L'antica piaga che tormenta l'Europa da tempi lontani


BALCANI:
UNA MINA
VAGANTE

Minacciarono la pace degli Stati vicini fin dal 450 a. C.

(vedi nascita della Serbia-Bulgaria - DA GIUSTINIANO  A HITLER)

di LIONELLO BIANCHI

La grande crisi della ex Jugoslavia ha scatenato una serie di guerre fratricide, frazionando la confederazione in diversi stati e riportando alla ribalta della opinione pubblica mondiale la questione dei Balcani. La terribile vicenda sviluppatasi in questi ultimi anni (e purtroppo non ancora risolta) ha riaperto vecchie e insanabili ferite, etniche, razziali e religiose, che hanno origini lontane, se non remote. Serbi contro Croati, Croati contro Sloveni, Musulmani contro cristiani ortodossi. Le ferite sono tuttora aperte, la guerra è arrivata persino nelle singole famiglie, gli eccidi sono stati atroci. La comunità internazionale (dall'Onu all'Ue e agli Stati Uniti, questi ultimi nelle vesti di gendarmi del mondo) sono intervenute con ogni mezzo, dagli strumenti diplomatici all'uso degli eserciti, ma spesso si sono rivelate impotenti a fronte di odii e rivalità endemiche di popolazioni che si sono spietatamente date la caccia, una volta esaurito il potere centrale di Belgrado, che con il maresciallo Tito era riuscito a tenerle assieme per alcuni decenni.

Non è certamente un caso che nei principali dizionari (ad esempio il nuovo Zingarelli e il Grande Dizionario della Lingua Italiana della Utet) alle voci "balcanico", "balcanizzare" e "balcanizzazione", dal termine appunto di Balcani, si forniscano analoghe definizioni, dove "balcanico" viene inteso per caotico, violento, secondo la maniera di governo ritenuta tipica degli Stati balcanici (Nuovo Zingarelli); idem per il sostantivo balcanizzazione. Sul verbo balcanizzare è interessante quel che scrive il Grande Dizionario della Utet: ridurre un paese, uno stato, un popolo al perpetuo disordine politico: la voce figura in Panzini (IV-55): balcanizzare o sistemi balcanici, sinonimo di politico disordine con ammazzamenti, tirannie, rivoluzioni, controrivoluzioni, guerriglie.

LA GEOGRAFIA Anzitutto, vale la pena di circoscrivere la regione balcanica. Si trova nella parte orientale dell'Europa, tagliata dalla catena montuosa dei Balcani (dal turco letteralmente "montagna"). Essa comprende, procedendo da sud, la Turchia, la Bulgaria, la Romania, la Grecia, l'Albania, la ex Jugoslavia, ora suddivisa in Serbia e Macedonia e Montenegro, Bosnia, Croazia, Slovenia, e a est l'Ungheria che altro non era che l'antica Pannonia. Una molteplicità di stati, staterelli, popoli, religioni, razze differenti divise tra loro da usi e costumi, da catene montuose con scarsi e difficili sbocchi al mare.

LA STORIA Una zona questa destinata fin dai tempi antichi a essere un vorticoso crocevia di interessi, di scorribande di genti che arrivavano dal Nord e dall'Est, oltreché dal Sud e dall'Ovest ovvero dall'Adriatico. Tracce di convulsioni e di migrazioni in questa frastagliata e tormentata regione si trovano all'epoca dei Greci e dei Romani. Si hanno cenni nelle opere di Tucidide, lo storico ateniese (circa 454-402 o 399 a.C.), vissuto all'epoca di Pericle. Scrivendo degli avvenimenti anche a lui contemporanei riferisce delle incursioni e delle guerre dei popoli Illiri che si collocavano in una zona a Nord della Grecia, quella che si può comprendere tra i Balcani e il mare Adriatico. Trasferendoci in età romana, abbiamo la testimonianza di Giulio Cesare (100-44 a. C.) autore celeberrimo del De Bello Gallico e del De Bello Civili, ma anche di un Bellum Alexandrinum. Più che storie sono veri e propri commentari, resoconti in terza persona singolare delle vicende della sua epoca, descrizioni delle sue imprese. Appunto nel Bellum Alexandrinum viene riferita l'operazione di Cesare sulle coste illiriche culminata con l'assedio di Durazzo, conquistata e vinta.

