TREDICESIMO CAPITOLO


TREDICESIMO CAPITOLO


carta di Rio Grande e Paraguay dove combattè Garibaldi
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La legione italiana si perfeziona. - Anzani. - Buoni effetti della sua nuova organizzazione. - Combattimenti quasi quotidiani. - Traditori ricevuti a fucilate. - Ordine del giorno di Garibaldi. - Combattimenti al Cerro; al Cerrito. - L'Ammiraglio Brown, sfidato, si ritira. -
Nobile disinteresse della legione italiana e del suo capitano.

Il problema da sciogliersi era il perfezionamento della legione, senza trascurare la flottiglia; e Garibaldi stette un pezzo studiando, all'insaputa loro, gli ufficiali delle tre divisioni per conoscere se fra tutti ci fosse quell'uno atto al comando supremo.
Il giorno 12, settanta uomini sotto Danuzio andarono a caricare legna e sorpresi dal nemico sarebbero fuggiti se Garibaldi non li avesse protetti col fuoco dei suoi legni, dando loro tempo di ritirarsi in buon ordine alla Punta Yegua. Avvenne poi la spedizione di Punta Caneta ove Garibaldi s'impadronì di alcune lance, e Danuzio impedì il nemico di opporvisi. Alla legione fu affidato il servizio regolare del porto.
Il 2 luglio, grande rivista nella piazza del Cabildo delle due legioni italiana e francese, consegna della bandiera e scelta della divisa. La divisa dell'italiana fu la camicia rossa, storica, oggi quasi leggendaria; e la bandiera ideata da Galliano che tuttora vive in Genova, era interamente nera con un vulcano in mezzo, simbolo della patria in lutto ma col fuoco sacro in seno. Questa bandiera è religiosamente conservata da Teresita e Stefano Canzio che la ebbero da Garibaldi con la lettera che attesta la sua autenticità.

Ma Garibaldi non era ancora sicuro della sua legione; aspettava con ansietà che Anzani rispondesse all'invito fattogli di assumerne con lui la buona organizzazione. Anzani che era al Salto acconsentì, e arrivato, si misero subito all' opera. La riforma fu radicale. Si soppressero i differenti comandi, si licenziò il gran numero degli ufficiali impiegati nello stato maggiore. Garibaldi e Mancini restarono colonnelli; Anzani, tenente colonnello; Danuzio, maggiore; Vaccarezza, capitano aiutante maggiore; si stabilirono otto capi di compagnia, sedici sottotenenti, un solo commissario; gli individui che componevano la compagnia di riserva, vennero distribuiti in altre compagnie, furono cacciati tutti gli ufficiali, la di cui condotta aveva compromesso l'onore della legione.

Questi severi provvedimenti fecero nascere tali rancori che si meditò persino da taluni di assassinare Anzani e Garibaldi. Ma intanto i buoni effetti si fecero subito sentire, il servizio divenne regolare.
Buttaro prese subito alla baionetta il Mirador di Pereira, portando via tutte le scale che aveano servito al nemico per collocare le sentinelle sui tetti; espugnò, sotto gli occhi del generale Paz e del suo stato maggiore, una casa in cui quello si era fortificato. Il 27 luglio, mentre i posti avanzati sono sorpresi e i custodi messi in fuga, gli italiani soli non indietreggiano, resistono bravamente al nemico; il colonnello Velasco eseguisce una brillante carica.

Anche il mese di agosto non fu senza onore. Gli italiani s' impadronirono di alcuni posti avanzati, alle Tre Croci, uccidendone le sentinelle. Dopo di che tutta la legione venne chiamata in città perché l'armata di Brown minacciava il porto. Garibaldi era tornato appunto allora alla sua squadra che per mezzo del fiume comunicava col Cerro, fortezza di somma importanza ai Montevideani perché sulle rive della Plata, mentre Oribe teneva sempre il Cerrito a tre leghe di distanza.
Il Cerro perduto, si sarebbe perduto il punto d'appoggio per introdurre le vettovaglie e per formare le colonne. Le quali cose non essendo oscure all'ammiraglio Brown, questi aveva preparato un abile colpo di mano sul Cerro e sull'isola di Pratos.
Garibaldi con la squadra Anzani , salva il forte e l'isola alla repubblica benché con rilevanti danni, specialmente sull'isola, non avendo che cannoni da 18 da opporre all'armata di Rosas che li fulminava con bocche da 36. I legionari poi, che in quei frangenti erano stati esposti a dure privazioni, fecero una scorreria, pigliarono molti, cavalli e 50 bovini.

