima istanza, oggettivamente, una forma di illusione. Per cui, se anche si riuscisse a eliminare il principale impedimentum dirimens sulla via della conciliazione dogmatica fra cattolici e ortodossi, rimarrebbe il dato incontrovertibile dell'assoluta precarietà della religione qua talis ai fini della risoluzione dei problemi umani.

Al massimo, osservando laicamente i contenuti di quella diatriba, si può affermare che le tesi ortodosse rispecchiano un maggior senso della democrazia, del rispetto dei valori umani, della diversità e specificità delle persone. Più di così lo storico non può dire. D'altra parte, il lettore può facilmente rendersi conto da solo che la formulazione dell'eresia filioquista è stata, sin dal suo nascere, strettamente connessa alle questioni politiche, non solo perché con essa l'impero carolingio ha cercato un pretesto per separarsi da quello bizantino, ma anche perché, ideologicamente, il Filioque è a un tempo causa ed effetto d'una precisa concezione cattolico-romana della politica.

II

La tesi di Wojtyla

Ora, prima di procedere ad un'analisi delle implicazioni culturali e politiche dell'eresia filioquista, abbandonando il terreno della storia, è forse bene precisare che alla falsificazione dei fatti operata dal Catechismo Universale non si è giunti a caso. Sin dal 1981 papa Wojtyla ha più volte ribadito (conformemente a una tradizione teologica che si rifà al Concilio Vaticano II) la necessità di considerare equivalenti i due Credo cristiani. "Qui ex Patre Filioque procedit" e "Qui a Patre per Filium procedit" sono state considerate dal pontefice, e non solo da lui ovviamente, due definizioni sostanzialmente analoghe (cfr "La civiltà cattolica" del 17.1.1981).

Nella Lettera (del 25.3.1981) all'episcopato della chiesa cattolica per il 1600o anniversario del I concilio di Costantinopoli, Wojtyla, riportando l'esatta traduzione del Credo, adottato definitivamente nel II concilio di Costantinopoli, spiega che sulla formulazione del Simbolo "sono nate numerose interpretazioni, anche divergenti"(parag. 2), ma che, nonostante ciò, la chiesa romana è rimasta fedele alla verità originaria.

Wojtyla in sostanza non nega la differenza, semplicemente non le attribuisce alcuna particolare importanza, lasciando così intendere che il Filioque altro non era stato che un adattamento (di forma) alle esigenze della chiesa mutatesi col tempo. Non c'è insomma contraddizione insanabile (come invece per gli ortodossi), in quanto la formula del Credo sancita nel 381 era legata -queste le testuali parole del pontefice- alle "peculiarità espressive dell'epoca"(ib.), e quindi soggetta a ulteriori, inevitabili modifiche. In sostanza, dire che lo Spirito procede "solo dal Padre" e dire che procede "anche dal Figlio" sono due cose identiche (cfr. la bolla di unione coi Greci, Laetentur coeli, del 6 luglio 1439, al concilio di Firenze).

Da qui alla decisione, presa nel CCC, di non parlare neppure del Filioque, fingendo di darne per assodata la presenza nel Credo originario, il passo è stato breve, e i cattolici, che da tempo non s'interessano minimamente (se non nelle "alte sfere") di tali questioni, non hanno avuto modo di fare obiezioni di sorta.

Forse pochi in Occidente sanno che proprio a causa di quell'aggiunta -considerata dagli ortodossi l'eresia, in assoluto, più grave- Oriente e Occidente, sul piano teologico, cominciarono a separarsi. Così, ad es., la pensa V. Lossky in La teologia mistica della Chiesa d'Oriente (ed. Il Mulino 1967) e, prima di lui, tra gli esegeti moderni, l'arciprete A. Lebedev, il filosofo L.P. Karsavin e il teologo C. Yannaras. Più conciliante invece è la posizione dei teologi B. Bolotov e A. Stawrowsky, che sostanzialmente si basano sulle tesi di S. Bulgakov.

Wojtyla naturalmente evitò con cura nel 1981 di sottolineare che nei concili successivi al Costantinopolitano I, e cioè di Efeso (431) e di Calcedonia (451), la chiesa "indivisa" aveva espressamente vietato di compiere qualsiasi alterazione alla formulazione del Credo, decretando altresì che la comunione fra le varie chiese locali dipendeva dall'accettazione della fede niceno-costantinopolitana. Il suo ecumenismo, infatti, risente ancora dei limiti del passato, allorquando nei confronti della confessione ortodossa l'unico vero problema, per i cattolici, era come annettersela.

La riflessione culturale

Tra le cause-conseguenze culturali inerenti all'accettazione occidentale dell'eresia filioquista va annoverata quella, gravissima, dell'incapacità a distinguere i concetti di "essenza" ed "energia" (che allora gli ortodossi intendevano riferire alla vita del Dio uno e trino e che oggi invece -sulla scia di Feuerbach- dobbiamo intendere in senso ontologico, riferendo quei concetti all'essenza stessa dell'uomo).

