STATI UNITI
LA MARCIA DALL'ATLANTICO AL PACIFICO

Che cosa rappresentano gli Stati Uniti nella moderna civiltà

In un certo senso potremmo considerare gli Stati Uniti come un "prolungamento » dell'Europa, dalla cui matrice essi derivano, attraverso le scoperte, la- conquista, la colonizzazione, l'indipendenza. Con l'Europa hanno in comune la tradizione linguistico-culturale e quella religiosa; tuttavia la cultura e le istituzioni europee hanno trovato nel continente americano un loro sviluppo autonomo, assai significativo, che si è espresso soprattutto con l'affermarsi di un sistema politico fondato sui principi della democrazia e cioè di uguaglianza dei cittadini e di governo rappresentativo.

La democrazia in Europa era sempre stata piuttosto utopia di pensatori che realtà di condizioni umane, platonica aspirazione piuttosto che contesto istituzionale e sociale.
(nei primi anni dell'800, in Europa, tra gli statisti, solo Napoleone, ammirava la democrazia degli Stati Uniti. E se dopo Waterloo, invece che tornare a Parigi, e farsi arrestare dagli inglesi, fosse andato in America, fli States l'avrebbero accolto a braccia aperte)

In America la democrazia è divenuta realtà; ha fatto scomparire le vecchie aristocrazie feudali di tipo europeo; le istituzioni si sono sempre più avvicinate a quell'ideale di « eguaglianza dei diritti e delle opportunità» che ha toccato il suo punto più avanzato nella recente legge sull'esercizio dei diritti civili da parte delle minoranze di colore.
L'America è stata ed è un Paese che ha realizzato i principi dell'eguaglianza, del governo rappresentativo, dei diritti fondamentali della persona sul piano pratico, e cioè nel contesto delle istituzioni e delle forme comuni di vita. Questo è stato certamente facilitato dal suo graduale trasformarsi da società rurale in società industriale, dalla modifica dei
tipi tradizionali di lavoro, dal grande sforzo di educazione generalizzata che la società industriale esige per avere uomini capaci, intellettualmente e psicologicamente, di adeguarsi alle prestazioni delle macchine che assicurano lo sviluppo dei processi industriali.

La nuova società. È nata quindi una società americana nuova, ricca, fiera delle sue capacità economiche e imprenditoriali: essa ha esaltato queste capacità fino al massimo livello possibile; il denaro e la ricchezza diventarono, in certo senso, pur non essendo fine a se stessi, la misura del valore dell'uomo che si cimenta nell'agone e nella competizione per produrre nuovi beni e nuove ricchezze. Il cittadino americano è stato educato a considerare il successo economico come la misura del suo valore e delle sue capacità; e questo spiega il carattere espansivo e vitalistico di una società in cui il denaro (capitale) assume il ruolo più importante, e spesso esclusivo, nell'articolare i rapporti sociali.
Il sistema competitivo-capitalistico, il riconoscimento dell'iniziativa libera individuale, l'eliminazione quasi assoluta di ogni forma di costrizione collettiva o esterna sul piano economico, anche se gradualmente superati da forme di intervento e di regolazione da parte dei pubblici poteri, hanno dato quindi il loro sigillo caratteristico alla società americana, e spiegano in gran parte la posizione economica e competitiva, i mezzi finanziari enormi di cui dispone, i beni e la ricchezza che produce.

E l'Europa ?
Gli stati europei guardano con ammirazione ma anche con sospetto questa prepotente vitalità, considerandola talvolta come espressione di una certa rozzezza culturale; gli stati afro-asiatici la considerano spesso come un pesante intervento che maschera forme di imperialismo e di esclusivismo economico in luogo di quello politico, anche se formalmente sorretto da intese, trattati, aiuti economici e tecnici.
Non è quindi difficile comprendere come questo Paese, proprio per quello che esso dà sul piano economico, ottenga talvolta l'effetto contrario a quello sperato, e cioè di suscitare più rancore e odio che non ammirazione e cordialità di rapporti. Esso rappresenta tuttavia una forza gigantesca, che riempie della sua presenza una parte notevole della scena mondiale e che forse, nell'avvenire, dovrà assolvere compiti ancora più ardui.
Della storia di questo popolo e di questo continente, crogiuolo di razze, di lingue, di popoli e di religioni, e che tuttavia ha saputo assorbire nel breve volgere di pochi decenni, l'eterogeneo aggre
gato della sua popolazione, trasferendo in esso un senso autentico di patriottismo e di lealtà verso il Paese di cui pure non era originaria, cercheremo di ripetere brevemente le vicende che nel giro di due secoli l'hanno portato ad essere uno dei massimi protagonisti della vita e della storia mondiale.

