INDIA ANTICA - GLI ARII

IL PAESE - I POPOLI - STORIA - LINGUE - LETTERATURA -
LA RELIGIONE - LE LEGGI - LE ARTI

IL PAESE.
- Uno dei nomi che hanno indubbiamente avuto, nel corso dei secoli, maggior copia di accezioni, è senza dubbio quello di India. Dato dapprima alla regione bagnata dall'Indo, fu esteso più tardi a tutte le regioni d'Oriente di cui parlano gli scrittori dell'antichità. Al bacino dell'Indo s'aggiunse il bacino del Gange, la penisola del Dekan vi fu poi annessa, come pure le terre orientali di là del fiume sacro. Dall'India furono chiamate le isole al sud dell'Asia ed anche, poi, quelle della Malesia; il medio evo comprese in quel nome l'Arabia e l'Etiopia; i paesi del sole d'oriente di mezzodì. Non chiamò forse Colombo Indie Nuove le Antille, quando dall'occidente mosse alla ricerca dell'Asia?

Delle due immense penisole, della superficie di 5 milioni di kmq. che gli antichi conoscevano sotto il nome di India - (India cis Gangem, India anteriore, India trans Gangem, India posteriore, Cocincina) - quella che nella storia della civiltà ha maggior gloria è senza dubbio la più vasta, che s'addentra nel mare a forma di triangolo, con la base nei monti del Pamir e dell'Himalaia e il vertice nel capo Comorin.
Per diversità di condizioni naturali e di sviluppo storico, tutta questa regione si divide a sua volta in due parti press'a poco d'uguale estensione e di egual forma triangolare : l'Aryavarta - (l'Indostan, la parte continentale dell'India, pianura contenuta fra la catena dell'Himalaia, l'Indo, il Bramaputra e i Vindhia); il Dakslhinapatha - (il Dekan, che sarebbe la vera parte peninsulare : altopiano chiuso tra i Gathi orientali e occidentali, l'aspra catena del Vindhia e i monti Nilgeri).

È l'India il paese dove gli spettacoli di natura sono più grandiosi e il contrasto fra le varie condizioni fisiche è più saliente. AI nord delle feconde pianure del Gange e dell'Indo s'innalzano le montagne più alte del globo, dalle cime eternamente bianche di neve e lucenti di ghiacciai, dai fianchi ornati della vegetazione più rigogliosa e gigantesca. Di là dal versante settentrionale, sull'altopiano del Tibet, solcato solo da squarciature profonde, dove precipitano impetuosi i torrenti, dove pochi uomini elessero dimora, si estendono solitudini immense senz'acqua, dove langue una flora anemica; verso mezzogiorno invece le pianure più fertili e più feconde d'organismi viventi, e, nella regione stessa delle montagne, le vallate, dove la fantasia popolare intravide i paradisi abitati dagli uomini nell'età aurea - (il Kaschmir); - senza pari per mitezza di clima, per fertilità di suolo, per splendore di paesaggio. I fenomeni atmosferici vi hanno una violenza senza pari. Dal rigido Tibet alle ardenti rive della penisola transgangetica, dall'Oceano Indiano al mare Eritreo, gli sbalzi di temperatura, d'umidità, di pressione, di tensione elettrica; sono ingeriti ed il succedersi rapido dei venti non consente la costanza dell'equilibrio atmosferico: uragani formidabili passano sulle regioni più ricche e popolose, lasciando il deserto e la rovina dovunque.

Non infrequenti nei tempi più remoti le rivoluzioni geologiche: sconvolgimenti di vasti territori, ammassi di lave - nel Dekan - attestano della prodigiosa attività che in altri tempi avevano i focolai sotterranei della penisola.
Piante di varie specie la ricoprono; degli animali, tutte le razze, dalla più utile alla più avversa all'uomo, la popolano; tesori inesauribili di metalli e di pietre preziose racchiudono in seno le montagne, che l'immaginazione dei popoli ravvivò di fate e di maghi; perle meravigliose nei mari finitimi. Di tutti questi incanti partecipa Taprobana - l'isola di Ceylan - "la corona dell'India", che suscitò un entusiasmo tanto grande in quanti degli antichi Greci e dei Romani ebbero la ventura di approdarvi.
Da ciò appare che ben a ragione gli antichi consideravano l'India come il paese delle meraviglie e delle prodigiose ricchezze.

