1948 - 1951

DOPOGUERRA:
IL PIANO MARSHALL IN EUROPA



(vedi anche i vari comunicati stampa e una breve sintesi sulle motivazioni del "Piano Marshall" ).....> >
... che aveva strategie e obiettivi politici ed economici ben precisi. E c'è chi sostiene che fu proprio il Piano Marshall ad aprire ufficialmente la "guerra fredda" tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Ma a parte gli obiettivi politici, in quelli economici il "Piano" fu un grosso affare per gli Usa, alle prese con la immediata riconversione industriale.

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L'autore, LUCA LAMACCHIA, questo interessante lavoro ce lo ha inviato e presentato come un "umile riassunto di ricerche". L'autore di "Cronologia" invece, lo ritiene un lavoro importante per la conoscenza dei fatti, anche perchè scarseggia materiale in lingua italiana sull'argomento. Nessuno studioso italiano di cui sia venuto a conoscenza ha scritto (almeno in italiano) nessun libro sul piano Marshall, ad esclusione di quelli relativi a qualche effetto di quest'ultimo sul nostro paese. Carenza forse comprensibile, perché nell'impostazione di questi studi, deve essere sottolineata la complessità di motivazioni e di obiettivi politici ed economici che furono alla base di questo programma di aiuti.


In queste pagine (circa 300) le ricerche di LUCA LAMACCHIA, sono state molto accurate,
le fonti autorevoli e il risultato storico che ne è venuto fuori è degno di nota.

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CONTENUTO

INTRODUZIONE

Cap. I. - L'EREDITA' DELLA GUERRA - LE DISTRUZIONI (con 5 tabelle)
(nelle pagine sottostanti)

Cap. II. - VERSO IL PIANO MARSHALL
2.1- L'Europa nell'anno 1947
2.2 - Un programma di ripresa per l'Europa
2.3 - La reazione americana
2.4 - La reazione europea
2.5 - La reazione sovietica

Cap. III. - IL PIANO MARSHALL ( con 15 tabelle)
3.1 - Le dimensioni del Piano Marshall
3.2 - Gli obiettivi del Piano Marshall
3.3 - Gli organismi competenti
3.4 - I risultati economici


Cap. IV. - IL PIANO MARSHALL NELLA STORIOGRAFIA

4.1 - Le scuole di pensiero
4.2 - I revisionisti
4.3 - I tradizionalisti


BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Il piano Marshall fu uno dei fatti più importanti del secondo dopoguerra. Tale programma contribuì alla ricostruzione europea, tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, risparmiò ulteriori sacrifici a uomini e donne già prostrati dalla guerra, favorì il processo di unificazione europea e cementò l’alleanza fra le due sponde dell’Atlantico.

Il piano Marshall è stato ampiamente dibattuto da storici, ed economisti che lo hanno esaltato come uno dei capitoli più significativi nell’ambito delle relazioni internazionali o degradato a semplice espediente utilizzato dagli americani per aprirsi un mercato sul quale riversare la loro produzione che non trovava sbocco in patria. Fra i due estremi si incontrano molte interpretazioni caratterizzate da varie sfumature.

In questa tesi verranno ricostruite le vicende del piano Marshall a partire dall’eredità della guerra alla quale è dedicato il primo capitolo dove vengono valutati i danni economici e finanziari subiti dall’Europa, e vengono illustrati i primi provvedimenti presi per far fronte alle insufficienze produttive del vecchio continente.
Ne emerge un quadro piuttosto vario imputabile alla diversa quantità di aiuti ricevuti dalle nazioni europee nel periodo tra il 1945 e il 1947.

Le origini del piano Marshall vengono analizzate nel capitolo secondo, “Verso il piano Marshall”. Dopo aver esposto la situazione europea nel 1947 si passerà a considerare la natura del programma che stava maturando nell’amministrazione americana. Per ricordare infine le reazioni che seguirono l’annuncio di Marshall in America, in Europa e in Unione Sovietica.
Nel terzo capitolo, intitolato, “Il piano Marshall”, viene illustrata l’applicazione del programma e i suoi risultati. Si discuterà della quantità dei finanziamenti distribuiti dall’ERP, dei paesi che ne beneficiarono e dei tipi di risorse elargite agli europei. Per quanto riguarda la data di chiusura dell’ERP, ufficialmente viene fatta risalire all’anno 1951, anche se alcuni fanno rientrare nel piano Marshall, anche un miliardo di dollari circa del Mutual Security Program del 1952. Questo fa oscillare il totale degli aiuti del programma tra i 12 e i 13 miliardi di dollari. Per il resto le cifre sono pressoché identiche per ogni volume consultato.

