il FEUDALESIMO

( vedi anche in CARLO MAGNO )

Per Feudalesimo s'intende quel tipo di organizzazione sociale, economica e politica fondata sul feudo e sul rapporto di vassallaggio, che caratterizzò un periodo medievale. Inizia  nella sua forma quasi tribale durante la dominazione longobarda a partire dalla loro invasione del 568, con i duk (capi delle farae= capi di grandi famiglie) - creando i ducati;  poi mutuato dalla  Francia carolingia con alcune variazioni, si diffuse nell'Europa occidentale. 
Nella sua forma originale si avvia al tramonto nel secolo XIII. 
Poi inizia "l'età feudale" vera e propria, Creando la nobiltà. Forme di vita feudale  esistevano prima, e si perpetuarono anche dopo fino al 1789 (Rivoluzione Francese). E non era esclusivamente europea perchè un sistema di organizzazione sociale analogo ha prosperato in Paesi molto lontani dall'Europa, come in Cina e in Giappone.

Quello europeo, trova la sua lontana origine non solo nel mondo barbarico germanico, ma -pur diverso- anche  in quello romano  poco prima, durante e subito dopo lo sfacelo dell'impero. 

Il FEUDALESIMO  GERMANICO creato in Italia dai longobardi, apparve subito diverso; era una continuazione di quei legami sociali non fondati sulle leggi scritte, ma sulle tradizioni tribali; e in particolare erano soprattutto non solo tradizioni di un popolo, ma tipicamente familiari. All'inizio forse furono piccoli gruppi, poi con l'unione di tante famiglie di una stessa stirpe, nacque un legame di clan (di tribù), con a capo del clan l'uomo più valoroso,  il più audace, il più intelligente.
Esisteva un re fra i Longobardi, ma  data l'organizzazione nomade di questo popolo, non era un sovrano con ampi poteri; più che altro era un condottiero. Con al suo fianco in caso di guerra, i grandi capi famiglia (i capi delle cosiddette farae) con i propri uomini. Quando  Alboino invase l'Italia nel 568, ne aveva 35 di questi capi e ognuno aveva al seguito la sua grande  famiglia.


Era un rapporto di subordinazione volontaria, un "legame" personale chiamato "gewas". In antico celtico suonava come "servo", inteso come uomo di qualcun altro, fedele, pronto a combattere per lui in cambio di onori, per ricevere lui stesso protezione e un concreto mantenimento. Quest'ultimo poteva assumere la forma dell'attribuzione di un pezzo di terra da coltivare in prestito (solo dopo venne il vero e proprio affidamento), ma non cessava di essere gewas (vassallo), anzi riceveva in più la responsabilità di mantenere l'ordine nei territori a lui affidati.

Quando le conquiste si ampliarono (come quando i carolingi giunsero al potere) a loro volta i gewas crearono un analogo sistema di distribuzioni di onori e di terre; questi beneficiari presero il nome di wald gewas (wald = terra selvatica, foresta) cioè valvassori.

Che applicassero le orde barbariche queste arcaiche istituzioni anche nei paesi di conquista che si trovavano nello sfacelo, non c'è da meravigliarsi. Non erano stati certo solo  i "barbari"  ad aver fatto saltare tutta l'ossatura della civiltà romana, e con essa l'onorata amministrazione dell'impero e il tanto celebrato diritto romano  esercitato.

IL FEUDALESIMO BIZANTINO era invece un'istituzione politico-teocratica, creata prima della caduta dell'Impero  da Costantino, rafforzata da Teodosio, codificata da Giustiniano.

Tutta l'organizzazione dell'amministrazione dell'impero (e quindi la politica, il sociale, il civile, e l'intera cultura) era passata - tramite questi tre imperatori - tutta sotto il potere ecclesiastico in un periodo in cui cinque romani su sei erano indifferenti ai problemi del culto. Uno scetticismo alimentato non solo da un pantheon di dei, ma anche dallo stesso cristianesimo con le sue liti iniziate a Nicea e mai finite (anzi finite poi in 5 correnti e 56 chiese - le più rissose, quella ariana prima, e la ortodossa poi; mentre quelle piccole, bollate eretiche finirono  in stragi).