Ma indubbiamente la regione più impegnata e più pronta ad accogliere e far prosperare una civiltà dovette essere quella del bacino del sacro Gange e dell'Indo. Questi fiumi resero possibile - come il Nilo per gli Egizi, come l'Eufrate e il Tigri per i Caldei e gli Assiri - il divenire degli Arii, e intorno ad essi appunto sorsero le metropoli della cultura, della religione, del commercio indiano, Indraprasta, Matura, Hastinapura, Kangiacugba, Pratishtana, Kapilavusta, Pataliputra.
Dell' Aryavàrta noi diremo appunto in particolar modo.

I POPOLI.
- Primi abitatori dell'India pare fossero popoli di razza negra, di quel gruppo detto negrito, dai capelli lisci, e simili ai negri d'Australia, dei quali restano esempi negli Andaman, nella penisola di Malacca e nelle Filippine, ricacciati: dal succedersi insistente di torme turaniche più evolute e più forti: i Dravidi. Quando vennero gli Arya, « i nobili », questi bianchi si trovarono di fronte popolazioni negre, dal naso schiacciato, dai piccoli occhi, che essi chiamarono mlettchasete. Da mescolanze di questi negri con tribù protodravidiche, derivavano i Daisya, dominatori di civiltà superiore a quella dei loro schiavi di razza negra.
Gli Arya erravano nell'ampia contrada solcata dall'Oxus e dal Jaxartes (Amu-Daria e Sir-Daria) quando, cresciuti a dismisura, molte loro tribù dovettero emigrare in cerca di nuovi pascoli. Portavano seco le faville della civiltà : una lingua giunta alla flessione, la organizzazione salda della famiglia, l'uso comune del bronzo. Alcuni, girando il Caspio, si rovesciarono nell'Europa ancora barbara; altri abbiamo visto scendere verso sud-ovest nell'altipiano-iranico; altri ancora in età posteriore s'avanzeranno verso l'Oriente.

Fertilissima la valle che agli Arii apparve, varcati ipassi del Pamir e la estesa pianura solcata da grandi corsi d'acqua. Sapta-Sindhu "dei sette fiumi" e anche Pancianada, "dai cinque corsi d'acqua", dissero il paese. Sindhu (fiume) per antonomasia chiamarono il più abbondante d'acque fra essi, l'Indo, donde il nome agli occupatori e al territorio che si andò allargando.
La conquista dovette essere molto lenta dei vinti, parte fu distrutta, parte asservita e parte fu assimilata.
Quantunque manchino dati cronologici di certezza indiscutibile, si può ritenere che nel secolo XV a. Cr. gli Arii fossero padroni del Pancianada. Da allora lo sviluppo della razza aria, stabilita nell'India comincia a seguir altra via da quella dei fratelli iranici: mentre questi s'addestravano, nel conflitto perpetuo contro i turanici e contro i semiti, ai futuri trionfi e adottavano pronti nuovi costumi e nuove idee religiose più concrete, quelli asservivano le popolazioni inferiori, conservavano le tradizioni e i costumi primitivi, il sereno panteismo, i pacifici riti e si organizzavano per rendere più salda la dominazione, in caste immutabili.

STORIA.
- Solo nelle linee più generali sono note le vicende dell'Aryavàrta e d'altronde presentano ben scarso interesse. La storia del rivolgimento religioso, poichè la religione è il perno intorno al quale si mosse la vita di quei popoli, merita ben più attenta osservazione.
La discesa, verso la fine del XV secolo, di nuove tribù del nord spinse gli Arii ancor più verso oriente; poichè l'asprezza del Vindhia vietava l'avanzata nel sud, passarono il Sarasvati e si trovarono nel bacino del Gange opimo.
Primi a stabilirsi nell'Aryavàrta, come chiamarono quella regione i conquistatori, fra il Sarasvati e il Yamuna, furono i Tritsu, al seguito dei quali vennero i Bhàrata e molte altre genti. Dopo una serie di contrasti adombrati nella leggenda della "guerra dei dieci re", l'aspetto politico del paese è modificato molto : i Tritsu che, fusi con popolazioni kuscite, assumono il nome di Kosala, si trovano ricacciati verso oriente, presso i Magadha, gli Anga, i Videha, e i Matsya si trovano ad aver occupate le loro sedi; i Bhàrata si sono avanzati fino nell'alta valle del Gange, i Yadava tengono la regione solcata dal corso inferiore dello Yamuma; i Panciata, quella fra questo fiume e il Gange.
Adodhya fu la capitale del regno dei Kosala, dove regnò la "dinastia solare"; Hastinapura fu la metropoli dei Bhàratha ed ebbe prima la ("dinastia lunare" e poi quella dei Kuru.

