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GRECIA - STORIA

* La 1a GUERRA PERSIANA
( Maratona )


Il luogo della battaglia e l'eroe di Maratona: Milziade


Guerre Persiane si chiamano quelle guerre che i Greci ebbero a sostenere contro il nuovo re dei Persiani (prima con Dario poi con Serse) per circa mezzo secolo. Queste guerre furono narrate in tutti i loro particolari da Erodoto, contemporaneo degli avvenimenti.
Come leggeremo in avanti, nei due conflitti i Greci difesero valorosamente la loro indipendenza e riportarono clamorose vittorie. Per la prima volta Sparta e Atene -messe da parte gli atavici attriti- unite affrontarono il nemico e fu il trionfo dell'Europa sull'Asia, della libertà sul dispotismo.

Abbiamo già visto nelle pagine precedenti, che l'Impero Persiano fin dalle sue origini con Ciro aveva esteso la sua dominazione sull'Asia, proseguita poi con Dario che giunse ad essere padrone dell'intera Asia Minore, con tutte le città elleniche del litorale ormai a lui sottomesse.
Ora, se si considera la vastità dei domini di Dario, e si rilevi la differenza di governo e di civiltà tra la Persia e la Grecia, facilmente si comprende come fosse inevitabile la lotta tra questi due mondi.

I Greci dell'Asia Minore si erano sottomessi alla signoria persiana senza opposizione degna di rilievo; e per lo spazio di mezzo secolo neppure intrapresero alcun tentativo per scuotere il giogo straniero che, in verità non si faceva sentire troppo; persino quando, dopo la morte di Cambise, scoppiarono quasi dappertutto insurrezioni nell'impero, essi rimasero tranquilli, non ne approfittarono. Da parte loro i Persiani in quel periodo nemmeno pensarono ad estendere la propria signoria sull'Egeo. I due primi re, Ciro e Cambise, furono tenuti impegnati da ben altri problemi a est e a nord; soltanto Dario, dopo aver ricondotto l'ordine nell'impero, forse un po' più ambiziono dei suoi predecessori, iniziò a rivolgere la sua attenzione all'Occidente.

Tuttavia all'inizio neanche Dario progettò una conquista della Grecia, tentò invece di soggiogare gli Sciti abitanti a nord del Mar Nero. Non sappiamo quali ragioni lo abbiano indotto a mettersi in questa impresa rischiosa; probabilmente egli credeva (come ancora Alessandro due secoli dopo) che la Battriana fosse vicina al Mar Nero, e volle procurarsi una via di comunicazione più breve tra l'estremo oriente e l'estremo occidente del suo vasto impero e nel tempo stesso prendere alle spalle i popoli nomadi predoni del nord della Battriana, che una volta Ciro anni prima aveva tentato di sottomettere.
Questa volta rivolgendosi a occidente Dario passò il Bosforo a capo di un grande esercito, sottomise le popolazioni traciche sino al Danubio, varcò il fiume e penetrò nelle immense steppe del paese degli Sciti. Ma egli non aveva calcolato bene le difficoltà dell'impresa; il nemico non si prestò mai a venire a battaglia, e ben presto in quel paese inospitale il grande esercito persiano si trovò in crisi perchè privo dei rifornimenti necessari. A quel punto, non rimaneva che battere in ritirata, e così fu fatto in mezzo a gravi privazioni e perdite.

