Il Risorgimento Italiano

Dio - Umanità - Patria - Dovere - Amore
Costanza: complemento d'ogni umana virtù.
L'unità d'Italia mezzo dell'Unità Europea
Questi sono gli estremi termini della mia fede

                                                                                 Giuseppe Mazzini - Luglio 1850
MAZZINI

RIFLESSIONI STORICHE

Le prime opere sul Risorgimento furono scritte dai protagonisti stessi o dai contemporanei più attenti alle vicende che portarono all'Unità d'Italia.
Molti gli  elogiatori "servi" di alcuni potenti; ci camparono per 84 anni.

Proprio per questo, tali opere (diari, resoconti, esaltazione dell'opera di questo o quel personaggio), pur costituendo un interessantissima documentazione di "prima mano", non hanno valore di ricerca storica e hanno anzi contribuito a creare intorno al Risorgimento un alone eroico e retorico privo di basi critiche.

Il naturale risentimento contro il "fenomeno asburgico" ha dato luogo nel tardo Ottocento a una storiografia italiana di parte, con una tendenza a trasformare in mito fatti e personaggi. Quasi sempre assente invece la vera coscienza della nazione, ma solo gli interessi! (uno di questi la "Piemontesizzazione" dell'Italia di Cavour - "se non proprio come despota - contro Mazzini, Garibaldi e lo stesso Vittorio Emanuele - una benevola dittatura sul Parlamento,  la esercitò, disarmandolo con il "connubio" " - Smith)

"La decadenza nostra è tale (uno degli stati più arretrati d'Europa - Ndr.) che per sorgere e lavarcene noi dovremmo desiderare una guerra qualunque, per i nostri interessi" scriveva   lo storico legato al carro sabaudo, Balbo, 1859

"Carlo Alberto é tanto ambizioso quanto vacillante; propende verso il dispotismo e mette in ridicolo i liberali, pretendendo da loro solo gli incensamenti che gli tributano gli intellettuali" . Affermava Metternich - A. Bross - Metternich, rapports,vol. CLXIII)

Gli studi storici d'indirizzo idealistico-crociano hanno allargato il campo di osservazione del Risorgimento cogliendo figure e avvenimenti in rapporto con le più vaste e profonde ragioni della cultura e delle ideologie del tempo. Tale indirizzo é in fondo ricollegabile ad alcuni studi politici ottocenteschi come quello del De Sanctis, che sottolineò le due fondamentali correnti di pensiero direttrici del movimento risorgimentale e ne mise in risalto le ragioni di opposizione: liberalismo e democrazia. Più recentemente si sono sviluppate interpretazioni del Risorgimento più critiche che hanno condotto a vivaci polemiche.
(Ma più che interpretazioni, sono documenti che solo ora si possono leggere)


A una forza tendenza filo-sabauda che esaltava l'unificazione d'Italia come missione nazionale "assunta" (?)  dai Savoia, si contrappose una corrente che vedeva nella stessa azione un progressivo allargamento dello Stato Piemontese secondo le ambizioni secolari della casa regnante. Più energici giudizi negativi sono provenuti da ragioni sociali e morali.
Tra queste tesi é assai significativa quella del Gramsci, per cui il Risorgimento sorto popolare nell'animo dei patrioti, si trasformò (strumentalizzandolo - usandolo a proprio uso)  in una semplice conquista regia a causa dell'incapacità dei pensatori più aperti (mancò il tribuno delle plebi, il dittatore) a coinvolgere le masse nella lotta liberatrice formulando programmi sociali tali da interessare il popolo. (Non dimentichiamo che il 28 gennaio 1915, Mussolini sul Popolo d'Italia, "lui" riscopre il "verbo" mazziniano, la politica delle masse, usa infatti il popolo per la conquista dello Stato),

G. Montanelli
(il nonno del famoso giornalista) già nel 1851 (appena tre anni dopo il '48)  in Appunti storici sulla rivoluzione d'Italia dopo aver additato nel papato il nemico principale della causa italiana, affermava che l'errore principale del '48 era stato quello di aver ridotto la rivoluzione a una questione di confini, mentre il problema centrale era invece quello della libertà interna, insolubile se non si colpiva al cuore il perno della reazione europea, vale a dire la lega degli interessi capitalistici, la "feudalità del denaro": donde la necessità che i democratici italiani si collegassero strettamente con i rivoluzionari, con l'iniziativa "socialista" della Francia.

