CHARLES DARWIN - ORIGINE DELL'UOMO

CAPITOLO VI.
Delle affinità e della genealogia dell’uomo.

Posizione dell’uomo nella serie animale – Sistema naturale genealogico – Caratteri di adattamento di lieve importanza – Vari piccoli punti di rassomiglianza fra l’uomo ed i quadrumani – Posto dell’uomo nel sistema naturale – Luogo di nascita ed antichità dell’uomo – Mancanza di anelli di congiunzione fossili – Stadi più bassi nella genealogia dell’uomo quali si deducono primieramente dalle sue affinità e secondariamente dalla sua struttura – Primitiva condizione androgina dei Vertebrati – Conclusione.

 

Qualora si voglia anche ammettere che la differenza fra l’uomo e i suoi più stretti affini è tanto grande nella struttura corporea quanto alcuni naturalisti sostengono, e quantunque dobbiamo riconoscere che la differenza che passa fra essi è nella potenza mentale immensa, tuttavia i fatti addotti nei capitoli precedenti dimostrano, siccome a me sembra, nel modo più evidente, che l’uomo discende da qualche forma inferiore, malgrado che gli anelli di congiunzione non siano stati ancora scoperti.

L’uomo è soggetto a moltissime, leggere, e diverse variazioni, che sono indotte dalle stesse cause generali, e sono governate e trasmesse mercè le stesse leggi generali come negli animali sottostanti. L’uomo tende a moltiplicarsi così rapidamente che la sua figliuolanza è necessariamente esposta alla lotta per la esistenza, e in conseguenza alla scelta naturale. Egli ha originato molte razze, alcune delle quali sono così differenti che sovente sono state classificate dai naturalisti come specie distinte. Il suo corpo è costrutto sullo stesso disegno omologico degli altri mammiferi, indipendentemente dagli usi a cui le varie parti possono essere destinate. Egli passa per le stesse fasi di sviluppo embriologico. Egli conserva molte strutture rudimentali ed inutili che senza dubbio avevano un tempo un qualche ufficio. Ricompaiono in lui accidentalmente certi caratteri, che abbiamo ogni ragione di credere fossero posseduti dai suoi primieri progenitori. Se l’origine dell’uomo fosse interamente stata diversa da quella di tutti gli altri animali, queste varie apparenze sarebbero solo vuote illusioni; ma una cotale ragione non è ammissibile. D’altra parte, queste apparenze si comprendono, almeno per una larga estensione, se l’uomo discende, contemporaneamente agli altri mammiferi, da qualche forma ignota ed inferiore.

Alcuni naturalisti, colpiti profondamente dalle potenze mentali e spirituali dell’uomo, hanno diviso tutto il mondo organico in tre regni, l’Umano, l’Animale e il Vegetale, dando in tal modo all’uomo un regno separato. Il naturalista non può comparare o classificare le forze spirituali; ma può cercare di dimostrare, come ho fatto io, che le facoltà mentali dell’uomo non differiscono sostanzialmente da quelle degli animali sottostanti, quantunque differiscano immensamente in grado. Una differenza di grado, per quanto grande sia, non ci giustifica di collocare l’uomo in un regno distinto, ciò che sarà meglio dimostrato forse comparando le forze mentali di due insetti, cioè un coccus o gallinsetto ed una formica, che senza dubbio appartengono alla stessa classe. Qui la differenza è maggiore, sebbene in certo modo di un’altra sorta, che non fra l’uomo ed i mammiferi più elevati. La femmina del gallinsetto, ancora giovane, si attacca colla proboscide ad una pianta; sugge la linfa ma non si muove più; divien fecondata e depone le uova; e questa è tutta la sua storia. D’altra parte la descrizione dei costumi e delle forze mentali della formica femmina esigerebbe, come ha dimostrato Pietro Huber, un grosso volume: tuttavia posso brevemente riferire alcuni punti. Le formiche si danno reciprocamente informazioni e si uniscono parecchie insieme per far lo stesso lavoro, o per trastullarsi. Riconoscono le formiche loro compagne dopo una assenza di mesi. Si fabbricano grandi edifizi, li tengono puliti, chiudono la sera le porte, e collocano le sentinelle. Fanno strade, e talora anche gallerie sotto i fiumi. Raccolgono il nutrimento per la comunità, e quando un oggetto che portano nel nido è troppo grande, allargano la porta e poi tornano a ricostruirla. Vanno alla battaglia in eserciti regolari, e sacrificano volonterose la loro vita pel bene comune. Emigrano concordi con un progetto prestabilito. Fanno schiavi. Tengono gli Afidi come vacche pel latte. Portano le uova dei loro afidi come le proprie e i propri bozzolini nelle parti calde del nido, onde si schiudano più presto; e compiono un numero senza fine di fatti consimili che potremmo citare. In complesso, la differenza fra la potenza mentale di una formica e quella di un gallinsetto è immensa; tuttavia nessuno ha mai sognato di collocarli in classi distinte, e molto meno in regni distinti. Senza dubbio questo intervallo è riempito dalle forze mentali intermedie di molti altri insetti; e questo non è il caso fra l’uomo e le scimmie più elevate. Ma abbiamo ogni ragione per credere che le lacune nelle serie non sono altro che l’effetto della estinzione di molte forme.