A questa mancanza di unità spirituale (imporne una a tutti i costi - divenne l'unica questione) la politica già in disfacimento, con l'invasione longobarda ricevette il colpo di grazia. Ma soprattutto lo ricevette la civiltà. Questa parola significa civitas, cioè città. E l'impero romano era formato di città, tutte ad immagine e somiglianza di Roma. Ognuna con le sue terme, il suo teatro, i giochi, con la sua vita godereccia ma anche con la sua già millenaria tradizione culturale, artistica, letteraria, greco-latina. Erano dunque anche centri amministrativi, militari, giudiziari, artistici, scolastici, commerciali, tutti uniti alla capitale da una efficiente capillare rete stradale, fluviale e marittima. Diocleziano dal 285 al 305 diede questa nuova ossatura burocratica  trasformando l'impero in uno stato monarchico, creando le diocesi, le prefetture, le amministrazioni locali. Il regno (impero) diventò di tipo orientale guidato da un sovrano assoluto e i cittadini tutti suoi sudditi. L'Italia seguì la stessa sorte di tutte le altre province  dell'Impero.

Poi venne Costantino che potrebbe sembrare rivoluzionario, ma è chiaro che si adattò alla situazione di fatto che si era già da tempo venuta a creare. "Rivoluzionario" fu solo il suo editto promulgato con il collega Licinio quando dovette affrontare il problema del Cristianesimo i cui seguaci furono determinanti contro Massimino rappresentante intransigente del paganesimo. In virtù di codesto editto tutti i culti furono ammessi liberamente, e ai Cristiani furono restituiti tutti i beni precedentemente confiscati.
"Rivoluzionario" perchè Impero e Cristianesimo non erano più nemici ma diventarono complementari, si sostennero a vicenda; all'inizio più dominante il primo, poi quasi alla pari, e appena venne la crisi fu il secondo  a riempire i vuoti di potere che si erano venuti a creare dopo la morte di Giustiniano.

I vescovi nella prima fase erano diventati sempre più numerosi  funzionari imperiali, e con il loro appoggio gli imperatori citati sopra poterono attuare un programma di governo accentratore e autoritario. Ma l'alleanza tra la chiesa e la monarchia era gravida di pericoli, perchè gli imperatori volendo unire nelle proprie mani l'autorità politica e religiosa  (il cosiddetto cesaropapismo), tendevano a scavalcare la chiesa anche nelle decisioni teologiche, pur non capendoci nulla. (Costantino non fu mai cristiano fino alla morte. Per motivi politici, prima favorì l'arianesimo poi capovolse le sue idee a favore degli ortodossi).

Quando per tante ragioni si verificarono vuoti di potere imperiali, l'organizzazione capillare ecclesiastica  (all'interno progressivamente era nata un'inossidabile gerarchia teocratica al riparo delle successioni parentali) - non solo colmò questi vuoti di potere ma si sostituì ad essi.
(anno 603 - Papa Gregorio - Basi del potere temporale)

E' il momento in cui avviene  un grande mutamento nella vita amministrativa dell'impero occidentale. I vescovi sostituendosi ai funzionari delle varie diocesi, entrano prepotentemente  nella vita amministrativa e in quella quotidiana di una  comunità italica che è allo sbando, o a totale servitù dei barbari-longobardi.

Impero e cristianesimo diventano complementari fra di loro, ma l'impero muta radicalmente quando i nuovi arrivati -rozzi e analfabeti come sono-  non sono in grado di gestire proprio nulla. Il clero ne approfitta gettando le basi per creare un altro tipo di impero: quello romano-cristiano. Anche se di romano non ha più nulla e l'impero è ormai completamente allo sfascio, in mano agli ultimi barbari, che non solo sono piombati in Italia, ma comportandosi da padroni  ne hanno fatto la loro residenza stabile.