Mentre le critiche della corrente storica marxista seguita al Gramsci sono di natura sociale, le valutazioni negative dei cattolici nei riguardi del Risorgimento si rivolgono all'insufficienza con cui in quel periodo si affrontarono i problemi morali e religiosi. (ma questo lo possiamo ben capire, l'Italia era un serbatoio di bigotti, e la moralità era un monopolio del cattolicesimo, esercitato da secoli, con prediche dal pulpito fino all'ultimo paesino, e ovviamente con l'insegnamento (anche questo monopolizzato) nelle scuole.

Da entrambe le parti si é guardato al Risorgimento come ad un fenomeno puramente politico che portò alla costituzione di uno Stato cui la comunità era legata da rapporti soprattutto formali e giuridici.

Alcuni storici (Mack, Smith, Valeri) videro addirittura in certe involuzioni dei principi nazionalistici e negli atteggiamenti politici del tardo Risorgimento (per esempio il "connubio" Cavour-Rattazzi),  remote premesse all'affermazione del successivo Fascismo. A tali tesi reagì lo storico Chabod che considerò il periodo fascista tutt'alpiù la conseguenza del decadimento degli ideali risorgimentali e sostenne la corrispondenza tra ideali di libertà e ideali di nazionalità che é nella tradizione della cultura e della civiltà italiana (ma a dire il vero coltivata solo da una sparuta minoranza. La massa (per lo più servile al prete, al latifondista, al notabile) non la poteva di certo coltivare.

Finiti i Savoia, finite le sviolinate dei compiacenti storici,  in un trascinante contrasto con tutta la storiografia di ispirazione savoiarda, poi fascista, i "liberi" storici (così si dichiarano nelle loro pagine) iniziarono a rivalutare la tradizione del pensiero liberale e democratico del risorgimento, recuperando l'apporto essenziale del mazzinianesimo. (Il primo a farlo (subito dopo la famosa "fuga" dei reali l'8 settembre)   fu Salvatorelli, nel 1943, con Pensiero e azione del risorgimento).

E' certo che la nuova Italia realizzata da Cavour fu assai minore di quella auspicata da Mazzini (che per Cavour "era una eresia" - in una lettera privata, sarcasticamente la definì (quella che voleva anche Manin a Venezia) perfino una "corbelleria" . Smith). In luogo della "Italia del Popolo" destinata a una missione civile e religiosa di portata universale, diretta  a rinnovare la grandezza dell'Italia (dirà poi le stesse cose "Il Popolo d'Italia" mussoliniano) si aveva un Paese incapace di portare a fondo il grande conflitto con la cattolicità agitata e la nobiltà ansiosa, invece di promuovere la liberazione di tutte le nazionalità oppresse,  riconosciuta come elemento di stabilità.

In luogo di un'Italia che fosse la patria di tutti gli italiani, si aveva uno stato che consacrava il privilegio politico e sociale di una minoranza e nel quale presto si profilò il problema gravissimo derivante dalla estraneità alla vita politica delle masse contadine, per gran parte ancora soggette (e nel profondo inconsapevolmente legate) all'influsso clericale, e dalla opposizione di quegli strati delusi e sconfitti - neo cittadini - che avevano costituito il nerbo del Partito d'azione mazziniano.

L'Italia unificata dall'iniziativa politica della borghesia settentrionale apparirà presto, al di sotto della mistica dell'Unità, con il duplice volto delle "due Italie" e molti cominceranno a parlare di "conquista" operata dall'una ai danni dell'altra.
(qui non dimentichiamo i forti contrasti del Mazzini nel 1848 quando si pubblica il �Manifesto del Partito Comunista� e nel 1864 assiste alla nascita della Prima Internazionale alla quale partecipa ma la polemica con Marx raggiunge livelli molto alti tanto che il filosofo tedesco accusa Mazzini "li leccare il c... ai borghesi"