Il 4.° battaglione dei regolari, benché avesse patite sensibili perdite, duce il Danuzio, sostenne egregiamente l' assalto di un battaglione nemico e di uno squadrone di cavalleria; fece parecchi prigionieri e s'impadronì di una casa ove molti dei vinti aveano cercato la salvezza. In tutto quel mese gl'italiani ebbero scontri quotidiani, sempre favorevoli e non contaminati da alcun atto di viltà.
In novembre il colonnello Neira, dei regolari, essendosi troppo avanzato fu ucciso al di là delle Tre Croci. Garibaldi, a terra, quel giorno prese tutte le posizioni del nemico, ma non vide il cadavere del colonnello che alla fine fu trovato in un fosso coperto di fronde e di spini. Lo fece riportare a Montevideo.

Ritornato un'altra volta il nemico con truppe fresche, fu nuovamente, respinto, ma con il sacrificio, di 7 morti e di 40 feriti, fra i quali Danuzio, Leon Lamberti, il sergente Saccarello, il tamburino Plaina, i legionari Frizzo, Buda, Lavaja e Giusti.
« Possiamo cominciare a chiamarci contenti» - disse Garibaldi ad Anzani quella sera; ma Anzani scosse, il capo dicendo: « gatta ci cova ancora. » Anzani appariva troppo pessimista a Garibaldi, lui che per la poca sua stima degli uomini era difficile accontentare; ciononostante si consolava di aver trovato l'uomo idoneo che gli risparmiasse d'ingerirsi in faccende di amministrazione e di persone.

Seguono altri scontri non meno felici. Garibaldi che dagli avamposti dirigeva le operazioni contro il nemico, spedisce Buttaro in distaccamento e questo rintuzza vittoriosamente l'attacco di due battaglioni e di 1000 cavalli sotto Nunez. Il 15, mentre il generale Pacheco passa in rassegna gli italiani e ne encomia il coraggio, il nemico capita loro addosso fulminando, ma dovette frettolosamente ritornar sui suoi passi. Il 27 tutta la legione s'imbarca per Cerro e sbarca all'insaputa del nemico nel Saladero di Cening e s' imbosca, Al Passo della Bojada dà esempio di coraggio e di fermezza mentre tutti i francesi si sbandano.

Garibaldi si andava ogni ora di più persuadendo che la vera riforma era a buon punto e che Anzani, dalla cera costantemente scura, esigeva troppo dall'umana fragilità, quando, ahimé ! il 28 maggio, Mancini e undici ufficiali passano al nemico e per un pelo non inducono la legione a disertare.
Fra questi undici, oltre il Mancini, sempre indegno, c'erano Danuzio, Ferretti e Savoja, e i feriti, Berutti, Garesio, Dondona, Savoldi, Bettelini , Larine e Ricaroni! La mattina costoro osavano perfino presentarsi agli avamposti e incitare altri a seguirne l'esempio, ma furono ricevuti a schioppettate, e i traditori Savoldi, Danuzio e Ferretti rimasero feriti. Garibaldi indirizzò alla legione il seguente manifesto:

LEGIONE ITALIANA. Montevideo, li 30 giugno 1844.
ORDINE DEL GIORNO.
Italiani,
Il tradimento ha tentato insinuarsi tra noi, ma i pochi suoi vili fautori non hanno osato mirarvi in faccia e pronunciare l'abominevole parola. Il vostro sguardo soltanto li ha confusi ne' loro turpi disegni. La coscienza della loro infamia li ha resi muti dinanzi a voi. -Tra 600 uomini che state in sull'armi, undici soli individui non vi somigliano; troppo da voi diversi essi si son ora conosciuti col marchio de' traditori, che avevano stampato sulla fronte. - Vi é tra i vili un'attrazione, come ve n'é un' altra tra i forti - ed essi si son data la mano e si serrarono in lega - da quel giorno non v' appartennero più - il loro posto era altrove - dinanzi a voi tra le vostre file ci soffocavano - l'aria che respirano i valorosi é micidiale ai codardi - il loro posto era altrove - essi l'hanno cercato - passarono nel campo nemico.
« Sia lode a Dio,
Uno di essi vi era capo, ufficiali gli altri - e son fuggiti - ma soli, non hanno portato al nemico, che in cuore li disprezza, e li pagherà più tardi col premio dovuto ai loro pari, altro che la loro vergogna, e la certezza dolorosa per essi che la Legione Italiana é irremovibile nel suo proposito. -- Quei vili con la loro presenza offendevano l' onore vostro, se offesa può farsi a una gloria virilmente acquistata - la fuga loro per voi fu un vento che dissipa la nebbia e rende più sfolgorante la luce. La lealtà della Legione Italiana fu posta a una terribile prova. - Voi la vinceste - lode a voi, o valorosi, lode a voi.
« Italiani!
Levate alta la fronte, sicché ognuno possa leggervi come la conservate immacolata. - Mettetevi una mano sul cuore, e se lo sentite battere di quel palpito veramente italiano, che fece operare prodigi ai nostri padri; se sentite che voi potete mostrarvi degni e veri figli d'Italia, fate un solenne giuramento con me di mostrare al mondo, che se nelle vostre file si annidarono pochi infami, la Legione Italiana è rimasta pura, e degna della sua fama.
Muoiano i traditori! Viva la libertà! Viva l'Italia!
G. GARIBALDI. »