Le città divenute decrepiti villaggi hanno al loro interno una popolazione rassegnata, abulica, ignorante, che si raccoglie attorno all'unica autorità esistente: il Vescovo, che diventa l'unico perno dell'organizzazione civile, divenuta interamente religiosa; e lui non é solo un punto di riferimento per l'anima ma anche per  il mantenimento del corpo. Che sia il perno di tutta la comunità ce lo conferma anche la nuova urbanistica. Al centro della città o del villaggio (la pieve) c'è ora   la chiesa (poi sorgeranno le monumentali cattedrali) e il suo sagrato. Qui si svolgono tutti i fatti principali della vita comunitaria. Il vescovo è il governatore, il prefetto, il sindaco, il notaio, l'insegnante, il medico taumaturgo, il moralista, il destinatario dei vari balzelli. E sull'uomo o debole o potente,  domina, vigila, decide, dalla culla alla bara.

La produzione è puramente autarchica, si produce solo lo stretto necessario perchè il villaggio si è chiuso su se stesso, non fa più scambi, non ha più strade, si è chiuso al mercato, con la conseguenza che non potendo più vendere nemmeno può più comprare. Non scambia informazioni, e non riceve patrimoni di conoscenze. Questa miseria materiale e culturale porta irreversibilmente ad una povertà esistenziale, ad una totale involuzione. Tutte le passioni  per la lotta esistenziale sono messe a tacere, incanalate nel misticismo. Questa  rassegnazione  che lo porta a  vivere solo di speranza, gli spegne l'energia vitale, prima quella individuale poi quella collettiva.

Purtroppo  "vivere" nella natura umana non é rassegnarsi (sedersi e aspettare); questo é il coraggio ridicolo dello sciocco. Con la rassegnazione non si va da nessuna parte, si resta fermi,  sempre più deboli, e sempre più esposti. E' quello che accadde quando queste città furono assalite; e non solo dai barbari.

Ma i fuggiaschi dalle città di cui abbiamo parlato dove sono finiti? Essi stanno concependo  una istituzione (non ancora tale nel IV-V-VI secolo) molto simile a quella appena accennata sopra,  ma che come perno ha  il ricco latifondista laico. Sono quelli che prima nelle città romane vivevano nelle grandi sfarzose ville.  Sono i grandi mercanti, i grandi proprietari terrieri, gli alti  funzionari dell'ex impero. Tutti costoro avevano una cultura   romana-ellenica, quindi secondo la chiesa erano tutti pagani, da perseguitare. Vista la situazione (perfino repressiva - odio ai ricchi e messa al bando quel tipo di cultura in cui si sono formati) quando il Cristianesimo divenne non solo religione di Stato, ma lo Stato, lo spopolamento delle città fu  inarrestabile. Con i ricchi emigrarono anche molti cittadini intraprendenti, nelle campagne, a dissodare terreni, o in cima a colline inaccessibili, o al riparo di valli impraticabili, creandosi (i coloni) il loro piccolo podere.  Tutti in cerca di  un'indipendenza  e a procurarsi i necessari mezzi di sostentamento.

Alla categoria  dei ricchi l'autonomia era ovviamente più facile da ottenere, perchè possedevano tanta terra e su questa c'erano già i propri contadini a servizio, pronti a difendere le proprietà del signore. Mentre ai piccoli proprietari bastava una siccità o  l'incursione di un predatore  per perdere tutto e ridursi alla fame.  La soluzione questi ultimi la trovarono mettendosi alle dipendenze di un latifondista, per riceverne la duplice protezione: dalle carestie e dai predoni.  Tanti  "cortili" si trasformarono così in una "corte", e questa  per difendersi dai razziatori iniziò a essere simile alle città,  fu recintata, divenne gradualmente un borgo, con al centro la casa del potente proprietario, sempre più bella, imponente, super protetta, in pratica una fortezza. Con questa mentalità e cultura detta cortense, nasce così il Castello. L'idea non era nuova. Alcuni linguisti  legano la radice al Castrum romano (per via del recinto), altri invece, all'arabo Kasr, che corrisponde di più al significato, perché significa "casa protetta in cima a una rocca, altrettanto  quella protetta da un fossato  che fu una più tarda e singolare invenzione di Maometto.