Nelle pagine dedicate agli OBIETTIVI, si analizzano gli scopi originali dell’ERP come furono proclamati all’inizio del programma. Segue poi la trattazione delle istituzioni responsabili dell’applicazione dell’ERP, soffermandosi sui compiti della ECA (Economic Cooperation Administration) e della OECE (Organizzazione Economica per la Cooperazione Europea).
Emergono forti divergenze nelle valutazioni storiche delle politiche dell’ECA nei confronti dei paesi beneficiari del programma, e in particolare sull’utilizzo dei fondi contropartita come strumento per dirigere le politiche monetarie e fiscali, delle nazioni aderenti all’ERP.

L’ultima parte del capitolo è dedicata ai RISULTATI ottenuti dal piano Marshall anche in relazione agli obiettivi prefissati. A livello numerico, sui risultati, non emergono particolari differenze fra gli storici. Tutti per esempio sono d’accordo sul grande sforzo produttivo manifestatosi negli anni dell’ERP e d’altra parte, c’è unanime convinzione nel giudicare come non sufficienti i risultati ottenuti nella riduzione del dollar gap europeo. Nonostante questo, i giudizi definitivi sul piano Marshall non sono per nulla coincidenti.

Di queste differenze si occupa il capitolo quarto, nel quale vengono riassunte le posizioni delle due scuole di pensiero che possiamo definire dei “Revisionisti” e dei “Tradizionalisti”. Gli stessi eventi, vengono spesso giudicati da due punti di vista opposti che danno ovviamente luogo ad interpretazioni molto distanti. Il piano Marshall è giudicato come il frutto della volontà americana di costruire un sistema economico incentrato sul dollaro oppure come la convergenza degli interessi dei governanti delle due sponde dell’Atlantico che permise di salvare l’Europa dalla fame e dal comunismo. Forse il piano Marshall è stato, nello stesso tempo, tutte due le cose. Una serie di successi e di fallimenti non sommabili algebricamente, e di politiche, a volte imposte, a volte condivise dalle nazioni beneficiarie di questa esperienza storica unica ed irripetibile.

CAPITOLO PRIMO
L’eredità della guerra - Le distruzioni


I danni provocati dal secondo conflitto mondiale, furono i più gravi mai causati da tutte le guerre fino allora combattute. Solo guardando il numero delle vittime, ci si rende conto della drammaticità del conflitto.

Tabella 1.1

Le perdite umane

Paese

Militari

Civili

Totale

URSS

13.600.000

7.500.000

21.000.000

Germania

4.000.000

3.000.000

7.000.000

Polonia

5.420.000

120.000

5.320.000

Francia

���� 250.000

360.000

610.000

Italia

����� 330.000

85.000

415.000

Inghilterra

����� 350.000

60.000

410.000

 

 

 

 

Fonte: http://www.liberliber.it/biblioteca/g/galassi/la_costituzione_e_le_vicende_politico_istituzionali_ital_etc/html/c_app1.htm

 

Nella tabella 1.1 sono riportate le nazioni europee che hanno subito le maggiori perdite umane e si deduce che le popolazioni maggiormente colpite, furono quelle dell’Europa orientale ed in particolare di Unione Sovietica e Polonia.

Alle perdite umane vanno aggiunte quelle materiali. Non elencherò tutte le distruzioni provocate dal conflitto, ma solo quelle che hanno compromesso maggiormente la situazione economica dell’Europa.

Il primo settore preso in considerazione è quello agricolo, dove alle conseguenze della guerra, va aggiunto il pessimo raccolto della stagione 1946-47, causato da un inverno insolitamente freddo. Nel primo dopoguerra, il settore agricolo europeo fu colpito da un male comune, la bassa produttività dei terreni, dovuta alla penuria o alla mancanza dei fertilizzanti di origine industriale. La produzione di grano cadde, soprattutto in Francia e Italia, anche la produzione di carne subì un rallentamento (vedi tabelle 1.2 e 1.3).