Questo insuccesso comunque non riuscì a scuotere più di tanto le aspirazioni e le brame del re dell'Asia Minore, né le sue velleità guerresche. Si aggiunga che Dario nel sua grande territorio aveva instaurato un'amministrazione finanziaria assai rigida e i tributi erano saldamente organizzati e riscossi con rigore; fu detto che Ciro aveva governato l'impero da padre, Cambise da padrone, Dario da usuraio.
Inoltre a suo favore nelle città greche si accentuò una corrente sempre più avversa ai tiranni, che i Persiani aiutavano a mantenersi in signoria; la Jonia aveva superato il tirocinio della monarchia e reclamava quella stessa indipendenza politica di cui godevano gli Joni al di là dell'Egeo. Erano quindi nell'aria venti di sollevazione, la più piccola scintilla poteva far scoppiare l'incendio che i Persiani attendevano per entrare in azione.
Aristagora, il tiranno di Mileto, la più grande ed opulenta città della Jonia, saggiamente comprese che non avrebbe potuto far argine al movimento e decise di mettersi egli stesso a capo di esso. Perciò depose il potere e chiamò il suo popolo a combattere per la libertà. L'esempio dato da Mileto fu seguito entusiasticamente dalle altre città greche dell'Asia Minore, dappertutto i tiranni vennero abbattuti e si rifiutò obbedienza ai Persiani (500 a. C.).

Tutto stava ad ottenere l'aiuto della madre-patria greca, ed Aristagora si recò a questo scopo a Sparta. Ma a Sparta furono così poco perspicaci da non vedere il formidabile pericolo che minacciava la Persia; non compresero che il Peloponneso si poteva difender meglio nella Jonia che non sull'istmo. Insomma respinsero la domanda di aiuto. Maggiore intelligenza della situazione dimostrò invece Atene. Atene era da un lato legata a Mileto da maggiori vincoli dovuti all'affinità di stirpe e alle attive relazioni commerciali, e dall'altro viveva in continua apprensione per il timore che Ippia potesse con l'aiuto dei Persiani fare dalla sua Sigeo il tentativo di riconquistare la perduta signoria sulla città. Perciò gli Ateniesi inviarono agli Joni un aiuto di 20 navi, ed anche la vicina Eretria, che era anch'essa legata a Mileto da antica amicizia, prestò un contingente di cinque navi. Per quanto in se stesso insignificante materialmente, questo aiuto fu di una grande portata morale per la causa degli Joni.

Con una accorta analisi della situazione gli Joni presero immediatamente l'offensiva, prima che il re persiano fosse in grado di concentrare rinforzi verso occidente. Meta designata dell'attacco fu Sardi, la capitale dell'Asia Minore; e i Greci riuscirono infatti ad occuparla; in questa scoppiò un incendio che si estese rapidamente alle case coperte per lo più di canne e ridusse in cenere l'intera città. Il presidio persiano si rinchiuse nella rocca solidamente munita e capace di sfidare un assedio anche di anni. I Greci non insistettero più di tanto, non vi era per il momento più nulla da fare si accontentarono del successo ottenuto e se ne tornarono con le navi in patria (499).

Però l'impressione prodotta dalla notizia degli avvenimenti svoltisi nell'Asia Minore (di avere incendiata la capitale) fu però immensa; la Caria e la Licia, le città dell'Ellesponto, persino la lontana Cipro aderirono ora alla rivolta.
Nel frattempo il re persiano si era preparato alla riscossa. Una flotta fenicia salpò nella primavera successiva e sbarcò un esercito a Cipro. Gli Joni non indugiarono a correre in aiuto dei loro alleati e la flotta ionica riportò una vittoria su quella fenicia; mentre invece i Ciprioti non si mostrarono alla pari di resistere ai Persiani e ben presto l'isola venne nuovamente sottomessa.
Contemporaneamente i Persiani eran passati all'offensiva anche nell'Asia Minore. Qui, è vero, essi, non avendo a propria disposizione una flotta, non riuscirono a concluder molto contro le città greche della costa e per di più subirono nella Caria una disastrosa sconfitta. Ma nonostante ciò la perdita di Cipro aveva deciso irrimediabilmente le sorti dell'insurrezione. Fra gli Joni scoppiarono discordie; Aristagora non fu in grado di sostenersi ulteriormente a Mileto ed esulò recandosi nei suoi possedimenti sullo Strimone in Tracia, dove poco dopo trovò la morte combattendo con i bellicosi indigeni (496).