Le "annessioni" é uno di questi  aspetti:  evitare di riunire gli italiani in un'assemblea costituente. Uniformità sì, ma introducendo nei territori conquistati - un sistema  notevolmente rigido di centralizzazione basato su Torino. Cioè adottare - senza previa discussione o approvazione parlamentare - la legislazione piemontese, sopprimendo usi e istituti delle regioni "annesse" (ma sarebbe meglio dire "sottomesse" - la lapide a Venezia dopo l'annessione è piuttosto esplicita recita che il Veneto è "sotto i Savoia".
E furono molte le regioni "a credere che il voto affermativo al plebiscito avrebbe significato l'autonomia". Smith).
(Gli austriaci non facevano la stessa cosa? In Italia, in Ungheria, in Cecoslovacchia, in Serbia ecc.)

Singolare anche il "revisionismo" di P. Gobetti (in La rivoluzione liberale, del 1924) che individuava nel Risorgimento, una "rivoluzione fallita", a causa di una "mancata riforma religiosa", che impedendo al liberalismo di farsi democrazia, aveva determinato l'estraneità delle masse popolari dalla lotta politica e aveva portato alla formazione di uno stato che era rimasto un congegno amministrativo nelle mani di pochi privilegiati. In pratica quelli di prima, subito riciclatisi; oltre lo zelo dei parroci nelle campagne - che tuonarono dai pulpiti  predicando il verbo di Pio IX: il no expedit, -  ne eletti, né elettori - questo nel 1861, alle prime elezioni,  rivolgendosi (ingerendosi, perchè forti nell'atavica (e timorata) coscienza popolare religiosa) fuori dallo Stato Pontificio.

Quasi una truffa perpetrata dai primi, e una manifesta ingerenza dei secondi. -  Il 27 GENNAIO   1861 quando si svolsero  le prime elezioni politiche per il primo Parlamento italiano, pesò molto questa presa di posizione della Chiesa, il 43% dei diritti  al voto (che erano già pochi - solo il 2% degli italiani) non si recò alle urne. E pesò molto l'uso della legge elettorale dello Statuto Albertino del 4 marzo 1848 (riuscì a sopravvivere 100 anni, fino al 1946)  fondata sul censo. Votarono così solo 239.000 cittadini, su una popolazione di 25.756.000 (lo 0,9 % dei cittadini).  Fra i deputati eletti nel nuovo Parlamento "democratico" (!?) , 85 erano ex principi, duchi, conti, baroni e marchesi (che non si fecero scrupoli verso la Chiesa che fino al giorno prima aveva dato loro la supremazia del "diritto divino"), 72 avvocati, 52 fra medici e professori universitari, 28 alti ufficiali dell'esercito.
(il primo cittadino italiano senza questi titoli entrerà in Parlamento solo nel 1882).

In Parlamento i Principi non si fecero di certo mancare "foraggio" ai loro "feudi". (casupole furono addebitati agli italiani come palazzi, terreni incolti sassosi furono fatti passare al rimborso come paradisi terrestri).
 Inutile lo sfogo e la ripugnanza del deputato Garibaldi "un governo che è la negazione di Dio. Non fa altro  che l'esattore di tasse, il dilapidatore del denaro pubblico e infine (con tanto opportunismo e ipocrisia) l'agente di un tiranno straniero" (chiaro il  riferimento all'ingerenza di Pio IX).

Mazzini che si era avvicinato molto alla questione operaia pur non condividendo l'impostazione rivoluzionaria e classista del marxismo (altrettanto farà il "socialista" Mussolini, ma questo dopo)   aveva una concezione solidaristica dei rapporti sociali e aveva cercato in tutti i modi di fare del risorgimento un movimento di popolo, lontano dagli intrighi dell'aristocrazia e del clero, che uscite dalla porta rivoluzionaria bagnata   col sangue del  popolo,  rientrava dalla finestra con: 
a) l'ambiguo Statuto che sanciva (art. 24) "il voto a tutti i regnicoli , qualunque sia il loro titolo e grado";  
b) non l'ingerenza della Chiesa fuori dai suoi confini.