Tabella 1.2

Produzione di grano

(in migliaia di tonnellate)

Paese

Francia

Gran Bretagna

Italia

1938

9.800

1.990

8.184

1945

4.210

2.209

4.177

1946

6.760

1.997

6.126

1947

3.270

1.693

4.702

 

 

 

 

Fonte: B.R. MITCHELL, European Historical Statistic 1750-1975, London 1975, p.209

 

Nella parte occidentale del continente, questa situazione già pessima, era peggiorata dall’incremento della popolazione, causato dagli immigrati provenienti dai paesi dell’Europa orientale. La popolazione europea occidentale e meridionale aumentò rispettivamente da 220 a 233 e da 59 a 66 milioni di abitanti tra il 1938 e il 1948.
Invece, in Europa orientale, diminuì, negli stessi anni, da 281 a 259 milioni [1].
La crisi alimentare che ne derivò ebbe conseguenze disastrose, e costrinse le nazioni più ricche, in particolare gli Stati Uniti, a fare pesanti sacrifici per aiutare quelle regioni dove la malnutrizione della popolazione era più grave.

Tabella 1.3

Produzione di carne

(in migliaia di tonnellate)

Paese

Francia

Gran Bretagna

Italia

1934

1.395

1.316

634

1945

�� 822

934

320

1946

1.293

901

463

1947

1.380

762

382

 

 

 

 

Fonte: B.R. MITCHELL, op. cit., p.350 

 

Nel settembre del 1945 in Francia, le razioni alimentari prevedevano: grassi mezzo chilo al mese, carne 2 etti alla settimana, zucchero mezzo chilo al mese, vino 1 litro alla settimana, patate 2 chili al mese, surrogato di caffè 1 etto alla settimana, latte solo ai bambini, carbone 50 chili per tutto l’inverno e verdura fresca senza limiti [2].

125 milioni di europei vivevano con meno di 2000 calorie al giorno, ed in alcune zone della Germania e dell’Austria si scendeva fino a meno di 1000, un livello molto pericoloso per la salute. Un uomo adulto che lavora consuma mediamente 3000 calorie giornaliere.

Il 6 febbraio 1945, il presidente Truman annunciò un programma d’emergenza che si proponeva di evitare lo spreco di risorse alimentari nel proprio paese, per rendere disponibili maggiori eccedenze da destinare agli aiuti oltre oceano. Purtroppo, queste misure si rivelarono insufficienti, anche per la poca collaborazione dei cittadini americani. Seguirono altri provvedimenti: il 19 aprile 1946, l’amministrazione americana inasprì le misure precedenti e, in più, incentivò la vendita di grano al governo con premi speciali di 30 centesimi di dollaro oltre il prezzo massimo per ogni bushel di granturco.

Il governo USA era molto interessato alle condizioni alimentari delle popolazioni europee, non solo per motivi umanitari. In Germania, dove la situazione era più grave, i Russi usarono le razioni alimentari come arma politica per guadagnare consenso tra la popolazione. A proposito di questo problema, il Generale Lucius Clay affermò: “Noi abbiamo insistito perché nella zona statunitense ci sia un processo democratico, e abbiamo mantenuto una rigorosa neutralità nei confronti dei partiti politici. Di conseguenza il Partito comunista ha fatto pochi danni. Però c’è poco da scegliere tra diventare comunisti con 1500 calorie al giorno e credere nella democrazia con 1000 calorie. Io sono sinceramente convinto che le razioni alimentari che noi intendiamo concedere in Germania non solo determineranno la sconfitta degli obiettivi nell’Europa centrale, ma apriranno anche la strada a un’Europa comunista”[3].

Prima della guerra, per i paesi dell’Europa occidentale, le importazioni di generi alimentari dall’Europa dell’est, costituiva una presenza cospicua del totale. Purtroppo, nel dopoguerra, le tensioni che si erano create est e ovest, tra USA e URSS, rendevano più difficili questi rifornimenti. I nuovi mercati per l’approvvigionamento erano spesso diventati le colonie (o ex colonie) europee. Alcuni di questi paesi approfittarono della scarsità manifestatasi durante la corsa ai generi alimentari del 1945-47 spingendo al rialzo i prezzi.

Già nel novembre 1943, per combattere la fame in Europa, venne istituito dalle Nazioni Unite, l’UNRRA “United Nation Relief and Rehabilitation Administration”, per organizzare gli approvvigionamenti ed i servizi essenziali nei paesi liberati nel periodo tra la fine delle ostilità ed il ripristino alle condizioni “normali” di vita.
Questo organismo, finanziato per il 75% dal governo americano, si occupò dell’Europa orientale e centrale, della Grecia, della Jugoslavia e, nel 1946, anche dell’Italia. Per migliorare il tenore di vita di quelle regioni il governo americano spese 2,5 miliardi di dollari fino alla fine del 1946, quando cessò di finanziare questa organizzazione. Che, secondo
The Economist,, era “Troppo generosa con i governi filosovietici”[4]. L’UNRRA infatti non si occupò dell’Europa occidentale, considerata “nominalmente autosufficiente”, e non riuscì ad avere il controllo sugli aiuti verso la Germania, che finivano inesorabilmente alla parte orientale, cioè sovietica, del paese.

