LIBRI INTERESSANTI RICEVUTI

< < vedi anche "STORIA DELLA BOMBA ATOMICA"


«La nostra arma decisiva produrrà degli effetti che nessuno è in grado di immaginare. Una o due esplosioni e città come New York o Londra spariranno dalla faccia della terra.» - Heinrich Himmler

Rainer Karlsch
LA BOMBA DI HITLER

Edizione Lindau - Collana «I Leoni» - pagg. 480 / euro 26,00 / illustrato
Traduzione dal tedesco di Elisa Ricci

Rainer Karlsch - LA BOMBA DI HITLER - «Hitler aveva una bomba. Durante la seconda guerra mondiale gli scienziati tedeschi misero a punto un’arma nucleare. Questa è la sconvolgente rivelazione del libro di Rainer Karlsch, risultato di approfondite, anche se spesso difficili, ricerche. Il testo non solo fa tabula rasa di decenni di studi sulla scienza nel periodo nazista, ma è anche un’opera importante per comprendere e valutare il potenziale pericolo rappresentato, ancora oggi, dalle armi atomiche.»
Il libro (che nasce da testimonianze inedite e da un grosso lavoro di ricerca negli archivi tedeschi) è quello di svelare la corsa di Hitler alla Bomba Atomica nella speranza di risollevare le sorti di una guerra già compromessa. In effetti il lavoro andò avanti di buona lena e fu solo l'avanzata Alleata e Sovietica nella primavera del 1945 a sospendere prima e poi interrompere definitivamente la costruzione della Bomba Atomica.
È mai esistita una atomica tedesca? La questione dell’arma segreta con cui Adolf Hitler avrebbe potuto rovesciare le sorti della seconda guerra mondiale appassiona e divide gli studiosi. - Per dare a questa domanda una risposta definitiva, l’autore – con la collaborazione del giornalista Heiko Petermann, e con l’aiuto di storici, fisici e radiochimici di fama internazionale – ha lavorato per quattro anni sulla storia della ricerca nucleare nella Germania nazista, rintracciando fonti e documenti sia sui luoghi degli eventi, sia negli archivi Sovietici e dell’ex-DDR, accessibili solo da poco tempo. - Il risultato è sorprendente, un testo realmente rivoluzionario in ambito storiografico: basandosi sulle scoperte di illustri scienziati tedeschi – tra cui Werner Heisenberg, Otto Hahn e Carl Friedrich von Weizsäcker – e grazie al fattivo sostegno di gerarchi del calibro di Heinrich Himmler e Albert Speer, alcuni fisici furono in grado di eseguire, nel 1944-45, test nucleari sull’isola di Rügen e nella regione della Turingia; test durante i quali morirono molte migliaia di prigionieri di guerra e detenuti dei campi di concentramento. - Il volume dunque ricostruisce tutte le tappe della frenetica corsa all’atomica messa in atto dai politici e dagli scienziati del Terzo Reich e illustra i progetti tecnici e i possibili, devastanti, utilizzi tattici dell’atomica (colpire città come Londra o New York) e spiega il motivo per cui i nazisti non furono però in grado di utilizzare in guerra la loro scoperta (collasso irreversibile, nella primavera del ‘45, del sistema politico e militare tedesco a causa dell’invasione sovietica ed alleata).
Rainer Karlsch, tuttavia, non si è limitato a raccogliere le prove degli esperimenti finalizzati alla costruzione dell’arma atomica, ma ha riportato alla luce un brevetto per una bomba al plutonio che risale al 1941 e ha ritrovato, nei dintorni di Berlino, il primo reattore nucleare tedesco funzionante.
Avvincente e sempre rigorosamente documentato, questo libro getta una luce nuova su una delle vicende più controverse della storia del ’900.
Il libro è edito dalle "EDIZIONI LINDAU" Corso Re Umberto 37 10128 TORINO - TO tel. + 39 011 517 53 24 - vedi in rete www.lindau.it

Eccezionalmente
presentiamo qui l'introduzione al libro e l'indice degli argomenti

Parte prima. Il progetto uranio tedesco
39 1. L’Uranverein
La scoperta della fissione nucleare e le sue conseguenze, 39
L’esercito alla regia, 43
La teoria di Heisenberg per il reattore e la bomba, 51
Scienziati in uniforme al vertice del KWI per la fisica, 53

59 2. Gli altri
Il gruppo di ricerca dell’esercito a Gottow, 59
I fisici della marina, 61
Le ambizioni del Ministro delle Poste, 64
Nuovi mercati per l’industria?, 68
Quanti gruppi di ricerca?, 69

75 3. Le difficoltà iniziali
Uranio e acqua pesante, 75
Problemi con la costruzione del ciclotrone, 78
Il primo esperimento sul reattore, 81
Come ottenere il materiale per le bombe?, 83
L’altro fronte, 84

Parte seconda. Gli esperimenti sul reattore
91 1. «Una strada aperta verso la bomba»
La via giusta: dal reattore alla bomba al plutonio, 91
Acqua pesante o grafite?, 93
La relazione di Houtermans dell’agosto 1941, 96
I brevetti di Weizsäcker per la bomba e il reattore, 98
Un incontro misterioso a Copenhagen, 103