Un nuovo sconvolgimento mise sottosopra il Aryavàrta verso il XII secolo : una emigrazione di tribù ariane, quelle dei Pandava che nella "gran guerra" abbatterono i Kuru e si spinsero più a est e più a sud nell'india dravidica, che dissero Dakscinapata, mutò ancora una volta la distribuzione politica della regione. Predominanti, nella zona dell'Himalaia, i regni di Kashmira e di Kekaya, quelli dei Paurava, dei Takciasila, dei Khattia nel Pancianada, nel bacino del Gange i Kosala e i Pandava che da Hastinapura e da Ayodhya avevano trasportato le capitali a Kashambi e Sravasti, e il regno di Magadha con Ragiagriha capitale. Qui la dinastia dei Barhadratha, imparentata con i Kuru, fu rovesciata, nell' 803, da Sumaka, che stabilì sul trono il figlio Prasiota, la cui dinastia fu spodestata dai Saisunaya. Nel Dakshinapata perdurarono sempre, accanto alle tribù arie, le dravidiche; Lanka fu invasa per la prima volta degli arii Vigiaya verso il Vi secolo.

Verso questo secolo i re di Magadha, fattisi con Agiatacatru (551-519) e Udayabhadra (519-603) campioni del buddismo, diffondendo sempre più la nuova fede, allargano i confini del loro regno.
Appaiono nei Pancianada le milizie di Dario, che dopo breve conquista, organizzata a satrapie, dalle minacce scitiche sono costrette a ritornare in Europa. Senza riuscire a una vera e propria unificazione dell'India, continuando nella loro politica fortunata di diffonditori del nuovo verbo, i re di Magadha riuscirono a imporre la loro supremazia sul Pancianada e sull'Aryavàrta; conquistarono il regno dei Kosala fiorente, il regno dei Sakia, di Kapilavastu - la patria del buddismo - e verso la fine del V secolo, con Sisunaga II (471-453) e con Kalasoka (453-425), la potenza loro toccò l'apogeo, avendo assoggettato tutto il paese del Gange e fino alla gente dei Kekaya, dei Paurava, dei Takciashila. Con Kalasoka, il fondatore di Pataliputra (Palibothra dei Greci), cessa la dinastia dei Saisunaya e succede quella dei Nandi, la storia della quale è oscurissima : sappiamo soltanto che diede nove re e che durante l'avanzata d'Alessandro viveva ancora.

Fu un sogno grandioso quello di Alessandro. L'abitudine al facile successo e l'ignoranza della estensione immensa dell'Asia determinò il Macedone alla conquista dell'India. Nel 327 partito con più di 90 mila fanti e 16 mila cavalli, arrivò all'Indo nella primavera del 326, solo perchè - discordi tra loro tutti gli Stati del Sapta-Sindhu - ebbe la ventura di trovare un alleato nel re dei Takciashila. Abbattè con un esiguo corpo d'esercito, grazie a un'abile mossa strategica, la potenza dei Paurava (Poro). Avanzatosi fin nel paese dei Khattia, quando seppe del gran regno di Magadha, l'esercito si perse d'animo oltre essere affaticato e stanco; Alessandro dovette accontentarsi di assoggettare il Pancianada e mosse verso l'Europa.

