1945-1948 - anni difficili

  I COMUNISTI  
" MANGIANO I BAMBINI "
 Idiozia e genialità nelle parole dei tornei elettorali 

Pubblichiamo il primo dei due brani extrapolati dal libro di Gian Luigi Falabrino che dà il titolo a questo articolo. Si tratta di una ricerca edita a Milano nell'ottobre del 1994 (Vallardi - Garzanti) nella quale si esplorano "Duecento anni di propaganda politica da Marx a Garibaldi, da Mussolini a Forza Italia". I capitoli da noi scelti riguardano il periodo dell'immediato dopoguerra, quello degli "Anni difficili" (dal 1945 al 1948) e quello degli "Anni facili", dal 1948 agli anni Sessanta. Perché abbiamo scelto proprio questi due periodi? Perchè a nostro parere sono i più indicativi della storia di quell'Italia che dopo vent'anni di dittatura, di "disabilità" politica, riprende a muovere i primi passi sulla strada della democrazia. E tenta di ritrovare (o di costruire?) la propria identità.

 di GIAN LUIGI FALABRINO

Com’è difficile ricostruire la memoria di quegli anni, confusi e contraddittori. Molti li ricordano come una festa, scandita dalla colonna sonora del boogie woogie, accompagnata da una grande fioritura d’idee, di speranze, di novità politiche. Si moltiplicavano i giornali di molti nuovi partiti e di tutte le tendenze, ai vecchi settimanali umoristici si affiancava la satira del "Cantachiaro" e del "Don Basilio", il cinema produceva i capolavori del neorealismo mentre dall’America arrivavano "Serenata a Vallechiara", "Via col vento" e tutti i film proibiti dal 1941.

 La guerra era finita, si godeva la pace, si respirava la libertà. Ma il boogie woogie si ballava soprattutto nei circoli alleati, dove l'ingresso era permesso soltanto alle donne, ma non agli uomini italiani. Domenico Rea, Curzio Malaparte nei loro libri, Vittorio De Sica con "Sciuscià", Luigi Zampa con "Senza pietà" raccontavano le storie disperate di una prostituzione diffusa, dei fratelli che vendevano le sorelle, delle ragazze di famiglia che portavano a casa soldi, calze di nylon e scatolette di carne.
 Ma i film neorealisti non li guardava nessuno, de "La terra trema" e "Ladri di biciclette", Andreotti (giovanissimo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) diceva che i panni sporchi si lavano in casa e che quei film rovinavano il prestigio dell’Italia all’estero (come se ne avessimo avuto ancora, dopo la guerra fascista e I’8 settembre); il successo dei nostri film fu un successo di ritorno, grazie ai critici francesi.

 Avevamo perso la guerra, e l’avevamo persa tutti, come disse Benedetto Croce: "Noi italiani abbiamo perduta la guerra, e l’abbiamo perduta tutti, anche coloro che l’hanno deprecata con ogni loro potere, anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarata, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, impegnando la nostra patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra patria, né dalle sue vittorie, né dalle sue sconfitte".


Lo seppero bene i profughi dall’Istria e da Zara annesse alla Jugoslavia: la loro fedeltà alla patria fu ricompensata con il fastidio e il silenzio dei borghesi, con l’accusa di "fascisti" lanciata dai comunisti, che a Bologna arrivarono a impedire che venissero portati generi di conforto ai treni che li trasportavano ai campi di raccolta. Furono anni di grandi speranze, ma anche di odii profondi, di violenze oggi inimmaginabili. Da tempo, quasi tutti interpretano quegli anni con le favole di "Don Camillo", ma esse erano favole, appunto. 

Gli eccidi nel "triangolo della morte", che si prolungarono anche nel 1946, la polizia che sparava sugli occupanti le terre, erano gli aspetti più evidenti della profonda spaccatura che divideva e contrapponeva gli italiani, comunisti e anticomunisti, nella speranza della palingenesi sociale e nella grande paura del bolscevismo. Col tempo, Ha da venì Baffone ha finito per assumere un tono scherzoso, ma allora la frase suonava sinistra e minacciosa a chi temeva che arrivassero i cosacchi ad abbeverare i cavalli davanti a San Pietro, secondo la profezia attribuita ai pastorelli di Fatima. 