Ma nel mondo antico in quella zona non ci sono soltanto gli Illiri, si trovano i Traci, di cui scrive Erodoto (Alicarnasso 490 o 480, Atene 424 circa) che li descrive come uno dei popoli più numerosi della terra dopo gli Indi e li colloca in una zona piuttosto ampia. Si ritiene che i Traci (che diedero filo da torcere agli Imperatori romani) fossero già da tempo nelle loro sedi storiche (nell'Europa sudorientale, penisola balcanica) fin dal XII secolo a. C., allorquando gli Illiri arrivarono a toccare il confine della Grecia e quello occidentale dei Traci provocando scontri e movimenti interni di popolazioni. Sempre da Erodoto si ricava che questi Traci occupavano una regione dei Balcani che andava dalla catena del monte Rodoipe a Nord Ovest fino alle coste del Mar Nero.

Migrazioni, spedizioni e vere e proprie guerre mettevano a repentaglio i confini prima delle città elleniche, alessandrine e quindi dell'Impero romano. Infatti, dall'Estremo Oriente e in particolare dagli Urali arrivavano in questa regione balcanica sempre nuove popolazioni di origine slava e non solo. Da qui perenni sommovimenti, difficili da controllare. Dall'antichità al Medio Evo e fino all'epoca moderna e contemporanea è tutto un susseguirsi di avvenimenti cruenti, tragici, di enorme rilevanza.

Anche durante l'impero Bizantino la regione balcanica non ha avuto tregua. Da quella zona venivano sovente guerre, minacce continue anche per l'impero Occidentale: di tanto in tanto si diffonde il grido "arrivano gli Ungari", una popolazione che si collocava lungo il Danubio nella regione orientale e che si spingeva bellicosamente verso Ovest. Dietro gli Ungari affluivano gli Slavi. Si deve a Ottone I una significativa affermazione su questi Ungari che con le loro orde predatrici si erano portati fino alle porte di Augusta (955 d. C.).

L'INSTABILITA' Per rimanere nei Balcani, l'origine di stati a base etnica si può far risalire ai secoli V, VI e VII d. C. quando tribù che chiameremo jugoslave si insediarono in quella penisola. I primi stati indipendenti appaiono comunque tra il VII e il XIII secolo. Ma anche una volta costituiti la maggior parte di quegli stati era caratterizzata da instabilità, una situazione tormentata che si protrasse per generazioni all'ombra dell'Impero Bizantino che esercitò la sua notevole influenza fino al suo collasso definitivo e alla sua caduta. Questi stati indipendenti sviluppatisi nel cuore dei Balcani non riuscirono tuttavia a emergere, ad affrancarsi effettivamente non solo per gli influssi bizantini ma anche per le infiltrazioni, autoritarie, dell'Impero d'Occidente e di grandi stati feudali che sorti in Germania tendevano a espandersi all'est. Di conseguenza, tra l'VIII e il IX secolo la Carinzia indipendente degli sloveni con i suoi vicini alleati non poté mantenersi a lungo e analoga sorte toccò all'Impero Samull in Macedonia. Meno tribolato in quel periodo il destino dei Croati, dei Serbi e dei Bulgari che riuscirono a conservare una loro autonomia per tutto il IX secolo e fino all'XI. In questo periodo ad esempio la Croazia giunse ad annettersi gran parte della Dalmazia, oltre alla Bosnia. Poco dopo il 1100 la Croazia però dovette sottomettersi all'Ungheria, perdendo la propria identità statuale.

A cavallo tra il XII e il XIII secolo si costituì il primo stato indipendente serbo, un regno della dinastia Nemanjic. Ma la denominazione di Impero dei serbi arrivò soltanto con l'avvento di Duslan che conquistò molta parte della regione balcanica e riuscì a mantenersi autonomo estendendo i propri confini fino alla Turchia e alla Grecia: da qui il nome di Impero dei Serbi, Turchi e Greci. Attorno al XIV secolo stretto nella morsa dei Turchi che arrivavano dal Sud, del potere ungherese e austriaco e della Repubblica Veneziana lungo la costa adriatica l'impero dei serbi perse la propria compattezza e indipendenza, frantumandosi in staterelli senza peso, oltretutto divisi da accese rivalità e odii etno-razziali.

