DAL FEUDALESIMO AL CAPITALISMO

4 CAPITOLI FONDAMENTALI

1) LA TRANSIZIONE DAL FEUDALESIMO AL CAPITALISMO

2) PER UNA TEORIA DEL CROLLO DEL FEUDALESIMO

3) DIFFERENZE TRA SCHIAVISMO FEUDALESIMO E CAPITALISMO

4) DIFFERENZE TRA SCHIAVISMO FEUDALESIMO E CAPITALISMO

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LA TRANSIZIONE DAL FEUDALESIMO AL CAPITALISMO

Nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo furono senz'altro indispensabili il perfezionamento della tecnica, la divisione del lavoro, vasti mercati, grandi manifatture, concentrazioni di capitali... Ma oltre a ciò, fu necessaria anche una buona dose di fiducia in un futuro migliore, non molto lontano, quella di credere che, emancipandosi dal servaggio o dalla coercizione corporativa, si potesse diventare più liberi senza fare alcuna rivoluzione sociale. In questo senso contadini e artigiani s'illusero pensando che, per emanciparsi veramente, fosse sufficiente partecipare con la borghesia alla rivoluzione politica antifeudale. L'illusione stava appunto in questo, nel credere che dalla rivoluzione politica potesse scaturire automaticamente anche quella sociale, cioè che una mera rivendicazione giuspolitica di diritti fosse sufficiente per la democrazia sociale.

Era giusto emanciparsi dalla condizione servile che il feudalesimo imponeva, ma nel farlo bisognava assicurarsi di non finire in una condizione sociale peggiore. In che modo? Impedendo alla borghesia di guidare da sola la rivoluzione politica o comunque di non gestirne da sola i risultati conseguiti.

L'individualismo così si è accentuato. Il benessere è aumentato solo per pochi. E' vero, in Europa occidentale il benessere, col tempo, ha riguardato sempre più persone, ma solo perché, grazie al colonialismo e all'imperialismo, la miseria e l'indigenza sono state trasferite nel Terzo Mondo. Se non ci fosse stata la conquista dell'America, dell'Africa e in parte dell'Asia, l'Europa occidentale sarebbe andata incontro a una catastrofe economica, o forse il Medioevo sarebbe stato più lungo, oppure, a fronte delle insanabili crisi del capitalismo emergente, si sarebbe passati dal feudalesimo al socialismo. L'Europa occidentale ha potuto supplire alla mancanza di una "democrazia" interna (che l'Europa ortodossa dell'est invece parzialmente aveva) grazie appunto al colonialismo.

Gli storici devono smetterla di considerare il capitalismo come un progresso rispetto al feudalesimo. Il feudalesimo poteva evolvere verso il benessere perfezionando gli strumenti produttivi, da un lato, e compiendo una riforma agraria dall'altro, tale per cui i contadini fossero veramente padroni della loro terra, così come tutti gli artigiani, associati in cooperativa, avrebbero dovuto esserlo della loro corporazione, e gli operai della loro manifattura. Non c'era alcun bisogno di sconvolgere un sistema produttivo sostanzialmente legato alla natura con un sistema produttivo così artificiale e disumano.

Il capitalismo ha provocato dei guasti d'incalcolabile portata: ha separato il lavoratore dai mezzi di produzione (rendendo tutta la vita sociale e privata profondamente alienante); ha separato il produttore dal consumatore, mettendo quest'ultimo nelle mani dell'altro; ha subordinato tutto alla logica del profitto e dell'interesse (rendendo cinici i rapporti umani); ha creato delle istituzioni statali, burocratiche e amministrative, politiche, giudiziarie e militari che tolgono agli individui qualunque forma di libertà, di sicurezza e di responsabilità; ha saccheggiato le risorse di interi Paesi, regioni e continenti senza dare nulla in cambio, se non tutte quelle cose che servono ad arricchire le metropoli occidentali; ha danneggiato l'ambiente in maniera irreparabile, nell'illusione di poter ricostruire con la scienza e la tecnica ambienti sostitutivi di quelli naturali; ha scatenato centinaia di guerre, anche mondiali, con milioni e milioni di morti. Come stupirsi se in queste condizioni vi sono state nazioni legate al feudalesimo sino al secolo scorso e che dal feudalesimo sono volute passare direttamente al socialismo?