Risoluto di far vie più rifulgere l'onore del nome italiano, ottiene di imbarcare tutta la legione sulla squadra e con il generale Pacheco in persona andare all'attacco delle genti di Oribe che sul serio minacciavano il Cerro.

Al Cerro venne subito alle mani con 600 del nemico che assaliti alle due, erano alle cinque sbaragliati con 150 morti e 200 prigionieri. La legione, che ebbe 6 morti e 12 feriti, fu pubblicamente ringraziata da Pacheco, che in ogni occasione manifestava la sua accesissima simpatia per Garibaldi. Ma questi col suo fare risoluto, col premiare il solo merito, col rompere contro gli intriganti, si era procurato un mondo di nemici e i suoi colleghi bruciavano di gelosia e gli erano ostili.
Avendo disertati dall'armata brasiliana due marinai, questi furono accolti dalla squadra all'insaputa di Garibaldi. Il governo del Brasile ordinò al proprio ammiraglio di domandarne l'estradizione. - Costui, invece di rivolgersi al governo, si presentò a Garibaldi intimandogli la consegna dei fuggitivi.
Pacheco, consultato, rifiutò; i colleghi suoi insistettero nell'opinione che, essendo già in guerra colla repubblica Argentina, non giovava imbrogliarsi coll'Impero del Brasile. - Pacheco si dimise come ministro della guerra. - Fu il governo istigato di accettare le dimissioni dai partigiani di Rivera, il quale odiava Pacheco perché in molte circostanze questi lo aveva rimproverato e una volta obbligato a liberare due schiavi che la famiglia di lui teneva contro la nuova legge.
E la dimissione fu accettata con grave danno della cosa pubblica, con ineffabile sgomento della popolazione; tanto che l'esercito si pronunciò in suo favore. Ma egli per non essere causa di guerra civile pacificò i soldati e si ritirò a Rio Janeiro.

Rivera, liberato dalla irresistibile autorità di tale uomo, avendo messo assieme cinque o sei mila soldati, volle dare battaglia finale al terribile Urquiza. Oribe, avutone sentore, staccò parte dei suoi soldati davanti a Montevideo, in aiuto di quel valente Gaucho. Il Generale Paz, avvertitone a sua volta, s'accinse alla cacciata di Oribe dal Cerrito.
Prese con se la legione comandata da Garibaldi, il quale scrive che il disegno fu bene ideato, ma che, per dissensi fra gli ufficiali comandanti del Cerro, la sortita della guarnigione fu ritardata; e quando questa sboccò, fu respinta, e così i legionari e le genti di Paz si videro attaccati da tutte le forze di Oribe e dal corpo di osservazione che egli tenne davanti al Cerro.
Non restava che di ritornare al Cerro indietreggiando e combattendo; e a tale scopo si doveva guadare il Rio della Boyada in acqua e fango fino al ventre sotto una batteria di 4 pezzi che il nemico aveva piantata in vetta a un monticello.

Garibaldi comandava la retroguardia per proteggere la ritirata e poteva ritenersi pago dei suoi uomini che stettero intrepidi sei ore a quel fuoco micidiale. Egli si ricordava sempre di un inglese, chiamato Samuele, il quale dopo Il passo della Boyada tornò solo con la sua ordinanza e domandato dove fosse la sua compagnia che consisteva in 50 uomini, rispose "Presente all'ordine del capitano". Tutti erano stati uccisi; e, inoltre, 70 della legione.