LA VIA BALCANICA Commistioni di popoli, trasferimenti di uomini e armi: ecco cosa sono stati e sono i Balcani. Attraverso i secoli, dall'antichità al Medio Evo e poi negli anni della nascita dei grandi stati europei. Si cercano sbocchi verso il sud est dell'Europa e verso la porta dell'Asia (Costantinopoli, la moderna Istanbul), il passaggio del Bosforo. Finisce che le mire dei grandi stati europei in particolare tedesco-austriaci e ungheresi vengono a scontrarsi con la tendenza dei Turchi che dal sud tentano più volte di sottomettere la regione balcanica, diffondendo nel contempo la religione islamica.

Il periodo medievale è stato comunque quello aureo in cui si sono consolidate le varie etnie balcaniche. Cominciarono allora a prendere sostanza le diverse anime della tormentata regione. Soltanto con l'occupazione dei Turchi Ottomani sul finire del XIX secolo, ad ogni buon conto, si giunse a ostacolare l'evoluzione delle identità nazionali più cristallizzate. Identità che sopravvissero sotto l'Impero Austro Ungarico, che cercava anzi di regnare dividendo i popoli e le razze, secondo il motto latino "divide et impera".

LE RELIGIONI Contesa dai Serbi e dai Croati oltreché dalla Bosnia, la Macedonia alla cui annessione muovevano anche i greci che la consideravano Grecia settentrionale. Un caso a se stante è costituito dal Montenegro. Le tribù montenegrine facevano parte della nazione e dello stato medievale serbo: tradizione e miti nazionali collegati con il regno e con l'impero medievale salvaguardarono il Montenegro.

Accanto alle differenze nazionali profonde hanno influito innegabilmente a scavare abissali dissidi anche le religioni. Le varie chiese cristiane (bizantina e romana) erano caratterizzate da influenze ideologiche e culturali straniere, senza contare l'islamismo che ha attraversato nei secoli tutta la penisola balcanica.

Nel processo di integrazione nazionale, raggiunta faticosamente solo con l'azione di Tito nel secondo dopoguerra dunque dalla metà del '900, vanno tenuti in considerazione anche e soprattutto gli aspetti religiosi e culturali delle varie popolazioni che hanno contribuito a esasperare ed esacerbare le diverse etnie.

In questa regione si sono scontrati interessi e questioni razziali. Non c'è mai stata vera pace né tregua. Nel Novecento, la prima grande deflagrazione mondiale (1914-18) prese il via proprio dal cuore della Bosnia Erzegovina, da Sarajevo, con l'assassinio dell'arciduca d'Austria. E' stata la scintilla da cui è divampato l'incendio che ha coinvolto tutti i paesi mondiali, costringendo persino gli Stati Uniti a intervenire. Sulla regione balcanica si accentravano le mire dei tedeschi che volevano il predominio così da subentrare al decadente impero asburgico, alleato ma in pratica sottomesso ai voleri della Germania. Qui si incrociavano gli interessi di altre nazioni, dalla Turchia alla Grecia; per arrivare alla Russia nella sua ambizione da sempre panslava. Già negli anni precedenti la Grande Guerra, a ogni buon conto, i Balcani furono al centro di due conflitti: nell'ottobre 1912 ci fu la dichiarazione di guerra alla Turchia guerra conclusasi con il Trattato di Londra del dicembre dello stesso anno; nel giugno 1913 nuova guerra nei Balcani, terminata con la pace di Bucarest nell'agosto.

NASCITA DELLA JUGOSLAVIA Con l'epilogo della Grande Guerra, ecco che il primo dicembre 1918 viene proclamata a Belgrado l'Unione dei Serbo-Croati-Sloveni. Sono state le assemblee nazionali dei tre stati a deliberare, insieme a quella montenegrina, il loro scioglimento e la loro confluenza nell'Unione: è in pratica la nascita della Jugoslavia, una confederazione di stati che veniva però basata più su un'identità politica che etnica con l'intento di ridimensionare se non minimizzare o addirittura negare le diverse nazioni al suo interno. La prima Jugoslavia veniva a contare sul predominio dei serbi che erano dominanti rispetto agli altri due componenti (croati e sloveni); dunque, una nazione costruita più che altro ideologicamente e artificialmente: un solo popolo e tre nomi. Serbi, croati e sloveni in effetti solo apparentemente costituivano uno stato solo.