Il professore Owen appoggiandosi principalmente alla struttura del cervello, ha diviso la serie dei mammiferi in quattro sotto-classi. Una di queste è dedicata all’uomo; in un’altra mette i marsupiali e i monotremi; cosicchè egli considera l’uomo siccome distinto da tutti gli altri mammiferi nel modo in cui questi due ultimi gruppi sono riuniti. Questo modo di vedere non è stato accettato, per quanto mi sappia, da nessun naturalista capace di formare un giudizio indipendente, e quindi non giova che esso sia qui ulteriormente considerato.

Possiamo comprendere perchè una classificazione che si fonda sopra un singolo carattere od organo, anche quando sia un organo tanto meravigliosamente complesso ed importante quanto il cervello, o sull’alto sviluppo delle facoltà mentali non può quasi certamente riuscire soddisfacente. Questo principio è stato invero provato cogli insetti imenotteri; ma quando vennero classificati in tal modo pei loro costumi od istinti, si trovò che la disposizione era al tutto artificiale. Naturalmente le classificazioni possono venire fondate sopra un carattere qualunque, come sulla mole, sul colore, o sull’elemento di dimora; ma i naturalisti da lungo tempo hanno sentito un profondo convincimento che vi è un sistema naturale. Questo sistema deve essere, come ora generalmente si ammette, per quanto sia possibile disposto genealogicamente, vale a dire, i condiscendenti della stessa forma debbono essere tenuti insieme in uno stesso scompartimento, separati dai condiscendenti di ogni altra forma; ma se i progenitori erano parenti, così pure saranno i loro discendenti, e i due scompartimenti riuniti formeranno uno scompartimento più grande. Il complesso della differenza fra i vari scompartimenti, vale a dire il complesso della modificazione che ognuno ha sopportato, sarà espresso da vocaboli come generi, famiglie, ordini e classi. Siccome non abbiamo ricordi di linee di origine, queste linee non possono essere scoperte se non che osservando i gradi di rassomiglianza che esistono fra gli esseri che stanno per venir classificati. Perciò sono di maggiore importanza i numerosi punti di rassomiglianza che non il complesso della similarità o dissimilarità di alcune poche parti. Se si trovasse che due linguaggi si rassomigliassero fra loro in un gran numero di vocaboli e in alcuni modi di costruzione, si riconoscerebbero universalmente come originati da una sorgente comune, nonostante che differissero grandemente in alcuni pochi vocaboli o modi dì costruzione. Ma negli esseri organici i punti di rassomiglianza non consistono nello adattamento a somiglianti modi di vita: per esempio, due animali possono aver modificata tutta la loro forma pel vivere nell’acqua, e tuttavia non saranno per questo più vicini fra loro nel sistema naturale. Quindi possiamo vedere come vada che certe rassomiglianze di strutture poco importanti, di organi rudimentali ed inutili, e di parti non ancora pienamente sviluppate o funzionalmente attive, siano molto più utili per la classificazione; perchè non possono essere attribuite all’adattamento seguito in un tardo periodo; e così rivelano le antiche linee di origine o di vera affinità.

Possiamo inoltre vedere perchè un gran complesso di modificazioni in qualche carattere non debba indurci a separare largamente due dati organismi. Una parte che differisce già molto dalla stessa parte in altre forme affini ha già, secondo la teoria della evoluzione, molto variato; per conseguenza (finchè l’organismo è rimasto esposto alle stesse condizioni di eccitamento) ha dovuto essere soggetto ad ulteriori variazioni della stessa sorta; e queste, qualora fossero benefiche, si sarebbero conservate, e così continuamente accresciute. In molti casi lo sviluppo continuo di una parte, per esempio, del becco di un uccello, o dei denti di un mammifero, non sarebbe vantaggioso alle specie per guadagnarsi il cibo, o per qualunque altro oggetto; ma nell’uomo non vediamo limite definito, per ciò che riguarda il vantaggio, al continuo sviluppo del cervello e delle facoltà mentali. Perciò volendo fermare il posto dell’uomo nel sistema naturale o genealogico, lo sviluppo estremo del suo cervello, non deve controbilanciare una moltitudine di rassomiglianze in altri punti meno importanti o non importanti affatto.

