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Palafitticoli - antenati dell’Età del Bronzo - Qui il "Villaggio del Lago di Ledro (TN)

QUANDO I PADANI VIVEVANO
SULLE PALAFITTE

Una dinamica comunità dall’impetuoso sviluppo economico e civile.
Il suo territorio si estendeva oltre le Alpi

di LIONELLO BIANCHI

Gli ultimi sviluppi della politica in Italia ha riportato alla ribalta la più antica civiltà padana, quella delle Terremare, i cui abitanti possono essere a buon diritto considerati i progenitori autentici dei padani odierni, prima dell’arrivo dei Celti (V e IV secolo a.C.) ai quali fa riferimento sovente il leader della Lega Umberto Bossi: nella ricerca delle radici comuni per la Padania bisognerebbe tener conto piuttosto di questa remota civiltà. Si tratta in effetti di una civiltà con vasti e complessi abitati sviluppatisi nell’età del bronzo dalla fine del diciassettesimo al tredicesimo secolo a. C.

Gli insediamenti di queste popolazioni si estendono non solo nella pianura padana e fino all’Umbria ma in tutta Europa. Le terremare erano villaggi di forma quadrangolare, situati generalmente nelle vicinanze di un corso d’acqua, difesi da un terrapieno e da un fossato artificiale spesso di imponenti dimensioni. Le case erano disposte secondo un criterio preordinato e razionale in uno spazio circoscritto che comprendeva anche silos (veri e propri magazzini), pozzi e altre infrastrutture.

Terramara - voce di origine emiliana probabilmente derivata dal termine latino "terra mala" o terra cattiva , come si legge nel Dizionario Enciclopedico Italiano - sta a indicare quei depositi a cumulo di terra grassa e nerastra, costituiti dai resti di estese abitazioni protostoriche.
In base alle ricerche effettuate innanzittutto da L. Pigorini e G. Chierici la denominazione veniva riservata ai vasti insediamenti ritrovati nell’Emilia a ovest del Panario e nella Bassa Lombardia. Furono proprio questi due studiosi i primi a rilevare la struttura di questi agglomerati dopo gli scavi di Castellano di Fontanella nel basso Parmense.

IL VILLAGGIO A FORMA DI TRAPEZIO Il villaggio di Castellano apparve di forma trapezoidale, circondato da un argine e da una fossa. Strade formate da argini di terra battuta, misti a pali e fascine dividevano l’interno dell’abitato in insulae rettangolari; alle due vie principali che correvano da Sud a Nord e da est a Ovest si dava rispettivamente il nome di cardine e di decumano perchè nelle terremare si vedeva l’origine del "castrum" romano. Le insulae erano occupate da capanne costruite su impalcature. A est, all’incrocio delle strade principali, si trovava un’area libera, a pianta rettangolare, ribattezzata dagli studiosi con i nomi latini di arce e templum, circondata da una fossa. Lungo l’asse mediano minore un fosso in fondo al quale c’erano cinque pozzetti in cui si trovavano oggetti e utensili di vario tipo e genere. All’esterno doveva essere collocata la necropoli o la zona di cremazione. Oltrechè a Castellazzo di Fontanellato, gli insediamenti più importanti sono stati rinvenuti nella pianura emiliana (Castione dei Marchesi, Montana dell’Orto) e nel basso Veronese, tutti abitati con caratteristiche simili ad analoghi villaggi ritrovati in Lombardia, tutti villaggi formati da capanne e palafitte.

Definitivamente tramontate le tesi secondo cui le Terremare furono introdotte da un nuovo popolo come pure l’identificazione dei terramaricoli con i latini, come sostenevano Pigorini, Helbig e Chierici, oppure con i liguri secondo la versione di Bruzio. Pure l’ipotesi del Sergi Pinza secondo cui le terremare fossero accampamenti romani costruiti su precedenti abitazioni dell’età del bronzo non trova un valido fondamento.

QUELLE CURIOSE COLLINETTE - Nell’Ottocento il termine terremare venne dato a quelle collinette piene di residui organici da cui i contadini estraevano il concime. Ciò prima della scoperta che quelle collinette in realtà erano i resti di antichi abitati. Sono più di duecento i villaggi terramaricoli conosciuti finora (sono in corso ulteriori ricerche e scavi) nella pianura padana, compresa tra l’Adda e l’Adige nella parte settentrionale e tra il Reno e l’Arda nella zona meridionale. Sono trascorsi ormai quasi tre millenni da quella lontana civiltà ma gli insediamenti sono perfettamente riconoscibili. La forma di collinette - molto simili ai tell del Medio Oriente - tradisce la morfologia originaria e si può ricostruire la toponomastica dei villaggi di quell’epoca: esempi tipici quelli citati di Castione, Castellazzo, Montale e Montana. Tuttavia il paesaggio costituito da queste collinette si distingue molto spesso in campagna, benché lo sfruttamento per l’estrazione del concime da parte dei contadini ne abbia distrutto la maggior parte. Ad ogni buon conto, le fotografie aeree identificano chiaramente la presenza di terrapieni e fossati.

