IL MASSACRO DI KATYN

Nel 1940, su ordine di Stalin, dopo la spartizione del territorio con Hitler

UN COLPO ALLA NUCA PER VENTIDUEMILA



UFFICIALI POLACCHI

 

Nella primavera del 1940, nella foresta di Katyn, in Polonia, vennero giustiziati più di 22.000 prigionieri di guerra polacchi.
Rimasto ignoto all'opinione pubblica per tre anni, l'eccidio fu reso noto al mondo nella primavera del 1943 dalla radio tedesca.
Alle 9.15 del mattino,
ora di New York, la propaganda nazista rendeva noto, come quattro giorni prima il ministro Joseph Goebbels annotava nel suo diario, che " vicino a Smolensk sono state trovate delle fosse comuni piene di cadaveri polacchi. (la foto sopra). I bolscevichi hanno semplicemente ucciso circa 10.000 prigionieri seppellendoli alla rinfusa in fosse comuni". I responsabili dell'eccidio, quindi, erano i sovietici.
Gli sventurati erano stati freddati con un preciso colpo alla nuca e gettati in diverse fosse comuni, un'intera generazione di ufficiali, appartenenti alla borghesia e all'intellighenzia polacca. Per più di cinquant'anni quest'eccidio è rimasto avvolto nel mistero e nella menzogna. A chi apparteneva la regìa di questo crimine? A quale delle due dittature che si erano gettate di comune accordo sulle spoglie della Polonia, spettava la responsabilità di quanto accaduto alla Germania Nazista o alla Russia comunista?
La versione dei tedeschi non fu accettata, gli alleati non vollero credere alla responsabilità russa.


L'apertura degli archivi sovietici dopo il crollo del regime, ha permesso di togliere il velo della menzogna alla verità di Katyn. Già negli ultimi mesi di glasnost gorbacioviana questa verità appariva sempre più difficile da nascondere. Con l'avvento al potere di Eltsin, e la denuncia del PCUS come organizzazione criminale, finalmente è emersa una documentazione agghiacciante dalla quale si può comprendere, in più larga scala, gli stessi meccanismi criminali di un sistema totalitario.

"Varsavia, 17 febbraio - Un documento della Croce Rossa polacca (CRP), datato giugno 1943 e pubblicato ora dal settimanale "Odrodzeine", indica come data probabile del massacro di migliaia di ufficiali polacchi nella foresta di Katyn, ora in Bielorussia, il periodo marzo-maggio 1940, ciò che suggerisce una chiara responsabilità dei societici e non dei tedeschi, come fin qui sostenuto dalla propaganda comunista. In seguito all'invasione della Polonia da parte degli eserciti hitleriani nel settembre del 1939, l'Urss occupò i territori orientali della Polonia, inclusa la regione dove sorge la foresta di Katyn. Il rapporto, redatto dal segretario della Crp, Kazimierz Skarzynski, fu da questi presentato al consiglio generale della Croce Rossa polacca nel giugno del 1943. Nel 1945, scrive Odrodzeine, una copia unica fu consegnata all'incaricato d'affari britannico a Varsavia e quindi trasmessa a Londra nel 1946. E' stata ora ritrovata da un ricercatore polacco negli archivi del Foreign Office" (Comun. Ansa, 17 febbraio 1989, ore 14.09).

"Varsavia - Il documento fu celato al governo polacco in esilio a Londra durante la guerra per non turbare le relazioni della Gran Bretagna con Mosca. In un commento, datato 1945 e allegato al rapporto, Skarzynski indicava chiaramente la responsabilità sovietica. La commissione della Crp si era al contrario rifiutata di indicare i responsabili dell'eccidio, per evitare di giovare alla propaganda tedesca". (Ib. ore 14.11)

"Londra - Radio Mosca ha ammesso per la prima volta la responsabilità della polizia segreta sovietica nel massacro di Katyn. La radio ha aggiunto che da "parte sovietica si esprime il più profondo rincrescimento per la tragedia che viene giudicata uno dei peggiori crimini dello stalinismo". ( Ib 13 aprile, ore 02.13)