Non riuscendogli di obbligare Oribe a levare l'assedio, il generale Paz andò a dirigere l'insurrezione nella provincia di Corrientes tanto da dividere le forze di Urquiza e assecondare Rivera. Ma questi, disobbedendo agli ordini di non dare né accettare una battaglia decisiva, ebbe il suo esercito distrutto al campo di India-Muerte. Spietati furono i vincitori: oltre i morti sul campo, duemila prigionieri furono dietro comando di Rosas torturati; poi, o strangolati o bruciati vivi. Molti si smarrirono in quelle immense lande. Rivera e coloro che erano con lui scamparono, ricoverandosi nel Brasile.

Restavano a Montevideo la legione francese e l'italiana. Garibaldi ogni giorno le condusse all'attacco del Cerrito. Nel maggio, alla Polveriera, affronta la cavalleria e la fanteria del generale Llanos, caricando alla baionetta e coprendo il terreno di cadaveri; accorre in aiuto del nemico tutto il corpo di osservazione e anche questo é messo in rotta , ucciso il generale Nunez, uno degli ufficiali più valorosi di Oribe.
La legione ritorna a Montevideo con largo bottino di animali. Allora Garibaldi si diede da fare per persuadere il governo a permettergli l'imbarco della legione sulla squadra, e la discesa a Buenos Ayres per impossessarsi di Rosas e metter fine alle atrocità commesse da costui giorno e notte. Ma sia il governo che il popolo scorgevano nella legione italiana l'unico loro scudo e non ebbero l'intenzione di vederla allontanarsi.

Allora Garibaldi ritornò alla sua squadra e ridendosi del blocco guizzava al largo e gettava il groppio ora sui legni mercantili che riconduceva in porto, ora con finte offese attirava a sé tutte le navi da guerra, facilitando in tal modo l'entrata delle barche cariche di provvigioni. Spesso imbarcava uno scelto numero dei suoi, per poi irrompere di notte sulla squadra nemica; ma questa al tramonto, per prudenza, alzava sempre l'ancora.

Fu allora che Garibaldi decise di attaccare di pieno giorno con otto cannoni di piccolo calibro tre navi armate di 44 grossi pezzi di artiglieria. Dispone le sue vele in ordine di battaglia, va sotto il tiro del cannone; tutti i Montevideani assistono dalle terrazze; le navi di tutte le nazioni pavesate di uomini si ripromettono un raro spettacolo; quando l'ammiraglio Brown credette prudente di ritornarsene alle amiche sponde.
Immensi gli applausi onde furono accolti i legionari al ritorno, e il sorriso delle belle signore rese omaggio all'audacia del biondo ammiraglio.

Intanto alla Francia e all'Inghilterra non garbava affatto quell'insulsa guerra che intralciava il commercio. Una delle ragioni che aveva indotto l'Inghilterra nel 1828 a farla finita e a persuadere il Brasile e la Repubblica Argentina di riconoscere come provincia indipendente la Banda Orientale, era stata appunto quella di garantire al commercio straniero una linea libera lungo il fiume Uraguay, se da una eventuale rottura fra Buenos Ayres e il Brasile fosse stato chiuso il fiume Rio della Plata.
Perciò nel luglio 1845 l'Inghilterra inviò alla testa d'una squadra lord Howden in qualità di paciere; e la Francia ne mandò un'altra comandata dall'ammiraglio Lainé. - Il Rosas cercò di tenerli a bada, ora accettando, ora rifiutando una dopo l'altra le loro proposte. Ma gli inglesi e i francesi non si lasciano prendere in giro, bloccano Rosas a Buenos Ayres , e gli scompigliano la squadra catturando quanti bastimenti poterono sulla Plata, sul Parana e l'Uraguay.

Lord Howden parecchie volte consigliò il governo di Montevideo a desistere dalle ostilità, e non fu pigro nel volere convincere Garibaldi di sciogliere la legione offrendogli una indennità per i soldati e gli ufficiali. Garibaldi rispose che egli e i suoi avevano impugnate le armi per difendere la causa della giustizia, e che questa causa non poteva essere abbandonata «da uomini onorati».
Lord Howden, che si trovò allora piuttosto impacciato a causa della fermezza di Garibaldi, gli tributò tuttavia piena giustizia nel 1849 quando alcuni cattolici fra i Pari vollero infamarlo quale filibustiere.
Egli disse:
"Il presidio (di Montevideo) era quasi per intero composto di francesi e di italiani, ed era comandato da un uomo cui sono felice di poter rendere testimonianza, che era il solo disinteressato fra una folla di individui i quali non cercavano se non il loro personale tornaconto.
Intendo parlare di un uomo dotato di gran coraggio e di alto ingegno militare, che ha il diritto alle a vostre simpatie per gli avvenimenti straordinari accaduti in Italia, - del generale Garibaldi. »