La Terra Promessa

In poco meno di un secolo, dopo la scoperta di Cristoforo Colombo, il Nuovo Mondo apparve alle nazioni europee, specialmente alla Spagna, al Portogallo, alla Francia e all'Inghilterra, la Terra Promessa, dov'era possibile cercare materie prime preziose o fondare colonie in cui vivere e prosperare senza timore dell'oppressione politica o dell'intolleranza religiosa. Gli Stati Uniti sorsero da queste aspirazioni: i colonizzatori europei, particolarmente inglesi, tra il 1600 e il 1700 circa si stabilirono sulla costa atlantica del Nord America creandovi una fiorente vita economica e sociale.

Francesi e Inglesi

Era naturale che la convivenza tra gente di interessi, lingue e costumi diversi, anche se provenienti dal medesimo continente o in conseguenza, forse, proprio di questa provenienza, non fosse inizialmente pacifica. I colonizzatori inglesi, ansiosi di allargare il loro spazio vitale, mirarono ben presto alle terre situate al di là dei Monti Appalacchiani, nella fertile vallata del Mississippi. Ma, naturalmente, dovettero fare i conti con i Francesi che da questo vallata e oltre i grandi laghi (Ontario, Eire, Michigan) fino a Quebec (Canada), da loro fondata nel 1608 sul fiume S. Lorenzo, avevano scaglionato i propri forti ed esteso il loro dominio. Il conflitto coinvolse anche i gruppi locali di indiani che, secondo gli interessi e le circostanze, parteggiarono per i due gruppi in contesa. Alla fine, la guerra combattuta con grande valore da parte del generale Montcalm per i Francesi, e da parte del generale Wolfe per gli Inglesi, fu vinta da questi ultimi e determinò la fine dell'ingerenza francese nel Nuovo Mondo.

Indipendenza delle colonie

Col trattato di Parigi (1763), la Francia cedette all'Inghilterra tutti i suoi territori coloniali d'America, fatta eccezione per il territorio della Luisiana e della città di Nuova Orleans, cedute segretamente alla Spagna.
La nuova situazione portò, comunque, una profonda modifica nei rapporti tra l'Inghilterra e le sue colonie d'America. La guerra
aveva infatti reso i colonizzatori consapevoli della loro forza e, inoltre, li aveva arricchiti dell'esperienza militare. La rimozione del pericolo francese aveva, in altre parole, messo i colonizzatori in condizione di rendersi più indipendenti dalla madre patria. L'Inghilterra dovette ben presto pentirsi di aver eliminato l'unico freno che poteva tenere le sue colonie d'America in soggezione verso il governo di Londra.

La guerra con la Francia, infatti, era stata costosissima e il Parlamento inglese per pagare i debiti fu costretto ad imporre pesanti tasse ai sudditi coloniali. Fino allora le leggi fiscali erano state imposte soltanto dalle assemblee coloniali locali, a cui i colonizzatori inviavano i loro rappresentanti; e, pertanto, la nuova politica economica doveva essere contrastata perché intollerabile appariva l'imposizione di un governo in cui gli abitanti coloniali non avevano chi li rappresentasse.

In breve, mentre gli statisti inglesi credevano che il Parlamento della Gran Bretagna avesse suprema autorità sia in patria che nelle colonie, il popolo delle colonie credeva fermamente nell'auto-governo e desiderava la libertà e l'indipendenza, anche se entro l'ambito dell'Impero Britannico.
Guidati da uomini come Patrick Henry, Samuel Adams, Benjamin Franklin, Thomas Jeflerson, le tredici colonie capostipiti degli Stati Uniti si unirono gradualmente nella resistenza ai piani dell'Inghilterra. Nel 1776 si dichiararono indipendenti, non prima che la resistenza armata fosse già incominciata a Lexington, Concord e Bunker Hill.
George Washington fu scelto come comandante in capo dell'esercito americano e per due anni il destino delle colonie rimase incerto. Le battaglie di Saratoga (1777) e di Yorktown (1781) segnarono la definitiva sconfitta dei britannici.