La maggior parte dei naturalisti che hanno preso in considerazione l’intera struttura dell’uomo, comprese le sue qualità mentali, hanno seguito Blumenbach e Cuvier, ed hanno collocato l’uomo in un ordine separato, col nome di bimani, e quindi in equipollenza cogli ordini dei quadrumani, carnivori, ecc. Recentemente molti fra i nostri migliori naturalisti sono ritornati alla prima idea di Linneo, tanto mirabile per la sua sagacia, ed hanno allogato l’uomo nello stesso ordine dei quadrumani, col titolo di primati. La giustezza di questa conclusione sarà ammessa se, in primo luogo, teniamo a mente le osservazioni fatte testè sulla poca importanza comparativamente per la classificazione del grande sviluppo del cervello dell’uomo, ed anche che le spiccatissime differenze fra i crani dell’uomo e dei quadrumani (su cui ultimamente hanno insistito Rischoff, Aeby ed altri) derivano apparentemente da ciò che il loro cervello è differentemente sviluppato. In secondo luogo, dobbiamo tener a mente che quasi tutte le altre e più importanti differenze fra l’uomo e i quadrumani sono evidentemente per adattamento, e si riferiscono soprattutto alla stazione eretta dell’uomo; come sarebbe la struttura della sua mano, del piede e della pelvi, l’incurvatura della spina dorsale e la posizione del capo. La famiglia delle foche offre un buon esempio della poca importanza di caratteri di adattamento per la classificazione. Questi animali differiscono da tutti gli altri carnivori nella forma del corpo e nella struttura delle membra molto più che non le scimmie più elevate differiscono dall’uomo; tuttavia in ogni sistema, da quello di Cuvier al più recente del signor Flower, le foche sono collocate come una semplice famiglia dell’ordine dei carnivori. Se l’uomo non fosse stato il proprio classificatore, non avrebbe mai pensato a trovare un ordine separato per collocarvisi.

Oltrepasserei i limiti del mio lavoro, e quelli del mio sapere, anche solo menzionando gli innumerevoli punti di struttura nei quali l’uomo concorda cogli altri primati. Il nostro grande anatomico e filosofo prof. Huxley ha pienamente discusso questo argomento, ed è venuto a concludere che l’uomo in tutte le parti della sua organizzazione differisce meno dalle scimmie più elevate, “che non queste dai membri inferiori dello stesso scompartimento. In conseguenza non è per nulla giustificabile il collocare l’uomo in un ordine distinto”.

Sul principio di questo volume ho riferito vari fatti che dimostrano quanto intimamente l’uomo concordi nella costituzione coi mammiferi più elevati; e questo fatto, senza dubbio, dipende dalla nostra intima similarità nelle minute strutture e nella composizione chimica. Come esempio dava l’essere noi soggetti alle stesse malattie, ed alle aggressioni di parassiti affini; i nostri gusti in comune pei medesimi stimolanti, e gli effetti simili che questi e vari medicamenti producono, ed altri fatti consimili.

Siccome piccoli e poco importanti punti di rassomiglianza fra l’uomo e le scimmie più elevate non sono comunemente notati nelle opere sistematiche, e siccome quando sono numerosi svelano chiaramente la nostra parentela, io specificherò alcuni di questi punti. La posizione relativa delle fattezze evidentemente è la stessa nell’uomo e nei quadrumani; e le varie emozioni sono manifestate con movimenti dei muscoli della pelle quasi simili, specialmente sopra le sopracciglia e intorno alla bocca. Infatti, alcune poche espressioni sono quasi le stesse, come il pianto di certe specie di scimmie, e il rumore che fanno ridendo certe altre, durante il quale gli angoli della bocca son tratti indietro, e le palpebre inferiori s’increspano. L’orecchio esterno è curiosamente simile. Nell’uomo il naso è molto più prominente che non in molte scimmie; ma possiamo segnare il principio di una incurvatura aquilina nel naso dell’Ilobate Hoolock; e questo nel Semnopithecus nasica è portato a un punto ridicolo.

Le facce di molte scimmie sono adorne di barba e di baffi. In alcune specie di semnopiteci i peli del capo vengono assai lunghi; e nella scimmia dal berretto (Macacus radiatus) raggiano da un punto del vertice con una spartizione in mezzo come nell’uomo. Si dice comunemente che la fronte dà all’uomo il suo aspetto nobile ed intelligente; ma i fitti peli sul capo della scimmia dal berretto terminano repentinamente all’indietro, e son seguiti da capelli corti e fini o lanuggine, per cui a poca distanza la fronte, tranne le sopracciglia, sembra al tutto nuda. È stato a torto asserito che le sopracciglia non si trovano in nessuna scimmia. Nelle specie testè nominate il grado di nudità nella fronte differisce nei vari individui; ed Eschricht asserisce che nei nostri bambini il limite fra il capillizio e la fronte non è talvolta bene definito; cosicchè qui sembriamo avere un leggero caso di regresso verso un progenitore nel quale la fronte non era ancora divenuta al tutto nuda.

Tutti sanno che i peli delle nostre braccia tendono a convergere dal di sopra e dal di sotto ad un punto medesimo al gomito. Questa curiosa disposizione, così diversa da quella della maggior parte dei mammiferi sottostanti, è comune al gorilla, allo scimpanzè, all’urango, ad alcune specie di ilobati, ed anche ad alcune poche scimmie americane. Ma nell’Hylobates agilis i peli dell’antibraccio sono diretti all’ingiù o verso il pugno nel modo ordinario; nell’H. lar sono quasi diritti, con qualche lieve inclinazione all’ingiù; cosicchè in quest’ultima specie la direzione del pelo segna una transizione. Non si può guari mettere in dubbio che in molti mammiferi la spessezza del pelo e la sua direzione sul dorso è bene acconcia a lasciar scorrere la pioggia; anche i peli trasversali delle zampe anteriori del cane possono servire a questo scopo quando si accovaccia per dormire. Il signor Wallace osserva che la convergenza dei peli verso il gomito nelle braccia dell’urango (di cui egli ha tanto minutamente studiato i costumi) serve a lasciar scorrere la pioggia, quando, come è il solito di questo animale, le braccia sono ripiegate, colle mani abbracciate intorno a un ramo o sopra il suo capo. Tuttavia noi dobbiamo tenere a mente che l’attitudine di un animale può forse derivare in parte dalla direzione del pelo; e non la direzione del pelo dall’attitudine. Se la spiegazione sovraesposta è giusta nel caso dell’urango, i peli del nostro antibraccio presentano un curioso ricordo del nostro primiero stato; perchè nessuno suppone che ora siano di qualche utilità nel lasciar scorrere la pioggia, e nella nostra attuale condizione eretta non sono per nulla diretti in modo da ottenere un tale effetto.