Ovviamente non ha senso fare dei confronti con due sistemi così diversi: qui si vuole soltanto precisare che non si può "condannare" il feudalesimo in nome del capitalismo. Ogni sistema va esaminato per le proprie contraddizioni interne. E' sulla base di queste contraddizioni che bisogna cercare di capire quante possibilità c'erano di creare la transizione da un sistema all'altro.

Perché la Cina o qualche Paese arabo non sono diventati capitalisti nel XVI sec.? Se riusciremo a comprendere i motivi per cui né la Spagna né il Portogallo sono diventate nazioni capitalistiche, pur avendo inaugurato il moderno colonialismo, troveremo relativamente facile rispondere alla suddetta domanda.

La storia ha dimostrato che per entrare nella via del capitalismo non è sufficiente avere una tecnologia abbastanza sviluppata o dei commerci molto avanzati, oppure delle contraddizioni feudali molto forti: occorre anche una mentalità, una forma di cultura particolare. Questa mentalità è mancata alla penisola iberica, troppo cattolica per essere pienamente, consapevolmente capitalistica, ed è mancata alle due grandi nazioni asiatiche: Cina e India, caratterizzate da due religioni della rassegnazione: Induismo e Buddismo.

Nei tempi in cui sono nati il capitalismo e il colonialismo, l'ideologia dominante, in Europa occidentale, era quella religiosa (prima cattolica, poi protestante). E' qui che vanno ricercati i motivi sovrastrutturali che hanno permesso un fenomeno così perverso.

Con uno studio molto approfondito si dovrebbe scoprire in quali enunciati teorici della teologia e della filosofia cattolica e protestante, si possono rintracciare le motivazioni culturali che hanno spinto gli uomini (anche inconsciamente) ad accettare il capitalismo e il colonialismo, nonché quelle motivazioni che (questa volta consapevolmente) sono state usate per giustificare la nuova formazione sociale. Cioè vanno ricercate quelle motivazioni che sono servite per legittimare direttamente o indirettamente (involontariamente) il capitalismo, e quelle motivazioni che sono state usate per contrastarlo praticamente o per condannarlo solo teoricamente.

Questo significa che non è più possibile scindere lo studio della storia da quello dell'ideologia (dominante, soprattutto), sia essa di tipo filosofico, religioso o politico. La storia deve diventare anzitutto la storia dell'economia in stretta correlazione con la storia del pensiero, nel senso weberiano che l'economia va vista come riflesso del pensiero, e nel senso marxiano che il pensiero va visto come riflesso dell'economia.

Le scelte, tra una formazione sociale e l'altra, tra una modalità e l'altra all'interno di una stessa formazione, si fanno sempre in un contesto di relativa libertà, altrimenti saremmo costretti ad ammettere l'inevitabilità della transizione dal feudalesimo al capitalismo. Certo, vi possono essere dei processi sociali ed economici che oggettivamente, se non intervengono delle controtendenze, possono portare al capitalismo, ma se ad un certo punto non v'è un determinato consenso sociale (di massa), questi processi non vanno avanti. Gli uomini possono dare un consenso inconsapevole a certi fenomeni, ma sino a un certo punto, poiché ogni fenomeno contiene in sé delle contraddizioni che a posteriori possono essere individuate e superate (il superamento è tanto più facile quanto più è veloce l'individuazione e decisa la volontà). E' assolutamente falso affermare che la storia è un "processo senza soggetto".

Il determinismo economico non è certo in grado di spiegare il motivo per cui il capitalismo s'è sviluppato proprio in Europa occidentale e soprattutto nell'area geografica di religione protestante. E neppure è in grado di spiegare perché i Paesi di religione cattolica sono diventati capitalisti conservando solo la "forma" della loro religione. Questo non sta forse a dimostrare che fra cattolicesimo e protestantesimo non esistono differenze sostanziali, nel senso che l'uno non è che il rovescio dell'altro?