Erano allora gli Arii ancora i dominatori dell'India. Solo virtualmente, pare, perchè dopo Alessandro sale appunto sul trono non un Ario, ma un Sudra.
Morto il Macedone, il territorio ch'egli aveva occupato fu - da un Sudra, Ciandragupta (Sandrakotros), l'iniziatore turanico della dinastia Maurya sostituita violentemente alla Nanda - tolto a Seleuco I, che se n'era fatto re.
Ma ai Greci e poi ai Romani la fama di quei paesi era ormai giunta, e la via dell'India meravigliosa di ricchezze e di frutti era aperta.

LINGUE - LETTERATURA.
- Ai nostri giorni, secondo il Cust, nella moltitudine dei milioni e milioni d'Indiani, si parlano 97 lingue e 234 dialetti, senza tener conto delle lingue e dei dialetti parlati dagli stranieri. Delle cinque famiglie nelle quali quei linguaggi sono divisi - l'indo-europea, la dravidica, la kolariana, la tibetana, la khassi - quella che ha maggiore importanza è l'indo-europea, diffusa in più della metà della popolazione, nell'India del nord e nell'altopiano centrale.
La glottologia è riuscita a ricostruire la lingua primitiva (il proto-ario) dalla quale mutuarono tutte le altre ariane. Se sia esistita davvero, se sulle labbra si sia atteggiata così come è nella sua forma sublimata, è discutibile, ma non può essere discusso il fatto che tutte le radici delle lingue indo-europee hanno tali legami da mostrare una parentela remota con una favella madre, che dovette al proto-ariano (trovato dal filologo per via di induzioni, di deduzioni, di analogie) rassomigliare molto.

La lingua della quale rimangono documenti che più cristallini rifrangono l'idioma ario è la sanscrita. Il nome che la designa vale, "polita, perfetta" è chiamata inoltre deva-nagari, "lingua degli dèi". La linguistica può affermare che il sanscrito non è mai stato la lingua generale dell'India, nè nella forma vedica, nè in quella meno rude e più progredita che si trova nei Brahmana, negli Upanichad, nelle epopee. Il sanscrito nei drammi e riservato esclusivamente alle persone delle classi alte, ai Brahmana, ai Kehatrya, mentre le classi inferiori usano il prakrita, un linguaggio meno perfetto, meno pulito, meno puro, al livello delle classi che lo impiegano. Anche il prakrita non rimase a lungo fisso, che anzi, mentre la lingua degli dèi passava definitivamente allo stato di lingua dotta, da esso si svolgeva il bracha, linguaggio popolare (come il nostro "volgare"), comune a tutte le caste.
La scrittura devanagarica consta di una cinquantina di segni alfabetici (si scrive da sinistra a destra) e di circa quaranta nessi, gruppi di due o più lettere. Ha affinità lontana con la semitica e ha generato tra le altre la scrittura tibetana e la giavanese.
Le più antiche iscrizioni risalgono al III secolo dell'età nostra: sono i famosi -editti di Aroka.

Poche sono, le lingue europee che possano comparare la loro letteratura a quella dell'India antica, non solo per la ricchezza, ma anche per l'eccellenza della maggior parte delle opere.
L'antichissima e costituita dai Veda: i libri del Rigveda, del Samaveda, dei due Yagiurveda e del più recente Atharvanaveda, che non si nomina nemmeno come raccolta a sè nel Dharmasastra. Canti, inni religiosi e guerreschi, formule propiziatorie costituiscono il fondo di tutti questi libri, dai quali però emerge, attraverso i veli delle leggende eroiche e mitiche, la tradizione dell''Ario invasore del paese dei Sette Fiumi e della lotta contro i Dravidi autoctoni.

Poema che non ha riscontro in nessun'altra epopea è il Mahabaratha, gigantesca raccolta delle tradizioni che il genio del popolo avvolse intorno alla grande lotta secolare tra i Pandava e i Paurava, magnifico nella parte leggendaria, profondo in quella didascalica. Nella sua ultima redazione consta di 100 mila sloka (distici o doppi distici di otto sillabe) mentre in origine era di soli 50 mila versi. Si può dire che e un complesso di epopee: ogni eroe vi ha l'esaltazione delle sue vicende, ogni dio quella della sua potenza.
Le bellezze straordinarie del Mahabaratha seno esaltate da tutti i cultori del sanscrito. Questa epopea presenta una serie di episodi staccati, nei quali ogni dio e ogni eroe dell'India ariana trova il suo posto nel canto inteso a tramandarne le gesta alla posterità. Nella elaborazione del poema abbondarono non solo le interpretazioni, ma anche le alterazioni del testo primitivo.