Tuttavia sarebbe ardimento soverchio dar troppa fede al principio dell’adattamento rispetto alla direzione dei peli nell’uomo o nei suoi primitivi progenitori, perchè è impossibile studiare i disegni dati da Eschricht della disposizione dei peli del feto umano (questa è uguale come nell’adulto) e non essere dell’opinione di questo eccellente osservatore, che altre e più complesse cause sono intervenute. I punti di convergenza sembrano essere in qualche relazione con quei punti nell’embrione che sono gli ultimi a riunirsi durante lo sviluppo. Sembra anche esistere una qualche relazione fra la disposizione dei peli sopra le estremità e il corso delle arterie midollari.

Non bisogna supporre che le rassomiglianze fra l’uomo e certe scimmie nei punti sopramenzionati e in molti altri, come l’avere la fronte nuda, i capelli lunghi sul capo, ecc., siano tutte necessariamente l’effetto di una non interrotta eredità da un progenitore comune così caratterizzato, o di un susseguente regresso. È più probabile che molte di queste rassomiglianze siano dovute ad una analoga variazione che deriva, come ho già cercato di dimostrare, da organismi condiscendenti, forniti di una simile costituzione, e che hanno sopportato l’azione di consimili cause inducenti la variabilità. Per ciò che riguarda la direzione somigliante dei peli dell’antibraccio dell’uomo, e di certe scimmie, siccome questo carattere è comune a quasi tutte le scimmie antropomorfe, può essere probabilmente attribuito all’eredità; ma non è certamente così, perchè alcune scimmie americane molto distinte sono per tal modo caratterizzate. La stessa osservazione può essere applicata al fatto della mancanza di coda nell’uomo; perchè la coda manca in tutte le scimmie antropomorfe. Nondimeno questo carattere non può essere con certezza attribuito all’eredità perchè la coda, sebbene non assente, è rudimentale in parecchie altre specie dell’antico continente ed in alcune del nuovo, ed è pure al tutto mancante in parecchie specie che appartengono al gruppo affine dei lemuri.

Quantunque l’uomo, come abbiamo testè veduto, non abbia nessun giusto diritto di formare un ordine separato per sè, egli può forse reclamare un distinto sotto-ordine od una famiglia. Il prof. Huxley nella sua ultima opera divide i Primati in tre sotto-ordini, cioè gli Antropidi col solo uomo, i Scimmiadi contenenti le scimmie di tutte le sorta, ed i Lemuridi coi vari generi di lemuri. Per tutto ciò che ha rapporto colle differenze di certi punti importanti di struttura, l’uomo può senza dubbio a buon diritto reclamare un sotto ordine; e se consideriamo principalmente le sue facoltà mentali, questo è troppo poco. Nondimeno, da un punto di vista genealogico, sembra che questo posto sia troppo alto, e che l’uomo dovrebbe solo formare una famiglia, o possibilmente anche soltanto una sotto-famiglia. Se noi ci figuriamo tre linee genealogiche che procedano da una sorgente comune, si comprende benissimo che due di esse possono essere, dopo il corso dei secoli, tanto poco mutate da rimanere ancora come specie dello stesso genere, mentre la terza linea può essersi così grandemente modificata da meritare di essere collocata in una distinta sotto-famiglia od una famiglia, od anche un ordine. Ma in questo caso è quasi certo che la terza linea conserverà, mercè l’eredità, moltissimi piccoli punti di rassomiglianza colle altre due linee. Qui allora si presenterebbe la difficoltà, oggi insolubile, di sapere quanto peso dovremmo dare nelle nostre classificazioni alle differenze fortemente spiccate in alcuni punti, cioè alla somma delle modificazioni sopportate; e quanto all’intima rassomiglianza in numerosi punti poco importanti, come indicanti le linee di provenienza o la genealogia. La prima alternativa è la più ovvia, e forse la più giusta, sebbene l’ultima sembri la più esatta, siccome fornisce una classificazione veramente naturale.