Solo così riusciremo a capire il motivo per cui i Paesi che non hanno conosciuto né il cattolicesimo né il protestantesimo si sono adeguati più facilmente alla realtà del socialismo, e perché i Paesi che non hanno conosciuto alcuna forma di cristianesimo, fanno molta fatica ad adeguarsi al capitalismo, volgendo piuttosto la loro attenzione verso il socialismo. Non è forse vero che il socialismo democratico vuole essere il recupero, ovviamente in forma diverse, più consapevoli, dello spirito del comunismo primitivo?

Il cristianesimo è la religione col più alto tasso di ambiguità della storia. La sua dialettica, le sue contraddizioni, soprattutto fra teoria e pratica, sono assolutamente inconcepibili per qualunque altra religione. Non è infatti immaginabile, in maniera naturale e spontanea, che si possano affermare le cose più sublimi di questo mondo e nello stesso tempo compiere le azioni più abominevoli. Occorre un livello di alienazione, di sdoppiamento della personalità, particolarmente elevato, non meno grande del livello di profondità di pensieri e di sentimenti.

Il cristianesimo ha dato all'umanità un'autoconsapevolezza prima impensabile. Ma, proprio per questo motivo, le ha dato anche una sicurezza, un coraggio, una fiducia in se stessa che nessun'altra religione ha mai saputo dare. Ora, ci si rende facilmente conto che se si vive questa sicurezza non per migliorare le cose, ma per giustificare un contesto caratterizzato da valori o da comportamenti negativi, il risultato che si ottiene col cristianesimo sarà infinitamente più disastroso. Se l'ideologia cristiana non viene vissuta in un contesto sociale comunitario (ma questo implica una revisione totale dell'interpretazione e delle modalità applicative dei vangeli), la tendenza sarà sempre quella ad usare il cristianesimo per colmare in misura irrazionale l'insopportabile scarto esistente fra metodo e contenuto.

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PER UNA TEORIA DEL CROLLO DEL FEUDALESIMO

Quando si parla di "crollo del feudalesimo", non si può affermare che le cause principali sono state quelle esterne al sistema, e cioè il commercio, il valore di scambio, il denaro ecc.

La causa principale del crollo di un sistema antagonistico, generalmente va cercata nell'antagonismo stesso. Ovviamente questo non significa che nella lotta delle classi, quella oppressa non possa servirsi di elementi esterni al sistema (o marginali, periferici) per influire negativamente su quelli interni, accelerandone la dissoluzione.

Quando si afferma che il feudalesimo crollò a causa del sempre crescente lusso della nobiltà, la quale, avendo bisogno di contanti, prese a sfruttare massicciamente i contadini, che fuggirono verso le città; quando cioè si afferma che la causa del crollo fu il commercio a lunga distanza, non ci si rende conto di confondere la causa con l'effetto. Lo sviluppo del commercio infatti è già una conseguenza della crisi del feudalesimo, che è interna al sistema.

Se non si accetta questa spiegazione, si deve poi attribuire al caso il crollo di un sistema antagonistico, non avendo alcuna fiducia nelle capacità di lotta delle classi oppresse.

Il secondo servaggio, cui andarono incontro alcune nazioni o alcune regioni di alcune nazioni europee, nel momento in cui in altre nazioni (o in altre regioni) s'andava sviluppando il capitalismo, dipese appunto dall'arretratezza della cultura, che non sapeva trovare un'alternativa al servaggio né in modo borghese, né in modo democratico, ma soltanto modificando il rapporto feudale, trasformando cioè la rendita in natura in rendita monetaria, ovvero il servo della gleba in un mezzadro, oppure creando una proprietà fondiaria di tipo usuraio. Questo fu possibile anche perché il commercio liquidò la classe dei piccoli contadini indipendenti.