Ndr. Francomputer


Qui una pagina di FERRUCCIO GATTUSO

IL MASSACRO DI KATYN

Nella primavera del 1940, nella foresta di Katyn, in Polonia, vennero giustiziati più di 22.000 prigionieri di guerra polacchi. Legati con speciali nodi che bloccavano i polsi e la gola, vennero tutti freddati con un preciso colpo alla nuca e gettati in diverse fosse comuni. Si trattava di un'intera generazione di ufficiali, appartenenti alla borghesia e all'intellighenzia polacca, tutta la dirigenza militare di un paese. Questa operazione "scientifica", realizzata da abilissimi professionisti dell'esecuzione, è rimasta per più di cinquant'anni avvolta nel mistero. E nella menzogna. A chi apparteneva la regìa di questo crimine? A quale delle due dittature che si erano gettate di comune accordo sulle spoglie della Polonia, la Germania nazista e la Russia comunista, spettava la responsabilità di quanto accaduto? Rimasto ignoto all'opinione pubblica per tre anni, l'eccidio fu reso noto al mondo nella primavera del 1943 dalla radio tedesca.


Alle 9.15 del mattino, ora di New York, la propaganda nazista rendeva noto, come quattro giorni prima il ministro Joseph Goebbels annotava nel suo diario, che " vicino a Smolensk sono state trovate delle fosse comuni piene di cadaveri polacchi. (la foto sopra). I bolscevichi hanno semplicemente ucciso circa 10.000 prigionieri seppellendoli alla rinfusa in fosse comuni". I responsabili dell'eccidio, quindi, erano i sovietici. Questa verità, semplicemente poiché proveniva da un regime criminale come quello nazista (e per ragioni di realpolitik che in seguito vedremo), non fu accettata. Il regime stalinista, e gli alleati occidentali, dapprima non vollero credere alla responsabilità russa nell'eccidio, e in seguito fecero di tutto per insabbiare quella che ormai a tutti i polacchi sembrava un fatto assodato: era stata la famigerata NKVD - la polizia politica comunista - ad eseguire il lavoro. Su preciso ordine della dirigenza sovietica, e sulla base di indicazioni, consigli, e lo zelante contributo di comunisti polacchi. L'apertura degli archivi sovietici dopo il crollo del regime, nel 1991, ha permesso di togliere il velo della menzogna alla verità di Katyn. Già negli ultimi mesi di glasnost gorbacioviana questa verità appariva sempre più difficile da nascondere. Con l'avvento al potere di Eltsin, e la denuncia del PCUS come organizzazione criminale, finalmente è emersa una documentazione agghiacciante dalla quale si può comprendere, in più larga scala, gli stessi meccanismi criminali di un sistema totalitario.


Come, cioè, l'eliminazione di alcune categorie (sociali per i comunisti, razziali per i nazisti) fosse una prassi scientificamente elaborata a tavolino, e altrettanto scientificamente attuata. "Visto sullo sfondo della storia sovietica - scrive lo storico polacco Victor Zaslavsky, autore de Il massacro di Katyn, di recente pubblicazione - , con avvenimenti quali la liquidazione dei kulaki come classe o la fucilazione di più di un milione di persone, inclusi 44.000 alti militari, durante il grande terrore tra il 1937 e il 1939, o le deportazioni di intere popolazioni negli ultimi anni della guerra - Katyn perde la sua eccezionalità, assumendo il carattere di un'atrocità comune, un crimine qualunque dello stalinismo. Visto nel quadro dei rapporti internazionali, il massacro di Katyn rimane invece uno degli episodi più significativi della seconda guerra mondiale". L'esempio di Katyn porta anche ad una riflessione importante. Al di là di strumentali polemiche sul termine revisionismo, che ha contrapposto molti studiosi, non si può fare a meno di considerare che l'apertura degli archivi sovietici costituisce uno stimolo a riconsiderare alcune analisi storiche di questo secolo. Collegando astutamente, all'interno del termine, l'assurda negazione dell'Olocausto con una legittima ricerca di nuovi documenti che possono cambiare alcune verità assodate, una certa scuola di pensiero ha voluto mettere in un angolo, relegandole al rango di notizie di poco conto, alcune scoperte storiche emerse dalle carte segrete del PCUS e degli altri partiti comunisti dell'Est. Se oggi la tesi ufficiale - che per cinquant'anni ha imputato il massacro di Katyn ai tedeschi - è apparsa in tutta la sua menzogna, è solo grazie a quegli studiosi che hanno voluto scavare nei nuovi archivi, e che hanno voluto rivedere alcuni frammenti della nostra storia.


