IL PRIMO FRANCOBOLLO

NASCE IN INGHILTERRA

E LA REGINA VITTORIA VALE SOLO UN PENNY

Esce nel 1840 per porre fine al caos delle tariffe postali

di FEDERICO LUPERI

Oggi, quando si parla di francobolli, si pensa a una cosa comune; un quadratino di carta multicolore che si trova su tutte le lettere e che piace tanto, chissà perché, ai collezionisti di tutto il mondo. Ma dietro quel pezzetto di carta c'è una lunga e avventurosa storia, quella della posta. Una storia che comincia sei o sette secoli fa, quando una delle case più difficili da trovare era proprio una lettera. AI giorno d'oggi forse può sembrare strano, ma allora era proprio così. Infatti devono verificarsi quattro importanti circostanze perché la lettera possa esistere.

Primo, devono essere in molti a saper leggere e scrivere e agli inizi del '900 gli analfabeti erano moltissimi, tanto che uno dei mestieri del tempo era quello della scrivano che per strada, armato di tavolino, sedie, carta, penna e calamaio, per pochi centesimi scriveva sotto dettatura o leggeva lettere.

Secondo, occorre che la gente abbia occasione di allontanarsi da casa, altrimenti non c'è bisogno di scrivere lettere; invece, ancora agli inizi di questo secolo, la maggior parte della gente nasceva, viveva e moriva senza allontanarsi più di tanto dal suo paesello.

Terzo, occorre un materiale comodo per scrivere e non troppo costoso, come purtroppo erano i fogli di papiro o di pergamena. Solo la diffusione in Europa della carta, nel tardo Medioevo, diede una soluzione al problema.

Quarto, occorre qualcuno che porti la lettera da un posto all'altro. Fino al 1500 (e anche dopo) vi furono non pochi problemi in proposito. Le tanto declamate poste dell'antica Roma, dei Persiani o degli imperatori Cinesi erano infatti ben organizzate, rapide, sicure, ma potevano essere utilizzate solo dalle autorità della Stato e solo per I' invio di corrispondenze ufficiali. Tutti gli altri, se proprio dovevano inviare un messaggio, non potevano fare altro che arrangiarsi: i ricchi mandavamo un loro servo o uno schiavo, gli altri approfittavano di qualche viandante, cui affidavano la missiva insieme a un'offerta o con la promessa di una ricompensa da parte del destinatario. Ma era un problema che si poneva di rado, almeno fino all'anno 1000 e anche dopo.

Solo ai tempi di Dante e di Giotto infatti, il rifiorire dei commerci e delle arti e la conseguente nascita di una nuova classe sociale sempre più ricca e potente, la borghesia (cioè gli abitanti dei "borghi", le città), fecero aumentare i bisogni di comunicazioni a distanza. Nacquero allora le cosiddette Poste universitarie e Poste dei mercanti, ossia tanti diversi servizi di trasporto di lettere e plichi, ciascuno organizzato da una singola università o da una corporazione (dei banchieri, dei mercanti di lana, dei macellai ecc.) e naturalmente riservato ai suoi appartenenti. Erano servizi efficienti, specie considerando che erano svolti o per nave o a piedi (per usare i cavalli occorre un'organizzazione con frequenti cambi); e costosi, poiché sovente per poche lettere si doveva pagare un messo disposto a percorrere mezza Europa. Lo si può notare da vari quadri di Hans Holbein, in cui le lettere sono ostentate come un evidente status symbol. Finché qualcuno non si rese conto che il mestiere di corriere poteva essere anche più redditizio se lo si trasformava in un servizio stabile, ben organizzato e aperto a tutti coloro che avevano bisogno di spedire lettere e merci. Tra i primi a capirlo ci furono i Corrieri bergamaschi, poi divenuti Corrieri Veneti, da cui provenne la stirpe dei Tasso, o Taxis, che fornì Mastri di posta a tutta Europa fino alla fine dell'Ottocento.

Ma a quel punto, visto che c'era da guadagnare, imperatori e re, papi e duchi ci misero le mani sopra, inventandosi il cosiddetto ius postale, il diritto di posta. A quei tempi infatti anche le strade e i fiumi erano proprietà reale, era dovuto un pedaggio e di conseguenza solo al re spettava il diritto di utilizzarli per il trasporto di lettere e merci. Di qui sorse l'abitudine di dare in appalto l'organizzazione del servizio postale, in cambio di una cospicua rendita e del trasporto gratuito delle corrispondenze di stato e di quelle di nobili, ecclesiastici, dignitari e tutti coloro che Sua Maestà avrebbe "graziosamente" onorato del privilegio della franchigia postale. Anche per questo fino a tutto il '700 il servizio postate rimase molto costoso, oltre che limitato alle località più importanti o situate lungo le rotte postali, scarsamente sicuro, come tutte le strade e i mari di quel tempo. L'unica garanzia di consegna era data dall'abitudine di lasciar pagare la tassa al destinatario, il quale aveva la possibilità di rifiutare la lettera e non pagare (poteva quindi anche contrattare sul prezzo minacciando di rifiutarla).