Il Ramayana è l'altro dei grandi poemi indiani canta le guerre del Dakshinapata e di Lanka (Ceylan). È d'età molto posteriore ed è scritto con intenti religiosi e di casta : più che dall'anima nazionale, s'è svolto dalla riflessione dell'ingegno bramanico, che v'ha esaltato l'opera propria. Ma tuttavia una grandiosità epica vi è trasfusa, i mille episodi s'intrecciano con abile coordinazione, e la magnificenza delle descrizioni è insuperabile. Nella pittura dei sentimenti umani il poeta - un favoloso Valmiki - s'eleva a una altezza che non sarà mai pareggiata, nel suo « immenso poema, vasto come il mare delle Indie, libro di divina armonia, dove niente fa dissonanza ».

II libro delle Leggi di Manu - (Manava-Dharma Sastra) - è uno dei più importanti documenti del pensiero umano e dello sviluppo sociale dell'antica Aryavàrta.
Manu è nella letteratura vedica una figura complessa, che partecipa dell'essenza d'uomo e di Dio; talvolta viene persino a essere identificato con Brahma. Egli è l'altissimo saggio, l'introduttore del rito sacrificale propiziatorio; è il progenitore dei re.
Come i Veda, come i due poemi, anche questa opera è frutto, più che di una elaborazione individuale, d'un movimento d'idee collettive è in buona parte l'espressione del compromesso tra gli Kchatria dominatori e i Brahmana, che stanno per affermare la loro superiorità, forti dell'ascendente morale che esercitano sulle turbe.
Ma pur tuttavia la morale che vi è predicata è profonda, quantunque sancisca la divisione delle caste: è un modello di saggezza politica la distinzione dei doveri delle diverse classi e degli individui in esse eminenti.
Il codice di Manu ha subito uno sviluppo di redazione inverso a quello degli altri libri sacri: in origine di un centinaio di migliaia di versi, lo possediamo in un testo di soli 2181 sloka, tanto che è parso ad alcuni un manualetto fatto per uso delle scuole brahmaniche.
La lettura di tutti i libri sacri era solo permessa ai Brahmana: essendo necessaria alle altre classi la conoscenza delle massime in essi predicate, ne furono fatti dei riassunti illustrativi, i Purana.

Ai maggiori capolavori si riallaccia tutta una letteratura epica, religiosa, filosofica, didascalica, drammatica, lirica, voluttuosa e lasciva. Dei ciclici il più illustre è Kalidasa; dei lirici, squisitissimo Giagamatha; della drammatica, un altro Kalidasa, l'autore della Sakuntala. Delle opere filosofiche e didascaliche sono i Sutra - filiazione dei Veda - le più importanti, per non contare un grande numero di trattati di metrica, di pittura, di scultura, d'architettura, d'astronomia, di medicina, d'alchimia.

LA RELIGIONE - LE LEGGI.
- Mite e pacifica, derivata dalla contemplazione entusiastica della natura, la religione degli Arii non perdette mai il suo carattere di politeismo naturalistico per quanto nell'avanzata dal Pancianada verso l'oriente e il mezzodì dell'India, nell'urto insistente e sanguinoso, si sia accentuato un carattere bellicoso in ogni concezione divina.
Indra, il supremo dio vedico, il dio delle battaglie, e insieme il cielo purissimo, l'etere che dà vita all'universo, nel quale s'adunano e si disciolgono le nubi e scorrono i fulmini : la sua lotta con Kritra, « il nemico », con Ahi, « il serpente », simboleggia ancora il disciogliersi della pioggia che si riversa dalle nubi e beneficiando la Terra. È necessario che Indra scenda contro l'avversario, il quale con l'aiuto di compagni forti e potenti tien prigioniere le "vacche lattifere", le nubi, e lo colpisca con il fulmine perchè sull'arida terra indiana cada benefico e fecondo il « latte », la pioggia ristoratrice.
Intorno a lui, Agni, il fuoco terrestre; Surya, il fuoco del cielo; Vayu, il vento soave; Vamna, l'impetuoso vento della notte; Vishnu, il firmamento profondo e misterioso e altri mille Deva « i risplendenti », fingenti l'aurora, il tramonto, le stelle.