Il massacro di Katyn, e il suo silenzio, sono figli di due "alleanze innaturali". La prima (forse meno innaturale di quanto si pensi) fu quella nata dal Patto von Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, con il quale Hitler e Stalin di comune accordo si dividevano la Polonia e stabilivano una politica di collaborazione strategica. La seconda fu quella tra l'Unione Sovietica e le democrazie occidentali, giustificata dalla minaccia nazista, e che si venne a concretizzare solo dopo l'attacco tedesco alla Russia nell'estate del 1940. Non c'è dubbio che il patto tra tedeschi e sovietici costituì il seme che fecondò la Seconda Guerra Mondiale. Dall'avvicinamento tra le diplomazie naziste e comuniste dell'estate 1939 nacque l'invasione tedesca della Polonia, in quel tragico venerdì 1 settembre. Il punto secondo del protocollo segreto tra i due regimi prevedeva proprio la spartizione della Polonia. Da esso venne anche un plateale voltafaccia del movimento comunista internazionale. Dapprima scagliatisi contro l'invasione tedesca (basti ricordare l'impeto del francese Thorez che proclamava "il desiderio di tutti i comunisti di combattere contro il nazismo e il fascismo" e l'appoggio incondizionato dei comunisti francesi a favore dei crediti di guerra chiesti dal governo Daladier), i comunisti dovettero registrare con stupore che il Piccolo Padre la pensava diversamente. Il 5 settembre il capo del Komintern, il bulgaro Georgij Dimitrov, chiedeva delucidazioni su come agire. "Nella elaborazione della tattica e degli obbiettivi politici dei partiti comunisti - scriveva Dimitrov - stiamo incontrando difficoltà straordinarie.


Per superarle e prendere una decisione giusta abbiamo bisogno, ora più che mai, dell'aiuto immediato e del consiglio del compagno Stalin". Il mondo comunista chiedeva quindi al suo Papa cosa doveva pensare. Il 7 settembre ci fu l'agognato incontro tra Stalin e Dimitrov, alla presenza dei fidi Molotov e Zdanov. Lo scontro in atto in quel momento - spiegò Stalin - era tra due forze comunque capitaliste, quelle ricche (le potenze occidentali) e quelle povere (Germania e Italia). In questo frangente occorreva abbandonare i fronti popolari antifascisti e "manovrare e spingere una parte contro l'altra". La Polonia - era la constatazione finale di Stalin - era "uno stato fascista, che opprime ucraini, bielorussi e altre nazionalità. La sua distruzione nelle condizioni attuali significherebbe uno stato fascista in meno! Che ci sarebbe di male se in seguito alla disfatta della Polonia espandessimo il sistema sovietico su nuovi territori e nuove popolazioni?" Il destino polacco era segnato. Con perfetto accordo operativo tra nazisti e sovietici, la Polonia fu letteralmente strangolata. Se i nazisti avevano invaso lo stato baltico il 1 settembre, i sovietici aspettarono due settimane prima di intervenire, con la formale scusa di difendere le minoranze di confine. Il governo sovietico infatti non formulò mai una formale dichiarazione di guerra nei confronti della Polonia. "L'espressione contenuta nella nota sovietica al governo polacco - scrive Zaslavsky - secondo la quale le truppe avevano attraversato il confine per offrire una mano fraterna al popolo polacco, rimase nella lingua russa come un'ironica epitome della politica staliniana nei confronti dell'Europa orientale". Gli eserciti delle due potenze si fermarono nel punto concordato e si spartirono "lealmente" il paese aggredito. "La Polonia, - dichiarò in quei giorni Molotov davanti ai membri del Soviet supremo - questo bastardo nato dal trattato di Versailles, ha cessato di esistere".