Anche Atene non inviò più aiuti. Finalmente il re persiano decise di portare un colpo decisivo. Concentrò una grande flotta di navi fatte venire dalla Fenicia e da Cipro, e si presentò nell'estate del 494 dinanzi a Mileto. Qui, presso l'isoletta di Lade, le si fece incontro la flotta ionica ; ma la superiorità numerica dei Fenici riportò la vittoria. Dopo ciò Mileto venne bloccata per mare e per terra e dopo un lungo assedio fu presa all'assalto; essa dovette scontare in modo spaventevole il fio della sua ribellione: il suo antico splendore rimase distrutto per sempre. Le altre città, caduta Mileto, furono con poca fatica ricondotte all'obbedienza (493), e nell'anno successivo il genero del re, Mardonio, restaurò la signoria persiana anche nella Tracia e nella Macedonia. L'insurrezione era soffocata. Tuttavia i Persiani non abusarono della vittoria; essi restaurarono lo stato di cose com'erano prima della rivolta. In particolare i tributi non subirono inasprimenti, ma vennero distribuiti con maggiore giustizia.
Non vollero però i Persiani lasciare impunito l'appoggio che Atene ed Eretria avevano prestato all'insurrezione. O forse era questo il pretesto tanto atteso per scatenare una guerra in Grecia. Fu quindi approntata una grande flotta, che recando a bordo truppe di sbarco si diresse attraverso l'Egeo verso la Grecia (490). Le Cicladi si sottomisero senza colpo ferire; poi fu attaccata Eretria e dopo breve combattimento fu presa d'assalto e per punizione bruciata fino alle fondamenta.

Da Eretria i Persiani attraversarono l'angusto braccio di mare che separa l'Eubea dall'Attica ed approdarono nella baia di una piccola città posta sulla costa del mare. Il vecchio Ippia si era unito alla spedizione, lietissimo di vendicarsi degli Ateniesi, fu lui a guidare i Persiani il quel famoso luogo che rimarrà glorioso finchè duri l'umanità: la pianura di Maratona. Era quella via la stessa per la quale suo padre Pisistrato anni prima era tornato ad Atene.
Ippia possedeva tuttora numerosi fautori ad Atene e sperava in una sollevazione della città a suo favore. Ed in attesa che questa scoppiasse i Persiani si tennero per il momento fermi a Maratona. Fu un fatale errore.

Ad Atene la grande maggioranza dei cittadini - sapendo che con i Persiani tornava anche Pitia, non era affatto disposta a sottomettersi ancora una volta alla signoria dei Pisistratidi. A capo di questo partito si trovava MILZIADE, nipote di quell'altro Milziade che al tempo di Pisistrato si era costituito un principato nel Chersoneso tracico. Egli era succeduto allo zio nel governo, ma a causa della partecipazione presa all'insurrezione ionica aveva dovuto fuggire davanti ai Persiani ed era ritornato ad Atene.
In questo momento egli rivestiva per l'appunto la carica di stratega; e fu soprattutto merito suo a spingere partito a non limitarsi alla difesa delle mura, ma di uscire incontro al nemico, e all'occorrenza battersi in campo aperto. Gli Ateniesi pertanto sposarono la sua causa, uscirono dalla città e presero posizione sulle alture sorgenti ad occidente della piana di Maratona, e contemporaneamente inviarono corrieri a Sparta per pregarla di spedire con urgenza aiuti.

L'esercito ateniese poteva all'incirca contare 9000 uomini di pesante armatura ed un numero pari di truppe leggere. Per la prima volta armarono perfino gli schiavi. Milziade a marce forzate era giunto sul posto, vanificando la mossa del re Persiano che credeva di poter sorprendere Atene ancora sprovvista di armati e quindi assediarla.

I Persiani come esercito non dovevano essere gran che (anche se Erodoto parla di 100.000 soldati) più forti di quello ateniese, perché data la piccolezza delle navi di quel tempo, sarebbe stato assai difficile trasportare oltre mare un contingente di truppe di più considerevoli proporzioni. Per la stessa ragione l'arma principale dell'esercito persiano, la cavalleria, non era si può dire rappresentata affatto a Maratona. E proprio per queste condizioni i Persiani ebbero l'accortezza di non attaccare le forti posizioni messe da Milziade; ma quando videro mancata l'insurrezione d'Atene, sulla quale avevano fatto calcolo, si decisero alla fine ad impegnare battaglia per non dover poi, indugiando più a lungo, contemporaneamente lottare contro Ateniesi e Spartani.

