Nel corso del XX congresso del PCUS che si tiene a Mosca dal 14 al 25 febbraio 1956, Kruscev legge il " rapporto segreto" sui crimini di Stalin, attaccando il "culto della personalità"

"Il rapporto di Kruscev, sottolineando le sofferenze di tanti comunisti che appartenevano all'incirca alla stessa generazione di molti delegati del XX congresso, mirava accortamente a conquistare le loro simpatie.

Se il Presidium aveva avuto delle perplessità circa l'accoglienza che il congresso avrebbe riservato all'attacco contro Stalin, si può immaginare quali fossero le sue apprensioni per la reazione dei cittadini.
Alla stampa non fu data alcuna notizia della speciale seduta a porte chiuse in cui Kruscev aveva presentato lo storico documento. Alle organizzazioni furono distribuite copie numerate con l'ordine di restituirle.  Ma sembra che le versioni furono più d'una. E' da ritenere che le organizzazioni meno importanti dovettero accontentarsi di una versione addomesticata.  Anche i partiti comunisti stranieri furono autorizzati a leggere copie del rapporto, finchè in giugno si arrivò alla sua pubblicazione in Occidente.
La leadership sovietica non volle confermare l'esattezza di questo testo (di cui sotto ne riportiamo alcune parti), ma nello stesso giugno rese nota la breve risoluzione con cui il congresso aveva approvato l'attacco al "culto della personalità"  (senza mai fare il nome di Stalin). In questa risoluzione non c'era traccia della drammatica indignazione che aveva permeato le parole di Kruschev, così come mancavano i clamorosi esempi di torture e falsificazioni imputate a Stalin. (Stalin, vol. 6, di Robert McNeal, Fabbri ed. 1980)

"In Italia il giudizio di Stalin rimase per i comunisti una questione aperta. L'Unità, organo ufficiale del partito comunista, si astenne dal pronunciare un giudizio definitivo sulla figura del dittatore  anche se vide nell'affermarsi del suo potere una deviazione dal pensiero di Lenin, e pur riconoscendone le innegabili realizzazioni, lasciò aperta la questione se gli stessi risultati avrebbero potuto venire raggiunti senza imporre al popolo russo gli stessi immani sacrifici, le stesse inenarrabili sofferenze". Scrisse Giuseppe Boffa.

Togliatti "Anche se fa di tutto per mostrarsi sereno, il segretario - che fra l'altro non ha mai amato la verbosità sciamannata e un po' confusionaria di Kruscev - è letteralmente fuori si sè. Dopo aver pilotato il suo partito, il più forte partito comunista dell'Occidente, sfuggendo a un'infinità di insidie e uscendo indenne dalla disfatta del 1948 e dalla crisi coreana, ora teme che per l'irresponsabilità di un ucraino chiacchierone tutto ciò che ha costruito finisca per crollargli addosso. Il mito di Stalin e del paradiso sovietico, infatti, è un ingrediente necessario del successo del PCI...    Togliatti, in altri termini, ha paura che la denuncia del "culto della personalità" -con ciò che ne deriva, vale a dire l'affacciarsi pur nebuloso dell'immagine di un regime dispotico- demoralizzi bruscamente quelle "masse" a cui il partito ha chiesto e ancora sta chiedendo cospicui sacrifici in nome della speranza in una società senza classi.
Ritornato in Italia il leader predispone secondo il suo stile un'informazione soft - in bilico tra il dire e il non dire, e intessuta di allusioni e obliquità - che peraltro non soddisfa i suoi luogotenenti più impulsivi o più candidi, come Giorgio Amendola e Giancarlo Paietta. Quando poi il 4 luglio sul New York Times viene pubblicato il "rapporto segreto", appare evidente che Togliatti non può più tacere, fingere o sorvolare" .