Nello stesso tempo Pacheco-,y-Obes, allora ministro della Repubblica Orientale in Parigi, così rispondeva ai calunniatori del Generale della Repubblica Romana.
« Nel 1843, - egli scrive, - il signor Francesco Agell, uno tra i più rispettabili negozianti di Montevideo, indirizzandosi al ministro della guerra, gli faceva sapere che nella casa di Garibaldi, del capo della legione italiana, del capo dell'armata nazionale, dell'uomo infine che dava ogni giorno la sua vita per Montevideo, faceva, dico, sapere al ministro che in quella casa non s'accendeva di notte il lume, perché nella razione del soldato - unica cosa sulla quale Garibaldi contasse per vivere - non erano comprese le candele. Il ministro (ed era lo stesso scrivente) mandò per il suo aiutante di campo G. M. Torres, 100 patacconi (500 lire) a Garibadi il quale, ritenendo per sé la metà di questa somma, restituì l' altra affinché fosse portata alla casa di una vedova, che, secondo lui, ne aveva maggior bisogno. Cinquanta patacconi (250 lire), ecco l'unica somma che Garibaldi ebbe dalla Repubblica.
Mentre egli rimase tra noi, la sua famiglia visse nella povertà, egli non fu mai diverso dei soldati, sovente gli amici di lui dovettero ricorrere a dei sotterfugi per fargli cambiare gli abiti già logori. Egli aveva amici tutti gli abitanti di Montevideo, giammai vi fu uomo universalmente amato più di lui, ed era ciò ben naturale. Garibaldi, sempre il primo al combattimento, primo lo era ugualmente a raddolcire i mali della guerra. Quando si recava agli uffici del governo, era o per domandare la grazia di un cospiratore, o per chiedere soccorsi in favore dl qualche infelice; ed é all'intervento di Garibaldi, che il signor Michele Haeds, condannato dalle leggi della Repubblica, andò debitore della vita. - Nel 1844 un'orribile tempesta flagellava la rada di Montevideo; vi era nel porto una goletta, che perdute le ancore era affidata con evidente pericolo all' unica che avanzava; a quel bordo stavano le famiglie dei signori Carril. Il generale Garibaldi informato del pericolo si imbarcò con 6 uomini recando con se un' altra ancora, colla quale la goletta fu salva. - A Gualeguaychu fa prigioniero il colonnello Villagra, uno dei più feroci capi di Rosas, e lo rilascia in libertà, come anche gli altri suoi compagni. Nella sua spedizione all' interno, egli si distinse per molti atti di cavalleresca generosità, che anche al giorno d'oggi formano argomento di conversazione nel campo dei due partiti. »

Prima di partire per la disastrosa sua campagna, il general Rivera voleva in qualche modo compensare i legionari italiani per gli eroici servigi prestati alla repubblica. L'esito di questa pratica risulta dalla corrispondenza avuta fra lui e Garibaldi che qui riproduciamo:

" Signore,
Allorquando l'anno scorso regalai all'onorevole legione francese una certa quantità di terreni, regalo che fu accettato come l'avrete conosciuto dai giornali, speravo che il caso avesse condotto al mio quartier generale qualche ufficiale della legione italiana, caso che mi avrebbe offerto l'occasione di soddisfare ad un ardente desiderio del mio cuore, mostrando alla legione italiana la stima che le professo, per gl'importanti servigi resi dai vostri compagni alla Repubblica nella guerra che sosteniamo contro la forca armata d'invasione di Buenos Ayres.
Per non protrarre più a lungo quello che io riguardo come l' adempimento d'un sacro dovere, racchiudo nella presente, e col massimo piacere, un atto di donazione che faccio alla illustre e valorosa legione italiana come un pegno sicuro della mia personale riconoscenza per gli eminenti servigi di quella legione al mio paese.
Il dono, lo so purtroppo, non é uguale né ai servigi né al mio desiderio, e ciò nondimeno io spero che voi non ricuserete d'offrirlo in mio nome ai vostri compagni e di assicurarli della mia simpatia e della mia riconoscenza per essi e per voi che sì degnamente li comandate e che già in precedenza, aiutando la nostra Repubblica, avete acquistato un diritto incontestabile alla sua gratitudine.
Colgo quest' occasione, colonnello, per pregarvi d' accettare l'assicurazione della mia considerazione e della mia profonda stima.
FRUTTUOSO RlVERA."