Semplicissime le cerimonie propiziatrici : abluzioni, offerte di burro chiarito, di soma (sarcostemma brevistígma secondo alcuni, secondo altri asclepias acida) e inni e scongiuri che i Veda ricordano.
Purissima la morale : l'onestà, il lavoro, le opere buone, doveri sanciti dalla fede; salda la credenza nell'immortalità dell'anima e nella vita futura.
Quando l'evoluzione della civiltà fu più matura e accanto al diritto della forza si affermò quello dell'intelligenza, il sacerdote, compagno al guerriero e sacrificatore, si drizzò, potente per sapienza. per virtù, di contro al dominatore.
Accanto a Indra, il battagliero, nell'Olimpo vedico s'assise Brihaspata, Brahmanaspati, Brahma, il supplice divino, il sommo sacerdote degli dèi, personificazione delle forze dello spirito.
Per questa concezione, e con essa, l'importanza dei Brahmana aumentò. Ma non senza resistenza da parte degli Kchatria, che alfine dovettero, per mantenere il loro grado, addivenire a un compromesso per il quale rimase loro il potere regio, mentre abilmente, i Brahmana affermarono la loro supremazia morale su i re e i popoli.
Si sanzionarono così di diritto le differenze di fatto che esistevano fin da prima tra i vincitori e
la plebe al loro seguito, tra quelli venuti spontaneamente in soggezione e i vinti colla forza e i servi delle popolazioni un tempo preminenti. Si organizzarono le caste: suprema la sacerdotale, brahmana, poi la militare (kchatrya), la popolare, d'agricoltori, di commercianti (Vaisya), e infine la servile (sudra).

Sotto a tutte una lunga serie di genti - sorta dal miscuglio delle classi - destinata alle professioni più umili e abiette, l'ultima delle quali è la paria. Il libro sacro dice che Brahma trasse dalla sua bocca la parte più pura il sacerdote, dalle braccia i guerrieri, dalle cosce i vaisya, dai piedi i sudra : degli uomini vili (i paria) non è fatto cenno nella dottrina della creazione, perché dal divin creatore, in virtù del suo pensiero, non potevano essere generati quelli ch'egli ha a disdegno.

Nelle leggi di Manu è l'espressione più completa di questo sviluppo d'idee.
Il privilegio della nascita determina il privilegio delle cariche, della cultura e persino della trasmigrazioni successive nell'altra vita : intorno agli kchatrya, prodi in guerra e in pace potenti, ai saggi che soverchiano con l'intelligenza loro re e popoli, vi è la folla inorganica che non può nemmeno tentare di sollevarsi dall'inferiorità alla quale è costretta.
Ma certo l'anima collettiva sentì agitarsi, oscuramente, il pensiero della ribellione contro questa inflessibile legge divina: il pensatore, nel deserto, disse prima legge della vita è il dolore, e la sètta dei nigantha e quella degli jaina - filiazione diretta di quella per via di Nataputta - asserirono che per sottrarsi al male non c'era altra via che quella di distruggerne il seme, lo spirito; un'altra predicò la dottrina opposta, potersi cioè per mezzo dello spirito, della sapienza, giungere all'annichilimento del corporeo, il cattivo terreno dove allignano le radici del dolore.

Apostolo della nuova dottrina fu Siddharta o Gautama Buddha. Figlio probabilmente del re di Kapolavasta, soggetto al regno di Magadha, ebbe agio nella corte paterna (dove più frequenti che altrove erano i convegni di saggi e di sacerdoti per discutere di teogonia e di morale) di assimilarsi
tutto il sapere del tempo e insieme potè constatare, dall'altezza della sua condizione, gli abusi e le ingiustizie della classe militare e bramanica, la mostruosità del privilegio, base della religione.
Abbandonato il fasto della città, la moglie, i figli, si ritirò nel deserto a meditare e là il Sakiamuni,
il solitario Sakia - nome della famiglia alla quale appartenne - gettò le basi della dottrina che diffuse nell'animo degli umili l'idea dell'eguaglianza.