Nonostante le trasformazioni della rete idrografica e la deposizione di sedimento alluvionale abbiano in parte cancellato o sepolto il paesaggio dell’età del bronzo, tuttavia si riesce a procedere alla ricostruzione di tali insediamenti e anche alla loro distribuzione e diffusione su vaste porzioni di territorio. Eccezionale la densità di tali abitati; uguagliata solo un millennio più tardi da quella di epoca romana.

TERRAMARICOLI, GENTE D’INIZIATIVA - Per quanto riguarda la Padania della prima età del bronzo, va detto che era intensamente ricca di boschi e foreste. Fin dai primordi dell’età del medio bronzo, avviene una colonizzazione via via crescente di ogni parte della pianura. Lo sviluppo piuttosto rapido dei terramaricoli provoca una sempre maggiore necessità di legname. Da qui un processo di deforestazione: le strutture perimetrali delle terremare, le case, i loro interni erano in effetti costruiti con il legno, così come gli utensili e gli strumenti di lavoro. Cambia dunque anche il paesaggio proprio in virtù del disboscamento in seguito al progressivo insediamento terramaricolo: ciò è reso chiaro dalla presenza di pollini di alcune sequenze stratigrafiche. Sul concreto, in regioni come Santa Rosa di Poviglio e Tabina di Magreta le specie arboree non superano più del trenta per cento del totale: c’è in questo periodo una vera e propria deforestazione proprio perché c’è anche l’esigenza di ampliare le colture per poter alimentare i popolosi villaggi dei terramaricoli.

ABILISSIMI NELL’USO DEI CANALI - A osservare il sistema abitativo delle terremare si può ricavare una prima e anche immediata impressione, cioè che la disposizione si basa essenzialmente su un accurato uso della topografia della pianura fluviale. Ad ogni buon conto i fiumi non vengono utilizzati solo come vie di collegamento, ma sono sfruttati anche per l’alimentazione dei fossati perimetrali nei quali veniva fatta affluire l’acqua, a protezione del villaggio stesso. Esempi caratteristici si hanno negli insediamenti di Castello di Tartano (provincia di Verona) e di Case Cocconi (Reggio Emilia) dove si hanno veri e propri canali artificiali, disposti concentricamente, che completavano la rete per l’adduzione dell’acqua dai corsi d’acqua ai fossati: era in un certo senso una forma sia pure primordiale di parcellizzazione agraria, che la dice lunga sul livello di cultura del lavoro dei campi raggiunto fin da allora.

I LORO USI E COSTUMI - Solo negli ultimi vent’anni di questo nostro secolo, tuttavia, grazie al progresso degli studi e degli scavi si è giunti alla scoperta che le Terremare erano veri centri abitati e ciò fa sorgere un’epopea che narra della loro esistenza in tutta Europa. La divulgazione della teoria darwiniana (Charles Robert Darwin, 1809-82) circa l’evoluzione della specie rende molto interessante la preistoria anche per quel che riguarda i progressi dell’umanità nell’età del bronzo, proprio in questa civiltà terramaricola.
Secondo Luigi Pigorini, uno dei primi studiosi di preistoria italiana, le Terremare avevano dato origine a Roma. "Una teoria questa - sostiene Andrea Cardarelli, direttore del Museo Archeologico-etnologico di Modena e curatore dell’esposizione al Foro Boario insieme a Maria Bernabò Brea e Mauro Cremaschi - che è venuta a demolire quanto veniva ritenuto durante il regno dei Savoia in Italia: che le origini di Roma potessero essere ricercate in una precedente civiltà settentrionale". D’altronde, quella delle terremare era una civiltà molto sviluppata.
Le popolazioni di quell’epoca - stando ai resti archeologici - oltrechè all’agricoltura si dedicavano alla metallurgia, alla ceramica e alla tessitura. Anche il tenore di vita doveva essere elevato proprio in virtù di queste attività e all’intenso commercio basato sugli scambi con popoli confinanti e anche lontani. Anche se attorno a questi terramaricoli c’è tuttora un fitto mistero, mancando fonti scritte, stando a talune notizie pervenute fino ai giorni nostri, sembra che essi abbiano avuto rapporti con gli Egizi e i Fenici e con i Micenei, che portarono qui le loro ceramiche, o addirittura con popoli dell’estremo nord europeo, e precisamente con gli Scandinavi.

