SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
GALILEO GALILEI

Accuse, Processo, Condanna, e abiura  di Galileo

Il contributo che Galileo Galilei aveva dato a un piccolo opuscolo (non pubblico ma privato) del carmelitano Foscarini pubblicato nel 1616 con l'appoggio dell'Accademia dei Lincei (che nel 1611 aveva chiamato Galileo a farne parte) erano le famose "lettere copernicane". Scritti che costituiscono una strenua difesa della cosmologia eliocentrica dell'astronomo polacco pubblicata nel lontano 1543, e nello stesso tempo Galileo si ostina  a voler difendere l'autonomia della scienza rispetto alla fede. Quello che scatenò la denuncia della Chiesa, è l'argomento  basato sul riconoscimento che esistono due linguaggi fra loro nettamente distinti: quello ordinario vago e impreciso, e quello scientifico rigoroso ed esattissimo. "L'intelligenza divina -dirà Galileo- pur conoscendoli entrambi, fece ricorso al primo quando dettò le Sacre Scritture, perchè mirava a farsi intendere dall'uomo comune; ma fece ricorso al secondo quando scrisse il Libro della Natura. Perciò nella Bibbia troviamo scritto che è il sole a girare intorno alla Terra, mentre in realtà è questa che gli gira intorno".
 Ma Galileo che cosa vuol dire? che esistono due verità si chiesero gli "antigalileiani" e la Chiesa, entrambi molto preoccupati che una teoria potesse scalzare l'altra.
"Giosuè ordinò di fermarsi al Sole e non alla Luna, è' nella Sacra Scrittura!" aveva già affermato Lutero.

Galileo non si perse d'animo, sostenne che la verità è una: soltanto i linguaggi per esprimerla sono due: "Rinunciando a non usare il linguaggio della Bibbia nell'ambito della  scienza, ma usare per quest'ultima un linguaggio più esatto". Un'affermazione questa che non solo allarmò l'autorità ecclesiastica, ma scattò la denuncia di due padri domenicani, Nicolò Lorini e Tommaso Caccini. Il processo si concluse il 3 marzo 1616  con la condanna del piccolo trattatello del Foscarini e la proibizione di tutti quei libri che sostenessero tesi simili a queste.
Galileo temendo il peggio, si recò a Roma per difendersi e perorare la sua causa copernicana. Fu dunque coinvolto solo indirettamente, e non subì nessuna condanna  perchè l'opuscolo non era suo, ed inoltre era una pubblicazione privata.

Ma il cardinale Bellarmino che aveva condotto il processo, difese con una sua "Tesi" la teoria aristotelelica-tolemaica e con una ingiunzione diffidò Galileo  a non trattare più la questione in futuro, nè oralmente nè per iscritto. Unica concessione che la chiesa era disposta ad accordare, era che la teoria copernicana poteva venire usata come strumento matematico per descrivere i fenomeni astronomici, ma senza voler pretendere di mettere in discussione le antiche teorie e quindi le Sacre Scritture.
Galileo sperava in un appoggio dei gesuiti, che godevano  alta stima come preparazione scientifica, ma nessuno si mosse in sua difesa. Galileo si sentì perfino "tradito" da loro.

Cattolici progressisti ce n'erano comunque molti altri, siamo del resto nel XVII secolo;  e quando nel 1623 salì al soglio il cardinale Barberini (Urbano VIII) considerato un ingegno acuto, amante di scienza e attento alle esigenze della cultura del suo tempo, i progressisti gioirono, in particolare proprio quelli che appartenevano all'Accademia del Lincei. Pubblicarono nel Saggiatore uno scritto di Galileo sulle comete (di attualità dopo la comparsa in cielo di tre comete), aggiungendo una entusiastica dedica al nuovo Papa eletto. 
Galileo era intervenuto nel dibattito di questi fenomeni celesti con questa sua  tesi "...Il libro della natura" è scritto in termini matematici. Il metodo sillogistico (deduzione) va abbandonato a favore appunto di quello matematico". Indica in sostanza quel canone metodologico  che sarà considerato fondamentale da tutta la scienza moderna.

Lo scritto ebbe molto successo tra i progressisti, e ci sono anche testimonianze che fra gli attenti lettori c'era anche  Papa Urbano VIII. Galileo fiducioso di questa accoglienza, riprende il discorso iniziato nel 1616. Vuole esporre più decisamente gli argomenti copernicani.