I discepoli di Buddha « il sapiente » (è il nome che gli fu dato dopo il periodo della meditazione contemplativa), propagarono pel mondo la buona novella con ardore insolito di proselitismo: i re di Magadha ne fecero strumento di diffusione del loro potere nel bacino del Gange.
Non più favoriti o reietti: unica meta agli uomini tutti il Nirvana, la « cessazione » dell'esistenza individuale.
" Bisogna - disse - sopprimere il desiderio la fine del desiderio e la fine dell'egoismo".
" La via della salute si raggiunge col dominare se stessi; la via della salute è il Nirvana".
"La massima virtù è la sapienza e la sapienza procura la massima felicità, e la massima felicità è il Nirvana".
Come vi si giunge? Reprimendo le passioni, soffrendo nella propria volontà.
Conviene notare che, se può parere esagerata questa concezione dell'esistenza umana, non lo è meno della opprimente idea bramanica. D'altronde, Buddha vantava la carità, le opere buone, l'amor del prossimo. Alla sua morte - nel 543 - nella capitale del regno di Magadha, a Ragiagriha, cinquecento discepoli si adunarono a concilio e affermarono il contenuto etico della dottrina buddstica e ne fissarono gli insegnamenti principali.

Naturalmente, non poteva mancare l'opposizione dei Brahmani e della scuola vedantica : all'accusa d'ateismo un secolo dopo, nel 433, settecento saggi riuniti per otto mesi in assemblea nel monastero di Mahàvana rispondono contrapponendo alla trimurti bramanica la trisatna, composta di Buddha, Dharma e Samgha - il fondatore, la dottrina, l'assemblea dei fedeli - e stabiliscono i primi dogmi condannando l'eresia pullulante.

Certo i Brahmani avevano da troppo tempo il dominio della società indiana per doversi rassegnare alla nuova religione demolitrice dei loro privilegi: il buddismo fu respinto oltre il Gange e l'Himalaia. Ma è oggi la religione che conta il maggior numero di seguaci.

LE ARTI.
- La marcia storica dello sviluppo dell'arte indiana sembra cominciare con l'introduzione del buddismo e con la sua estensione sotto il re Aroka (250 a. C. I più' antichi monumenti sono i tope . Questo nome che significa in indostano poggio, cumulo, mucchio, è stato dato ad antichi edifici. È provato che i tope sono monumenti religiosi elevati dai buddisti e consacrati a Buddha. Questi templi sono alte ed enormi piramidi costruite in pietre o in mattoni sopra una base che qualche volta è formata d'un muro regolare e quadrangolare e a volte consiste anche in grandi pietre grezze ammonticchiate senza ordine. Queste masse terminano in una cupola schiacciata. Si compongono da cinque a dieci piani, ciascuno, dei quali e di qualche piede più stretto di quello di sotto. Questi edifici sono oscuri all'interno come le pagode sotterranee. I tope più notevoli sono quelli di Sanchi, uno dei quali ha 120 piedi di diametro e 56 d'altezza. I tope dell'isola di Ceylon sono ancora più imponenti, per esempio quello di Ruanwelli Dagop, che in origine aveva una altezza di 270 piedi, e quello di Colombo.