Per formarci su ciò un giudizio, noi dobbiamo, per quello che riguarda l’uomo, dare un’occhiata alla classificazione dei Scimmiadi. Questa famiglia vien divisa da quasi tutti i naturalisti nello scompartimento delle Catarrine, o scimmie del continente antico, le quali tutte sono caratterizzate (come lo indica il loro nome) dalla particolare struttura delle loro narici e dall’avere quattro premolari in ogni mascella; e nello scompartimento delle Platirrine, o scimmie del nuovo continente (che comprendono due distintissimi sotto-scompartimenti), le quali son tutte caratterizzate dalle narici differentemente costrutte, e per avere sei premolari ad ogni mascella. Ora l’uomo appartiene indubbiamente, pel suo sistema dentale, per le sue narici, e per alcuni altri riguardi, alla divisione delle Catarrine o scimmie del continente antico; nè egli rassomiglia alle Platirrine più strettamente di quel che loro rassomiglino le Catarrine in nessun carattere, tranne in alcuni di poca o non molta importanza ed apparentemente di adattamento. Perciò sarebbe contro ogni probabilità supporre che qualche antica specie del nuovo continente abbia variato, ed abbia così prodotto una creatura simile all’uomo con tutti i caratteri propri alla divisione dell’antico continente, perdendo nello stesso tempo tutti i suoi propri caratteri distintivi. Non vi può essere quindi dubbio che l’uomo è un germoglio dello stipite delle scimmie del continente antico: e che dal punto di vista genealogico deve essere collocato nella divisione delle Catarrine.

Le scimmie antropomorfe, cioè il gorilla, lo scimpanzè, l’urango e gli ilobati, vengono separati in un distinto sotto-gruppo dalle altre scimmie del continente antico dalla maggior parte dei naturalisti. So che Gratiolet, appoggiandosi alla struttura del cervello, non ammette l’esistenza di questo sotto-gruppo, e senza dubbio è una interruzione; così l’urango, come osserva il sig. St. G. Mivart, “è una delle forme più particolari ed aberranti che s’incontrino nell’ordine”. Il resto delle scimmie non antropomorfe del continente antico viene nuovamente diviso da alcuni naturalisti in due o tre minori sotto-gruppi; il genere Semnopithecus col suo stomaco particolare a sacchetti è il tipo di un cosiffatto sotto-gruppo. Ma dalle notevoli scoperte del signor Gaudry nell’Attica sembra che durante il periodo miocenico esistesse colà una forma che riuniva i semnopiteci e i macachi: e questo dimostra probabilmente il modo in cui gli altri gruppi più elevati erano una volta mescolati insieme.

Se si ammette che le scimmie antropomorfe formano un sotto-gruppo naturale, allora l’uomo va d’accordo con esse non solo in tutti quei caratteri che egli possiede in comune con tutto lo scompartimento Catarrino, ma in altri caratteri particolari, come la mancanza di coda e di callosità e nell’aspetto generale, e noi possiamo da ciò dedurre che qualche antico membro del sotto-gruppo antropomorfo abbia dato nascimento all’uomo. Non è probabile che un membro di uno degli altri sotto-gruppi inferiori, per la legge di analoghe variazioni, abbia dato origine ad una creatura simile all’uomo, rassomigliante per tanti riguardi alle scimmie antropomorfe più elevate. Non v’ha dubbio che l’uomo, in confronto della maggior parte dei suoi affini, ha sopportato un complesso straordinario di modificazioni, principalmente in conseguenza del grande sviluppo del suo cervello e della stazione eretta; nondimeno dobbiamo porci in mente che egli “non è che una delle varie forme eccezionali dei Primati”.

Ogni naturalista che crede nel principio della evoluzione riconoscerà che le due principali divisioni dei Scimmiadi, cioè le scimmie Catarrine e le Platirrine coi loro sotto-gruppi, sono venute tutte da un qualche antichissimo progenitore. I discendenti primieri di questo progenitore, prima di essersi allontanati gli uni dagli altri per una qualche notevole estensione, hanno dovuto formare ancora un solo gruppo naturale; ma alcune delle specie o generi incipienti hanno dovuto aver già cominciato ad indicare coi loro caratteri divergenti i futuri segni distintivi delle divisioni Catarrina e Platirrina. Quindi i membri di questo supposto antico gruppo non devono essere stati tanto uniformi nel loro sistema dentale o nella struttura delle loro narici come lo sono da una parte le scimmie Catarrine esistenti e da un’altra parte le Platirrine; ma hanno dovuto rassomigliare per questo riguardo agli affini Lemuridi che differiscono grandemente fra loro nella forma del loro muso, e in un grado straordinario nel sistema dentale.

Le scimmie Catarrine e Platirrine s’accordano in un gran numero di caratteri, come è dimostrato dal loro appartenere indubitatamente ad un solo e medesimo ordine. È difficile che i numerosi caratteri che posseggono in comune siano stati acquistati indipendentemente da tante specie distinte; cosicchè questi caratteri debbono essere stati ereditati. Se un naturalista avesse veduto una forma antica fornita dei numerosi caratteri comuni alle scimmie Catarrine ed alle Platirrine ed altre in condizione intermedia, ed alcune poche forse distinte da quelle che s’incontrano oggi nei due gruppi, egli le avrebbe senza dubbio collocate tra le scimmie. E siccome l’uomo, dal punto di vista genealogico, appartiene allo scompartimento dello stipite Catarrino o del continente antico, dobbiamo concludere, per quanto questa conclusione possa offendere il nostro orgoglio, che i nostri primieri progenitori sarebbero stati così appunto classificati. Ma non dobbiamo cadere nell’errore di credere che il primiero progenitore di tutto lo stipite delle scimmie, compreso l’uomo, fosse identico, o anche rassomigliasse molto, a qualunque scimmia che esista oggi.