Mazzini non voleva una federazione di monarchie ma una repubblica unitaria, non un'imposizione dall'alto, ma una libera autodeterminazione dal basso. 
(Poi nel 1859 scrisse questo bel panegirico al RE )

(Vicenzo Gioberti, l'autoderminazione  la irrideva (Stampava Il Primato Italiano, ma stampava anche altro, per i Principi di nobili natali, e per i Savoia) affermando.
"La democrazia  è la piaga principale dell' Europa,  il vezzo prediletto del secolo; che non bada più al peso e al pregio, non si cura d'altro, che del numero....Il numero accresce la forza, ma non la crea: un branco di pecore è sempre men valido e capace del mandriano che lo guida...La sovranità la si riceve dall'investitura  ereditaria, e per diritto divino, non si fa e non si piglia; un sovrano non può essere creato dai suoi  soggetti, il principe è autonomo rispetto ai sudditi e se ricevesse da loro l'autorità, non sarebbe veramente sovrano, perchè i suoi titoli ripugnerebbero (!) alla sua origine. La sovranità deve essere solamente tramandata, non creata dall'uomo, che non può possederla, perchè lui ne è privo, effettuandosi sempre la trasmissione dall'alto al basso, e non viceversa" "Vincenzo Gioberti, Della Politica, Studio della Filosofia, Tipografia Elvetica, Capolago, 1849).

(gli 85 nobili che si fecero eleggere opportunisticamente invece ripugnarono allegramente la loro origine, pur di sedersi su una poltrona con il (solito e collaudato) bastone di comando)

Sovranità dal Popolo. Ci riuscì (?) poi Mussolini con altri metodi: rivolgendosi all'irrazionalità delle masse e stipulando (lui noto anticlericale! a Genova persino bestemmiatore) con la Chiesa utili concordati "....pur non minando l'interno la Chiesa, perchè il fascismo era una falsa nuova ideologia. Infatti il fascismo non ha nemmeno scalfito la Chiesa"  (Pasolini) come aveva già fatto la nuova borghesia prima di Mussolini (e seguiterà a farlo dopo di lui).

" Dello Stato borghese dell'Unità d'Italia così proseguiva Pasolini  "La Chiesa poi - commettendo un grande errore  storico - accetterà lo Stato borghese  al posto di quello monarchicio o feudale - concedendo ad esso il suo consenso e il suo appoggio, senza il quale, il potere statale non avrebbe potuto sussistere: per far questo la Chiesa doveva ammettere e approvare l'esigenza liberale e la formalità democratica: cose che ammetteva e approvava solo a patto di ottenere dal potere la tacita autorizzazione a limitarle e a sopprimerle. Autorizzazioni, d'altra parte, che il potere borghese concedeva di tutto cuore. Infatti il suo patto con la Chiesa in qualità di "instrumentum regni" in altro non consisteva che in questo: mascherare il proprio sostanziale illiberismo e la propria  sostanziale antidemocraticità affidando (era comodo)  la funzione illiberale e antidemocratica alla Chiesa, accettata in malafede come superiore istituzione religiosa. Un patto col Diavolo quello della Chiesa, cioè fatto con lo Stato borghese. Non c'é contraddizione più scandalosa infatti che quella tra religione e borghesia, essendo quest'ultima il contrario della religione (la evangelica). Il potere monarchico o feudale lo era di meno. Lo stesso fascismo in quanto momento regressivo del capitalismo, fu meno diabolico..... Questo errore la Chiesa  lo pagherà poi con il suo declino. La Borghesia rappresentava un nuovo spirito; un nuovo spirito che si sarebbe mostrato dapprima competitivo con quello religioso (salvandone solo il clericalismo) e avrebbe finito poi col "prendere il suo posto" nel fornire agli uomini una visione totale e unica della vita, (e col non avere più bisogno quindi nemmeno più del clericalismo come strumento di potere - "

"l�Azione Cattolica, per la quale sono stati fatti tanti sacrifici, non è più nostra" affermava Pio XII nel vedersi sfuggire di mano le masse, incantate da una abile DC
(vedi GEDDA)... "

"Il nuovo potere borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e  puramente terreno é quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo. Quindi poco spazio per la Chiesa e per la religione. Il futuro appartiene a loro, a questa borghesia, che non ha più bisogno di detenere il potere con gli strumenti classici; non sanno più cosa farsene" (Pasolini, Il folle slogan dei Jeans Jesus, Corriere d. S., 17-5-1973 ).