111 2. Conflitti fra competenze e scarsità di materiali
Acqua pesante, centrifughe e ciclotroni, 111
L’HWA fa marcia indietro, 112
Una battuta d’arresto per il Ministro delle Poste, 121
Il Consiglio delle ricerche del Reich prende in consegna
il progetto, 125
Diebner ha il concetto migliore, 127

135 3. Le macchine all’uranio
Attacchi alla produzione di acqua pesante, 135
Diebner e Heisenberg discutono sui diversi concetti di reattore, 137
Gerlach al vertice dell’Uranverein, 140
Il terzo attacco alla Norsk Hydro, 142
Piani d’emergenza, 144
Cubi di uranio al posto delle lastre, 146

153 4. Un esperimento finora sconosciuto
Il laboratorio di Stadtilm, 153
La collaborazione fra Harteck e Diebner, 157
Uranio debolmente arricchito, 159
Un impianto per la separazione degli isotopi della Reichspost?, 165
L’ultimo esperimento di Diebner a Gottow, 170
L’incidente al reattore, 172
Il commiato a Haigerloch, 177

Parte terza. Un concetto alternativo di arma nucleare
187 1. Cariche cave nucleari?
Le prime ricerche sulla fusione nucleare, 187
La ricerca sul principio della carica cava, 193
Primi esperimenti con le cariche cave nucleari, 197
Il problema dell’innesco, 200
Il doppio gioco di Gerlach, 203
Un incontro segreto, 207

217 2. Verso la quarta «arma miracolosa»
La propaganda per la «Wunderwaffe», 217
Hitler, le SS e la fisica nucleare, 219
I misteriosi viaggi di Gerlach, 226
Un test in autunno?, 230
Ottobre 1944: un primo test nel Nord della Germania, 232

247 3. Le SS e l’alta tecnologia
Hans Kammler, l’ultima speranza di Hitler, 247
Progetti per i missili a lungo raggio, 248
Ricerca nucleare su commissione delle SS, 255
La produzione di materiale fissile attraverso irraggiamento, 260
Prima dell’offensiva sulle Ardenne, 266
Schumann e Trinks vengono fermati, 270

Parte quarta. Marzo 1945: i test nucleari in Turingia
283 1. Il test
Gli ultimi preparativi, 283
I test a Ohrdruf, 291
Stalin viene informato, 299
«Chiare reazioni nucleari con produzione di energia», 306
Quale tipo di bomba?, 311

337 2. Il finale
Le vane speranze di Hitler, 337
Gerlach a rapporto da Bormann, 341
L’incontro del 28 marzo, 343
L’offensiva americana e la fuga, 347
La fine a Berlino, 352
La cattura degli scienziati, 354

Parte quinta. Echi
367 Da Farm Hall alla dichiarazione di Göttingen: le missioni segrete dei vincitori
Farm Hall e Hiroshima, 374
Carriere nel dopoguerra, 381
La «pecora nera», 390
I motivi del silenzio, 394
Liti sulla dichiarazione di Göttingen, 398
L’idea del missile atomico in Occidente e in Oriente, 400
Epilogo, 402

413 Brevi biografie
421 Analisi dei campioni di terreno prelevati a Gottow (Brandeburgo), Rügen (Meclemburgo-Pomerania occidentale) e Ohrdruf (Turingia)
429 Documenti
459 Bibliografia essenziale
471 Indice dei nomi

-------------------------------------

Dal libro
Introduzione

È mai esistita una bomba atomica tedesca? La questione dell’arma segreta del Führer ha suscitato, dopo la prima edizione di La bomba di Hitler, violente discussioni. Secondo gli studiosi, ai tedeschi sarebbero mancati i presupposti fondamentali per realizzare le armi nucleari: il Terzo Reich non possedeva nessun complesso atomico scientifico-industriale, non c’era in Germania alcun reattore funzionante con cui produrre il plutonio, né tanto meno esistevano degli impianti per arricchire l’uranio su vasta scala. Gli attacchi aerei alleati compromettevano sempre di più l’economia di guerra tedesca e inoltre mancavano le strutture per la ricerca, necessarie per portare avanti con successo un progetto nucleare.

Tutte queste argomentazioni prendono come punto di riferimento il progetto americano. Come è noto infatti, gli americani, con il sostegno di scienziati inglesi e canadesi e con il dispiegamento di ingenti risorse materiali, finanziarie e di personale, crearono fra il 1942 e il 1945 un grande complesso atomico con molti laboratori di ricerca, diversi reattori e grossi impianti per la produzione di materiale fissile. L’America era spinta in questa impresa anche dalla paura della bomba atomica tedesca. Negli ultimi mesi di guerra i servizi segreti degli Alleati avevano però appurato con sollievo che il Terzo Reich aveva, sì, sviluppato un imprecisato numero di nuovi sistemi di artiglieria, ma apparentemente non era in possesso della Wunderwaffe, l’arma miracolosa chiamata bomba atomica. Le cose però non sono così chiare come sembrano.

Sono le immagini a influenzare il nostro pensiero. Di queste immagini impressionanti, a cui la storia del XX secolo sarà per sempre associata, fanno parte anche le foto e i filmati dei funghi atomici. La palla di fuoco devastante, la gigantesca nuvola di polvere, il vuoto desertico al centro dell’esplosione, gli ingenti danni visibili per chilometri e chilometri: tutto questo si è profondamente impresso nella memoria storica dei popoli. Nessuno di coloro che hanno visto i corpi come disciolti, svaniti nel nulla, potrà dimenticare l’orrore che ne è seguito. Hiroshima è diventata una delle metafore principali del secolo scorso.