La suddetta distinzione, laicamente trasformata, comporta la percezione dell'essere umano come di un ente in ultima istanza "indicibile", poiché le sue manifestazioni esteriori non coincidono del tutto con la sua natura interiore. Esterno ed interno non sono completamente coincidenti. L'interno, in parole povere, è sempre più ricco dell'esterno, come la coscienza lo è dell'esperienza.

Oltre a tali aspetti di natura filosofica, la questione del Filioque potrebbe offrire ampio materiale di discussione anche alla psicanalisi. Il Figlio che si fa "come" il Padre, perché "geloso" del rapporto che il Padre ha con lo Spirito (che è la parte femminile della trinità divina)... Il Figlio che facendosi "come" il Padre, in realtà lo estromette dal suo rapporto con lo Spirito... Il Figlio che, dopo aver estromesso il Padre, pretende di poter "gestire" lo Spirito come fosse una sua personale proprietà... Cos'è tutto questo se non una riedizione in veste religiosa del classico complesso di Edipo?

Già si è detto che il Filioque è la fonte di tutte le "eresie" cattoliche rispetto all'ortodossia, le più importanti delle quali sono quelle relative all'ufficio del pontefice (come ad es. il primato di Pietro e della giurisdizione universale di Roma, l'infallibilità ex-cathedra, la superiorità sul concilio o il concetto di "vicario di Cristo").

Se vogliamo, il Filioque è stato il primo tentativo riuscito, in ambito cristiano, di strumentalizzare la religione, stravolgendone il contenuto dogmatico-tradizionale, per una mera esigenza di potere politico. Tutto l'apparato giuridico-normativo della chiesa cattolica è funzionale alla giustificazione dell'abuso filioquista. Senza esagerare si può sostenere che il Filioque è alla base di tutta la cultura della violenza, della sopraffazione, del maschilismo... tipica dell'Occidente cattolico e protestante (i protestanti non hanno mai messo in discussione il Filioque).

Esiste persino uno stretto rapporto fra i due dogmi su Maria (Immacolata concezione e Assunzione) e il Filioque, poiché come in questa eresia il lato "femminile" della Trinità, e cioè lo Spirito (in ebraico ruah è di genere femminile), viene abbassato al ruolo di semplice esecutore della volontà del Figlio, che si arroga la pretesa di sostituire il Padre (che rappresenta, simbolicamente, nella tradizione cristiana e non solo cristiana, l'origine delle cose, la fonte da cui tutto promana ecc.), così nei due suddetti dogmi su Maria, si è cercato, da parte del "Figlio autoritario" (personificato dal papa), di recuperare l'immagine svilita della "femminilità", dimostrando, con ciò, che la chiesa romana non può sussistere su princìpi esclusivamente maschilisti.

Il Figlio, o meglio, il suo vicario in terra, il papato, che attraverso l'eresia filioquista si era liberato della presenza ingombrante del Padre (la memoria di un passato), per avere sullo Spirito (le varie manifestazioni della fede) un'egemonia assoluta, sembra essersi accorto, coi due dogmi su Maria, che tale egemonia non è possibile, per cui, in luogo dello Spirito, ha creato un suo sostituto, Maria, divinizzata appunto per sostituire lo Spirito di Dio, il quale, benché "sequestrato" dal Figlio, continua ad avere la pretesa di "soffiare dove vuole". Il papa arriva ad avere con Maria lo stesso rapporto dispotico e privilegiato che il Cristo cattolico, "ribelle" al Padre, ha voluto avere con lo Spirito.

Il Filioque tra vero e falso ateismo

Come si può notare, dalle cose fin qui dette, il Filioque appare anche come una forma embrionale di ateismo "volgare", in quanto, se è vero che in virtù di esso si sono giustificati gli abusi più vergognosi, è anche vero ch'esso riflette una percezione della realtà sociale molto più laica di quel che non si creda. Il Filioque, infatti, è stato anche il tentativo di togliere alla concezione ortodossa della divinità quel carattere di sacralità che aveva, trasformando la fede religiosa in uno strumento di emancipazione dalla tradizione. Il cattolico è ateo, rispetto al credente ortodosso, proprio in quanto "cattolico".

I protestanti cercarono di reagire agli abusi filioquisti (teocrazia papale ecc.), affermando il "primato dello spirito" (vedi ad es. i concetti di fede nella grazia divina, il libero esame o il sacerdozio universale: tutti princìpi che nell'ambito del cattolicesimo-romano hanno un valore assai relativo). Ma i protestanti non rappresentano altro che il rovescio della medaglia (cioè l'anarchia in luogo della monarchia assoluta, la spontaneità in luogo della disciplina, il carisma in luogo dell'istituzione...). Avendo destoricizzato completamente la figura teologica del "Padre" (in quanto non fanno riferimento ad alcuna tradizione storica), i protestanti sono certo votati a un ateismo migliore, più conseguente di quello cattolico, ma, non avendo piena coerenza scientifica, non sono in grado di creare una vera alternativa, sul piano sociale, al cattolicesimo.