Questo microcosmo sociale, quindi politico (unico signore), economico (a vocazione autarchica),  culturale (chiuso alle sinergie)  per ovvie ragioni, fu quasi identico a quello che si sviluppò all'interno delle città. Entrambi vegeti in un mondo chiuso ma moribondi come evoluzione. Avevano abolito gli scambi, l'economia di mercato, soppresso del tutto la moneta, fatto crollare (e non solo metaforicamente)  i "ponti" con il resto del mondo.

Furono queste  concentrazioni di pochi potenti che provocarono la nascita di due istituzioni sociali destinate a condizionare i successivi secoli. All'esterno nei nuovi borghi (curtis) nacque una classe aristocratica nettamente laica, mentre all'interno delle città-fantasma divenute chiusi villaggi si consolidò e prosperò l'amministrazione ecclesiastica. E fu questa che andò a consolidare la "forza" temporale  della Chiesa in contrapposizione a quella laica ribelle alle vari costrizioni e coercizioni. Spazzare via tutta una tradizione culturale da secoli radicata, non fu facile nè ai primi nè ai secondi. L'intellighenzia laica (chiamata pagana) solo di quella cultura si era nutrita.  Anche San Gerolamo e lo stesso Sant'Agostino non sapevano sottrarsi al fascino della letteratura greca e latina di Cicerone o di Virgilio. Temevano perfino della salvezza della loro anima nel provare tanto amore e gusto per la classicità. Agostino rimase persino sgomento nel leggere i testi cristiani "così infantili e illetterati". Polemizza perfino per le "interminabili favole, imbastite su cielo, terra, luna, sole, pseudo miracoli e altre mille stramberie che non portano acqua al mulino della credulità cristiana, soprattutto fra quelle persone che hanno una certa cultura; la Classica greca".

Sono insomma questi due mondi così diversi come concezione della vita che daranno poi origine ai contrasti. Due poteri (ognuno coi suoi riti d'iniziazione e offerta di benefici ai propri sottoposti) che entrambi in alcune territori dove sono divenuti sempre più forti, daranno origine a quelle contese che poi sfoceranno nelle lotte dei Duchi e Principi  laici, contro i  corrispondenti Principi  ecclesiastici.

Dalle lotte si passò alle battaglie e da queste alle guerre. Da quelle feudali a quelle comunali, dalle lotte tra signorie a quelle degli Stati nazionali, poi  lotte tra Imperi,  per poi continuare ancora con i "blocchi" nel frattempo nati.

Prenderanno il nome di "ideologie",  "rivoluzioni" , "dittature", lotte tra "guelfi" e "ghibellini",  "giacobini" e "conservatori", "antidemocratici" e liberali, "destra" e "sinistra", ma l'anima dei due schieramenti nasce in questo atavico dualismo. 

Tutto questo avvenne in una forma graduale. Abbiamo per il momento visto  l'inizio di quest'aggregazione in due mondi distinti, ora vediamo come si organizzarono per arrivare alle prime lotte.

Iniziano i Longobardi, quando si  imposero sui vinti, e crearono la loro organizzazione interna con un ordinamento politico-amministrativo sulla base di una struttura sociale primitiva delle  popolazioni germaniche. 