In Italia, come tanti altri giornali che hanno ripreso l'articolo del Times  anche  l' 'Unità del 4 luglio,  su nove colonne titola "La risoluzione del Comitato centrale del PCUS sulle origini e le conseguenze del culto della personalità";  cioè una pagina intera interna con un titolo nel quale manca però il nome di Stalin.

Su "Nuovi Argomenti" il segretario del PC italiano, afferma che la critica al culto della personalità non deve significare "buttare a mare" tutto il passato; definisce il "culto" come il sovrapporsi di un potere personale alle istanze democratiche collegiali e lo identifica con l'accumularsi di fenomeni di burocratizzazione, violazione della legalità e degenerazione dell'organismo sociale; afferma che il processo di costruzione della società socialista va nella giusta direzione, anche se gli errori denunciati da Kruscev "non possono non avere seriamente limitato i successi della sua applicazione"
Quel "degenerazione" e l'intera intervista suscitò la reazione di Kruscev che gli fece pervenire una lettera (resa nota molti anni dopo).

L'intervista, il "rapporto", i commenti dall'estero, le polemiche degli intellettuali, gli attacchi, fanno infuriare Togliatti. Un intervento critico sul comportamento del Segretario del deputato Onofri al comitato centrale del PCI viene bloccato, ma si trasforma su Rinascita  in un articolo: Un'inammissibile attacco alla politica del PC italiano, e una nota di Togliatti stesso.  Onofri sostiene che le difficoltà in cui si viene a trovare ora il Pc italiano, sta nel fatto di avere abbandonato Togliatti, a partire dal 1947, la linea della vita italiana al socialismo (lo dirà anche Amendola). Inoltre Onofri insinua che quella praticata in Italia sia stata imposta a Togliatti dai sovietici. Togliatti replica,  nega e rimprovera l'insinuazione

Ma ricordiamo che all'epoca dei grandi processi, Togliatti viveva esule a Mosca e faceva parte del gruppo dirigente dell'Internazionale comunista e condivise le scelte imposte da Stalin. Rientrò in Italia nel 1944.
(solo nel 1964 -anno della sua morte- formulò con il suo "Memoriale di Jalta"  giudizi severi sul modello sovietico ed espresse  ampie critiche ai paesi socialisti). 


Non erano ancora cessate le polemiche, quando nello stesso mese, il 28 giugno a complicare le cose, scoppia una rivolta di operai in Polonia. Poi il 23 ottobre ha inizio la rivolta d'Ungheria. Il 3 novembre i sovietici (di Kruscev) invadono il paese. L'Unità  esce con un titolo "Da una parte della barricata a difesa del socialismo"  e indica la rivolta come  "un putsch controrivoluzionario" della vecchia Ungheria "fascista e reazionaria"..."Un complotto del capitalismo internazionale"..."Una propaganda di agenti imperialisti".
Passano poche ore, e  centouno intellettuali del PCI, rivolgono un appello al Comitato del PCI a rinnovarsi;  ritengono calunniosa la definizione data alla rivolta;  e criticano i metodi coercitivi e illiberali dello "stalinismo" nel "partito di casa". ("Stalinista"  è ormai un diffuso aggettivo, usato come epiteto capace di troncare ogni discussione).

Da notare che Di Vittorio (della Cgil) aveva affermato " se non ci fosse un malcontento diffuso e profondo nella massa di operai, i provocatori sarebbero stati facilmente isolati. La gravità della situazione pertanto è data dall'esistenza di quel malcontento...non da agenti provocatori"
Passano pochi giorni e dalla Polonia, Evard Ochab dichiara " La settima Assemblea Plenaria del Comitato centrale tiene il suo consiglio tre settimane dopo i dolorosi incidenti di Poznam. Nella valutazione dei motivi di questi incidenti sarebbe errato richiamare innanzi tutto l'attenzione sulle macchinazioni di provocatori o agenti imperialisti. E' necessario prima di ciò indagare sulle radici sociali di tali incidenti, che sono divenuti per il nostro partito un segno e un avviso dell'esistenza di gravi perturbazioni, fra partito stesso e diversi gruppi della classe lavoratrice".