Da quando le bombe americane sono state lanciate su Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto 1945, l’esplosione atomica è paragonata alla più grande forza distruttiva mai esistita. E da allora la ripugnanza degli uomini verso la bomba nucleare è tale che in concreto noi conosciamo pochissime cose sul funzionamento di quest’arma e sugli effettivi pericoli che ne derivano. Di ciò sembrano invece non preoccuparsi i governi di quegli stati che sono in possesso di armi chimiche. Accanto ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – USA, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia –, oggi figurano anche Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. Tuttavia, numerosi altri stati dispongono di conoscenze teoriche per la realizzazione di armi nucleari, cosa che non ha fatto che accrescere la segretezza delle operazioni.
Per questo ci sono ad esempio pareri totalmente falsi in merito alla durata e all’estensione del raggio d’azione di un’esplosione atomica. Molti credono che il terreno dove è avvenuta l’esplosione resti contaminato per decenni e che non possa più venire calpestato senza pericolo per gli esseri umani. Invece, nell’area colpita, le radiazioni diminuiscono drasticamente già poche ore dopo l’esplosione 1. Per questo motivo gli scienziati americani riuscirono solo con molta difficoltà, alcune settimane dopo il lancio della bomba su Hiroshima, a rilevare un valore anomalo del cesio 137. Se non ci fossero dei monumenti nelle città a ricordarla, nessun visitatore ignaro potrebbe oggi immaginare quale tragedia sia avvenuta in quei luoghi nell’agosto 1945.

L’immagine spesso utilizzata del «deserto nucleare» è molto efficace a livello emotivo, ma non corrisponde totalmente alla realtà. Poiché anch’io inizialmente facevo riferimento alle immagini di Hiroshima, presi con leggerezza i primi accenni a un test tedesco sulla bomba atomica effettuato all’inizio del 1945. Successivamente la cosa suscitò invece la curiosità dei ricercatori. Tanto da essere il punto di partenza di questo libro.

Nella seconda metà degli anni ’90 mi sono occupato approfonditamente dell’industria mineraria dell’uranio nell’ex DDR e ho pubblicato alcune opere su questo tema 2. Nella letteratura relativa all’argomento il mio nome veniva di conseguenza spesso citato e ricevevo regolarmente domande su questo o quel dettaglio. Nel maggio 2001 ricevetti una breve lettera dal giornalista televisivo Heiko Petermann, il quale si stava occupando della questione dei test atomici nel Reich tedesco: egli stava verificando che questi test avessero realmente avuto luogo e mi chiedeva quante tonnellate di uranio fossero allora a disposizione dei tedeschi. Mi sentii come preso in giro e la mia risposta fu brusca e concisa.

Heiko Petermann mi sottopose allora dei racconti di alcuni testimoni dell’epoca: tutti sostenevano che verso la metà di ottobre 1944 e all’inizio di marzo 1945 avevano avuto luogo, rispettivamente sul Mar Baltico e in Turingia, dei test di tipo nucleare. Osservatore privilegiato dell’esperimento sul Baltico fu l’inviato di guerra italiano Luigi Romersa, che aveva già pubblicato più volte la sua esperienza 3. La versione dei fatti da lui sostenuta contrastava con il quadro generalmente tramandato dello stato delle ricerche nucleari in Germania e per questo suscitò fin da subito un certo scetticismo.

Molte dichiarazioni facevano riferimento al test in Turingia. I testimoni citavano delle conversazioni con alcuni degli scienziati responsabili dell’esperimento, descrivevano un test dall’esito positivo e parlavano della morte, in seguito a una violenta esplosione, di centinaia di prigionieri di guerra e detenuti. Un testimone aveva ancora nelle orecchie le ultime parole pronunciate da uno dei prigionieri in punto di morte: «Fuoco, molti morti sul colpo, scomparsi dalla faccia della terra, semplicemente non più lì, molti con ustioni estese, molti ciechi» 4. Tutto questo suonava molto strano e poco convincente.

A una misteriosa arma prodigiosa avevano accennato anche i vertici militari del Terzo Reich. Nell’agosto del 1944 Hitler, in una conversazione con il capo di Stato rumeno Antonescu, fa riferimento a una bomba che avrebbe un effetto così devastante da «distruggere ogni forma di vita nel raggio di tre o quattro chilometri dal punto dell’esplosione» 5. Il suo ministro degli Armamenti, Albert Speer, in un colloquio confidenziale nel gennaio 1945 si spinse ancora oltre, tanto da dichiarare: «Dobbiamo ancora resistere un anno e poi vinceremo la guerra». Speer parlò di un nuovo esplosivo, e proseguì indicando la scatola di cerini sul tavolo accanto a loro: «Un esplosivo che, con la stessa quantità contenuta in questa scatola, è in grado di distruggere l’intera città di New York» 6.

Ancora all’inizio di marzo del 1945, quando le truppe americane avevano appena oltrepassato il Reno e l’Armata Rossa sull’Oder era a soli 60 chilometri da Berlino, il capo delle SS Heinrich Himmler, in una conversazione con il suo medico personale, riponeva tutte le sue speranze in una bomba atomica: «Non abbiamo ancora impiegato la nostra ultima arma prodigiosa. Le V1 e V2 sono certo armi efficaci, ma la nostra arma decisiva produrrà degli effetti che nessuno è in grado di immaginare. Una o due esplosioni e città come New York o Londra spariranno dalla faccia della terra» 7. Siamo a conoscenza, inoltre, di una serie di dichiarazioni simili provenienti dalla ristretta cerchia di Hilter.