Il Duca  nel suo latifondo, trasforma il legame che prima aveva il cittadino verso lo Stato, in un legame personale. Prestigio, ricchezza, e qualche volta anche intelligenza e coraggio, lo pongono di fatto con la sua proprietà ad essere un governante. Quindi assume pieni poteri nella sua curtis, che ormai è un vero e proprio piccolo regno.  Esercita imposizioni con la sua autorità, è lui a fare la giustizia, lui a riscuotere imposte in natura, e sempre lui a distribuire lavori e cariche. Questa classe di "reucci" " pur priva di statuto giuridico, avanza autonomamente come classe "aristocratica", contraddistinta dalle prerogative di comando e dal genere di vita che fanno nelle stessa curtis.

Quando poi (con gli ampliamenti territoriali) intervenne l'esigenza di organizzare un efficiente gruppo di uomini armati per difendersi,  o se avidi per fare nuove conquiste, la strategia vincente di questi "reucci", era quella di radunare e impiegare i migliori soggetti del proprio contado.  E se nell'azione emergeva il campione, pronto a difenderlo e a lottare per lui,  quest'uomo valoroso iniziò a ricevere dal suo signore  i primi benefici di varia natura.

Il più importante che a noi ora c'interessa é quello del Feudo. Un termine introdotto dai Longobardi;
 "feudo" significa "gruppo di bestiame" da fee = bestiame; che abbinato a duk = "condurre",  i longobardi ci crearono poi quel termine che a noi ci appare ancora oggi altisonante, cioè  il DUCA. Che significa "l'uomo che conduce e alleva bestiame nel suo territorio". E in effetti prima di scendere in Italia a questo erano dediti i longobardi; dentro un lehn, cioè in un territorio-pascolo, dato  in "prestito" dal loro re al duk

Il fatto nuovo che si verifica, è quando il "duk "  che deve sempre di più poter contare su un contingente di uomini guerrieri stabili, fedeli e sempre disponibili -  premia   il suo valoroso (amico, compagno, "servo" fidato) in "gewas" (vassallo) cedendogli il  feudo non più come premio-prestito di un pezzo di terra da lavorare o farci un allevamento, ma gli "affida" un vero e proprio territorio, che ora si chiama contea e il vassallo ne è il conte (*) dove è tenuto ad organizzare  una truppa di guerrieri stabili di pronto impiego. Crea dunque  così anche lui un piccolo microcosmo sociale; e che a sua volta, divenuto anche lui potente, ne creerà a valle un altro a lui sottoposto: quello dei "valvassori".
(*) Conte deriva  da comiten = compagno, dalla radice comire = andare insieme. Il territorio a lui affidato prende il nome contea, le singole frazioni abitate contado, e gli abitanti che vi abitano contadini. 

 Barone venne dopo, dalla radice bairan = portatore; indicava quella persona relativamente  fidata (alle volte era anche mercenario) che si occupava di "portare" il necessario alle milizie, che pensava soprattutto al materiale logistico; armi, vettovaglie, vestiario. Forse per chissà quale motivo ( linguisticamente l'intepretazione é ardua) questa voce divenne anche ambigua, fino al punto da indicare un uomo potente ma abietto. Che comanda tutto lui, ma con il raggiro. Baro e Baronem in latino (quindi già prima) ha il senso anche di affarista-imbroglione, . E c'è il sospetto che non fu certo mutuato a caso.

Ma il fatto nuovo e grave che si verifica (questo dopo la fine del periodo longobardo), é che si è venuta a creare (fra guerre, riunioni, fatti o feste d'armi, ecc.)  una vera e propria aristocrazia di vassalli; e  costoro tutti insieme hanno iniziato a premere il signore per l'ereditarietà del loro titolo. Questo principio, dopo insistenti pressioni, trovò - per la prima volta, nella Francia carolingia  nel 877 -  una sanzione giuridica nel celebre Capitolare di Kyersy  di Carlo il Calvo.