Più della metà del territorio polacco finì sotto il dominio sovietico, e con essa 250.000 soldati e ufficiali dell'esercito polacco, "prigionieri - scrive Zaslavsky - di una guerra non dichiarata". Le condizioni di questi prigionieri era pessima, e gli stessi vertici militari russi dislocati in Polonia chiedevano informazioni a Mosca su come organizzare la prigionia, dal momento che mancava addirittura il cibo per sfamarli. Il Politburo organizzò quindi una commissione speciale affidata alla direzione dei famigerati Berija e Zdanov. Soprattutto il primo seppe mettersi in luce presso Stalin per la sua cinica efficienza nel trattare la "materia umana" dei prigionieri. Si può dire che da questo compito Berija spiccò il salto che lo portò a diventare uno dei fidati bracci destri di Stalin. Come primo passo la commissione decise di liberare i prigionieri ucraini e bielorussi, e di trattenerne 25.000 per la costruzione della strada Novgorod-Volynski-Leopoli. Come tradizione del regime sovietico, i prigionieri diventavano così moderni schiavi da utilizzare in importanti edificazioni. Gli ufficiali polacchi vennero così smistati nei campi presso Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov. La direzione di questi campi venne affidata alla Nkvd. La polizia politica sovietica cercò immediatamente di infiltrare spie e osservatori tra gli ufficiali prigionieri. In una direttiva dell'8 ottobre 1939, un documento segretissimo a firma di Berija sulla sorveglianza operativa dei prigionieri di guerra nei campi della Nkvd, il comunista georgiano auspicava la realizzazione di "una rete spionistico-informativa per individuare tra i prigionieri di guerra formazioni controrivoluzionarie".


Era importante - concludeva Berija - "chiarire gli atteggiamenti dei prigionieri di guerra". Nel frattempo la collaborazione con i nazisti era efficientissima. Nell'autunno del 1939 i due regimi alleati si scambiarono molti prigionieri. 43.000 e 14.000 soldati polacchi furono i rispettivi pacchi-dono che nazisti e sovietici vicendevolmente si offrirono. "Questo scambio - scrive Zaslavsky - testimonia non solo un'attiva collaborazione, ma anche quel fenomeno che col senno di poi si potrebbe definire una particolare divisione del lavoro tra i regimi di Stalin e Hitler". Non va dimenticato, inoltre, come non manca di far notare Zaslavsky che "nello scambio di soldati, la dirigenza staliniana si rifiutò di accogliere, nonostante i ripetuti appelli, la richiesta di ebrei e comunisti di restare in Urss poiché temevano le persecuzioni dei nazisti". Anche nel febbraio del 1940, Stalin non avrebbe esitato a consegnare alla Gestapo alcuni comunisti tedeschi rifugiati politici in Urss, e che erano detenuti nei campi sovietici dalle purghe degli anni Trenta. Questi uomini passarono così dai gulag ai lager. Gli ufficiali polacchi prigionieri furono sottoposti, oltre che a un controllo e ad uno spionaggio assiduo, ad un'opera di rieducazione politica. Propaganda martellante, colloqui, proiezioni di film esaltanti la Rivoluzione: nulla fu lasciato intentato per arruolare nuove spie e cercare di ammaestrare quegli uomini definiti socialmente alieni, in quanto provenivano dalla migliore borghesia polacca. "Ogni detenuto dei campi di Kozelsk, Starobelsk e Osatskov - scrive Zaslavsky - era sottoposto a lunghi e ripetuti interrogatori. Gli inquirenti erano particolarmente interessati all'estrazione sociale e alla posizione sociale ed economica del detenuto, al suo orientamento politico, all'affiliazione partitica, ai legami con i paesi occidentali, alla conoscenza di lingue straniere." Questa ricerca era la terribile premessa all'operazione di "pulizia".

Quando la notizia del massacro di Katyn venne diffusa dalla radio tedesca, furono in molti a dubitarne. I nazisti, nel 1943, erano in chiara difficoltà su molti fronti. Gli occidentali sospettavano che questa fosse una prevedibile mossa per cercare di indebolire il fronte nemico. I nazisti, comunque, organizzarono una commissione investigativa, formata da medici provenienti da diversi paesi e suggerì inoltre alla Croce Rossa internazionale di inviare propri membri a controllare le vittime dell'eccidio. La commissione creata dai tedeschi imputò ai sovietici la responsabilità del massacro: le vittime - spiegava la risoluzione finale - erano state uccise nella primavera del 1940, quando ancora i russi occupavano la zona, prima dell'avanzata tedesca verso la Russia nell' Operazione Barbarossa.