GIOIELLI CHE ALIMENTAVANO LEGGENDE - Tra i prodotti artigianali vanno menzionate le fibule metalliche a forma di "arco di violino", una forma caratteristica, questa, non priva di fascino che ha alimentato talune leggende. Si sono rinvenuti anche spilloni di bronzo, così pure armi tipo pugnali, coltelli, asce, elmi e corazze. Tutti questi manufatti dimostrano una civiltà evoluta, in cui si possono connotare gruppi di potere all’interno dei villaggi. Insomma, l’organizzazione nei vari agglomerati doveva essere quella di uno stato autonomo sulla base di un’oligarchia che governava la popolazione. Ciascun villaggio era collegato con gli altri attraverso frequenti scambi. D’altronde, come si è già detto, i terramaricoli sviluppavano il commercio svolgendo anche un’opera di mediazione tra il Mediterraneo e l’Europa centrale e settentrionale.

Ciò è attestato da un materiale che si trova nelle terremare cioè l’ambra, la resina fossile proveniente da foreste del terziario, soprattutto dell’area baltica. L’aspetto lucente dell’ambra, il suo colore dorato e le sue proprietà elettrostatiche non potevano non attrarre la curiosità e l’attenzione fin da un’età molto antica. In Italia l’uso dell’ambra è accertato probabilmente a cominciare dall’età del bronzo. Difatti, perle di ambra si rinvengono anche negli abitati terramaricoli, specialmente nelle necropoli a inumazione del bronzo medio nell’area veneta dove stanno a rappresentare un preciso status symbol nelle sepolture femminili di rango elevato. Ci sono anche materiali vetrosi, pure oggetto di scambi commerciali. Si ritrovano tra i resti delle terremare bottoni conici in faience o pasta vitrea che si può facilmente presumere di produzione locale, databili all’inizio del bronzo medio.

LE LUNGHE MARCE COMMERCIALI - In seguito, nella più recente età del bronzo, sono frequenti perle e perline in pasta vitrea di diversa forma, quasi sicuramente, almeno in parte, di importazione. Dell’esistenza di traffici a lunga distanza si ha riprova anche dal reperimento di frammenti di ceramica di tipo miceneo negli insediamenti delle cosiddette Valli Grandi Veronesi, che si possono collocare tra la fine del bronzo recente e l’inizio dell’ultimo bronzo, nel periodo cioè in cui le terremare come civiltà stavano volgendo al termine. Soprattutto frequente nell’Italia meridionale, dove probabilmente veniva prodotta, la ceramica micenea costituisce in ambito padano una preziosa rarità. Ma non ci sono soltanto tracce di ceramica di tipo miceneo, si sono ritrovati anche frammenti di ceramica di tipo appenninico, ovvero appartenenti all’ambito culturale che si diffonde nell’Italia peninsulare nella fase più evoluta del bronzo medio. Per parecchi di essi si può pensare siano di vere e proprie importazioni, ma per alcune non si può escludere che siano imitazioni locali. Effettivamente, questi materiali testimoniano di contatti abbastanza frequenti e intensi e di una fitta rete di scambi tra le diverse comunità dell’età del bronzo italiana.

A una diffusione di modelli formali e di influenze culturali è legata la presenza imponente di fogge di tipo subappenninico; l’aspetto culturale presente in Italia centromeridionale nel bronzo recente si ritrova con una certa assiduità nella zona orientale delle terremare.

LE BILANCE CON I PESI DI PIETRA - L’uso della bilancia da parte dei terramaricoli è documentato dalla scoperta di pesi in pietra con tanto di valori ponderali. Ciò sta anche a confermare l’importanza assunta dai traffici e dagli scambi. Questi pesi attestano altresì l’esistenza di un complesso sistema presente oltre che in area padana anche in Egeo e in altre zone d’Italia e d’Europa. Un mondo quello delle terremare pertanto ricco e nient’affatto primitivo. Dovevano esistere anche personaggi in grado di dialogare e di trattare sul piano economico con le culture di altri paesi mediante un codice di riferimento costituito da un similare sistema ponderale. I terramaricoli non erano solo un popolo di agricoltori e artigiani collegati tra loro, ma anche un popolo di commercianti. Purtroppo mancano documenti che illustrino figure di spicco, ma queste non devono essere mancate. Quello delle terremare del resto sembra essere stato un periodo interessante per il circuito di idee, mode oltre che rapporti commerciali in tutta Europa. Si può benissimo immaginare un via vai di mercanti che affrontano le vie fluviali, terrestri e marine per spostarsi da un paese all’altro.