Il Thuparamaia-Dagop nel recinto dell'antica residenza d'Anurajapura, ricorda la graziosa rotonda latina del tempio di Vesta. Una piramide più importante è quella di Tanjaur, considerata come il più bel modello d'edificio piramidale che vi sia nell'India. Vi sono poi i templigrotte, caverne che servirono prima d'abitazione ai seguaci di Buddha : più tardi esse furono convertite in templi. Tali furono i templi d'Ellora, di Ravana, di Dumar Leyna, di Kailasa. Due o più file di pilastri li dividevano in diverse navate di eguale altezza. Nelle grotte di Buddha, la divisione era più regolare, la forma dei pilastri più semplice, l'ornamentazione meglio fissata. Al contrario in quelle di Brahma, il piano comportava numerose divisioni e tutte le parti erano sovraccariche d'una prodigiosa quantità di sculture.
Il tempio sotterraneo d'Elefanta si trova nell'interno di un'alta montagna. Ci si arriva per mezzo di una scala di 300 a 400 scalini. Le montagne orientali di Gath, come le isole che si trovano in faccia, contengono trenta grotte di questa specie. Sulla costa dei Coromandel, non lungi da Madras, si vedono i templi-grotte di Mahamalaipur. Sono i resti di un'antica residenza reale.
Le pagode sono -edifici costruiti sul suolo e consacrati al culto della divinità. Esse sono circondate da molti muri di cinta e le parti principali si elevano spesso, a forma di torri, ma in forme esagerate. Il tempio propriamente detto si compone di un atrio, d'una sorta di vestibolo e di un santuario, al disopra del quale si eleva a grande altezza una torre.
Lo Jaggernat possiede una facciata notevolissima, posante sopra quattro pilastri enormi, sostenuti da elefanti, mentre i capitelli sono sorretti da leoni. Citeremo ancora la grande pagoda di Tiruvalur.
Accenneremo infine a castelli e fortezze enormi, costruiti sopra cime isolate. Tutti monumenti, in cui manca, è vero, l'armonia delle parti e la bellezza delle forme, ma che sono pur sempre maravigliosi per la grandiosità : mostruosi monumenti, che (come dice il Weber) "non poterono essere eseguiti, se non in uno spazio di tempo incalcolabile, da molte migliaia di braccia, con pazienza infinita".

Una civiltà potente come quella dell'india doveva necessariamente avere una grande influenza sulle contrade limitrofe. Per questo motivo l'architettura degli Indi si estese coi loro sistemi religiosi a isole. I principali monumenti che si conservarono sono: nel Casmir, il tempio di Payach: al nord e al sud, sui continenti e sui più importanti nel Nepal, il grande tempio della città capitale di Kathmandu; a Giava, il tempio di Boro-Budor a Pegu, quello di Rangun; a Nankin, la torre di porcellana.
La scultura nell'India raggiunse grande sviluppo per il bisogno di decorare convenientemente i templi. Dal punto di vista anatomico essa rimase imperfetta, ma ne è notevole la grandiosità. Così in una delle Grotte di Dambulla-Gallé si trova un Buddha coricato che raggiunge la lunghezza di nove metri: sono ammirevoli la calma e la maestà che spirano dalla fisionomia di questa statua colossale, che è circondata da altre statue di divinità della lunghezza di tre metri ciascuna. La scultura non andò però immune da un gravissimo difetto: quello del grottesco, compiacendosi di dare alle divinità le forme più strane e mostruose, foggiando degli dèi metà uomini e metà bestie.
Si trovano così delle dee dalla testa di elefante, degli dèi a parecchie teste, dei bassorilievi di un'oscenità o di una barbarie ripugnanti. Questo basso livello della scultura è dovuto alla tutela religiosa, da cui le belle arti in India non riuscirono a emanciparsi, e specialmente alla dottrina della metempsicosi, che sanzionava la trasmigrazione delle anime dei defunti, attraverso trentatrè purgatori, nei quali assumevano le forme degli animali più diversi.

Anche la pittura raggiunse grande importanza nell'india. Gl'Indiani, come gli Egiziani, i Fenici, i Greci, avevano l'abitudine di colorire le loro opere architettoniche e le loro sculture. Molte belle pitture si sono ritrovate nell'interno del tempio di Ayanti. Le pitture di Panch-Pandu presentano un disegno assai elegante e una savia distribuzione di colori. Sono state pure trovate molte figure dipinte all'uso etrusco, in rosso indiano sopra fondo di altro colore. Esistono pure molti quadri su tela, alcuni dei quali ricoperti da veli. I soggetti più comuni di questi quadri sono rappresentazioni di cacce, di battaglie; riproduzioni di fatti della vita di Buddha e dei suoi discepoli; episodi riguardanti altre divinità; processioni e altri riti; guerrieri, cavalli, elefanti, bestie fantastiche. Non mancano neppure quadri osceni.

I REGNI

sul BUDDHISMO vedi > >

inoltre vedi il Buddhismo in CINA > >


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