A guerra finita, il 16 ottobre 1945, le Nazioni Unite fondarono la FAO “Food and Agricolture Organization”. Tuttavia il compito di quest’organizzazione era “solo” quello di raccogliere dati, valutare le necessità alimentari dei vari paesi bisognosi e metterle in relazione ai mezzi disponibili per soddisfare queste esigenze. La funzione principalmente informativa di quest’organo non contribuì in maniera sostanziale a diminuire il peso che gravava sul governo americano per la situazione alimentare europea e mondiale.

Nel settore industriale, la gravità dei danni non impedì comunque una rapida ripresa della produzione. Maddison calcolò la perdita di capitale fisso in alcuni paesi europei nel periodo 1939-45: 25% in URSS, il 13% nella Germania occidentale, il 8% in Francia, il 7% Italia e il 3% Gran Bretagna[5]. Per la difficoltà nella stima dei danni provocati dalla guerra in questo settore questi dati non sono del tutto certi ma essi offrono sicuramente un ordine di grandezza attendibile.

Sulle distruzioni provocate all’industria dal secondo conflitto mondiale, esistono due opinioni diverse: da una parte coloro che come Alan Milward ritengono che i danni provocati dalla guerra non furono troppo gravi; dall’altra Kindleberger e gli storici “tradizionalisti”, credono che si siano verificate gravi perdite di capitale fisso soprattutto in Germania, che era, la prima potenza industriale europea.

Kindleberger, oltre a proporre stime differenti da quelle di Maddison (15-20% di capitale fisso perso durante la guerra, in Europa), ritiene che la stima monetaria delle perdite industriali, non sia sempre utilizzabile per calcolare l’impatto di questa sulla produzione. Secondo l’economista americano, la misura meramente monetaria della perdita di capitale può essere fuorviante, perché esistono macchinari che incidono sulla produzione in proporzione maggiore del loro valore, perciò la mancanza di una macchina fondamentale in una fabbrica potrebbe causare una diminuzione della produzione più significativa del valore nominale del macchinario stesso. Di conseguenza, anche una perdita non eccessiva nel valore monetario del capitale fisso, può causare una notevole diminuzione della produzione qualora coinvolga impianti strategici.

La ripresa dell’industria europea fu in generale abbastanza rapida. Nel 1947, prima dell’avvio del piano Marshall, gli indici di produzione industriale erano già paragonabili a quelli del 1937: in Gran Bretagna (105%), in Italia (91%) e in Francia (89%) [6].

Tuttavia restavano ancora da risolvere gravi problemi. Uno di questi era la produzione di carbone, materia prima fondamentale per numerose fabbriche, che nonostante gli sforzi, rimase per un lungo periodo al di sotto delle necessità, sia per il fabbisogno industriale, che per l'uso domestico, causando numerose difficoltà al funzionamento degli impianti e disagi alla popolazione.

Dalla tabella 1.4, si può vedere che ci fu un evidente calo della produzione di carbone, soprattutto in Germania (i dati dal 45 in poi si riferiscono alla sola Germania occidentale), anche se non sembra che in Francia e Gran Bretagna, il decremento sia stato tale da provocare un vero e proprio allarme. Tuttavia bisogna ricordare che per sostenere una rapida ricostruzione, erano necessarie grandi quantità di carbone. Non solo le risorse erano minori, ma anche il fabbisogno era cresciuto.
Il settore dei trasporti via mare attraversò una grave crisi nell’immediato dopoguerra, dovuta al fatto che le flotte commerciali subirono forti perdite (tabella 1.5). Questo danneggiò soprattutto quei paesi come la Gran Bretagna che dipendevano dai rifornimenti provenienti dalle colonie oltre mare. Milward, sostiene che la flotta mercantile americana, passò dal 17% del tonnellaggio mondiale nel 1938 al 52% nel 1945, a causa della distruzione delle flotte degli altri paesi impegnati nel conflitto, soprattutto di Germania e Italia.