E se lo dicono loro! Ma Togliatti insiste!! Vede lucciole per lanterne!

Giolitti, Onofri, Diaz. Sapegno, Purificato, Crisafulli e molti altri senza far rumore (e 200.000 iscritti) uscirono dal PCI l'anno seguente, Nergaville fu emarginato.  Togliatti all' VIII congresso del Pci vince la battaglia contro i suoi critici, depreca i "ribelli" (li chiama "revisionisti di destra"), e tenta di rilanciare la strategia della via italiana al socialismo (che era poi quella che invocavano Onofri,  Amendola. Giolitti ("democrazia progressiva", " effettiva libertà di opinione e di discussione" ).
Inaugura il "policentrismo"  (centri regionali) e  rinnova profondamente gli organi dirigenti (con la bocca tappata - non bisogna nutrire dubbi sulla rivolta d'Ungheria- "è  lecito l'intervento sovietico", "è stata una dura necessità") . Togliatti si arrocca, non cede, crede di aver chiuso la partita, ma in molti è finito un idillio.  Inoltre l'atteggiamento di Togliatti è manna per  Nenni che al congresso del PSI  con un vibrante discorso mette i paletti con i comunisti, elimina il "sospetto della doppiezza", crea la netta spaccatura a sinistra, e non esclude, anzi ricerca e sollecita l'intesa con quelle forze  che faciliteranno al Psi "l'incontro storico" fra cattolici e socialisti e anche la riunificazione dei socialisti democratici.

Le conseguenze di questo rapporto e i successivi contemporanei  gravi fatti polacchi e ungheresi,  fanno subire a tutto il mondo della sinistra italiana -da questo 1956 in poi- un profondo mutamento.


Alcune parti del discorso di Kruscev, nel documento pubblicato il 4 luglio 
dal Dipartimento di Stato americano 
e subito dopo dal New York Times.

 "Stalin non operava mediante una chiara spiegazione e una paziente collaborazione con gli altri, ma attraverso l'intrigo con la gente quali Kamenev e Zinov, al tempo in cui stava fondando la propria potenza e, successivamente, imponendo le proprie vedute ed esigendo una assoluta sottomissione ai suoi voleri. Chiunque si opponesse a tali vedute o cercasse di far valere il proprio punto di vista e la validità della propria posizione era destinato ad essere eliminato dagli organi collegiali direttivi e, di conseguenza, ad essere annientato moralmente e fisicamente. Questo si verificò particolarmente durante il periodo che seguì il XVII Congresso del Partito, quando molti illustri dirigenti e membri del Partito, onesti e sinceramente dediti alla causa del comunismo, rimasero vittime del dispotismo di Stalin.

Il Partito condusse una grande lotta politica ed ideologica contro coloro che nei suoi stessi ranghi proponevano tesi anti leniniste e rappresentavano una linea politica ostile al Partito e alla causa del socialismo. Fu questa una lotta tenace e difficile, ma necessaria, perchè la linea politica sia del blocco dei fautori di Troskij e di Zinov, sia dei buchariniani, portava in realtà ad una restaurazione del capitalismo e ad una capitolazione di fronte alla borghesia mondiale.     
Fu Stalin a formulare il concetto di "nemico del popolo". Questo termine rese automaticamente superfluo che gli errori ideologici di uno o più uomini implicati in una controversia venissero provati. Questo termine rese possibile l'uso della repressione più crudele, in violazione di tutte le norme della legalità rivoluzionaria, contro coloro che fossero appena sospetti di intenzioni ostili, contro coloro che non godessero di buona fama. Il concetto di "nemico del popolo" eliminò praticamente la possibilità di qualsiasi forma di battaglia ideologica.
Tutti sanno come Lenin fosse implacabile con i nemici ideologici del marxismo, con i deviazionisti della linea ufficiale del Partito. Nello stesso tempo, tuttavia, Lenin, come risulta evidente dal suddetto documento, nella sua azione direttiva del Partito esigeva il più intimo contatto del Partito stesso con coloro che avevano manifestato delle incertezze o un temporaneo non conformismo con la linea del Partito, ma che era possibile riportare sulla via retta. Lenin suggeriva che costoro venissero pazientemente rieducati, senza ricorrere all'applicazione di misure estreme.