Fu ottenuta in un modo curioso, con una pretesa di carattere umano. Quando Carlo organizzò la spedizione in Italia, i suoi conti prima di partire, ritenendola una spedizione pericolosa, temendo seriamente per la loro vita chiesero di rimettere ai loro figli il feudo per non lasciare questi in disgrazia in caso di morte. Una data epocale, perchè da questo momento nasce una casta nobile  non più fondata sulla capacità, l'ardimento, l'intelligenza e la vigoria del vassallo, ma poggia solo sui legami parentali. Insomma poteva poi nascere l'erede inetto, deforme e persino scemo, ma quello era il vassallo, il principe, il duca del re.

In Italia accadde la stessa cosa nel 1037, a Milano, ma ad opera dei valvassori  nei confronti dei vassalli che erano diventati gelosi delle proprie terre e anche prepotenti.  Corrado II con la Costitutio de feudis garantì anche a loro il diritto d'ereditarietà. Nasce così la nobiltà feudale ereditaria anche in Italia. Il valore del singolo non conta più, conta solo la discendenza.

Questo fatto avvenuto nel milanese, segna l'inserimento dell'istituzione feudale nata presso i "barbari",   dentro quella sviluppatasi e già esistente in Italia, che  si era però formata in un altro modo per quelle ragioni che abbiamo elencato sopra. Un sistema dualistico in contrapposizione. Entrambe le due strutture antagoniste  impegnate a difendere la propria costruzione feudale.  La ecclesiastica amalgamando (nelle decadute città dell'impero)  lo spirituale e il temporale; e quella laica (come abbiamo visto, nata dal colto e ricco "paganesimo" romano) a difendere la sua indipendenza con i suoi castelli, le sue fortezze, i suoi borghi, le sue terre.
Queste ultime non sempre le ha conquistate con la spada. Per convenienza, opportunismo, con tanta spregiudicatezza si è spesso appoggiato al clero, e con altrettanta disinvoltura se n'è allontanato.
Un trasformismo che ritroveremo sempre nel corso dei secoli.

Questi compromessi in Italia   non erano nuovi. Infatti, nel Nord Italia  il feudalesimo con Corrado, mutuò molto da quello dei Franchi, innestandosi sui preesistenti deboli istituti longobardi  che a loro volta si erano appoggiati a quelli esistenti in Italia: degli ecclesiastici in terre bizantine. Ed ebbero il primato durante le lotte comunali, in quelle delle signorie, ed infine sugli stati in formazione, alla fine solo questi ultimi istituti (Principi Vescovi), 

Nel Sud d'Italia ai Normanni  non andò meglio; loro introdussero il feudalesimo germanico, ma solo nella forma non nella sostanza.  Non fu infatti sradicato  il feudalesimo laico latifondista, cioè quello non ecclesiastico. Eppure in Inghilterra gli stessi Normanni ne avevano creato uno completamente diverso: eliminati tutti i capi locali e quindi ogni pericolo per l'unità statale in formazione, la giustizia, l'economia, le finanze, furono non più affidate ai feudatari, ma a rappresentanti del re: gli sheriffs. Questo evitò all'Inghilterra l'anarchia feudale che ha vissuto l'Europa (e l'Italia) con il suo Sacro Romano Impero Germanico. 
Quando questa anarchia stava per scoppiare anche in Inghilterra, con la rivolta dei baroni contro il sovrano, anzichè questa produrre la dissoluzione dello Stato, produsse nel 1215,  la Magna Charta libertatum,  l'atto di nascita del parlamentarismo britannico e del moderno stato di diritto. Che non dimentichiamo nacque sulle leggi consuetudinarie degli antichi popoli "barbari" nordici. E sono ancora tutt'oggi vigenti. La Gran Bretagna infatti non ha un codice civile e penale scritto.