Governo rappresentativo

Col trattato di pace del 1783 i 13 Stati d'America presero posto tra le nazioni del mondo. I popoli americani erano finalmente liberi di governarsi come ritenevano giusto. Tuttavia, i primi anni di indipendenza furono abbastanza travagliati perché alcune leggi mancavano della forza necessaria a tenere alto il prestigio della giovane Confederazione. Nel 1787, una Convenzione di delegati si riunì a Filadelfia per la elaborazione di una nuova costituzione che riuscisse a fondere e rendere omogenei i 13 Stati in un'unica nazione democratica. Presidente della Convenzione fu eletto George Washington che nel 1789 fu nominato primo presidente degli Stati Uniti. La capitale della nuova nazione fu in un primo momento New York, poi Filadelfia, in attesa che sul fiume Potomac sorgesse, in onore del grande generale-statista, l'attuale città di Washington.

La marcia verso Occidente (conquista del West)

Da allora la storia degli Stati Uniti è la storia di un popolo che si muove verso l'occidente. Per più di 150 anni, dopo la fondazione di Jamestown (1609), i popoli delle 13 colonie erano rimasti sulla costa atlantica dell'America del Nord. Dopo la rivoluzione vittoriosa, migliaia di avventurieri, di cacciatori, di gente di ogni ceto e di ogni ambizione, ansiosi di scoprire o di impossessarsi di nuove terre, si spinsero verso l'ovest sognando l'altra costa, il Pacifico, travolti da vicende e da fatti drammatici, noti ormai in tutto il mondo attraverso la cinematografia americana che li ha divulgati, a volte alterandoli, con i famosi film western.

L'acquisto della Luisiana e della Florida

Fino al 1803, il territorio appartenente agli Stati Uniti si estendeva soltanto lungo le rive del fiume Mississippi. In quell'anno, il Presidente Thomas Jefferson per agevolare il commercio marittimo cercò di acquistare la città di Nuova Orleans, sul golfo del Messico, che la Spagna aveva nuovamente ceduto alla Francia insieme alla Luisiana nel 1800. Dinanzi alla richiesta degli Stati Confederati, l'imperatore Napoleone I, in difficoltà finanziarie per le guerre europee contro la Gran Bretagna, mise in vendita non solo la città di Nuova Orleans ma la stessa Luisiana al prezzo di 15 milioni di dollari. I confini degli Stati Uniti si allargarono così oltre le Montagne Rocciose, a contatto dei territori controllati dai Messicani. Rimaneva da includere nel territorio compreso tra le Montagne Rocciose e l'Oceano Atlantico soltanto la Florida che apparteneva alla Spagna.
Nel 1819 anche la Florida venne ceduta agli Stati Uniti con un semplice atto di vendita per la somma di cinque milioni di dollari.
Nel 1845 è la volta del Texas a far parte dell'Unione; nel 1846 un accordo con l'Inghilterra aggiunge il territorio dell'Oregon.



La guerra col Messico

I confini allargati ormai fino al Messico provocarono, com'era naturale, contestazioni sulla regolarità delle linee di demarcazioni e la guerra fu inevitabile. Nel 1846 si combatté principalmente ne territorio messicano, tanto che gli eserciti americani occuparono la stessa capitale, Città del Messico. Nel 1818 la vittoriosa guerra messicana procurò agli Stati Uniti nuovo territorio e nel 1853 con un altro atto di vendita furono acquistati gli ultimi chilometri quadrati a completamento del territorio entro cui, oggi, si trovano situati gli Stati Uniti dell'America Continentale.