Il trasporto ferroviario subì danni ingenti soprattutto in Germania, dove nella sola parte occidentale venne messo fuori uso il 70% della rete ferroviaria [7]. Invece il trasporto su gomma si riprese in fretta, in seguito alla rapida ripresa industriale delle fabbriche automobilistiche soprattutto in Gran Bretagna.

Alle enormi spese belliche che avevano comportato un parallelo indebitamento, si doveva ora aggiungere quelle della ricostruzione. In particolare era necessario ricorrere ad un’ampia gamma di importazioni – dai generi alimentari alle fonti di energia, dalle materie prime agli impianti – senza disporre di riserve sufficienti per finanziarle, e non potendo contare su esportazioni in grado di pagarle.

 

Tabella 1.4

La produzione di carbone

(in migliaia di tonnellate)

Anno

Francia

Gran Bretagna

Germania

1938

47.562

230.636

381.171

1945

35.017

185.709

59.736

1946

49.289

193.119

105.528

1947

47.309

199.947

129.851

 

 

 

 

Fonte: B.R. MITCHELL, op. cit., p.386-387-389

 

L’aumento delle importazioni era causato dalla bassa produzione, soprattutto quella di agricola e dell’industria estrattiva (in particolare quella del carbone). La pressione sulle importazioni derivava dall’aumento della popolazione.
L’aumento della popolazione dell’Europa occidentale, causato dall’immigrazione dall’est ebbe l’effetto di fare aumentare la domanda interna. Inoltre, dato che gli immigrati erano per la maggioranza vecchi, donne, bambini e mutilati di guerra, il loro contributo alla produzione era minimo.
Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano di gran lunga i maggiori produttori di beni del mondo, e la gran parte dei prodotti necessari in Europa erano acquistabili solo in dollari. Questo fenomeno provocò il dollar shortage, cioè la mancanza di moneta americana, da parte delle nazioni europee, che erano fortemente indebitate a causa dei loro acquisti.

Tabella 1.5

Le flotte mercantili mondiali

(in migliaia di tonnellate)

Paese

1939

1947

Stati Uniti

9.000

38.000

Impero Britannico

�������� 21.000

17.500

Norvegia

4.800

3.400

Germania

4.500

���� 700

Italia

3.400

���� 700

Paesi Bassi

3.000

�� 1.900

Francia

2.900

�� 1.700

Grecia

1.800

����� 700

U.R.S.S.

1.300

�� 1.200

Danimarca

1.200

����� 700

 

 

 

Fonte: A.S. MILWARD,
The reconstruction of western Europe
, cit., p.331

 

I governi europei, avevano visto assottigliarsi sempre più le loro riserve auree, che insieme ai dollari, permettevano i pagamenti nelle transazioni internazionali. A livello interno erano poi costretti ad emettere più moneta per finanziare la ricostruzione. Questo processo, portava ad un circolo vizioso che aggravava ulteriormente la situazione già drammatica della finanza pubblica. Il risultato era la svalutazione delle monete locali e ulteriore inflazione.

Si ponevano due problemi. Sotto il profilo monetario era necessaria un’opera di risanamento che i diversi paesi europei affrontarono con successo fra il 1945 e il 1950. Sotto il profilo finanziario era invece necessario reperire i dollari per le importazioni essenziali senza le quali sarebbe stato impossibile far fronte ai consumi più ingenti e rimettere in moto rapidamente l’economia.

L’unico paese che poteva venire in soccorso dell’Europa erano gli Stati Uniti che, a differenza del periodo fra le due guerre, si accollarono questo compito.

Per ripristinare l’equilibrio finanziario degli europei, gli Stati Uniti agirono in tre modi: bilateralmente (con la concessione di prestiti ai paesi in difficoltà), multilateralmente (attraverso gli organi internazionali), e in Germania con l’agenzia governativa per gli aiuti e il soccorso dei territori occupati (GARIOA). Nel primo caso, il metodo utilizzato fu quello del prestito condizionato. Dollari prestati contro l’impegno della controparte ad acquistare i prodotti necessari in America. Dato che l’esito del secondo conflitto mondiale lasciò gli Stati Uniti in una posizione di schiacciante superiorità economica, la maggiore necessità del dopoguerra per il governo USA, era quella di mantenere alto lo straordinario livello di produzione raggiunto, e i conseguenti indici di reddito e occupazione. Per questo motivo agli americani risultava conveniente finanziare con fondi pubblici le importazioni di altri paesi che, acquistando i prodotti necessari negli Stati Uniti, mantenevano alto il reddito nazionale americano, evitando così il rischio di una contrazione dell’economia statunitense.