LA NASCITA DELLA CAVALLERIA

Con la necessità di un mantenimento dell'unità del feudo, sorse   l'esigenza di avere non solo molti uomini a disposizione, ma il poter disporre di validi individui capaci di combattere. Questo richiedeva  impegno nella preparazione dei militis, ma anche un impegno logistico nel preparare  le armi e i mezzi. E, poichè l'essere armati a cavallo era il requisito essenziale, il combattente a cavallo divenne l'anima dell'intera struttura bellica del signore.

Il cavallo e la cavalleria non era cosa nuova. I reparti di cavalleria erano da secoli impiegati. Ma erano reparti, e qui c'è il distinguo. La cavalleria  precedente era un corpo scelto dentro un esercito, erano soldati, dei subalterni; mentre quella che sorge nell'età feudale   ha un vincolo personale con il signore;  è in sostanza il suo piccolo esercito individuale, il suo braccio destro. La familiarità  dei cavalieri con il piccolo sovrano più che creare amicizia  crea profondi rapporti di fedeltà reciproca. E lentamente si trasforma in una casta che diventa sempre più sensibile al senso dell'onore e della giustizia.

E  se inizialmente il cavaliere era quell'uomo non nobile ma  intrepido che riceveva poi  privilegi servendo il suo signore fino a diventarne suo vassallo,  in seguito il già nobile - pur di nascita-  poteva solo aspirare a diventare cavaliere. La dignità personale valeva assai più della nobiltà di origine: tanto è vero che il titolo di Cavaliere  ancora oggi, proprio per questa ragione non é trasmissibile per via ereditaria.

E' il momento in cui i Cavalieri diventano un vero e proprio ordine. Nel XII secolo nascono con il diritto scritto  le prime istituzioni dei diritti cavallereschi e nell'ambito della società feudale divenne una vera e propria istituzione politico-sociale. Da non confondersi con la semplice milizia a cavallo, e con un ceto guerriero qualsiasi, o con le Compagnie di ventura, o con i cavalieri erranti, o peggio ancora con i cavalier serventi dei romanzi decadenti romantico popolare o nella  lirica dei trovatori.
E nemmeno quelli che sono riportati nelle cronache delle crociate e che usano presentarli invasi da un fanatismo religioso, e solo come "Combattenti di Cristo".

Nelle cavalleria feudale medioevale e nelle crociate c'era anche un altro genere di cavalieri (c minuscola) avventurieri senza scrupoli, violenti,  vendicativi, bellicosi, anarchici, quindi non Cavalieri.

I primi continuarono a essere tali, ne sono piene le cronache dei memorialisti, i secondi con la decadenza della struttura feudale della società venne a mancare la causa fondamentale della Cavalleria.   L'Onore e la Dignità nei successivi governanti sull'intera Europa, furono sempre pessime se non del tutto  assenti. Non erano più in voga. E i Cavalieri indirizzarono gli animi verso nuove e più civili aspirazioni di ordine e di giustizia. Appartati e in silenzio.

I Cavalieri rinunciando così  al ruolo militare, divenuto ormai solo delle orde soldatesche, mercenarie, senza ideali,  e ormai impiegate solo in guerre commerciali, ritornarono alla loro iniziale missione iniziata nel 1023 come Ospitalieri: si concentrarono ad aiutare il prossimo. Tornò ad essere la loro singolare vocazione; esercitandola con i tre voti simili al  monachesimo agostiniano: povertà, castità e obbedienza. E in silenzio! Ma con un motto " Nell' Ordine non si resta senza il conforto della virtù. Fuori chi sfoggia ricchezza, chi cerca posti privilegiati, chi si agita per vanagloria ! "

Abbiamo corso un po' troppo. Ci siamo allontanati dal Medio Evo, dobbiamo quindi rituffarci nell'anno 1000; nel quadro politico; nell'accennata Costitutio de feudis; nella Lotta delle investiture e allo Scisma cattolico.
Il tutto ci porterà poi dentro all' Età dei Comuni e alla Crisi del Feudalesimo.

( vedi anche in CARLO MAGNO )

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