La guerra di scessione

La grande estensione di spazio che la guerra contro il Messico aveva procurato fece sorgere una nuova questione: quella della manodopera necessaria ai lavori agricoli. Si sviluppò quindi il lavoro e il commercio degli schiavi negri. Fra gli Stati del Nord, che erano antischiavisti, e quelli del Sud, in cui la schiavitù era ammessa, vi era stato fino allora un certo equilibrio; ma appropriandosi del Texas e delle altre terre messicane, tale equilibrio venne meno a seguito del grande afflusso di schiavi nelle nuove regioni. I paesi del Nord a economia diversa da quelli del Sud prevalentemente agricola e a grandi piantagioni, riconoscevano più facilmente la schiavitù. Per sottrarsi all'abolizione della schiavitù gli Stati del Sud si staccarono dalla Confederazione; una guerra civile, lunga e feroce, scoppiò fra gli Stati del Nord e quelli del Sud (1861). Ben 700.000 uomini morirono in questa guerra detta « di secessione » per il distacco degli Stati del Sud dalla Confederazione. La guerra terminò con la vittoria degli Stati del Nord nel 1865.
Abramo Lincoln, una delle più luminose figure che la storia americana ricordi, come presidente degli Stati Uniti, proclamò la liberazione degli schiavi. Dopo pochi giorni il grande uomo politico veniva assassinato.

L'ultima frontiera

Sebbene nella prima metà del XIX secolo la frontiera degli Stati Uniti fosse avanzata verso l'ovest fino all'Oceano Pacifico, rimanevano ancora da colonizzare le immense zone comprese tra il grande fiume Mississippi e le Montagne Rocciose. Già nel 1862 l'Homestead Act aveva dato inizio alla sistemazione di questi territori; ma si dovette attendere la fine del secolo perché le grandi fattorie e i grandi allevamenti di bestiame, grazie anche alla incalzante industrializzazione, fossero organizzati e condotti secondo le speranze gli sforzi dei pionieri avventuratisi nelle Grandi Pianure.

Le due guerre mondiali

Dal tempo in cui erano tutti presi dall'impegno di dare un volto politico ai loro territori, gli Americani avevano prestato poca attenzione al resto del mondo. Le loro energie erano state tutte dedicate allo sviluppo materiale e politico dei loro vasti territori e gli stessi Presidenti Washington, Jefferson e particolarmente Monroe avevano ripetutamente consigliato di tenersi lontani dagli affari politici delle altre nazioni del mondo (la dottrina di Monroe).
Ma, come il progresso industriale, scientifico e commerciale portò inesorabilmente a contatto tutti i popoli della terra, anche gli Stati Uniti si trovarono implicati nel nuovo corso della storia umana. Intervennero soltanto nell'ultimo anno del primo conflitto mondiale (1914-18) a fianco dell'Inghilterra, della Francia e dell'Italia contro la Germania e l'Impero Austro-Ungarico.
Dopo la vittoria, gli Stati Uniti decisero di estraniarsi dalle contese dei Paesi europei, rifiutando di partecipare alla Lega delle Nazioni (pur essendo un progetto geopolitico del presidente Wilson).

Lo scoppio della 2a guerra mondiale determinò un secondo intervento a fianco della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica contro la potenza del Tripartito. Dopo la terribile esperienza delle due ultime guerre è ormai diventato evidente alla maggior parte degli Americani che il mondo d'oggi è basato su rapporti d'interdipendenza per cui il benessere degli Stati Uniti è in gran parte legato agli eventi e alle condizioni delle altre nazioni.
La nuova frontiera e la grande società

L'America aveva concluso, alla fine del secolo scorso, la sua fase di espansione continentale; quando il Presidente Kennedy assunse la carica nel 1960, egli lanciò una stimolante parola d'ordine: quella della «nuova frontiera »; non più una frontiera fisica, al di là della quale vi fossero territori da conquistare, ma una frontiera ideale, oltre cui v'erano gli impegni per creare una società più giusta, per aiutare lo sviluppo degli altri Paesi, per lanciare la grande sfida a tutte le altre ideologie, in nome del successo e dei risultati che avevano caratterizzato la vicenda storica degli Stati Uniti.

Sul cammino della nuova frontiera è caduto, nel 1963, il Presidente Kennedy, così come Lincoln era caduto per la difesa della gente di colore; eppure il suo appello ha avuto un significato che servirà in avvenire come indicazione e orientamento ai suoi concittadini.
Succeduto a lui in un momento terribile della storia interna ed esterna, il Presidente Lindon B. Johnson che ha lanciato l'appello per la « grande società »: lo sforzo cioè di assicurare all'America la continuità nel suo progresso e nella sua ascesa.

Forse è questo un momento particolarmente delicato di raccoglimento e di revisione.

Gli anni dopo Johnson fanno parte della cronaca degli ultimi anni.

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