Nel marzo 1946 ci furono le prime elezioni amministrative, con le vittorie delle sinistre in molti grandi comuni; nel giugno si tennero il referendum fra monarchia e repubblica, e le elezioni per l’Assemblea costituente. I partiti al governo, che avevano formato i Comitati di liberazione nazionale (CLN), erano su posizioni diverse: socialisti e comunisti erano repubblicani, come – ovviamente – il partito dell'Edera, il partito d’azione e la Democrazia del lavoro (che ci fosse anche questa, chi se ne ricorda più?); liberali e democristiani erano divisi di fronte al dilemma istituzionale, e lasciarono liberi i propri aderenti di votare secondo coscienza, anche se, all’inizio, nella DC prevaleva l’orientamento repubblicano e se, a poco tempo dal voto, la Chiesa spinse a favore della soluzione monarchica.

I parroci esortavano a mettere la croce dove ce n’era già una (la croce dello stemma sabaudo); la Repubblica era simboleggiata da un’Italia turrita, e i repubblicani spingevano i più candidi fra i monarchici a votare per la regina. Fuori del CLN, il nuovissimo partito dell’Uomo Qualunque raccoglieva i consensi di molti ex fascisti, della burocrazia statale e dei ceti rimasti estranei alla guerra civile, specialmente a Roma e nel Mezzogiorno, dove molti erano spaventati dal Vento del Nord, cioè dalla minaccia della rivoluzione: il fronte dell’Uomo Qualunque era perciò monarchico. Dell’Uomo Qualunque resta soltanto il ricordo del simbolo (un torchio che schiaccia un povero ometto) e le parolacce del suo fondatore, il commediografo di scarso successo Guglielmo Giannini, il primo che scrisse su un giornale che non ci rompano più i coglioni

La lotta politica per il referendum fu caratterizzata dalla condanna della complicità della monarchia con il fascismo, da parte repubblicana, mentre, dall’altra parte, si faceva appello alla paura del salto nel buio. Chi vuole la nostra flotta? si chiedeva un manifesto, e la risposta era la Russia di Stalin, la Jugoslavia di Tito, i comunisti francesi; e continuava: Chi è il nemico N. 1 che i comunisti italiani vorrebbero abbattere? "La monarchia, naturalmente, quindi si deve votare per essa". Dalla parte opposta, Pietro Nenni lanciava la parola d’ordine: La Repubblica o il caos. Una particolare considerazione merita il "Candido" di Mosca, Guareschi e altri umoristi provenienti dal "Bertoldo" che, senza fondare un partito politico, costituì un movimento d’opinione, sostanzialmente conservatore e monarchico.


II "Candido" diede ai partiti e all’opinione pubblica anticomunista un vocabolario comune e una serie di slogan e di macchiette destinate a durare, e a fertilizzare i temi della propaganda democristiana di due anni dopo (18 aprile 1948); e ciò, nonostante che il giornale, spesso, prima e dopo il ’48 fosse ben poco tenero.

Altri temi caratteristici della campagna democristiana furono il "lavoratore cristiano" e la famiglia. Bello, serio, aitante il primo, dedito di solito a stroncare i mostri del comunismo e del capitalismo; bella e minacciata la seconda, ma difesa a spada tratta dal Voto cristiano che uccide le serpi del divorzio e del libero amore. 
Il comunismo era visto come una falce e un martello che formano La tagliola al piede del cittadino, o come un teschio nella divisa dell’Armata rossa (VOTA o sarà il tuo padrone), o ancora come un soldato armato di gatto a nove code col pugnale fra i denti: è lui che aspettate? I Comitati civici si diedero l'obiettivo di far votare contro il Fronte popolare i ceti moderati e i non cattolici, i quali dovevano preferire la DC non per motivi ideologici o confessionali, ma come diga contro il comunismo. Perciò i Comitati civici si specializzarono nella propaganda per il voto, riprendendo la vignetta di Guareschi e mostrando uomini e donne infantili (Essi non votano) o pappagalli (Non voto, non voto, non voto). Il simbolo del Fronte, Garibaldi, fu attaccato in vari modi: Chi vota Fronte vota bifronte (l'erma di Giano-Garibaldi ha dietro il ritratto di Stalin); oppure ci s’impadronisce del simbolo avversario con un Garibaldi a cavallo che, alla testa delle camicie rosse, fa scappare Togliatti: Va fuori d’Italia, va fuori o stranier. Si fa anche il verso ai titoli dei film: una pioggia di voti fa volare Nenni e Togliatti Via col voto.