Del luogo di nascimento e dell’antichità dell’uomo. – Naturalmente siamo condotti a investigare quale fosse il luogo di nascimento dell’uomo in quel periodo genealogico in cui i nostri progenitori hanno deviato dallo stipite Catarrino. Il fatto che essi appartenevano a questo stipite dimostra chiaramente che abitavano l’antico continente; ma non l’Australia nè nessuna isola oceanica, siccome possiamo dedurre dalle leggi della distribuzione geografica. In ogni grande regione del mondo i mammiferi esistenti sono intimamente affini alle specie estinte della stessa regione. È quindi probabile che l’Africa fosse abitata primieramente da scimmie estinte strettamente affini al gorilla ed allo scimpanzè; e siccome queste due specie sono ora i più prossimi affini dell’uomo, è in certo modo più probabile che i nostri primi progenitori vivessero nel continente africano che non altrove. Ma è inutile speculare intorno a ciò, perchè una scimmia grossa quasi quanto un uomo, cioè il Dryopithecus di Lartet, che era strettamente affine agli Ilobati antropomorfi, esisteva in Europa durante il periodo miocenico superiore; e da quel remotissimo periodo la terra è stata certamente soggetta a molti grandi rivolgimenti, e vi è stato un lungo spazio dì tempo per compiere amplissimamente le migrazioni.

In qualunque periodo e in qualunque luogo, quando e dove ciò possa essere seguìto, è probabile che l’uomo, allorchè cominciò a perdere la sua veste di peli, abitasse un paese caldo; e ciò doveva essere stato favorevole ad un regime frugivoro, del quale, giudicando dall’analogia, egli deve aver vissuto. Siamo ben lungi dal conoscere quanto tempo sia trascorso dacchè l’uomo cominciò a divergere dallo scompartimento delle scimmie Catarrine; ma questo può essere seguito in un’epoca tanto remota quanto il periodo eocenico, perchè le scimmie più elevate si sono staccate dalle scimmie più basse fino dal periodo miocenico superiore, come è dimostrato dall’esistenza del Dryopithecus. Non sappiamo neppure affatto con quanta rapidità gli organismi alti o elevati nella scala possano, in circostanze favorevoli, venire modificati: tuttavia sappiamo che alcuni conservano la stessa forma durante un enorme tratto di tempo. Da quello che vediamo seguire nell’addomesticamento impariamo che nello stesso periodo alcuni dei condiscendenti delle stesse specie possono non essere per nulla mutati, altri alquanto, altri molto più. Così può essere seguìto anche per l’uomo, che è andato soggetto a grandissime modificazioni in certi caratteri in confronto delle scimmie più elevate.

La grande spezzatura o lacuna nella catena organica fra l’uomo e i suoi più prossimi affini, la quale non può essere riempita da nessuna specie vivente od estinta, è stata spesso invocata come una grave obiezione alla credenza che l’uomo sia disceso da qualche forma inferiore; ma questa obiezione non sembra di molto peso a coloro i quali, convinti da ragioni generali, credono nel principio generale della evoluzione. Si osservano ad ogni passo lacune in tutte le parti delle serie, alcune ampie, nette e precise, altre in vario grado minori; come tra l’urango e i suoi più prossimi affini, tra il tarsio e gli altri lemuridi, fra l’elefante, e in modo molto più spiccato fra l’ornitorinco e l’echidna, e gli altri mammiferi. Ma tutte queste lacune dipendono puramente dal numero di forme affini che si sono estinte. Fra qualche tempo avvenire, non molto lontano se misurando per secoli, è quasi certo che le razze umane incivilite stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo alle razze selvagge. Nello stesso tempo le scimmie antropomorfe, come ha notato il prof. Schaaffhausen, saranno senza dubbio sterminate. Allora la lacuna sarà ancora più larga, perchè starà tra l’uomo in uno stato ancor più civile, speriamo, che non il caucusico, e qualche scimmia inferiore, come il babbuino, invece di quella che esiste ora fra un nero od un australiano ed il gorilla.

Per ciò che riguarda la mancanza di avanzi fossili che possano servire a riunire l’uomo ai suoi progenitori simili alle scimmie, nessuno darà grande peso a questo fatto dopo aver letto la discussione di sir C. Lyell, nella quale egli dimostra che in tutte le classi dei vertebrati la scoperta di avanzi fossili è stato un processo sommamente lento e fortuito. E non bisogna neppure dimenticare che quelle regioni le quali più probabilmente possono somministrare avanzi che riuniscano l’uomo a qualche estinta creatura simile alla scimmia non sono state esplorate dai geologi.