A cui Garibaldi rispose.

"Il colonnello Parodi, alla presenza di tutti gli ufficiali della legione italiana, giusta il vostro desiderio, mi consegnò la lettera che voi aveste la bontà di scrivermi in data del 30 gennaio, ed unito alla lettera un atto col quale voi fate dono spontaneo alla legione italiana di una parte delle terre prelevate dai vostri possedimenti, poste tra l' Arroyo degli Avenas e l'Arroyo Grande al nord del Rio Negro: ed inoltre di una mandria di bestie e fattorie esistenti in quei terreni.
Voi dite di voler fare un tal dono in ricompensa dei servigi da noi prestati alla Repubblica.
Gli uffiziali italiani, dopo aver udito il testo della vostra lettera e preso nota dell'atto in essa contenuto, in nome della legione hanno all'unanimità dichiarato, che essi, chiedendo armi ed offrendo i loro servigi alla Repubblica, non avevano inteso di ricevere altra cosa fuorché l'onore di dividere i pericoli cui vanno incontro i naturali del paese, i quali offersero loro l'ospitalità. Agendo di tal modo, essi ubbidivano alla voce della loro coscienza. Avendo soddisfatto quanto essi guardano semplicemente come l'adempimento d'un dovere, continueranno, fino a che i bisogni dell'assedio lo esigeranno, a dividere i travagli ed i pericoli dei nobili Montevideani: ma non desiderano altro premio ed altra ricompensa alle loro fatiche.
Eccellenza, ho dunque l'onore di comunicarvi la risposta della legione, con la quale concordano in tutto e per tutto i miei principii ed i miei sentimenti. Perciò vi rimetto l'originale della donazione.
Possa Iddio accordarvi lunghi giorni.
GIUSEPPE GARIBALDI. »

Insigne esempio, cospicua educazione per i futuri soldati delle battaglie italiane!

E in questa condotta così dignitosa l' Anita ebbe la sua parte. Nella campagna di Rio Grande l'abbiamo vista eroina che sfida tutti i pericoli e affronta mille morti pur di non esser separata dal suo diletto. Ma appena divenuta madre, eccola esclusivamente dedita alle cure della famiglia.
"Anita - scrive suo marito - superiore al suo sesso nei disagi e nei
pericoli della guerra, era ammirabile nella vita domestica; essa mi aiutava e mi consolava nell'avversa fortuna, nelle strettezze in cui mi son trovato in tutto il periodo tra la venuta dal Rio Grande e il servizio sotto lo stendardo della Repubblica Orientale. Durante il tempo del mio servizio a quella Repubblica, Anita abbandonò poco Montevideo; visse in quella città amata da tutti".

E non fu scarsa virtù mantenere in decoro di sé stessa, di tre figlioli e del marito che regalava quanto possedeva; senza rimproverargli gli stenti a cui la sua cavalleresca natura la condannava, senza ricordare a lui che essa veniva da agiata famiglia e che per lui tutto aveva abbandonato.
Prendeva le razioni di pane, di vino, di olio e le faceva bastare. Il dottor Odicini ci narrò che quando nacque la Teresita non vi era in casa né lume né i mezzi di fare un brodo, ad eccezione di fagioli secchi; e che egli dovette correre alla propria casa per nutrire convenientemente la puerpera.

Mentre però Anita compiva i suoi doveri in larga misura, non transigeva coi propri diritti; forse si era accorta dell'ammirazione che aveva Garibaldi per le meravigliose fattezze delle donne di Montevideo; i piedi delle quali, le manine e l' eleganza della persona gli ricordava le celebrate forme delle donne di Siviglia e di Granata.
E pare che esse non lesinassero il cambio; ma egli non ne parlava coll'Anita, la quale non tollerava rivali; anzi ci ha raccontato egli stesso che «quando ella sospettava di averne una, compariva con due pistole, una da scaricarsi contro di me, l'altra contro la rivale.»

Comunque sia, quando si decanta la sua dignitosa povertà che eguagliava in Garibaldi la prodezza, in quegli anni, inseparabile nel merito come nelle sofferenze vuol essere il nome di quella insigne Anita alla quale non sai qual altra donna nei presenti tempi possa essere paragonata.

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