Anche Benito Mussolini, ancora nelle ultime settimane di guerra, sapeva di un imminente impiego della bomba atomica tedesca e vi accennò in un discorso tenuto a Milano nel dicembre 1944. Nel marzo dell’anno successivo, quando il Duce durante una telefonata chiese a Hitler delle nuove armi, quest’ultimo rispose: «Non è ancora detta l’ultima parola. Pensi all’acqua pesante!». E allora Mussolini: «Quando sarà pronta la nuova arma?». Hitler: «Presto, molto presto, forse subito» 8. Non si sa se Mussolini credesse ancora in un’effettiva possibilità di salvezza; in ogni caso, nella sua ultima intervista del 22 aprile 1945 egli fece un riferimento alla notizia comunicatagli dal Führer: «Le famose bombe distruttrici sono per essere approntate. Ho, ancora pochi giorni fa, avuto notizie precisissime. Forse Hitler non vuole vibrare il colpo che nella assoluta certezza che sia decisivo. Pare che siano tre, queste bombe, e di efficacia sbalorditiva. La costruzione di ognuna è tremendamente complicata e lunga» 9.

Gli studiosi di storia contemporanea interpretano queste dichiarazioni come propaganda o semplici fantasie, ben lontane da ogni plausibile realtà. La posizione della storiografia è stata finora evidente: il fallimento del progetto atomico tedesco si può leggere in ogni buon libro di storia. A metà del 1939 venne creata la cosiddetta Lega dell’uranio (Uranverein), un ente, sebbene non particolarmente attivo, per la ricerca, coordinato dall’Ufficio armi dell’esercito tedesco e dal Consiglio delle ricerche del Reich. Dal momento che fra gli esperti dell’Uranverein figurava anche il chimico tedesco Otto Hahn – colui che nel dicembre 1938 aveva scoperto la fissione – gli Alleati trassero le loro conclusioni, e cioè che gli scienziati tedeschi probabilmente lavoravano alacremente allo sviluppo dell’energia nucleare per il suo sfruttamento a scopi militari. La paura di una bomba tedesca fungeva quindi da stimolo per il loro stesso progetto.

Sul reale stato della ricerca atomica tedesca erano allora in circolazione a Londra, Washington e Mosca solo poche e confuse informazioni. Il capo militare del progetto nucleare americano, il generale Leslie R. Groves, riunì un gruppo speciale con il nome in codice di «Alsos», che aveva il compito di scoprire fino a che punto si fossero spinti i tedeschi con i loro tentativi 10. Alla direzione scientifica venne nominato il fisico olandese Samuel A. Goudsmit 11. Egli non solo possedeva i presupposti teorici indispensabili, ma aveva conosciuto personalmente, durante un periodo di studio a Göttingen, anche molti dei migliori fisici tedeschi.

Agli uomini di Goudsmit si deve un’importante scoperta, che questi fecero nel novembre 1944 all’Università di Strasburgo. Da alcuni documenti sottratti all’Università risultò che i tedeschi erano ancora in fase decisionale per la costruzione di una «macchina a uranio», e dunque non erano ancora in possesso di un reattore funzionante con cui poter ottenere del materiale fissile per la fabbricazione di una bomba. Goudsmit scriverà successivamente: «Non c’era alcun dubbio. Il presente materiale provava chiaramente che i tedeschi non solo non avevano una bomba atomica, ma che non avrebbero neanche potuto costruirla in una forma utilizzabile […]. Dopo Strasburgo fu soltanto un’avventura» 12. E anche i servizi segreti angloamericani alla fine del 1944 condividevano questa analisi 13.

Dopo la fine del conflitto in Europa, gli americani si concentrarono sulla schermatura del progetto Manhattan, dal momento che la guerra contro il Giappone non era ancora terminata. Volevano inoltre evitare di divulgare altri dettagli sulla ricerca nucleare tedesca e soprattutto una discussione aperta sull’uranio, con l’intenzione di tenere lontana l’Unione Sovietica dai segreti sull’energia atomica. Per questi motivi, nell’estate 1945 dieci fra i più importanti scienziati tedeschi vennero deportati in Gran Bretagna e rinchiusi nel cottage di Farm Hall. Le loro conversazioni vennero costantemente tenute sotto controllo. Quando all’inizio degli anni ’90 i rapporti sulle loro conversazioni vennero finalmente resi noti, furono dissipati anche gli ultimi dubbi 14: il progetto degli scienziati tedeschi era fallito, la «guerra dei fisici» l’avevano vinta gli americani.