Ma le truppe persiane armate alla leggera non ressero all'urto degli opliti ateniesi spinti da Milziade (che quel giorno era proprio lui al comando) alla carica in linea compatta e furono respinti con gravi perdite verso le loro navi che erano state tratte a secco sulla spiaggia; qui tennero nuovamente testa con il coraggio della disperazione, ed effettivamente riuscirono a salvare la flotta, salvo sette navi che caddero in preda dei vincitori.
Si narra che un certo Cinegiro di Atene, dopo aver fatto prodigi in campo si sforzò di impedire ad una galera di mettersi in mare; trattenendola con la mano destra , questa da bordo gli fu mozzata, ma lui impavido l'afferrò con la sinistra, ma mozzata anche questa usò i denti.
Quando la battaglia finì, con la inaspettata vittoria ateniese, un altro soldato tutto coperto di sangue nemico, già campione olimpico di Dolichos, un certo Fidippide, si offerse di correre ad annunciare la clamorosa vittoria ad Atene. La distanza è di km 42,192 da Atene a Maratona (oggi a 4 km dalla ricostruita Maratona moderna). Il guerriero-atleta ateniese benchè ferito e sfinito dalla battaglia, percorse il tragitto tutto in un fiato. Quando giunse ad Atene, riuscì appena a dire le memorabili parole "Rallegratevi, siamo noi i vincitori"
, poi si accasciò al suolo spirando per il grande sforzo fisico sostenuto alla presenza dei suoi concittadini.
L'immagine mitica di Fidippide tornò a rivivere nei primi giochi dell'era moderna, alle olimpiadi di Atene del 1896, quando il
francese, Michel Breal, chiese a P. De Coubertin di includere una prova atletica che ricordasse la famosa corsa del "soldato di Maratona".

Si narra che nella famosa battaglia siano rimasti sul campo 6400 persiani, e fra questi il traditore Ippia, mentre gli uomini vincitori di Milziade perdettero soltanto 192 combattenti; il loro tumulo (soros) si erge ancora oggi sul luogo della battaglia nella parte meridionale della pianura di Maratona. In cima dieci colonne di marmo dove sono incisi i nomi dei 192 eroi caduti. Gli ottimisti persiani si erano portati dietro anche un blocco di marmo per farne - a vittoria conclusa- un trofeo-ricordo da mettere in Atene ; il blocco giunse ad Atene, e più tardi il grande scultore Fidia vi scolpì la statua di Nemesi, dea delle giuste vendette.

Meno gloriosa fu la fine dell'eroe di Maratona: Milziade. Sempre acceso sostenitore delle offensive e non delle passive difensive, dopo la vittoria riportata sui Persiani, volle punire gli isolani delle Cicladi, perché non erano stati fedeli alla causa della libertà, e convinse gli ateniesi a muovere contro di loro con la flotta.
Le disgrazie di Milziade le leggeremo nel prossimo capitolo.

Torniamo ai Persiani nel dopo Maratona. A loro non rimase che tornarsene in Asia. Re Dario naturalmente non dubitò un istante che si dovesse prendere la rivincita dello scacco di Maratona; ma comprese pure di non aver calcolato bene il valore del nemico e che una campagna contro la Grecia non poteva farsi con speranza di successo se non impiegando mezzi assai più considerevoli. Tornato in patria diede ordini che si facessero nuove leve di truppe per tutte le sue province; gli ci vollero tre anni per prepararsi a questa spedizione, ma, prima di aver compiuto i preparativi occorrenti allo scopo, egli morì (485), ed il suo successore Serse prima di poter pensare a riprendere i progetti di suo padre contro l'Occidente, e punire gli ateniesi in sua memoria per il disonore subito a Maratona, fu impegnatissimo a sedare ribellioni sui confini persiani e a soggiogare l'Egitto.
Così la Grecia dopo Maratona poté godere di un periodo di circa 5 anni di quiete.