Stadi più bassi della genealogia dell’uomo. – Abbiamo veduto che l’uomo sembra aver deviato dalla divisione delle scimmie catarrine dell’antico continente. Cercheremo ora di tener dietro alle più remote tracce della sua genealogia, affidandoci in primo luogo alle mutue affinità fra le varie classi e gli ordini, ed aiutandoci alquanto mercè i periodi, per quanto sono stati riconosciuti veri, della loro successiva comparsa sulla terra. I lemuridi stanno sotto e vicino ai simiadi, e costituiscono la ben distinta famiglia dei primati, o secondo Häckel un ordine distinto. Questo gruppo è diversificato ed interrotto in sommo grado, e comprende molte forme aberranti. Perciò è probabile che abbia sofferto molte estinzioni. La maggior parte dei rimanenti sopravvivono nelle isole, cioè nel Madagascar e nelle isole dell’arcipelago Malese, ove non sono stati esposti a quelle aspre lotte che avrebbero incontrato nei continenti meglio popolati. Questo scompartimento presenta pure molte graduazioni, che conducono, come osserva Huxley, “insensibilmente dalla corona e dal vertice della creazione animale a creature dalle quali vi è solo un passo, siccome appare, al più basso, e più piccolo e meno intelligente dei mammiferi placentati”. È probabile, secondo queste varie considerazioni, che i simiadi fossero in origine sviluppati dai progenitori dei presenti lemuridi, e questi alla loro volta da forme collocate molto più in basso nella serie dei mammiferi.

I marsupiali sono per molti caratteri importanti inferiori ai mammiferi placentati. Essi sono apparsi in un periodo geologico anteriore, e in principio la loro cerchia era molto più estesa che non ora. Quindi si suppone generalmente che i placentali siano derivati dagli aplacentali o marsupiali; tuttavia non da forme somigliantissime ai marsupiali che esistono oggi, ma dai loro primieri progenitori. I monotremi sono evidentemente affini ai marsupiali; e formano. una terza e ancor più bassa divisione della grande serie dei mammiferi. Sono oggi rappresentati soltanto dall’ornitorinco e dall’echidna; e queste due forme possono essere giustamente considerate come gli avanzi di un gruppo molto più grande che si è conservato in Australia per qualche concorso di circostanze favorevoli. I monotremi sono interessantissimi, perchè in molti punti importanti di struttura conducono alla classe dei rettili.

Tentando di segnare la genealogia dei mammiferi, e quindi dell’uomo, scendendo sempre in giù nella serie, ci troviamo circondati da una oscurità ognora più grande. Chi desideri vedere ciò che possono compiere il sapere e l’ingegno, consulti le opere del prof. Häckel. Io mi limiterò a poche osservazioni generali. Ogni evoluzionista ammetterà che le cinque grandi classi di vertebrati, cioè, mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci, discendono tutte da un qualche prototipo; perchè hanno molte cose in comune, specialmente durante il loro stato embrionale. Siccome la classe dei pesci ha una organizzazione molto più bassa ed è comparsa prima delle altre, possiamo concludere che tutti i membri del regno dei vertebrati sono derivati da qualche animale simile al pesce, meno altamente organizzato che non qualunque altro che sia ancora stato trovato nelle più basse formazioni finora conosciute. La credenza che animali così distinti come una scimmia od un elefante ed un uccello mosca, un serpente, una rana, un pesce, ecc., possano tutti essere venuti dagli stessi genitori sembrerà mostruosa a coloro che non hanno tenuto dietro ai recenti progressi della storia naturale. Perchè questa credenza trae con sè la esistenza preliminare di anelli che strettamente colleghino tutte queste forme, ora tanto straordinariamente dissomiglianti.