Sull’ammontare dei prestiti concessi all’Europa nel primo dopoguerra, tra gli anni 1945 e 1947, non c’è accordo. Ogni autore cita le proprie fonti e dà i propri numeri. Ad esempio secondo la Fondazione Marshall furono poco meno di 20 miliardi di dollari [8], nelle memorie di Truman si parla di 15 miliardi di dollari, De Luna la riduce a 11 miliardi [9]. Pressoché identiche le stime di Kindleberger 10,1 miliardi di dollari [10] e Milward 10,098 di cui 9,331 per i paesi OECE e 767 per la Germania [11]. Ellwood fornisce cifre ancora più basse: 4,1 per la Gran Bretagna, 1,9 per la Francia, 430 per i paesi del Benelux, 330 per l’Italia e 546 per tutta l’Europa orientale. Anche aggiungendo i prestiti di Grecia (250-300 miliardi) e Turchia (100 miliardi), su cui c’è comune accordo sulle cifre, si arriva a 7,7 miliardi di dollari in tutto.

Durante quel periodo, il prestito di maggiore entità fu concesso alla Gran Bretagna (3,75 miliardi di dollari). I negoziati per ottenere quella somma durarono quasi un anno, dal settembre 1945 a luglio del 1946, a causa delle divergenze tra americani e britannici sulla situazione finanziaria del Regno Unito. Alla fine, il prestito, che fu giudicato insufficiente dal governo britannico, e eccessivo dall’opinione pubblica americana, conteneva una clausola che riguardava il ripristino della conversione della sterlina in dollari, per i non residenti in Gran Bretagna, che non piacque per niente al Regno Unito. Churchill commentò la clausola con queste parole ”E’ una proposta talmente ambigua e pericolosa che possiamo solo sperare che all’atto pratico si sconfigga da sola, e che di fatto sia troppo brutta per essere vera” [12]. Quel provvedimento si rivelò infatti disastroso per le riserve britanniche, la convertibilità venne ripristinata il 15 luglio del 1947, e di nuovo sospesa poco più di un mese dopo, il 20 agosto.

Il prestito alla Francia, secondo in ordine d’importanza, fu di 1,9 miliardi di dollari, e fu concesso senza tanti problemi, anche tramite l’interessamento dell’ambasciatore americano a Parigi Jefferson Caffery. Oltre che al buon lavoro della delegazione francese mandata a Washington nel 1946 e capeggiata dall’ex primo ministro Léon Blum e da Jean Monnet. Tale somma, doveva servire per lanciare il piano di ricostruzione nazionale proposto dallo stesso Monnet. L’ambasciatore Caffery aiutò la causa francese sostenendo davanti al governo americano che il prestito alla Francia era necessario, data la pericolosa situazione in cui versavano l’economia e la società. La contropartita venne stabilita nel libero accesso dei prodotti americani al mercato francese. Il trattato fu firmato poco prima delle elezioni nazionali francesi.

Un uso differente da quello economico, ebbero i prestiti concessi a Grecia e Turchia, 250 e 100 milioni di dollari. Tali somme furono rese disponibili essenzialmente per l’acquisto di materiale bellico, nel quadro del provvedimento divenuto celebre con il nome di “Dottrina Truman”. Questa legge, fortemente voluta dall’amministrazione americana, aveva lo scopo di fronteggiare la guerriglia comunista in Grecia, dopo il ritiro, per motivi di insostenibilità finanziaria, dell’esercito inglese, e di aiutare il governo turco a non cedere alle pressioni sovietiche, riguardanti la firma di un nuovo trattato per lo stretto sui Dardanelli, che avrebbe avvantaggiato strategicamente l’URSS, la quale avrebbe così potuto disporre di uno sbocco sul mar Mediterraneo.

La Dottrina Truman, fu così enunciata dallo stesso Presidente il 12 marzo 1947 “Attualmente nella storia del mondo quasi tutte le nazioni devono scegliere tra modi di vivere alternativi. Troppo spesso questa scelta non è libera. Un modo di vivere è basato sulla volontà della maggioranza, ed è contraddistinto da libere istituzioni, rappresentanti di governo, libere elezioni, garanzie per la libertà individuale, libertà di parola e di religione, e libertà dall’oppressione politica. Il secondo modo di vivere è basato sulla volontà della minoranza imposta con la forza alla maggioranza. Dipende dal terrore e dall’oppressione, dal controllo della stampa e della radio, da false elezioni, e dalla soppressione delle libertà individuali. Io credo che la politica degli Stati Uniti debba essere quella di aiutare i popoli liberi che stanno resistendo al tentativo di conquista di queste minoranze armate, o di pressioni esterne. Io credo che noi dovremmo assistere i popoli liberi che stanno lavorando per la ricerca del loro destino, e della loro strada. Io credo che il nostro aiuto dovrebbe permettere per prima cosa la stabilità economica e l’ordine politico”.