Nell’immediato dopoguerra gli americani, in quanto unica potenza nucleare, si trovarono dunque a ricoprire un nuovo ruolo predominante, cosa che contribuì alla denigrazione dei contributi scientifici degli altri paesi. Nel 1947 Goudsmit, impressionato dai crimini compiuti dal regime nazionalsocialista e pieno di rabbia nei confronti delle élite tedesche, mostrò un quadro a tratti fortemente distorto della ricerca tedesca sull’energia atomica. Secondo lui, fra i motivi del fallimento dei fisici tedeschi c’erano la trascuratezza nelle ricerche di base e soprattutto l’incapacità nella gestione del progetto atomico. Goudsmit stabilì inoltre un confronto tra la scienza di un regime totalitario e quella di una democrazia, per giungere alla conclusione che solo nella seconda potesse sussistere la libertà intellettuale necessaria al pieno sviluppo scientifico. La tesi apparì illuminante, ma lasciava degli interrogativi irrisolti, come il motivo per cui il regime totalitario del Terzo Reich, così come del resto anche quello dell’Unione Sovietica, si trovasse al vertice del progresso tecnico in determinati settori degli armamenti. Il colpo decisivo di Goudsmit riguardava il vincitore del premio Nobel Werner Heisenberg, che egli considerava la mente scientifica del progetto tedesco: secondo lui, Heinsenberg e i suoi collaboratori avrebbero voluto realizzare una bomba atomica, ma fallirono a causa di alcuni errori scientifici e del loro autocompiacimento.

Gli scienziati tedeschi, attaccati nel proprio onore professionale, non potevano certo stare a guardare. Alcuni reagirono pubblicando degli articoli sulle riviste di settore, per cercare di chiarire il loro ruolo all’interno dei progetti nucleari del Terzo Reich 15; altri si limitarono all’esposizione del loro lavoro nell’ambito del programma di ricerca, evitando però qualsiasi riferimento alle circostanze esterne 16. Tra le righe di queste dichiarazioni emerse l’impressione che durante il periodo bellico gli istituti di fisica del Terzo Reich avessero portato avanti solamente delle ricerche di base. Questo fu il contributo tedesco alla creazione della leggenda sull’arma segreta dei nazisti.
Il primo libro scritto da un estraneo all’ambiente scientifico tedesco uscì nel 1956 ed ebbe un successo strepitoso: Heller als tausend Sonnen [Più chiaro di mille soli] 17. L’autore, Robert Jungk, si basava principalmente sulle sue interviste agli scienziati che erano alla guida della Lega dell’uranio, sostenendo la tesi secondo la quale un gruppo di fisici convinti oppositori del regime avrebbe reso innocuo il progetto atomico e in questo modo sarebbe riuscito a impedire che Hitler entrasse in possesso di una bomba atomica. Dieci anni più tardi l’autore inglese David Irving riprese questa tematica e ricostruì una drammatica gara fra tedeschi e Alleati per la realizzazione della prima bomba atomica 18. All’inizio i tedeschi avrebbero avuto importanti assi nella manica, ma verso la fine del 1942 sarebbero stati superati dagli americani. Così, mentre il progetto tedesco procedeva a rilento, con il progetto Manhattan gli americani poterono dare vita a un gigantesco complesso nucleare.

All’inizio degli anni ’90, lo storico scientifico Mark Walker introdusse con i suoi libri e articoli nuovi criteri di valutazione 19. Questi si basavano soprattutto sull’analisi dei German Reports, più di 390 relazioni di ricerca, che vennero stilate fra il 1939 e il 1945 dai membri della Lega dell’uranio 20. Walker smontò il mito della bomba atomica tedesca inventato da Robert Jungk. I tedeschi non avevano – a detta di Walker – ancora messo a punto la spaventosa arma; secondo lui i ricercatori che gravitavano attorno a Heisenberg non erano giunti a un punto tale da dover prendere una decisione pro o contro la realizzazione della bomba atomica. Nella prefazione all’edizione tedesca del libro di Walker Die Uranmaschine [Macchina all’uranio], Robert Jungk ritrattò la sua tesi dell’opposizione passiva al regime da parte dei fisici tedeschi 21.

Pochi anni più tardi il giornalista scientifico americano Thomas Powers riaccese la discussione con il libro La storia segreta dell’atomica tedesca 22. Secondo lui Heisenberg avrebbe consapevolmente manovrato il progetto tedesco da uno «sgabuzzino per le scope». Questa tesi provocò violente reazioni 23. La controversia proseguì e venne fomentata anche dal film per la televisione di Wolfgang Menge Ende der Schuld [Fine della colpa] e dal lavoro teatrale Copenaghen di Michael Frain 24. Sullo sfondo del dibattito restava sempre la questione della responsabilità morale degli scienziati. È difficile trovare altri esempi in cui sia possibile illustrare così chiaramente i pro e i contro della «scienza oggettiva».

In questo dibattito lungo più di mezzo secolo, soltanto qualcuno sostenne l’esistenza di altri gruppi di ricerca accanto a Heisenberg e alla Lega dell’uranio. Ci furono casi, seppur isolati, di studiosi, come il fisico inglese Philip Henshall, che sostenevano che i tedeschi fossero probabilmente andati molto più avanti nelle ricerche di quello che generalmente si credeva 25. La tesi di Henshall di una cooperazione nucleare segreta del Terzo Reich con l’impero giapponese restò tuttavia senza prove, ma sollevò nuove e interessanti questioni. La speculazione si diffuse a tal punto che alla fine un paio di soliti incorreggibili riuscirono ad affermare che, per quanto riguardava le bombe lanciate su Hiroshima e Nagasaki, non si sarebbe trattato di armi americane, bensì di bombe tedesche 26. In teorie di questo tipo, che avvalorano la tesi del complotto, un’affermazione ne suscita altre, ma nessuna viene realmente convalidata. Fortunatamente lo studioso ha a disposizione numerose possibilità di controllo e di verifica: egli dovrebbe essere nella condizione di riuscire a «separare il grano dalla pula».