Lo stesso Garibaldi pur accentuando il suo repubblicanesimo e il suo anticlericalismo, come deputato della nuova Italia, divenne insofferente ai compromessi della politica,  indignato dalla corruzione del mondo parlamentare, e profondamente deluso della debolezza dei governi, si dimise clamorosamente. Poi sul giornale romano La Capitale fu impietoso "Non voglio essere tra i legislatori di un Paese dove la libertà é calpestata e la legge non serve nella sua applicazione che a garantire la libertà a quelli che sono stati sempre i nemici dell'unità d'Italia (si riferiva agli 85 principi seduti in Parlamento!?). Tutt'altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all'interno e umiliata all'estero". (Ma anche il Garibaldi (quello populista) tentò di fare il dittatore;  e le sue stesse parole le usò poi il più energico  e abile (ma non così diabolico come i borghesi) Mussolini - figlio del popolo, ex socialista).

La  scomparsa di Garibaldi, nel 1882, coincise con l'anno del "trasformismo" palese; con i patti oscuri con la Chiesa; con l'anno della Triplice Alleanza (oggetto di tanti guai); poi verrà anche  la prima impresa in Africa. Con gli italiani - repentinamente - mandati a combattere (é la prima volta, ma d'ora in avanti sarà una regola) non più per l'Unità d'Italia ma per fare né più né meno, quello che gli stranieri da trecento anni avevano fatto in Italia; il colonialismo!  con la scusa di portare la civiltà ai "selvaggi",   rinnegando così tutti gli ideali umanitari del Risorgimento in nome di esclusivi ideali di potenza, di grandezza, di imperialismo e di sopraffazione.

Risultati: un fallimento dietro l'altro, fino all'ultima avventura del 1940-1945. Conclusasi nel modo più tragico per il popolo italiano, e nel modo più disonorevole per i governanti, con in prima fila i SAVOIA ! (i borghesi zitti, o già riparati all'estero con parenti e averi).

Falso quell' "Non siamo insensibili al grido di dolore che si leva dal popolo italiano" (10-1-1859)

Altrettanto  falso  "La nostra ambizione é quella di essere il primo soldato  del regno d'Italia" (29-4-1859)

Queste le frasi dei Savoia quando salirono sul trono a Torino.
Poi l'8 settembre del '43 non ci fu tanta sensibilità, e in quanto a essere il primo soldato, l'impegno fu mantenuto, Vittorio Emanuele III e il figlio Umberto,  furono i primi a "scappare".

Il Re dimenticò anche cosa aveva detto suo nonno Vittorio Emanuele II a Napoleone III:
"La mia sorte è congiunta a quella del popolo italiano; possiamo soccombere, tradire non mai. I Solferino e San Martino, riscattano tal volta le Novara e Waterloo, ma le apostasie dei Principi sono irreparabili. Io potrò dunque restar solo nella grande lotta in cui la M. V. aveva cominciato per darmi la mano: ma resterò. Perocché se la M. V., forte dell’ammirazione del suo popolo, non ha nulla a fare per la riconoscenza della simpatia dell’alleanza del popolo italiano, io sono commosso nel profondo dell’anima mia dalla fede, dall’amore che questo nobile e sventurato popolo ha in me riposto; e piuttosto che venirgli meno, spezzo la mia spada e getto la mia corona come il mio augusto genitore". (INTERO TESTO DELLA LETTERA - QUI).

Mazzini non si era sbagliato! Per quarant'anni lo aveva gridato! Gli italiani lo capirono 84 anni dopo! (ma anche lui però, di colpe ne aveva: il panegirico del 1859!)
I Savoia  iniziarono la dinastia  con un tradimento (anno 1032 vedi)  e con un tradimento  la conclusero. (Gioberti, in quell'"investitura dinastica e divina" dei Principi, indubbiamente commise qualche (molto ingenuo) errore. Eppure era un grande filosofo!)

(naturalmente questo lo pensa solo una parte di italiani, non nobili, nè borghesi)

 

LA DOMMATICA DI MAZZINI > > > >

 

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