I decenni che ne seguirono rivelarono la difficile realtà, culminata prima e dopo la Seconda guerra mondiale con la guerra civile che portò al potere il partito comunista. Una guerra civile atroce, quella che si svolse nel territorio dall'Adriatico al Kossovo e al confine con l'Ungheria. Massacri e genocidi si succedettero, intere popolazioni scomparvero nelle foibe. Ci volle l'autorità del Maresciallo Tito per instaurare, tramite un forte governo centralizzato, una confederazione in grado di salvaguardare le libertà nazionali senza ulteriori spargimenti di sangue. Alla fine del 1943 si arrivò alla seconda Jugoslavia costituita in comunità federale di serbi, croati, montenegrini, sloveni e macedoni.

IL TITOISMO La costruzione di questo stato è dovuta essenzialmente a un personaggio che darà la sua impronta per molti anni, quale leader carismatico, quasi un grande padre della nuova Jugoslavia. Josip Broz (Tito, nome di battaglia che Broz aveva assunto durante la guerra partigiana), per tutti semplicemente Tito, croato di Krumrovec dove nacque nel 1892, settimo di quindici figli di una famiglia contadina, appreso il mestiere di fabbro andò a lavorare giovanissimo in diverse città dell'impero Austro-Ungarico. Rientrato in patria a ventun anni per il servizio militare, consolidò il proprio credo politico in senso socialdemocratico e si rafforzò come sindacalista. Spedito in Serbia durante la prima guerra mondiale e successivamente nei Carpazi, fu ferito e fatto prigioniero nel 1915 dai russi. Rinchiuso nelle carceri di Pietroburgo, riuscì a evadere dopo la rivoluzione del febbraio del 1917; ripreso, ottenne la libertà al termine della rivoluzione di ottobre.

Legato per simpatie politiche ai bolscevichi, Tito non si impegnò attivamente al loro fianco, preferendo tornare in patria. Il che avvenne nel 1920., insieme a una ragazza russa sposata in Siberia, la sua prima moglie: successivamente contrasse altri due matrimoni. Per vivere cambiò spesso lavoro, ma nello stesso tempo aderì" al partito comunista jugoslavo, messo subito fuori legge. Svolse attività clandestina e questa gli procurò l'arresto e una condanna a cinque anni nel 1928 quando era già segretario del partito a Zagabria. Durante la prigionia divenne amico di Mosa Pijade, uno dei più autorevoli ideologi comunisti, e così perfezionò la sua preparazione. Tornato in libertà nel 1934, Tito emigrò nell'Unione Sovietica, lavorò per il Comintern a Vienna e a Parigi dove organizzò l'invio di volontari jugoslavi in Spagna, a sostegno della guerra civile contro Franco. Sopravvisse alle purghe di Stalin grazie all'amicizia con personaggi quali il bulgaro Dimitrov e il tedesco Pieck e più probabilmente grazie al suo rifiuto di rispondere a una convocazione a Mosca. Di nuovo in patria, si adoperò per rifondare il partito comunista jugoslavo, che riuscì a rendere completamente autonomo dal Comintern. A questo punto Tito venne riconosciuto leader del partito: nominato segretario generale, il suo primo compito fu quello di affrontare la situazione imbarazzante dell'alleanza Stalin-Hitler dalla quale fu obbligato a schierare i suoi contro la difesa del paese dalla minaccia nazista. Dopo l'invasione dell'aprile 1941 e il susseguente attacco dei tedeschi all'Urss, Tito poté cambiare linea impostando la lotta per la liberazione della Jugoslavia; sotto la sua guida, i comunisti divennero i principali animatori della battaglia per il riscatto del paese e l'emancipazione della classe lavoratrice. Ebbe il merito indiscusso di circondarsi di validi collaboratori appartenenti alle varie etnie, grazie ai quali seppe imporre l'unità alle differenti popolazioni. Uscito vittorioso dalla guerra per la libertà, nel 1943, si fregiò del titolo di maresciallo e ottenne il riconoscimento delle potenze occidentali. Nonostante la rivalità dei nazionalisti serbi (i cetnici di Mihajlovic), proprio in virtù della vittoria conseguita sul campo, impose l'egemonia comunista annullando un'effimera intesa con il governo monarchico in esilio.