«Tutto quello che non c’è agli atti, non è successo.» Con questa indicazione la classe dirigente mette in evidenza una propria caratteristica: fissare nero su bianco meno cose possibili in caso di azione imminente. Proprio in tempo di guerra vengono distrutti molti dei documenti più scottanti. In guerra muore innanzitutto la verità. Regnano segretezza e censura. In gran parte tutto ciò vale anche per il progetto atomico. A Washington e a Mosca una parte dei più importanti documenti non sono accessibili alla ricerca storica.

Gli storici lavorano sistematicamente sulle fonti disponibili, perciò tendono ad abbozzare su avvenimenti non ben documentati, per non restringere i punti di vista possibili. Questo avvenne anche per la storia della bomba atomica tedesca, per la quale la ricerca venne ristretta alla sola Lega dell’uranio, perché fu l’unica a lasciare la maggior parte dei documenti scritti. Con ogni probabilità, si può supporre però che non fu solo l’esercito, o meglio il Consiglio delle ricerche del Reich, a dedicarsi alla fisica nucleare, ma anche la marina e l’aviazione, le poste (Reichspost) e altre grandi industrie; le loro attività, se mai vennero prese in considerazione, lo furono solo marginalmente. Ad aggravare la situazione contribuì anche il fatto che, a seguito della spartizione del Reich tedesco da parte degli Alleati, i documenti di molti istituti e uffici scientifici vennero dispersi in più direzioni. Le truppe sovietiche, ad esempio, sottrassero a Berlino tutto il patrimonio dei documenti dell’Istituto Kaiser-Wilhelm per la fisica (KWI), oltre a numerosi atti dell’Ufficio armi dell’esercito tedesco e di altri uffici militari, interi archivi industriali e molto altro ancora. E fino allo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991 non ci fu alcuna possibilità di accedere a quegli atti.

La ricerca di questi documenti ha avuto per il presente libro un’importanza fondamentale. Grazie all’aiuto di alcuni amici russi, della responsabile del programma di ricerca «Storia della Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft durante il nazionalsocialismo», Carola Sachse, e grazie al sostegno del presidente della Società Max Planck, sono stati resi accessibili alla ricerca storica, per la prima volta, il patrimonio degli atti del KWI per la fisica e molti altri documenti che si trovavano in Russia.
Per quanto concerne l’alto grado di segretezza fra i tedeschi stessi, questo rispettava un ordine del Führer del gennaio 1940 27. Più la guerra peggiorava, più diventava sospettoso 28. Il suo pilota Hans Baur racconta che Hitler aveva il sospetto che nel suo ambiente ci fosse una spia. «Alla fine del 1944 nel quartier generale del Führer regnava un’atmosfera di sospetto reciproco» 29. In particolare Hitler si preoccupava di tenere le conversazioni sui temi più delicati direttamente a quattr’occhi con i suoi interlocutori. Questo valeva anche per la ricerca nucleare. Non sapremo mai fino a che punto lui fosse a conoscenza dei progressi nel progetto atomico. Generalmente si parlava di «un’arma miracolosa» (Wunderwaffe), ma se la conversazione assumeva un taglio più concreto, non doveva in alcun modo essere protocollata 30.

Gli stessi responsabili della ricerca nucleare ebbero conversazioni decisive solo a quattr’occhi e non annotavano mai sulle loro agende appuntamenti importanti. Questo viene brevemente riportato da Walther Gerlach, l’ultimo direttore della Lega dell’uranio. La sua segretaria, Giesela Guderian, teneva un’agenda accurata degli appuntamenti e batteva a macchina la sua intera corrispondenza: aveva quindi con lui una certa confidenza; ma non appena arrivava da Gerlach un ospite che faceva rapporto sulle nuove scoperte in ambito nucleare, lei veniva fatta uscire dalla stanza 31. Gli incontri non dovevano essere registrati sull’agenda. Un esempio può riferirsi al 22 marzo 1945: l’agenda di Gerlach riportava per questa data solo una breve annotazione di un viaggio inaspettato dalla Turingia a Berlino 32, mentre l’appuntamento importante con Martin Bormann, uno dei capi del Partito, mancava completamente. Il fatto che Gerlach fosse stato a rapporto da Bormann venne scoperto perché gli americani entrarono in possesso, un mese più tardi, di alcuni documenti, fra cui c’era anche un’annotazione scritta a mano proprio di quell’incontro.

Verso la fine della guerra molti documenti segreti vennero più o meno sistematicamente distrutti. Le lacune sono particolarmente consistenti fra gli atti che riguardavano la ricerca sia della marina, che dell’aviazione, delle SS e delle Poste. La situazione non sembra migliorare se ci si sposta nel settore privato. In molti archivi aziendali delle ditte che in un modo o nell’altro erano collegate alla ricerca nucleare – tra le quali I.G. Farben, Siemens, AEG e Auergesellschaft (società Auer) – si trovano solo frammenti di queste attività.