Il governo americano contrastava l’Unione Sovietica non solo perché il regime di Stalin era un pericolo militare e politico, ma anche perché, dal punto di vista economico, l’ideologia comunista era contraria alla politica commerciale americana che puntava su un mercato internazionale aperto, in cui il commercio fra le nazioni (e soprattutto fra gli Stati Uniti e il resto del mondo), fosse intralciato il meno possibile dai governi.

Il modello che avrebbe dovuto regolare il sistema multilaterale del commercio era stato discusso per la prima volta a Bretton Woods, nel 1944, e prevedeva la creazione del Fondo Monetario Internazionale (IMF), che avrebbe dovuto promuovere la cooperazione commerciale internazionale, facilitare l’espansione del commercio, consentire la stabilità dei cambi, dare sostegno ad un sistema multilaterale di pagamenti e della Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (più nota come “International Bank of Reconstruction and Development” che avrebbe dovuto assistere la ricostruzione economica e lo sviluppo incentivando gli investimenti esteri e integrando gli investimenti privati mediante i propri fondi.

Secondo Alan Milward, la politica estera americana dei prestiti alle nazioni europee in difficoltà, era tesa a far funzionare il più presto possibile il sistema di Bretton Woods, che però rimase sempre solo un’utopia americana.

Un’altra utopia americana fu la creazione dell’”International Trade Organization” (ITO), le ambizioni di quest’organizzazione erano troppo grandi e successivamente, nel 1947, venne rinominato “General Agreement on Tariffs and Trade” (GATT).

Le Nazioni Unite contribuirono al tentativo di ricostruzione europea nel primo dopoguerra, con la “Emergency Economic Commission for Europe”, che venne in seguito divenne, la “Economic Commission for Europe”. In questa organizzazione, i contrasti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, impedirono lo sviluppo di progetti adeguati all’emergenza. Gli americani accusarono a più riprese i sovietici di non voler collaborare.

Dal punto di vista politico, Stalin non aveva nessuna convenienza a risollevare l’economia europea. Infatti egli era il principale beneficiario di quella situazione drammatica, dato che ogni fallimento della politica estera americana verso i paesi del vecchio continente, rafforzava i movimenti e i partiti comunisti in Europa. Negli anni del primo dopoguerra, c’era il rischio che le sinistre potessero arrivare al potere, in Europa occidentale, anche senza un colpo di stato, sia in Italia che in Francia.

Nel 1947, la mancanza di risultati ottenuti nei primi due anni di aiuti, e il pericolo comunista, convinse l’amministrazione americana, che il problema della ripresa economica europea, doveva essere affrontato in un’ottica complessiva, e non più paese per paese.

Gli squilibri finanziari del continente europeo erano stati sottovalutati dall’amministrazione Truman. Gli aiuti concessi tramite accordi bilaterali tra USA e i beneficiari europei non erano stati né sufficienti né efficienti. Sarebbe stato possibile aiutare meglio l’Europa, risparmiare dollari e contenere il pericolo comunista, attraverso l’organizzazione di un programma di ripresa economica che prevedesse l’integrazione delle risorse già presenti in Europa e la collaborazione fra le nazioni europee nello sviluppo di programmi finanziati dal governo americano.

Invece, fino a quel momento, la disorganizzazione era stata una costante in ogni piano di ricostruzione. Per esempio, le miniere di Gran Bretagna e Francia erano a corto di manodopera, mentre in Italia vivevano 2 milioni e mezzo di disoccupati. A causa delle deficienze nei trasporti, di paesi come Grecia ed Italia, la frutta e la verdura prodotta in abbondanza non poteva essere esportata nei paesi dove la popolazione soffriva di carenze vitaminiche. I Cechi non potevano permettersi le tariffe imposte dalle autorità di occupazione americane nei porti del nord della Germania, a causa della mancanza di dollari e dovevano perciò ricorrere, a percorsi alternativi, scomodi, per far transitare le loro merci. L’esportazione dei prodotti delle foreste scandinave, erano sotto il livello prebellico, nonostante la grande necessità nel resto d’Europa, a causa della scarsità di carbone, che, costando troppo, non era più un carburante conveniente da utilizzare nei trasporti. Il sistema ferroviario europeo trasportava carbone attraverso il continente, dalle miniere della Slesia alla Francia e alla Rhur, in direzione opposta a Berlino.