Il capitalismo industriale delle nazioni borghesi indusse i feudatari ad adeguarsi alle circostanze, ed essi lo fecero sulla base della loro arretrata cultura. La rendita monetaria non faceva che acutizzare le contraddizioni del feudalesimo.

In Asia invece continuò a prevalere la rendita in natura e da questa rendita, attraverso la lotta di classe, si passò al socialismo.

VERA E FALSA DEMOCRAZIA

E' semplicistico pensare allo sviluppo del fenomeno comunale medievale come a uno sviluppo dell'idea di democrazia.

In realtà si può parlare di democrazia solo nel senso che i ceti urbani più ricchi cercavano di opporsi allo strapotere dei latifondisti, chierici o laici che fossero.

E vi fu sviluppo della democrazia anche là dove i Comuni lottarono contro l'idea di sacro romano impero (questa lotta agli storici appare, generalmente, come uno scontro tra poteri, decentrati gli uni, centralizzati gli altri). Tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che fu sempre un confronto tra poteri forti, per una diversa distribuzione di aree di competenza e di dominio.

Il popolo aderì e si sacrificò convinto di poter trarre dei vantaggi da questo scontro cruento, ma fu, come al solito, ingannato dalle classi egemoni.

Questo è un cliché che si ripete tantissime volte nella storia. Basterebbe studiare la storia per concetti per arrivare a comprenderla senza neppure entrare nei dettagli.

Ogni idea e ogni struttura che la rappresenta hanno la loro evoluzione: quando questa giunge verso il culmine, per poi imboccare la strada discendente, raramente le istituzioni accettano di farsi superare dal nuovo, e si piomba così nell'involuzione, dove i progressi acquisiti vengono di fatto ridimensionati se non perduti. Non si cedono mai spontaneamente i poteri acquisiti. Di qui le inevitabili e sanguinose conflittualità.

Purtroppo la storia ci dice anche che ogni idea e ogni struttura è soggetta a corruzione e non c'è modo di porre le basi per alcuna esperienza di lunga durata, e questo pare tanto più vero quanto più si esaminano le cosiddette "civiltà", dove al massimo ci si misura sulla lunghezza dei mille anni, mentre nella cosiddetta "preistoria" la longue durée si misurava sulle decine di migliaia di anni.

L'Italia comunale, sotto questo aspetto, non arrivò mai a realizzare la democrazia, proprio perché sul piano economico non arrivò mai a realizzare il socialismo. Tant'è che se da un lato si arrivò ad affermare una certa autonomia dal potere feudale (locale o quello universale dell'imperatore), dall'altro si finì coll'imporre alle zone rurali una forte dipendenza dalle esigenze urbane.

Non ha senso parlare di democrazia politica quando non si può parlare di contestuale democrazia economica. L'importanza della democrazia economica è stata scoperta dal socialismo, prima utopistico poi scientifico, non certo dal liberalismo, le cui idee economiche sono semplicemente quelle della proprietà privata, della competizione, del monopolio e del libero scambio ecc.

La presenza di uno Statuto comunale può di per sé far pensare a una forma politica vicina alla democrazia, ma se si guarda p.es. al fatto che alla stesura di tali Statuti partecipavano solo quelli che disponevano di un certo patrimonio, per il quale potevano ottenere cariche politiche o amministrative, si capisce facilmente come lo sviluppo del fenomeno comunale (che è stato tipico dell'Italia borghese e che caratterizza ancor oggi buona parte del capitalismo nazionale) fu in realtà un movimento interno ai ceti borghesi.

Non avendo fatto la riforma protestante il capitalismo italiano è rimasto per così dire circoscritto entro limiti di uno sviluppo industriale a gestione familiare. Il timore di cadere in un capitalismo selvaggio è stato scongiurato da una gestione borghese nei limiti (divenuti sempre più elastici) della morale cattolica.