 Lo slogan di maggior successo fu Votate per chi volete, ma votate (sottinteso: "Votate DC"). Un anticipo del cinico appello moderato di Indro Montanelli nel 1976 (Turatevi il naso ma votate DC) fu nel ’48 la slogan che accettava e superava, contemporaneamente, il tradizionale anticlericalismo italiano: Meglio un prete oggi che un boia domani

Vinse la DC con il 48 per cento dei voti, ed ebbe la maggioranza assoluta dei seggi al Senato e, con la S�dtiroler Volkspartei, anche alla Camera. Dall’altra parte, dal 1945 al 1948, si fece ricorso a vecchi strumenti propagandistici, alla forza d’urto del sindacalismo e al "complottismo". L’esempio massimo della prima tendenza è data da un manifesto socialista del ’46, che riprende smaccatamente un antico tema di Prampolini e dei fogli ottocenteschi: su uno sfondo di fabbriche si erge la figura del Cristo, che accanto ha la scritta: Gesù disse ai discepoli "Vi dico in verità: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli". San Matteo. Conclusione: Votate per il SOCIALISMO che redime i poveri dallo sfruttamento dei ricchi. Il sindacalismo aveva slogan semplici e forti, che oscillavano fra il ricordo della fame bellica e lo spettro della disoccupazione attuale, da una parte, e la speranza che si facesse realtà il vecchio sogno dei contadini:
Pane e lavoro
I nostri figli chiedono pane
La terra ai contadini
La terra a chi lavora.
Infine, il "complottismo". Qualunque rigurgito monarchico e conservatore faceva sollevare a sinistra lo spauracchio della reazione, anzi – come si diceva comunemente – delle Forze oscure della reazione in agguato: questa espressione divenne un tale luogo comune del linguaggio di sinistra, che i giornali umoristici la tradussero nella sigla F.O.D.R.I.A.


Quando si arrivò allo scontro elettorale del marzo-aprile 1948, i vecchi temi socialisti scomparvero e la propaganda del Fronte popolare fece leva soprattutto, come si è detto, sulla faccia di Garibaldi. Già nella guerra partigiana si erano chiamate "garibaldine" le formazioni comuniste; perfino in Jugoslavia, dove l'esercito di Tito aveva arruolato nelle proprie file i nostri soldati che si erano sottratti alla deportazione in Germania, venne costituita una divisione Garibaldi. Questi era stato l'eroe veramente popolare del Risorgimento, anticlericale sempre, e socialista almeno dal 1864: poco importava al Fronte se la sua intelligenza politica, molto superiore a quella che sia i mazziniani sia i monarchici gli attribuivano, gli avesse fatto rifiutare l'ipotesi repubblicana già a Milano nel 1848 e scegliere addirittura la formula esplicita "Italia e Vittorio Emanuele" nel 1860. Poco importava: le campagne elettorali non sono corsi di storia.

Altri temi della propaganda di sinistra, nelle elezioni del 1948, furono: la terra ai contadini (manifesto Per il nostro pane quotidianoBasta! Lottiamo – viva la Costituente della terra); e la pace (Per la pace d’ItaliaVotate Fronte democratico popolare) con le varianti dei manifesti commissionati dall’UDI (Unione donne italiane): Per il pane dei tuoi figli – per la rinascita – per la pace – Vota Blocco del Popolo e anche Per una vita migliore – Donne! – Votate per i candidati della rinascita e della pace. Questo della pace divenne, dopo il ’48, uno dei leit-motiven dominanti della propaganda comunista.

 

 continua  >>>>> 

 GIAN LUIGI FALABRINO 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Il testo è tratto dal libro di Gian Luigi Falabrino 
I comunisti mangiano i bambini - 
La storia dello slogan politico

edito da Vallardi-Garzanti in Milano nel 1994

Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
dal direttore di


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