Uno dei professori della commissione era l'italiano Vincenzo Palmieri, direttore dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Napoli. "Non c'erano dubbi - scrisse - , fra noi dodici [i membri della commissione medica, ndr] nessuno ebbe alcun dubbio, non ci fu neppure un'obiezione. Fu decisiva l'autopsia del cranio effettuata dal professor Orsos di Budapest: sulla parete interna trovò una sostanza che comincia a formarsi a tre anni dalla morte. Aveva tre anni anche il boschetto piantato sulla fossa. […]Il referto è inconfutabile". Contemporaneamente lavorò a Katyn una commissione della Croce Rossa polacca, formata da uomini e donne che ben conoscevano la barbarie nazista (tra essi, si scoprì in seguito, c'erano persino alcuni membri in incognito della Resistenza polacca!). Ebbene, anche questa commissione - sicuramente non imputabile di simpatie naziste - giunse alla medesima conclusione: la responsabilità dell'eccidio gravava interamente sui sovietici. Per quanto possa sembrare incredibile, le conclusioni di questa commissione non vennero mai rese note, se non nel 1989! Questo, per evitare di avvantaggiare la propaganda nazista. Quando l'area di Katyn tornò in mano russa, verso la fine della guerra, anche i sovietici istituirono una loro commissione, la commissione Burdenko, il cui compito era naturalmente quello di sostenere la responsabilità nazista nell'eccidio. Composta solo da cittadini sovietici, la commissione invitò a Katyn il 15 gennaio 1944 un gruppo di giornalisti occidentali (nelle cui file c'era anche la giovane figlia dell'ambasciatore americano a Mosca Averell Harriman): alcuni di loro credettero alla versione sovietica. I proiettili usati per le esecuzioni erano di fabbricazione tedesca, e su questo i sovietici basarono la propria linea accusatoria.


Si trattava di una tesi facilmente smontabile: le ferite da baionetta e le corde usate per legare i prigionieri erano di fabbricazione sovietica, le pallottole invece provenivano dalla tedesca Gustaw Genschow di Karlsruhe, che dopo le imposizioni del Trattato di Versailles, smise di fornire in casa e cominciò ad esportare massicciamente in Unione Sovietica, Polonia e paesi baltici. La Nkvd - oggi è un fatto assodato - ricorse a pistole tedesche e proiettili "Geco" calibro 7,65. Le fucilazioni, sempre secondo questa tesi, erano avvenute tra agosto e settembre del 1941. Non pochi giornalisti non poterono però fare a meno di notare che i cadaveri avevano indosso indumenti invernali. La commissione Burdenko dichiarò quindi che c'era stato un errore e formulò la tesi che l'esecuzione era avvenuta tra agosto e dicembre del 1941. I sovietici si aspettavano una definitiva chiusura dell'imbarazzante caso in occasione della cornice del maxi-processo di Norimberga. Anche in questa occasione, il caso rimase formalmente aperto, soprattutto a causa delle fumose dichiarazioni dei testimoni pro-sovietici. Le rivelazioni degli ultimi anni hanno chiarito senza ombra di dubbio che 22.000 prigionieri polacchi sono stati eliminati dalla Nkvd.
Come si arrivò a questa ufficializzazione? Le acque cominciarono a muoversi negli ultimi mesi del governo Gorbaciov. Per quanto gli fu possibile, e nonostante i proclami sulla glasnost, l'ultimo segretario del PCUS al potere cercò di procrastinare la rivelazione della responsabilità sovietica.