Capo del governo e ministro della difesa dal '45 al '53 Tito (eletto presidente della repubblica, carica conferitagli poi a vita nel '63) legò il proprio nome alle tappe fondamentali di quella che venne battezzata la via jugoslava al comunismo: nel 1948 rottura con Stalin, sette anni dopo parziale riconciliazione con l'Urss, emarginazione del revisionista Djilas nel 1954, emancipazione politica economica a partire dal 1966, decentramento avviato nel 1974. Ma soprattutto Tito contribuì" enormemente a compattare il paese con il sistema federale, all'autogestione dei lavoratori e alla politica estera di neutralità tra i due blocchi e tra le due grandi Potenze dell'epoca (Usa e Urss).

LO SFACELO Il titoismo con tutti i suoi meriti sul piano nazionale e internazionale aveva però il suo tallone d'Achille, in quanto poteva ergersi a baluardo dell'unità della federazione solo in virtù della grande personalità del Maresciallo. Difatti, alla sua morte (Lubiana, 1980) seguì inevitabile lo sfacelo della sua costruzione. Pian piano i suoi successori non si rivelarono all'altezza. La presidenza collegiale - voluta da Tito ancora alcuni anni prima della sua scomparsa - non riuscì a impedire la dissoluzione dell'eredità lasciata da lui: il socialismo jugoslavo venne travolto dalla crisi economica e - quel che è peggio - riesplosero i nazionalismi che hanno portato alle divisioni e alle tremende guerre di questi ultimi anni.

E' storia recente, cronaca dei nostri giorni. Le ferite e le lacerazioni sono tutt'altro che sopite, a dispetto della rappacificazione in Bosnia grazie all'intervento delle forze internazionali di pace, cui partecipa anche l'Italia, della costituzione di stati indipendenti come la Croazia, la Slovenia e la Serbia. D'altronde il mondo occidentale stentò a comprendere all'inizio ciò che stava avvenendo nella ex Jugoslavia, in quel periodo tra il 1988 e il 1989.

Più fortunata fu la Slovenia, che riuscì a fronteggiare e a respingere l'attacco della Serbia di Milosevic. Invece, per la Croazia tutto fu più difficile. Arrivò all'autonomia da Belgrado dopo aver sopportato una guerra, sia pure breve. Le elezioni portarono al governo Franjo Tudjman, già partigiano e generale con Tito, dal quale si distaccò solo negli ultimi anni del Maresciallo. Il primo governo croato si autoproclamò indipendente stato fascista del periodo bellico e questo servì a incrudelire i serbi e il loro leader Milosevic che cercò di sfruttare il tentativo croato di mettere in atto un genocidio contro i serbi in Croazia. Da qui l'intervento armato della Serbia i cui interessi si spostarono poi sulla Bosnia. Solo la Macedonia in mezzo a tanto disordine si mantenne fuori dalle atrocità della guerra.

Dietro alle varie nazioni si profilano grossi potentati. Croazia e Slovenia sono appoggiate, più o meno larvatamente dalla Germania, che ha esteso il suo potere economico. Alle spalle della Serbia l'Urss e dopo il suo disfacimento la Russia, benché con i travagli che attraversa attualmente non riesce ad appoggiare pienamente il governo Milosevic, proprio in queste ultime settimane messo in minoranza e assediato a Belgrado da migliaia e migliaia di manifestanti che ne contestano la legittimità. A sostegno dei musulmani della Bosnia si sarebbero mossi gli stati arabi e in particolare l'Iran che avrebbe mandato armi e mezzi, attraverso la Bulgaria, anch'essa ora in una profonda crisi economica. Nel caos jugoslavo si sono inseriti i trafficanti di armi e di droga.

Gli Stati Uniti di Bill Clinton (rieletto recentemente) solo tardivamente hanno compreso la lezione, muovendosi anche autonomamente dagli organismi internazionali mondiali ed europei, in prima fila tra questi la Francia. Certo, molti dei disastri (migliaia di vittime, città distrutte ecc.) si sarebbero potuti evitare solo se l'Occidente avesse ricordato la lezione della seconda guerra mondiale e anche di avvenimenti precedenti, che hanno avuto il loro baricentro proprio nei Balcani. Un parziale ravvedimento lo si è avuto in Bosnia, quando sul finire della guerra terribile che ha dilaniato il paese, gli occidentali hanno compreso che non ci poteva essere altro aiuto al di fuori di quello umanitario.

di LIONELLO BIANCHI

Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente) 
il direttore di
 


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