Il funzionamento della maggior parte degli accordi commerciali bilaterali fra gli stati europei diminuivano la convenienza di tutti i beni più essenziali. I paesi esportatori di beni non considerati di prima necessità, erano obbligati ad accettare dai paesi acquirenti, condizioni di molto svantaggiose per ottenere le importazioni di cui avevano disperatamente bisogno, piuttosto che condizioni migliori da altri paesi. D’altro canto, le nazioni importatrici, erano obbligate ad accettare beni di cui non avevano bisogno, ma che sarebbero invece stati utili in altri paesi. Le limitate forniture di acciaio tedesco erano utilizzate per fabbricare macchine fotografiche e trenini giocattolo da esportare negli USA, piuttosto che macchine per il latte, che aumentassero la produzione in Danimarca e Olanda, o parti di ricambio per i macchinari industriali.

Ogni paese stava sviluppando, o aveva, uno o più programmi di sviluppo economico, ma nessuno era integrato con quello degli altri paesi. Perciò accadeva ad esempio, che in Francia, Lussemburgo, Cecoslovacchia e Polonia, si richiedessero risorse per sviluppare l’industria dell’acciaio, mentre le autorità d’occupazione americane e inglesi, stavano pianificando una massiccia operazione di esportazione di carbone dalla Rhur verso i paesi citati. Tuttavia il fallimento più importante, era stato il tentativo americano ed inglese di incrementare la produzione in Germania nelle loro zone di competenza, con lo scopo di esportare prodotti in tutta Europa.

Un eventuale programma di ripresa globale per tutta l’Europa sarebbe stata un’occasione anche dal punto di vista della situazione tedesca, perché sarebbe stato possibile sfruttare l’enorme potenziale tedesco mettendolo a disposizione di tutto il continente, integrando l’economia europea, e scongiurando così il rischio di altre guerre tra la Germania e i suoi vicini. Quindi Il recupero della Germania presentava le seguenti opportunità: lo sviluppo della democrazia la quale era importante per la sicurezza futura dell’Europa, un’arma contro l’Unione Sovietica per avere il sostegno del popolo tedesco e per un eventuale accordo con l’URSS che prevedesse la convergenza della loro zona d’influenza tedesca, un contributo alla ripresa economica europea con la conseguenza di una maggiore stabilità del Patto Atlantico, le enormi risorse dell’economia tedesca avrebbero contribuito a diminuire il fardello per gli Stati Uniti nel lavoro della ricostruzione europea.

Tuttavia, per quanto riguarda lo sviluppo di un nuovo programma di aiuti per l’Europa, non sarebbe stato facile convincere l’opinione pubblica americana e soprattutto il Congresso a mettere a disposizione ulteriori finanziamenti. A tale scopo, era necessaria una proposta che definisse nello specifico l’ammontare delle risorse da stanziare, il periodo di durata del programma di ricostruzione e soprattutto porre l’enfasi sul pericolo che l’espansione comunista rappresentava per gli Stati Uniti.


[1] A. MADDISON, Monitoring the World economy 1820-1992, Paris 1995, p.210
[2] D.W. ELLWOOD, L’Europa ricostruita: politica tra Stati Uniti ed Europa occidentale 1945-1955, Bologna 1994, p.49
[3] D.W. ELLWOOD, op. cit., p.78
[4] D.W. ELLWOOD, op. cit., p.53
[5] A.S. MILWARD, Guerra, Economia e Società 1939-1945, Milano 1983, p. 321-322
[6] A.S. MILWARD, The reconstruction of Western Europe 1945-51, London 1984, p.318
[7] B.R. MITCHELL, op. cit., p.624
[8] http://www.marshallfoundation.org/about_gcm/marshall_plan.htm
[9] G. DE LUNA, La ricostruzione in Europa, in, La Storia, Torino 1986, p.585 volume IX
[10] C.P.KINDLEBERGER, The Marshall plan days, Boston 1987, p.256
[11] A.S. MILWARD, The reconstruction of western Europe, cit., p.45
[12] D.W. ELLWOOD, op. cit., p.93

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