Proprio in quest’età del bronzo si può cominciare a parlare di una vera e propria civiltà continentale, da Nord a Sud: tante sono le relazioni intrecciatesi tra genti più o meno lontane. Ormai la domanda di oggetti e manufatti in metallo o in materiale vetroso al termine del bronzo medio e nel bronzo recente appare molto elevata; c’è quindi l’esigenza di provvedere al costante approvvigionamento di alcune materie prime da scambiare con prodotti finiti o con altre materie prime.

A CACCIA DI MATERIE PRIME - E’ vero altresì che i pesi per bilancia vengono realizzati in pietre che provengono generalmente da zone e da regioni molto lontane da quelle di ritrovamento. Vari tipi di marmo, ma anche alabastro, barite e porfido. Pietre di provenienza alloctona venivano impiegate inoltre anche per la costruzione di oggetti di uso quotidiano, quali macine e pestelli, che erano ricavati preferibilmente da rocce sedimentate e metamorfiche, che non si trovavano certamente in pianura se non in quantità irrilevante. Ecco così che per procurarsele si doveva ricorrere agli affioramenti della zona preapenninica, della val d’Adige e delle colline moreniche gardesane. Anche le conchiglie marine che si ritrovano numerose nelle terremare e dovevano servire come ornamenti, arrivavano presumibilmente dal litorale adriatico e da quello tosco ligure, ma forse anche da affioramenti fossili di età plio-pleistocenica delle fasce collinari emiliane.
Dunque, si può facilmente immaginare che anche queste fossero oggetto di scambio tra le comunità. Una riprova che l’età del bronzo è stata un’epoca di intensa circolazione di materie prime e di persone che ha favorito il divulgarsi, non solo di modelli e di prodotti, ma anche di idee e di riti religiosi. Tale accelerazione che portò l’Europa a un livello di contatti mai raggiunto fino ad allora è stata determinata dall’esigenza di reperire materie prime necessarie per la produzione metallurgica ma ha indotto anche a scambi di prodotti a breve, media e lunga distanza. Si è visto che i manufatti oggetto di scambi erano di materiale pregiato, oro, faience o pasta vitrea e ambra: un evidente segno che a volerseli procurare erano esponenti delle élites di queste comunità, quasi per stabilire una differenza con il resto della popolazione sfoggiando ed esibendo tali oggetti di valore.

PALAFITTE ANCHE SULL’ASCIUTTO - Non solo utensili semplici, ma arredi lussuosi devono esserci stati nelle abitazioni di questi villaggi terramaricoli, le cui strutture attrassero fin dall’inizio l’attenzione di studiosi che proposero varie ipotesi ricostruttive e studi che, dopo oltre un secolo di ricerche e di scavi, hanno trovato la loro fondatezza. Il modello proposto dagli studiosi dell’Ottocento indicava l’esistenza di palafitte sospese sull’acqua ma anche sull’asciutto, circondate da un argine o terrapieno e da un fossato. Effettivamente, dagli scavi più recenti e dalle fotografie aeree si è constatata l’esistenza nelle terremare di un fossato e di un terrapieno perimetrali. Ad ogni buon conto non tutti i terrapieni sono contemporanei alla nascita dei villaggi, ma sono di un periodo successivo.

Quanto alle palafitte, in diversi casi esistono ma sono impiantate anche sul terreno asciutto. Lo si deduce dal fatto che si rilevano negli scavi le buche dei pali di supporto della piattaforma lignea che sorreggeva le abitazioni e cumuli di cenere caduta dal pavimento delle abitazioni attraverso botole dislocate sulla piattaforma, nella zona in cui doveva trovarsi il focolare, costituito per lo più da una piastra d’argilla indurita nel fuoco. Insieme alle palafitte ci sono anche costruzioni impostate direttamente sul terreno con un pavimento di terra battuta parzialmente cotta. In certi villaggi come quelli di Santa Rosa di Poviglio (Reggio Emilia) e Montale, questo tipo lo si trova nella fase più tarda: ma queste abitazioni potevano coesistere, come si attesta a Muraiola (Verona) dove sono venuti alle luce gli esempi migliori. I villaggi terramaricoli venivano organizzati secondo una pianta tendenzialmente ortogonale.
E’ un modello questo adottato dagli insediamenti palafitticoli ampiamente diffuso in tutta l’Europa protostorica. Complessi i depositi archeologici delle terremare come si rileva da un calco di un suolo del villaggio grande di S. Rosa di Poviglio su cui si riconoscono un cumulo di cenere di forma conica dovuto agli scarichi caduti dalla soprastante abitazione e vari resti gettati dalla piattaforma. Ancora più complesse le stratificazioni archeologiche delle terremare di Vicofertile (Parma) e Montale.

di LIONELLO BIANCHI  

 Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente) 
il direttore di
 

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