Quando lessi per la prima volta le dichiarazioni dei testimoni dei test del marzo 1945, reagii con un po’ di scetticismo. I testimoni parlavano veramente di un’esplosione nucleare? E come si poteva verificare? Simili racconti potevano essere solo il punto di partenza per un’argomentazione su basi scientifiche. Queste testimonianze erano emerse nel corso di alcune inchieste condotte dalle autorità della RDT e dal Ministero della Sicurezza di Stato (Ministerium für Staatssicherheit, MfS), che cercarono non tanto di penetrare i segreti della ricerca atomica, quanto di ricostruire le sorti dei detenuti del campo di concentramento di Ohrdruf, in Turingia. Qui negli ultimi mesi di guerra era partito il progetto «S III», il cui fine ultimo è ancora oggi molto discusso, ma che riguardava la costruzione di un edificio speciale; probabilmente questo doveva servire come quartier generale del Führer 33. Durante i lavori morirono fino a diecimila prigionieri.

Albert Norden, del comitato centrale del SED, incoraggiò le ricerche nella speranza di trovare delle prove a carico di ex nazisti, che in quel momento vivevano nella RFT. Uno degli accusati fu il futuro presidente della RFT, Heinrich Lübke, per cui si sospettavano delle implicazioni nel progetto «S III» 34; le autorità della RDT inscenarono allora un «affare Lübke», ma nulla poté essere provato e la campagna venne sospesa, insieme alle ricerche.

Nel frattempo i giornalisti Gerhardt Remdt e Erich Wendel dell’«Ilmenauer Kreiszeitung» ipotizzarono un legame fra la costruzione dell’ultimo quartier generale del Führer vicino a Ohrdruf, il movimento di merci preziose nell’area turingia e la produzione di nuove armi 35. Quando erano ormai convinti di essere sulle tracce della ricerca nucleare tedesca, nel gennaio 1967 la loro impresa venne fermata «dall’alto» 36. Fu l’ufficio distrettuale della Stasi ad assumere la direzione delle successive ricerche 37.
Il MfS ottenne le importantissime dichiarazioni del mastro stagnaio Erich Rundnagel. La sua storia, che parlava di due piccole bombe atomiche dentro una cassaforte di un gruppo di ricerca dell’HWA (Heereswaffenamt, Ufficio armi dell’esercito) vicino a Stadtilm, suonava però così incredibile che gli ufficiali della Stasi di Arnstadt non proseguirono la ricerca 38, anche perché non sussisteva un reale interesse politico a sondare la vicenda.

Forse si potevano rintracciare informazioni preziose negli archivi tedeschi, russi o americani? Dopo una ricerca durata due anni, con l’interessamento di numerosi colleghi e amici, fu il caso a venire in mio soccorso. Heiko Petermann si imbatté in un articolo del fisico russo Pavel V. Oleijnikov dell’Istituto per la fisica tecnica del centro di ricerca nucleare di Celyabinsk 39. Oleijnikov parlava del ruolo degli scienziati tedeschi nel progetto atomico sovietico, basandosi su alcune lettere – da poco liberate dal segreto di Stato – di Georgij Flerov, uno dei maggiori fisici sovietici del periodo bellico e post bellico 40, che nel maggio 1945 si era recato in Germania per indagare sui test nucleari. Dalle sue lettere non si capisce se la sua missione si fosse conclusa con successo o meno, tuttavia questa era per me la prima vera prova che i racconti dei testimoni risalenti agli anni ’60 avevano un fondamento.

Con l’aiuto di amici russi, riuscii a entrare in possesso dei volumi sulla storia del progetto atomico sovietico, curati dai collaboratori dell’Istituto Kurchatov e pubblicati nel 2002 in un esiguo numero di copie 41. Qui è contenuta anche una lettera, risalente al 30 marzo 1945, che Igor Kurchatov, il capo del progetto sovietico, scrisse a Stalin, in cui si fa riferimento a un test nucleare in Germania: i servizi segreti militari dell’Armata Rossa, infatti, lo avevano appreso pochi giorni prima e avevano allertato il Cremlino. Dopo un attento esame, questi documenti sono risultati autentici, ma questa autenticità per lungo tempo non ha costituito una prova che quel test avesse realmente avuto luogo. Forse i tedeschi, nelle ultime settimane di guerra, avevano solo cercato di ingannare il governo sovietico? Singole fonti, per quanto importantissime, non hanno condotto a una conclusione definitiva.
Nel momento in cui i russi sono venuti a sapere del test, probabilmente lo hanno appreso anche gli americani e gli inglesi. Le relative ricerche nei National Archives a Washington, nel Public Record Office di Londra e Kew e in molti altri luoghi non hanno fornito nessuna prova diretta, ma hanno fatto chiarezza su molti aspetti interessanti dell’industria tedesca degli armamenti, compreso il settore della fisica nucleare.

Parallelamente alle ricerche d’archivio, io e Heiko Petermann predisponemmo una campionatura delle aree in cui si supponeva si fossero svolti i test, così come dei prelievi del terreno e la loro analisi a opera di diversi istituti specializzati nel rintracciare anche la più piccola quantità di radioattività. In questi accertamenti vennero coinvolti anche i fisici dell’Università Justus Liebig di Gießen – guidati dal professor Arthur Scharmann –, il professor Reinhard Brandt, radiochimico dell’Università Philipps di Marburg, e gli scienziati del Physikalisch-Technischen Bundesanstalt (Istituto federale di fisica tecnica) di Braunschweig, diretti dal fisico sperimentale Uwe Keyser. Se si fossero verificate delle esplosioni nucleari sulle superfici sospette, allora si sarebbero dovuti registrare nei campioni di suolo dei valori decisamente al di sopra delle soglie normali di elementi come il cesio 137 e il cobalto 60.