Le cose cambiarono quando la commissione polacco-sovietica, recentemente formatasi, scoprì tra gli archivi segreti sovietici messi a disposizione, una fonte dal semplice titolo "Centro per la conservazione delle collezioni di documenti storici". In questo archivio, definito speciale e sorvegliato dal Kgb, vennero scoperte le comunicazioni della Direzione per gli affari dei prigionieri di guerra del Nkvd. Più di 9.000 fascicoli che offrivano delucidazioni sullo sfruttamento dei prigionieri di guerra a fini lavorativi, nonché sulle loro condizioni nei campi. Non c'era ancora il nucleo dei documenti fondamentali sul fatto di Katyn, ma da essi si poteva facilmente intuire la possibilità di reperire altre fonti. Il sovrintendente della commissione polacco-sovietica, il russo Aleksandr Yakovelv, testimonia di aver spedito la documentazione a più indirizzi, esattamente cinque copie (al Dipartimento internazionale del CC, al Kgb, al ministero degli Esteri, e "non ricordo più a chi altro"), così da renderla protetta burocraticamente, e difficilmente cancellabile. Nel maggio del 1988, in una cerimonia a Katyn, ufficiali sovietici e polacchi assistettero al formale riconoscimento sovietico della responsabilità nell'eccidio, messo in atto dalla Nkvd. Il regime sovietico quindi si ripeteva nella tecnica kruscioviana del 1956, quando nel famoso XX congresso del partito, il premier sovietico denunciò i crimini di Stalin. In questo caso il Pcus se ne lavava le mani, facendo ricadere ogni responsabilità su Lavrentij Berija e sulla Nkvd. Il 13 ottobre 1990, giornata mondiale delle vittime di Katyn, la definitiva e simbolica ammissione: in una cerimonia al Cremlino Michail Gorbaciov porse finalmente le scuse ufficiali al popolo polacco. In quell'occasione il segretario comunista consegnò al governo polacco alcune casse piene di documenti segreti. Da essi sarebbe emerso in tutta la sua chiarezza il mistero di Katyn, a questo punto un segreto di Pulcinella.


Quando i poteri passarono da Gorbaciov a Eltsin, dopo il crollo dell'Urss, anche un'importantissima documentazione passò di mano. Il racconto che segue di Yakovelv è tratto dal libro di Zaslavsky: "Tra le altre carte particolarmente importanti - disse il funzionario sovietico - Gorbaciov passò a Eltsin una busta contenente un certo numero di documenti, aggiungendo che era indispensabile discutere per decidere cosa farne in seguito. 'Temo che possano sorgere complicazioni internazionali. Del resto sta a te decidere.', notò Gorbaciov. Eltsin lesse e concordò che sarebbe stato necessario riflettere seriamente. Ero sconvolto. Si trattava di documenti segretissimi su Katyn, testimonianza dei crimini del regime. Ero sconvolto anche perché Michail Sergeevic aveva consegnato questi documenti con una calma straordinaria, come se non gli avessi più volte avanzato la richiesta di ordinare al suo Archivio [del Comitato Centrale] di cercare e ricercare i documenti. Guardai Gorbaciov sbigottito, ma non notai alcun turbamento. Così è la vita". Con Eltsin la verità, completa, venne fuori e il Pcus fu dichiarato, per questo e molti altri motivi. un'organizzazione criminale. Nell'estate del 1992 da questi documenti emerse lo scambio epistolare tra Berija e Stalin, dal quale emerse la decisione di eliminare tutti gli ufficiali polacchi. Questa decisione maturò nel febbraio del 1940. Il 2 marzo il Politburo approvò la proposta di affidare ai processi della Nkvd i prigionieri avanzata da Berija e dal segretario del Pc ucraino di allora, il compagno Nikita Krusciov, incensato oggi dalla memorialistica occidentale come una sorta di dirigente sovietico umano (!).


Berija e Krusciov auspicavano inoltre la deportazione "nella regione sovietica del Kazakistan per un periodo di 10 anni di tutte le famiglie di prigionieri di guerra che si trovano nei campi per ex-ufficiali dell'esercito polacco […], per un totale di 22.000-25.000 famiglie".
"La ferocia
inaudita della punizione […] - scrive Zaslavsky - preannunciava il carattere della sentenza emessa dal Politburo sui prigionieri stessi". L'esito sarebbe stato senza dubbio la pena capitale. I documenti emersi dagli archivi rendono palese, con tanto di firma dei principali dirigenti stalinisti (Stalin stesso, Molotv, Berija, Kaganovic, Voroscilov, Kalinin, Mikojan) la decisione di eliminare tutti gli ufficiali polacchi considerati "irrecuperabili" dagli esaminatori della Nkvd.