Nasce così "il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" (Sopra il frontespizio originale). Confuta le obiezioni di Aristotele e di Tolomeo in un  "Dialogo" a quattro, che si svolge tra due difensori: un impacciato Simplicio  (qualcuno ci ravvisò il Papa) a favore delle tesi dei primi due, e Salviati (che è poi Galileo stesso che parla in prima persona con l'io narrante) che difende quella di Copernico. E ci infila un quarto singolare personaggio: Sagredo (filo-copernicano), che sollecita il difensore dei  primi due a rivedere seriamente la tesi tolemaica, e invita Salviati (Galileo) a produrre persuasisi argomenti su quella copernicana. Ma lo fa in un modo così spiritoso che  Salviati alla fine del libro, con palese supponenza non intende controbattere.  Più che una laconica  resa,  il suo silenzio è uno eloquente  stratagemma  per non discutere oltre. Inoltre è lui aver detto in questo modo "l'ultima parola", cioè un "silenzio audace" abbastanza implicito.
Ma ne aveva dette audaci anche all'inizio dell'opera sostenendo (facendo una distinzione fra il conoscere   intensivo e il conoscere estensivo) che  "dal punto di vista intensivo, noi siamo in grado di raggiungere mediante la scienza, delle conoscenze altrettanto valide quanto le conoscenze possedute da Dio, pur restando il numero delle nostre conoscenze infinitamente inferiore al numero delle sue". 
Anche questo era uno stratagemma ambiguo per uscire indenne da eventuali accuse.  Che però servì a poco. L'opera pur avendo ricevuto all'inizio l'autorizzazione a pubblicarla, ne fu subito proibita la diffusione e trascinò nuovamente Galileo il 12 aprile 1633, davanti agli inquisitori che gli rimproverano di non essersi attenuto all'ingiunzione del cardinale Ballarmino nel 1616.

Ed ecco il processo, le accuse, la condanna e la severa abiura pronunciata  il 22 giugno 1633, davanti al  Sant'Uffizio sul "delinquente canone promulgato da Galileo" dato alle stampe  ingannando il censore padre Riccardi.


...Diciamo, pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S. Off.o vehementemente sospetto d'heresia, cioè d'haver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch'il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un'opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie et qualunque altro errore et heresia contraria alla Cattolica ed Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data. Et acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell'avvenire et essempio all'altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per pubblico editto sia prohibito il libro de' Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale in questo S.� Off.� ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitentiali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte le sodette pene e penitenze. Et così diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo et in ogni altro meglior modo e forma che di ragione potevo e dovemo.


Ita pronun.mus nos Cardinales infrascripti:

F. Cardinalis de Asculo
B. Cardinalis Gipsius
G. Cardinalis Bentivolus
F. Cardinalis Verospius
Fr. D. Cardinalis de Cremona
F. M. Cardinalis Ginettus
Fr. Ant.s Cardinalis S. Honuphrii.

 

ed ecco l'abiura che pronunciò Galileo.....

Atto d'abiura


" .... Io Galileo, figliuolo del quondam Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell�età mia d�anni 70, costituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverentissimi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l�eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl�occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l�aiuto di Dio crederò per l�avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa.

Ma perché da questo S. Offizio, per aver io, dopo d�essermi stato con precetto dall�istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d�essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l�istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d�eresia, cioè d�aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e imobile e che la terra non sia centro e che si muova.

Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d�ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l�avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d�eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all�Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.

Giuro anco e prometto d�adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Offizio imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da� sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio m�aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.

Io Galileo sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.

Io, Galileo Galilei, ho abiurato come di sopra, mano propria".
 

 

Il carcere a vita, a cui Galileo era stato condannato venne subito commutato in una "relegatione o confine al giardino della Trinità dei Monti" dov'era la sede dell'ambasciata del granduca;  poi dopo qualche giorno fu trasferito  presso l'Arcivescovo di Siena  (Piccolomini, un suo amico, ammiratore, progressista, ma dovette essere ligio agli ordini). Nel dicembre successivo gli verrà però consentito di trasferirsi nella propria abitazione: una villetta ad Arcetri, vicina al convento dove già vivevano come monache le due figlie Virginia  e Livia.
Nella villetta ci visse per 6 anni in un rigoroso  isolamento (dal 1637 quasi completamente cieco) fino al 1639. Poi gli fu concesso di ospitare in casa un giovane studioso, Vincenzo Viviani, e a partire dall'ottobre del 1641 si aggiungerà il trentenne Evangelista Torricelli. Una compagnia di brevissima durata,  di soli tre mesi; l'8 gennaio 1642 a 78 anni  Galileo Galilei moriva. (era nato a Pisa il 15 Febbraio)

La battaglia culturale di Galileo terminò dunque con una sconfitta sul piano umano, ma la sua guerra in favore della libera ricerca l'aveva vinta. Pienamente consapevole della portata rivoluzionaria delle sue scoperte e del suo metodo, Galileo aprì  la strada alla scienza meccanicistica. Tre sono gli elementi essenziali che ha lasciato in eredità alla fisica moderna: uno filosofico -il valore dell'esperimento per la conoscenza; uno metodologico - l'impiego della matematica; e uno fenomenologico - concetto di sistema di riferimento.

Il suo metodo si basa su una sintesi di induzione (esperienza) e di deduzione (ragionamento) e culmina nell'esperimento, ovvero in una ricostruzione semplificata del fenomeno naturale, capace di porre in evidenza, con esattezza matematica, ciò che interessa conoscere.
E stato detto che a partire da Galileo la natura ha iniziato ad essere quasi costretta a fornire le risposte cercate.

Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella città di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un'affermazione di Feyerabend: "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto".

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