L'Italia non è diventata una grande potenza industriale quando doveva diventarlo e oggi che potrebbe diventarlo, avendo abbandonato nella sostanza (se non nelle forme) ogni riferimento alla morale cattolica, non ne ha più le possibilità materiali, in quanto, nel frattempo, nuovi soggetti politici ed economici sono emersi sulla scena internazionale e questi non le permetterebbero di espandersi oltre un certo livello.

 

DIFFERENZE TRA SCHIAVISMO FEUDALESIMO E CAPITALISMO

La principale contraddizione antagonistica della nostra epoca è quella determinata dall'economia: i proprietari privati accumulano capitali per acquisire un potere politico. Quanti più ne accumulano, tanto più è grande il potere politico. Per poter realizzare tale scopo il capitalista è disposto a tutto. Nei confronti del capitale, del denaro, vi è completa soggezione.

Nell'antichità feudale e schiavista la contraddizione antagonistica prevalente non era di natura così astratta, così artificiale, così sofisticata: era di natura "fisica". Quanti più schiavi o servi della gleba si possedevano (da far lavorare come contadini e artigiani), tanto più potere politico si disponeva.

Il feudalesimo, in tal senso, è stato molto più vicino allo schiavismo che non al capitalismo. Il capitalismo ha potuto formarsi dentro il feudalesimo euroccidentale, ma ad un certo punto ha dovuto rompere con la "fisicità" di quella forma d'antagonismo per poterne creare una nuova. In un certo senso il capitalismo ha simbolizzato, materializzandolo nella forma astratta del capitale, lo sfruttamento del servo della gleba. Ha cioè dovuto trasformare una contraddizione "fisica" (la dipendenza personale del servaggio) in una contraddizione "economica" (la falsa libertà personale del lavoratore salariato).

Il capitalismo è stato costretto a questa finzione perché la resistenza del servo della gleba alla contraddizione "fisica" era ormai diventata molto grande ed essa non avrebbe permesso la riedizione, più o meno simile, di quell'antagonismo. L'antagonismo, di fronte alla consapevolezza della necessità del suo superamento, ha dovuto perfezionarsi per poter sopravvivere. In quest'ottica andrebbero analizzati tutti i movimenti contadini di protesta anteriori a quelli borghesi.

Il denaro resta un'astrazione anche quando permette di acquisire un potere politico. Esso non avrà mai la concretezza di uno schiavo o di un servo della gleba. Si possono accumulare capitali all'infinito (sempre che gli operai lo permettano), non si può sfruttare uno schiavo o un servo oltre un certo limite: sia perché si rischia di farlo morire (e di ciò si può non tener conto solo se gli schiavi o i servi a disposizione sono in grande quantità), sia perché l'accumulo di derrate alimentari superiori al fabbisogno del proprietario è per forza di cose limitato, specie se esse sono deperibili.

Con l'uso del denaro, inteso come scambio equivalente delle merci, tutti questi problemi sono stati superati. Allo sfruttamento "estensivo", relativo, della manodopera si è sostituito quello "intensivo", assoluto (che diventa relativo solo se la manodopera si oppone con la forza allo sfruttamento).

L'economia ha sostituito la fisicità dell'antagonismo, non solo acuendo lo sfruttamento del lavoratore, ma estendendone anche i confini geografici. Interi popoli della terra sono entrati nella storia del capitale solo come "sfruttati". Il servaggio non poteva avere un'esigenza di universalità, poiché il rapporto di dipendenza personale, per quanto gerarchizzato fosse, non conosceva la possibilità di usare il denaro come equivalente universale, cioè non aveva la capacità di servirsi di una finzione a livelli così elevati. Oggi tuttavia per la prima volta un'opposizione all'antagonismo può diventare di tipo universale.