Soltanto con la Rivoluzione francese iniziarono i primi miglioramenti, in nome del diritto dei cittadini a servizi più comodi e disponibili per tutti. Si cominciò ad aprire uffici postali anche nei centri minori, chiamando i comuni a collaborare alle spese. Si fissarono tariffe più modiche e non contrattabili e si stabilirono norme precise che limitassero la franchigia. Divennero di largo uso i bolli postali, per controllare località e data dì partenza e d'arrivo e se la tariffa era stata pagata dal mittente (P.P.= Porto pagato). E fu inventata la raccomandazione per offrire maggiori garanzie nella spedizione di titoli, oggetti di valore e anche soldi, visto che le "riconoscenze" o vaglia sarebbero entrati in uso solo più tardi. Malgrado queste migliorie, la posta restava però costosa e complicata.

Le tariffe, catalogate in base alla distanza e al numero dei fogli che componevano la lettera, costringevano a recarsi all'ufficio di posta per conoscere l'importo dovuto, se per caso si voleva pagare in anticipo; di qui l'abitudine di gettare le lettere in buca senza affrancarle, tanto più che la tariffa era la stessa, anche pagando alla consegna. In più, troppe lettere viaggiavano gratis (qualche nobile si faceva persino assumere da banche o grandi ditte col solo compito di apporre sulle lettere la sua riverita firma, che le faceva viaggiare in franchigia) e delle rimanenti non poche venivano rifiutate dal destinatario senza possibilità di rivalersi sul mittente, se non indicato, così che le Poste lavoravano a vuoto.

Tariffe ancor più care si avevano nei rapporti con l'estero, visto che ogni Stato interessato e ogni mezzo di trasporto voleva la sua parte e che le lettere erano considerate una merce qualsiasi, si cui si poteva lucrare. Si racconta che quando il poeta inglese Percy Shelley annegò nel golfo di La Spezia la moglie Mary, scrisse una lettera disperata e anche un po' prolissa a un amico di Londra, il quale per poterla leggere fu costretto a sborsare 4 sterline e 15 scellini, che per un operaio a quell'epoca corrispondeva a quasi un terzo dello stipendio di un intero anno. Le proteste naturalmente non mancavano, specie nei paesi più avanzati dove il progresso industriale aumentava la richiesta di comunicare anche nei ceti medi.

E fu proprio in Gran Bretagna che un educatore dì nome Rowland Hill (nell'immagine accanto), dopo aver ascoltato le veementi accuse del parlamentare Robert Wallace contro gli abusi postali ed essersi attentamente documentato insieme ai fratelli Edvin, Frederic e Matthew, giunse a una sconcertante e semplicissima conclusione: visto che una lettera da Londra a Edimburgo, per cui si pagava più di uno scellino, in realtà costava alle Poste un trentaseiesimo di penny, se tutti avessero pagato (e pagato possibilmente in anticipo), una tassa di un penny sarebbe stata più che sufficiente per coprire le spese di una lettera diretta in qualunque località del Regno Unito! E per semplificare ulteriormente le cose favorendo l'affrancatura anticipata, questa tariffa uniforme si sarebbe calcolata solamente in base al peso,

Le idee di Rowland Hill, pubblicate privatamente nel 1837 in un opuscolo intitolato «La Riforma postale, sua Importanza e Fattibilità», naturalmente non piacquero né alle autorità postali né ai nobili e politici, timorosi di perdere la loro franchigia sulle corrispondenze. Ma ebbero subito il consenso e il pieno appoggio dell'opinione pubblica britannica, in particolare di due importanti gruppi sociali: mercanti e uomini d'affari, per il cui lavoro la posta era fondamentale, e riformatori religiosi, soprattutto protestanti evangelici, per i quali la conoscenza è un modo di avvicinarsi alla santità, quindi la facilità di comunicare è indispensabile per diffondere la conoscenza.

Ci vollero due anni di campagne giornalistiche, di battaglie parlamentari e persino di pubblici sberleffi; come quando, sotto gli occhi della stampa furono spedite a eminenti personaggi due lettere: una di un solo enorme foglio che pagava ovviamente la tariffa semplice e una piccolissima ma composta di due fogli, che perciò pagava il doppio!

Alla fine la grande Riforma postale passò integralmente, anche se per gradi: la prima tariffa uniforme per tutto il Regno, in vigore dal 5 dicembre 1839 fu di 4 pence ogni mezza oncia (15 grammi). Il successo fu tale che già il 10 gennaio 1840 fu ridotta a un penny, come volevano ormai tutti. Restava un problema: quello del pagamento anticipato della tariffa. Per affrancare occorreva infatti recarsi, come prima della riforma, all'ufficio postale per l'apposizione del bollo di avvenuto pagamento; in tal modo il sistema di gettare le lettere in buca senza affrancarle restava sempre il più comodo. Se si voleva invogliare il pubblico a pagare in anticipo bisognava inventare un nuovo sistema più semplice e pratico.