La chiesa protestante è alternativa a quella cattolica in quanto, appoggiandosi alla prassi borghese, è riuscita a prevalere sul terreno dell'economia. Ma la crisi progressiva del capitalismo può essere facilmente strumentalizzata dalla chiesa cattolica, anche in funzione anti-protestantica. E non a caso, delle tre religioni cristiane, la protestante è quella più in crisi, cui si cerca di supplire, soprattutto negli Stati Uniti, mediante comunità e sètte esoteriche, misteriche, pseudo-orientali e così via.

Di fatto, né il cattolicesimo, laicizzando l'ortodossia, è riuscito a creare una società veramente democratica, a causa dei suoi presupposti (feudali) di classe irrisolti, né il protestantesimo, laicizzando ulteriormente il cattolicesimo, è riuscito, coi suoi presupposti borghesi di classe, nel medesimo intento. Ciò a testimonianza che sulla base della progressiva razionalizzazione dei contenuti religiosi è impossibile elaborare un umanesimo sociale integrale, senza compiere una contemporanea rivoluzione politico-democratica.

Forse oggi il problema più interessante, all'interno dell'ideologia cristiana, è quello di come giungere all'ateismo passando per l'ortodossia. Questa confessione rappresenta l'esigenza più alta di tutto il cristianesimo, in quanto rappresenta il tradimento più sofisticato dell'originario messaggio politico di Gesù (è il tradimento che si può reperire soprattutto nei testi attribuiti agli apostoli Marco, Giovanni e Paolo).

Per poter veramente "ammazzare" il cristianesimo -come diceva Gramsci- occorre non solo realizzare gli ideali ch'esso ha promosso invano, ma anche gli ideali che ha tradito (nascondendoli agli occhi dei credenti): altrimenti ci sarà sempre la possibilità che una religione rinasca.

Il vero ateismo -sul piano metafisico- non passa né attraverso il tradimento dell'immagine di "Figlio" (operata dai cattolici), né attraverso il tradimento dell'immagine di "Spirito" (operata dai protestanti), ma attraverso il tradimento dell'immagine di "Padre" (operata dagli ortodossi). Cioè dobbiamo riprendere il significato simbolico del concetto di "Padre" per superarlo una volta per tutte, liberandoci da questa condizione di dipendenza psicologica e culturale. Solo in tal modo l'ateismo sarà consapevole e determinato.

Per poter recuperare la valenza simbolica del concetto di "Padre", con cui si è tradito il messaggio di Cristo, che non contemplava in origine questo concetto, dobbiamo decodificare l'espressione di Giovanni: "Dio è amore". Il concetto di dio è stato utilizzato da Giovanni per rimediare al fallimento del progetto rivoluzionario del Cristo. L'identificazione infatti porta alla conclusione che dio è ovunque, in particolare è là dove esiste "amore". Questa grandissima testimonianza di Giovanni, che apre le porte all'universalità e all'ecumenicità del messaggio cristiano, esprime anche il tradimento più alto del vero messaggio di Cristo, per il quale l'identificazione non era fra "amore e dio" ma fra "liberazione e uomo".

L'ortodossia -a differenza del cattolicesimo che, puntando tutto sul cristomonismo, ha fatto coincidere la vita religiosa con il sacrificio e l'obbedienza; e a differenza del protestantesimo che ha fatto coincidere la vita religiosa con la libertà interiore e la ricerca intellettuale della verità-, l'ortodossia pretende, ancora oggi, di essere la massima realizzazione, in figura, del principio dell'amore (a prescindere naturalmente dalla realizzazione pratica dei suoi singoli fedeli).

Ebbene, noi dobbiamo dimostrare coi fatti che il principio dell'amore (universale) può essere vissuto meglio senza religione cristiana, in maniera assolutamente laica, a partire dalla liberazione degli uomini dalle ingiustizie e dalle oppressioni. Se noi riusciremo in questo (che è l'obiettivo più grande di tutto il genere umano), la religione cristiana scomparirà da sola, spontaneamente, a causa della sua intrinseca inutilità e falsità.

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(1) La distinzione tra "adorazione" e "venerazione" delle immagini sacre venne fraintesa in Europa occidentale proprio a causa di una cattiva traduzione degli Atti del concilio del 787, sulla base della quale, successivamente, Carlo Magno, nei suoi famosi Libri Carolini (789-791), rifiutò il decreto di quel concilio.

Bibliografia

- F. Dvornik, Lo scisma di Fozio, ed. Paoline 1953.
- P. Evdokimov, Lo Spirito Santo nella tradizione ortodossa, ed. Paoline 1983.
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- W. de Vries, Ortodossia e cattolicesimo, ed. Queriniana 1983.
- S. Bulgakov, Il Paraclito, ed. Dehoniane 1971.
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- O. Clément, La rivolta dello Spirito, ed. Jaca Book 1980.
- J. Meyendorff, La chiesa ortodossa ieri e oggi, ed. Morcelliana 1962.
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