Ci si può chiedere se in futuro non esisterà un'altra forma di antagonismo, ancora più sofisticata di quella economica, che possa permettere l'acquisizione di un potere politico. Una forma analoga a quella stalinista o maoista, basata su una sorta di potere carismatico (soggettivo) della persona e ideologico (oggettivo) dell'istituzione ch'essa rappresenta. Una forma cioè che dopo essere maturata in un'esperienza collettivistica s'imponga in maniera individualistica, servendosi del collettivismo in modo burocratico e militarizzato. L'acquisizione del potere a partire da ideali di giustizia sociale e di libertà, e poi l'uso del potere acquisito contro questi stessi ideali: ecco la sostanza dello stalinismo. Solo delle motivazioni interiori (non legate quindi al denaro né alla proprietà di alcunché) possono determinare un rivolgimento del genere.

 

I VANTAGGI DEL CAPITALISMO

Gli storici devono cominciare a chiedersi se i vantaggi ottenuti con lo sviluppo della società borghese, subito dopo il crollo del feudalesimo, potevano essere considerati sufficienti a legittimare la necessità di una definitiva transizione, ovvero se gli svantaggi correlati a questa transizione non furono così grandi da escludere l'idea che non vi fosse un'altra soluzione alla crisi del feudalesimo.

In effetti, oggi appare sempre più chiaro che il capitalismo non è che una variante dello schiavismo (così come d'altra parte lo era il servaggio): le differenze sono più formali (cioè giuspolitiche) che sostanziali (cioè socioeconomiche). La differenza tra capitalismo e feudalesimo sta nell'illusione della libertà o della ricchezza e naturalmente nei mezzi materiali con cui si cerca di alimentare tale illusione. Nel feudalesimo la libertà dipendeva da una ricchezza che si acquisiva per nascita: solo a partire dalla crociate gli esclusi da qualunque forma di eredità (ad es. i cadetti), cercarono di far fortuna come i borghesi.

Ricchezza e libertà coincidono sia nello schiavismo, che nel servaggio e nel capitalismo: nel primo caso il metro di misura è il numero degli schiavi che si possiede (ma si conosceva anche la ricchezza fondiaria e quella commerciale); nel secondo caso il metro di misura è la terra; nel terzo è il capitale.

Il capitalismo, aumentando l'illusione della libertà, è stato, dal punto di vista dell'onestà intellettuale, un regresso rispetto allo schiavismo romano, dove l'illusione era minima. Il capitalismo non ha fatto che accentuare al massimo l'illusione del servaggio, sostituendo la religione con mille altre droghe. Senza contare il fatto che il capitalismo, per sopravvivere, ha necessariamente bisogno di colonie da sfruttare, mentre il feudalesimo -almeno sino alle crociate- si limitava a uno sfruttamento del lavoro interno. Da ultimo bisogna tener conto che il capitalismo, per alimentare le proprie illusioni, ha bisogno di usare strumenti imponenti e sofisticati, che comportano una notevole distruzione ambientale (e su scala planetaria).

Il marxismo da sempre ha detto che il capitalismo sarebbe stato l'ultima illusione. La storia però ha dimostrato che ne può esistere un'altra ancora più sofisticata (sul piano politico-ideologico): quella del socialismo amministrato, di Stato (che è una riedizione del servaggio, e che oggi si trova ancora in Cina).

Dobbiamo in sostanza chiederci che possibilità aveva il capitalismo di svilupparsi senza il colonialismo (iniziato praticamente con le crociate, cioè con un'ideologia religiosa -quella cattolica- ben marcata). E' forse giusto esaltare gli aspetti antifeudali del capitalismo, quando, per affermare tali aspetti, esso ha avuto bisogno di inaugurare nuove forme di sfruttamento e di oppressione (su larga scala)? I progressi conseguiti sul piano tecnico, materiale, scientifico sono sufficienti per giustificare il superamento del feudalesimo? E' possibile cioè che dal servaggio, attraverso la lotta politica, non si potesse passare a un'altra forma di società civile, realmente democratica?