" Il 5 marzo 1940 il Gotha del Pcus dette ordine alla Nkvd di "esaminare i casi di 25.700 prigionieri di guerra polacchi (14.700 detenuti nei campi di Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov e altri 11.000 nelle prigioni di Ucraina e Bielorussia occidentali, secondo una procedura speciale, cioè senza citare in giudizio i detenuti e senza presentare imputazione, senza documentare la conclusione dell'istruttoria né l'atto d'accusa, applicando nei loro confronti la più alta misura punitiva: la fucilazione". Il distacco e il cinismo per questo ordine, considerando l'alto numero di persone coinvolte, risuona ancora oggi agghiacciante. L'operazione della Nkvd fu un capolavoro di efficienza: decine di migliaia di persone vennero giustiziate, i loro corpi - in nemmeno un mese - nascosti, trasportati in luoghi segreti, seppelliti. "Era necessario la collaborazione di numerose persone, come politici, impiegati statali, militari, becchini. Come infatti avvenne. Non solo, come già scritto, ci fu la zelante collaborazione degli stessi comunisti polacchi. "Basti citare - come scrive Zaslavsky - il rapporto di Wanda Bartoszewicz, membro del partito comunista polacco […] Il 99% sono persone liberate dalle prigioni, dai campi e dai luoghi di esilio. […] Tutti sono veri nemici dell'Urss pronti a vendicare le loro sofferenze. Niente potrebbe cambiare le persone tra le quali mi trovo e si dovrà soltanto eliminarle". Uno splendido esempio di internazionalismo.

Il massacro di Katyn resta come uno scomodo "cadavere" anche per l'Occidente. i sovietici non sarebbero riusciti a nascondere la verità senza la complicità dei paesi occidentali. Gli Americani fino agli anni cinquanta, gli inglesi fino al crollo dell'Urss nel 1991. Non fanno sicuramente onore al grande statista Winston Churchill le parole pronunciate su Katyn negli anni quaranta, per il premier britannico la faccenda di Katyn era "di nessuna importanza pratica" e, come scrisse nell'aprile 1943 al ministro Eden "non si deve continuare patologicamente a girare intorno alle tombe vecchie di tre anni presso Smolensk". Paradossalmente, in quel riferimento cronologico c'era la chiara convinzione che a compiere il massacro fossero stati gli alleati sovietici. Il governo americano fece anche di peggio. Quando l'emissario speciale per gli affari balcanici George Earle portò incontrovertibili prove della responsabilità sovietica nei fatti di Katyn, aveva ricevuto da Roosevelt un'acceso monito. "Non è altro che propaganda - scrisse il presidente americano - un complotto dei tedeschi. Sono assolutamente convinto che non siano stati i russi a farlo".

Alle insistenze di Earle e in seguito alla sua decisione di pubblicare le prove, il governo americano spedì Earle in missione diplomatica nelle lontane isole Samoa. "Non soltanto non lo desidero - scrisse ancora una volta Roosevelt a Earle - ma ti proibisco in modo specifico di rendere pubblica qualsiasi informazione o opinione riguardo il nostro alleato, che tu possa avere acquisito mentre eri in carica o al servizio della marina degli Stati Uniti".

Il massacro di Katyn porta a un'ultima polemica riflessione. Oggi, dopo la scoperta di tutti i documenti segreti sovietici, si è in grado di esaminare ogni singolo aspetto di quel crimine efferato. Sono stati identificati, come non manca di notare Zaslavsky, gli organizzatori e gli esecutori materiali. Però, continua lo studioso polacco, "mentre nei paesi occidentali criminali nazisti sono ancora ricercati e punti, come dimostra il caso Priebke, in Russia neanche uno degli assassini è stato messo sotto processo o è stato sottoposto ad alcuna indagine". Katyn è solo uno dei tanti crimini cui personaggi dei vari regimi comunisti in Europa non hanno dovuto rendere conto. Mentre si auspica e ci si accinge a chiedere l'estradizione del generale Pinochet, per processarlo come responsabile della scomparsa e dell'uccisione di 4.500 cileni, non si vede come - con lo stesso principio del "diritto internazionale" - non si debba pretendere che i responsabili di un numero ben maggiore di vittime, l'orrore di Katyn, vengano assicurati alla giustizia.

di Ferruccio Gattuso

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Il massacro di Katyn - il crimine e la menzogna, di Victor Zaslavsky - Ideazione Editrice, 1998
Morte nella foresta, di J,K, Zawodny - Editrice Mursia & C., 1973
La strage di Katyn - Fatti e documenti, di W. Anders - Edizioni del Borghese, 1967

sull'armata del gen. Anders vedi " QUELL'INDOMITA ARMATA POLACCA A MONTECASSINO"

Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente) 
il direttore di
 

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