Già nel 1837 nel suo opuscolo Rowland Hill aveva proposto di utilizzare «un pezzo di carta grande abbastanza da contenere il bollo e coperto al retro da una cera vischiosa, che con un po' di umidità il mittente può attaccare al retro della lettera». Il bollo, cioè l'impronta postale indicante la tassa pagata, veniva così usato non solo per affrancare, ma anche come sigillo, al posto della ceralacca o dell'ostia gommata in uso a quei tempi. Era un'idea ancora vaga del francobollo; molto più precisa fu invece quella sottoposta lo stesso anno da un libraio scozzese, James Chalmers, con tanto di saggi e anche sul modo di annullarli mediante il bollo a date; ma Hill non volle mai prenderla in considerazione, neppure in seguito.

A caccia di idee, venne perciò bandito un pubblico concorso, che fruttò 2600 fra disegni, saggi e semplici suggerimenti alcuni dei quali decisamente strampalati come quello (che però piacque molto a Hill) di un francobollo doppio, recante da una parte un buco attraverso il quale applicare la ceralacca del suggello mentre l'altra parte, con il bollo, doveva essere strappata via dagli operatori postali. Alla fine si adottarono due diverse soluzioni: una erano i cosiddetti interi postali, cioè buste e fogli da lettera già affrancati e pronti per l'uso; l'altra era rappresentata da una etichetta gommata, che poteva essere incollata facilmente su qualsiasi lettera, giornale o pacchetto da inoltrare per posta. Francobolli e interi apparvero sei mesi dopo la grande Riforma, il 10 maggio 1840, ma dovevano essere usati solo a partire dal 6 maggio seguente: occorreva infatti lasciare un po' di tempo alla gente per abituarsi alla novità.

Il primo francobollo del mondo è di colore seppia scuro, ha un valore nominale da un penny, reca il profilo della regina Vittoria ed è universalmente conosciuto come "Penny black" (nell'immagine di apertura) Qualcuno fece subito dell'ironia sui francobolli, illustrati con l'effigie della Regina Vittoria: per incollarli occorreva infatti leccare Sua Maestà sul di dietro! Ma andò molto peggio per buste e fogli bollati, che Rowland Hill aveva voluto illustrare con un'allegoria della Posta affidata al pittore William Mulready: l'affollato disegno divenne subito bersaglio dei caricaturisti, che portarono al suo ritiro dopo nemmeno un anno. E a sostituirlo sulle nuove buste postali fu un'impronta a rilievo molto simile a un francobollo.

Il successo della Riforma inglese varcò subito i confini del Regno Unito: la tariffa uniforme in base al peso e il francobollo furono adottati già nel 1843 dai cantoni svizzeri di Zurigo e di Ginevra e dal Brasile, nel 1845 da Basilea, nel 1847 da Mauritius e poi via via e sempre più velocemente da tutti gli altri Paesi. Anche se agli inizi con qualche titubanza: qualcuno, come l'Impero Austro-ungarico, mantenne tariffe differenziate in base alle distanze, anche se ridotte a soli due o tre raggi per evitare le complicazioni del vecchio sistema.

Gli Stati Uniti, prima di emettere francobolli, fecero qualche test a livello locale, con le emissioni spesso molto artigianali di alcuni Postmaster. In Italia quasi tutti gli staterelli che allora si dividevano la penisola introdussero francobolli e tariffe uniformi tra il 1850 e il 1852: il 1º giugno 1850 il Regno Lombardo-Veneto, in contemporanea con l'Austria-Ungheria, il 1º gennaio 1851 il Regno di Sardegna e il 1º aprile seguente il Granducato di Toscana, il 1º gennaio 1852 lo Stato della Chiesa e il 1º giugno dello stesso anno i ducati di Parma e di Modena.

Nel Regno delle due Sicilie le novità postali arrivarono solo molto più tardi; il 1º gennaio 1858 nei domini «di qua dal faro» (Campania, Abruzzo, Puglie, Calabria e Basilicata) e un anno dopo, in Sicilia. Ma con ogni precauzione si pensò bene a quali colori scegliere per le emissioni, in modo che in nessuna affrancatura si potesse, con i francobolli, comporre l'odiato tricolore. Altra attenzione venne posta nell'allestimento dei timbri per l'annullamento dei francobolli: ne venne ideato uno speciale «a ferro di cavallo» in modo che la timbratura non insozzasse la sacra effigie di Sua Maestà riprodotta nel francobollo.

di FEDERICO LUPERI

Ringrazio per l'articolo
il direttore di


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