Perché nell'Europa orientale è potuta avvenire la transizione dal feudalesimo al socialismo (seppure di Stato), senza passare per il capitalismo? La risposta, probabilmente, va cercata nello sviluppo diverso delle tre ideologie religiose: cattolica, protestante e ortodossa, o comunque nel diverso tipo d'influenza che queste ideologie hanno esercitato sui rapporti sociali. Non a caso l'inizio dei rapporti borghesi è avvenuto in Europa occidentale, quando si era definitivamente consumata la rottura tra Occidente cattolico e Oriente ortodosso. Solo che lo sviluppo di tali rapporti ha trovato la sua maggiore coerenza nell'area protestantica non in quella cattolica. La chiesa romana, infatti, essendo eminentemente politica, non tollera che si formi al proprio interno una classe che in nome del capitale possa minacciarne il potere. La chiesa romana è una chiesa feudale il cui potere economico è sostanzialmente legato alla terra.

L'ideologia cattolica non favorisce di per sé i rapporti borghesi, ma non ha neppure in sé la forza (morale) per escludere tale evoluzione: essa cerca solo di usare la forza politica per opporsi alla borghesia, ma questo ha potuto farlo in Italia sino all'unificazione nazionale, in Francia sino alla Rivoluzione dell'89, ecc. La capacità di opporsi idealmente al capitalismo è diminuita, nel cattolicesimo, in misura proporzionale al suo distacco dall'ortodossia. Il protestantesimo, dal canto suo, ha potuto perorare al 100% la causa della borghesia perché, rompendo col cattolicesimo, ha evitato di ricollegarsi all'ortodossia (infatti ha eliminato il concetto di "tradizione"). E così oggi è solo la chiesa cattolica che ancora s'illude di poter realizzare sul piano politico una "terza via" tra socialismo e capitalismo. Né l'ortodossia, né, per motivi diversi, il protestantesimo si sono mai preoccupati di questa cosa.

Nei Paesi protestanti, sul piano etico, si sono realizzati dei rapporti umani individualistici e cinici, perché basati sul denaro; nei Paesi cattolici ancora ci si illude che l'ideologia religiosa abbia in sé il potere d'impedire che si formino dei rapporti del genere. Il persistere di concetti come "Stato assistenziale" o "garantista", "capitalismo popolare" ecc. sono appunto il frutto di questa illusione.

In Italia le forze conservatrici, che da mezzo secolo stanno al potere (e che dicono d'ispirarsi al cattolicesimo e che fino a qualche tempo fa s'illudevano di poter "umanizzare" il capitalismo), si sono sempre meravigliate, lamentandosene, della grande forza (almeno sul piano quantitativo) delle masse comuniste. In realtà, tale forza trovava la sua ragion d'essere proprio nella presenza autorevole, nel nostro Paese, del cattolicesimo, il quale, nonostante i suoi dualismi, ha saputo trasmettere, per un certo periodo di tempo, l'esigenza di un ideale di giustizia anche in quei soggetti usciti dalla chiesa cattolica. Paradossalmente, proprio l'affermazione del socialismo avrebbe permesso agli ideali del cattolicesimo di sopravvivere meglio (seppure ovviamente in forma laicizzata). Tuttavia, la chiesa cattolica non ha mai accettato questa soluzione (almeno in Occidente), proprio perché è una chiesa sostanzialmente legata al potere politico: essa ha sempre preferito considerare come suo principale nemico il comunismo invece del capitalismo. Salvo poi lamentarsi, con ipocrisia, che dopo il crollo degli ideali comunisti non s'intravede più in Occidente una lotta politica per la giustizia. Viceversa, nel Terzo mondo la chiesa cattolica (slegata dal potere istituzionale) ha preferito mettersi in rapporto con le ideologie socialiste.

E' curioso che il crollo "storico" del socialismo stia trascinando con sé anche quello "ideale" del cattolicesimo. Tuttavia il vero crollo "storico" del cattolicesimo avverrà soltanto quando il socialismo avrà realizzato gli ideali della democrazia sociale e dell'umanesimo integrale. Prima di allora il destino del cattolicesimo occidentale sarà sempre più quello di trasformarsi, all'ovest, in un'ideologia analoga a quella protestantica (con qualche settore interessato all'ortodossia), e al sud in un'ideologia legata agli ambienti di sinistra.

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