Purtroppo né dai documenti, né dalle testimonianze raccolte è stato possibile risalire al luogo esatto dell’esplosione e dai prelievi dei campioni del terreno abbiamo potuto trarre solo degli indizi.
Naturalmente era lecito domandarsi se la presenza degli isotopi nel terreno non avesse potuto avere anche altre cause, e quindi se si potesse spiegare per esempio con un successivo test atomico sovietico o addirittura con l’incidente di Cernobyl. Ora, l’Unione Sovietica, soprattutto per la segretezza nei confronti della NATO, non aveva mai testato armi nucleari al di fuori del suo territorio. Fra il 1949 e il 1990 l’impero russo aveva eseguito sul suo territorio – ed esclusivamente lì – 715 esplosioni nucleari, in cui erano state fatte esplodere 969 cariche nucleari 42. Inoltre sul territorio dell’ex RDT non ci sono prove di detonazioni di armi tattiche nucleari a fini di esercitazione. Per quanto riguarda infine l’incidente di Cernobyl del 1986, le sue conseguenze sono state studiate dagli scienziati di tutto il mondo e sono state individuate come delle «impronte digitali fisiche», con cui poter stabilire se, in determinate aree geografiche, certi valori al di sopra della soglia potevano o meno derivare dal disastro nucleare avvenuto in Ucraina. E proprio sulla base di questo riscontro tale causa poteva essere definitivamente esclusa, almeno per le zone della Turingia da noi analizzate.

Alla fine restava da chiarire la difficilissima questione di cosa realmente fosse stato testato in quella zona all’inizio del 1945. Un vano tentativo di andare a fondo era stato intrapreso da Igor Kurchatov alla fine di marzo dello stesso anno. Quando gli fu sottoposto il rapporto dello spionaggio per un parere scientifico, non poté in alcun modo spiegarsi i motivi per i quali, con un’esplosione nucleare, fosse stata distrutta un’area così ristretta, con un raggio di soli cinque o seicento metri. Secondo i suoi calcoli, infatti, una bomba atomica avrebbe dovuto causare ben maggiori distruzioni. Tuttavia le informazioni di cui Kurchatov disponeva non erano sufficientemente precise per portarlo sulla strada giusta. Le cose oggi sono però diverse: quasi sessant’anni più tardi e grazie a una grande quantità di informazioni dettagliate è stato possibile arrivare a delle conclusioni e trovare delle spiegazioni.

La massa critica per una bomba atomica all’uranio arricchito 235 si aggira all’incirca sui 50 chilogrammi, per una bomba al plutonio sui 10 chilogrammi. Bombe di questo tipo furono sganciate il 6 e il 9 agosto su Hiroshima e Nagasaki, dove superfici di molti chilometri quadrati furono completamente rase al suolo e morirono decine di migliaia di persone. È un dato di fatto quindi che, per quanto concerne le bombe atomiche tedesche, non si poteva trattare di armi di questo tipo: gli scienziati tedeschi non disponevano infatti di sufficienti quantità di uranio arricchito o di plutonio.
Teoricamente sarebbe esistita la possibilità di utilizzare come esplosivo nucleare dell’uranio arricchito almeno del 10%, ma in questo caso ne sarebbero state necessarie diverse centinaia di chilogrammi. E anche qualora i fisici tedeschi fossero riusciti a ridurre la massa critica di circa la metà con l’impiego di un riflettore, sarebbe comunque stata necessaria un’enorme quantità di materiale fissile, di cui il Terzo Reich allora non disponeva.
Dopo una nuova verifica di tutti i risultati ottenuti dalle misurazioni fisiche, ci addentrammo con l’aiuto di esperti nel campo delle onde d’urto e delle cariche cave. In alcuni, isolati, articoli specialistici degli anni ’50 veniva descritta, in modo sorprendentemente concreto, la costruzione delle cariche cave nucleari e venivano anche illustrati i legami, più o meno scottanti, che esistevano fra i membri dei gruppi di ricerca nel periodo bellico: già nel 1944 scienziati della marina, dell’esercito e dell’aeronautica militare possedevano le conoscenze per costruire un’arma nucleare strategica secondo il principio delle cariche cave.

Le prove decisive si rintracciarono nell’eredità – per molto tempo dimenticata – del capo del reparto di ricerca dell’Ufficio armi dell’esercito, il professor Erich Schumann. Il vero elemento sensazionale dell’eredità di Schumann è un manoscritto che egli redasse in accordo con i suoi collaboratori di allora 43, in cui descriveva, tra le altre, le ricerche, iniziate sotto la sua direzione, sullo sfruttamento militare dell’energia di fissione nucleare e in cui abbozzava un progetto per un meccanismo di innesco di una bomba all’idrogeno. Il manoscritto di Schumann non venne pubblicato.
Rainer Karlsch
--------------------

Il libro è edito dalle "EDIZIONI LINDAU" Corso Re Umberto 37 10128 TORINO - TO tel. + 39 011 517 53 24 - vedi in rete www.lindau.it - oppure nelle migliori librerie.

______________________

vedi anche "STORIA DELLA BOMBA ATOMICA" > >

ALTRE OPERE RICEVUTE > >


Questo spazio - ripetiamo - é gratuitamente a disposizione
dei nostri amici editori e collaboratori...


CRONOLOGIA GENERALE