La saggezza di Lenin nei rapporti con gli altri risulta evidente nel suo lavoro con i quadri del Partito.
Un rapporto del tutto diverso con gli altri caratterizza invece Stalin. Il quale ripudiò il metodo leninista della persuasione e dell'educazione, abbandonò il metodo della lotta ideologica sostituendolo con quello della violenza statale, della repressione in massa e del terrore. Egli agì, su scala sempre più vasta e con sempre maggior arbitrio, attraverso gli organi repressivi, violando spesso, nello stesso tempo, tutte le norme esistenti della morale e della legge sovietica.
Disponendo di un potere illimitato egli si abbandonava a gravi arbitri e riduceva la persona moralmente e fisicamente al silenzio. Noi eravamo tutti sottoposti a situazioni, in cui non potevamo esprimere la nostra volontà personale.
Quando Stalin diceva questo o quello doveva essere arrestato, noi dovevamo accettare la tesi che si trattasse di un "nemico del popolo". Nel frattempo la cricca di Beria, che dirigeva gli organi della sicurezza dello Stato, superava se stessa nel provare la colpevolezza degli arrestati a validità dei materiali che essa stessa falsificava.. E quali prove venivano offerte? Le confessioni degli arrestati; e i giudici istruttori accettavano tali "confessioni". Come è possibile che una persona confessi dei crimini che non ha commesso? Soltanto in un modo, e cioè in seguito all'applicazione su di lui di metodi di pressione fisica, sottoponendolo cioè a torture, riducendolo a uno stato di incoscienza, privandolo della facoltà di pensare, spogliandolo della sua dignità umana. In questo modo venivano ottenute le "confessioni".
La somma dei poteri accumulatasi nelle mani di una sola persona - Stalin - determinò gravi conseguenze durante la grande guerra patriottica.
Durante e dopo la guerra, Stalin sostenne la tesi che la tragedia vissuta dalla nostra patria, fu il risultato dell'attacco "inatteso" dei tedeschi contro l'Unione Sovietica. Senonchè, compagni, ciò è assolutamente falso. Appena conquistato il potere in Germania, Hitler si era imposto il compito di liquidare il comunismo. I fascisti lo dichiaravano apertamente, e non facevano mistero dei loro disegni. Per il conseguimento di questo loro fine aggressivo, diedero vita ad ogni sorta di patti e di blocchi, come il famoso asse Berlino-Roma-Tokyo. ;olti fatti del periodo prebellico stavano a dimostrare chiaramente che Hitler si preparava ad iniziare una guerra contro lo Stato sovietico e che aveva ammassato grandi concentramenti di truppe e di unità corazzate presso i confini dell'Urss.
Dobbiamo anche dire che dopo la guerra la situazione si era fatta ancora più complicata. Stalin era divenuto ancora più capriccioso, irritabile e brutale e, in particolare, ancora più sospettoso. La sua mania di persecuzione raggiunse limiti incredibili. Molti collaboratori si trasformarono sotto i suoi occhi in nemici. Dopo al guerra, Stalin si staccò ancora di più dalla direzione collegiale.

Compagni! Allo scopo di non ripetere gli errori del passato, il Comitato centrale si è risolutamente pronunciato contro il culto della personalità. Noi riteniamo che Stalin sia stato troppo esaltato. Tuttavia Stalin rese senza dubbio, in passato, grandi servigi al Partito, alla classe lavoratrice al movimento operaio internazionale". 

 

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