Nel frattempo ad Atene si scatenavano le polemiche su cosa fare. Se armarsi o attendere passivi gli eventi. Dopo Milziade che come vedremo cadde in disgrazia, c'era Temistocle che si fece sostenitore dell'opportunità di costituire una potente flotta, in previsione del pericolo minacciato dai Persiani; egli comprese con l'occhio acuto del genio che una nuova invasione persiana non si sarebbe potuto arginarla efficacemente che sul mare. Ma a questi disegni marinari guerreschi fecero la più accanita opposizione coloro - soprattutto militari - che invece non volevano che Atene fosse privato il centro della logistica terrestre. La solita questione delle due armi (anche in recenti tempi moderni) "rivali", perché ognuna crede di essere la "regina" e che ad essa vada la maggior considerazione.

Ma anche in Persia le dispute non mancavano. Il giovane sovrano non aveva tanta inclinazione per l'audacia, e forse se consigliato bene non avrebbe nemmeno intrapreso la seconda campagna in Grecia; lo zio Artabano, cosciente delle proprie forze persiane, di alto numero ma per nulla motivate come lo erano gli ateniesi, animati dal più ardente amor della patria, non mancava di dargli buoni consigli, ricordandogli che non bastava la sciocca temerarietà, l'impresa poteva fallire, come a Maratona, e lo esortò a non dare ascolto alla doppiezza dei suoi inetti generali nè alle lusinghiere suggestioni di inesperti cortigiani, nè a sognare una gloria immaginaria.
Purtroppo i consiglieri di cui Serse si circondava, -e fra questi il più cortigiano era Mardonio- ogni qual volta il sovrano ritornava sull'argomento, magari con qualche idea bellicosa, vendicativa, punitiva, essi si precipitavano ad assecondarlo, ad incitarlo, con servile adulazione.
Mardonio non smetteva di disprezzare il coraggio degli ateniesi, non smetteva di dirgli che nessuna nazione al mondo si sarebbe opposta al suo potere, e non smetteva di fargli balenare l'idea che solo in Grecia avrebbe conquistata la gloria imperitura.
Mardonio disprezzava anche Artabano, il suo nemico che dava al re consigli pacifici, e anzichè Serse ascoltarlo e approfittare della sua saggezza, esortato da Mardonio, giunse perfino a dire al fratello di suo padre, che gli effetti del suo risentimento erano frenati solo dallo stretto legame di parentela che li univa.

Ma oltre Mardonio, anche se non c'era più il traditore della Grecia Ippia, che aveva guidato e scelto lui lo sbarco a Maratona, c'erano i suoi figli, che avevano tutto l'interesse a portare nuovamente la guerra in Grecia.
Erodoto nel narrarci i fatti, crede e pretende di farci credere una ridicola storiella a riguardo delle decisioni di Serse: quella di un'apparizione divina che gli confermò la risoluzione di invadere la Grecia. Altri, invece - ed è assai più probabile- accreditano tale astuta invenzione proprio ai figli di Ippia.
Comunque sia, Serse persistette nella sua risoluzione e non pensò che ad eseguirla.



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Bibliogrfia e testi
WILLIAM ROBERTSON - ISTORIA DELL'ANTICA GRECA - 1822
PFLUGK-HARTTUNG - STORIA UNIVERSALE, LO SVILUPPO DELL'UMANITA' , Vol. 1 - Sei 1916
STORIA UNIVERSALE DELLE CIVILTA' - SONZOGNO, 1927
STORIA ANTICA CAMBRIDGE- VOL V- GARZANTI - 1968
JOHN D. GRAINGER Seleukos Nikator ECIG
FRANCA LANDUCCI GATTINONI -Lisimaco di Tracia - Jaca book 1992
RICHARD A. BILLOWS Antigonos the One-Eyed (University of California Press 1997)

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