Nondimeno è certo che hanno esistito, od esistono ancora, scompartimenti di animali che servono a congiungere più o meno intimamente le diverse grandi classi dei vertebrati. Abbiamo veduto che l’ornitorinco scende gradatamente verso i rettili; e il prof. Huxley ha fatto la notevole scoperta, confermata dal sig. Cope ed altri, che gli antichi dinosauri stanno in mezzo per molti importanti rispetti fra certi rettili e certi uccelli, e questi ultimi spettanti alle tribù degli struzzi (la quale essa stessa è evidentemente un avanzo largamente diffuso di un gruppo più grande) e dell’archeopterige, quello strano uccello secondario che ha una lunga coda come quella della lucertola. Parimente, secondo il prof. Owen, gli ittiosauri, grandi lucertole marine fornite di natatoie, presentano molte affinità coi pesci, o piuttosto, secondo Huxley, cogli anfibi. Quest’ultima classe (che comprende nella sua più elevata divisione le rane e i rospi) evidentemente è affine ai pesci ganoidi. Questi ultimi pesci brulicavano durante i primi periodi geologici, ed erano fatti secondo quello che si suol chiamare un tipo elevato e generale, cioè presentavano affinità diversificate con altri gruppi di organismi. Gli anfibi ed i pesci sono pure tanto intimamente collegati dai lepidosireni, che i naturalisti hanno lungamente discusso in quale delle due classi dovessero questi essere collocati. I lepidosireni ed alcuni pochi pesci ganoidi sono sfuggiti ad una compiuta distruzione abitando i nostri fiumi, che sono porte di rifugio, e che hanno la stessa relazione colle vaste acque dell’oceano come le isole coi continenti. Infine, un solo membro della immensa e varia classe dei pesci, cioè l’Amphioxus lanceolatus, è tanto differente da tutti gli altri pesci, che Häckel afferma che deve formare una classe distinta nel regno dei vertebrati. Questo pesce è notevole per i suoi caratteri negativi; appena si può dire che abbia un cervello, una colonna vertebrale, o un cuore, ecc.; per cui era stato messo dagli antichi naturalisti fra i vermi. Molti, anni or sono il prof. Goodsir si accorse che questo animale presenta qualche affinità colle ascidie, che sono esseri marini invertebrati, ermafroditi, attaccati permanentemente ad un sostegno. Non sembrano quasi animali, e son fatti di un sacco semplice, spesso e compatto, con due piccoli orifizi sporgenti. Appartengono ai molluscoidi di Huxley, una divisione inferiore del grande regno dei molluschi; ma recentemente sono stati messi da alcuni naturalisti fra i vermi. Le loro larve rassomigliano in certo modo nella forma ai girini delle rane, e possono andar guizzando tutto intorno. Alcune osservazioni fatte ultimamente dal signor Kowalevski, di poi confermate dal prof. Kuppfer, formeranno una scoperta di sommo interesse, qualora vengano ancora estese, come ho sentito dire essere stato testè compiuto dal signor Kowalevski in Napoli. La scoperta è che le larve delle ascidie sono in rapporto coi vertebrati, pel loro modo di sviluppo, per la relativa posizione del sistema nervoso, e per avere una struttura che rassomiglia grandemente alla chorda dorsalis degli animali vertebrati. Da ciò appare, se possiamo dar retta alla embriologia, che si è sempre dimostrata essere la guida più sicura per la classificazione, che abbiamo finalmente un barlume della sorgente d’onde sono derivati i vertebrati. Sarebbe così giustificata la nostra credenza che in un periodo sommamente remoto esistesse un gruppo di animali, per molti riguardi rassomiglianti alle larve delle nostre presenti ascidie, i quali abbiano divaricato in due grandi rami, l’uno il quale retrocedendo nel suo sviluppo ha prodotto la classe presente delle ascidie, l’altro che elevandosi all’apice del regno animale ha dato origine ai vertebrati.

Abbiamo finora cercato di abbozzare la genealogia dei vertebrati aiutandoci colle loro mutue affinità. Osserveremo ora l’uomo quale esiste; e potremo, credo, ricostruire parzialmente durante i successivi periodi, ma non nell’ordine di tempo dovuto, la struttura dei nostri primitivi progenitori. Questo può compiersi mercè i rudimenti che l’uomo conserva ancora; i caratteri che incidentalmente ricompaiono in lui per un regresso, e mercè i principii della morfologia e della embriologia. I vari fatti ai quali mi riferirò qui sono stati dati nei precedenti capitoli. I primi progenitori dell’uomo erano senza dubbio coperti di pelo, i due sessi avevano la barba; le loro orecchie erano aguzze e mobili, e il corpo era fornito da coda avente muscoli propri. Le membra e il corpo loro erano mossi da molti muscoli che ora ricompaiono per incidente, ma che sono normalmente presenti nei quadrumani. La grande arteria ed il nervo dell’omero scorrevano in un foro sopra-condiloideo. In quel periodo o in un altro ancora più antico l’intestino dava origine a un intestino cieco molto più grande di quello che esiste ora, il piede, giudicando dalla condizione del dito grosso nel feto, era allora prensile; ed i nostri progenitori erano senza dubbio di costumi erborei, ed abitavano qualche terra calda e coperta di foreste. I maschi erano forniti di grossi denti canini, che facevano ufficio di armi formidabili. In un periodo molto più antico l’utero era doppio; gli escrementi si versavano in una cloaca; e l’occhio era protetto da una terza palpebra o membrana nittitante. In un periodo ancor più remoto i progenitori dell’uomo dovevano avere costumi acquatici; perchè la morfologia ci dimostra chiaramente che i nostri polmoni sono fatti di una vescica natatoria modificata, che serviva un tempo come organo idrostatico. Le fessure nel collo in embrione umano dimostrano ove stavano le branchie. Verso questo periodo i veri reni erano sostituiti dai corpi di Wolf. Il cuore non era altro che un semplice vaso pulsante; e la corda dorsale teneva il posto della colonna vertebrale. Questi antichissimi predecessori dell’uomo, veduti così negli oscuri recessi del tempo, debbono aver avuto una organizzazione bassa quanto l’Amphioxus lanceolatus, od anche più bassa.

Vi è un altro punto che merita di essere menzionato. È molto tempo che si sa che nel regno vertebrato un sesso porta rudimenti di varie parti accessorie appartenenti al sistema della riproduzione, che propriamente appartengono all’altro sesso; ed è stato ora riconosciuto con certezza che in un periodo embriogenico molto primitivo i due sessi hanno vere ghiandole maschili e femminili. Quindi pare che qualche remotissimo progenitore di tutto il regno vertebrato sia stato ermafrodito od androgino. Ma qui incontriamo una singolare difficoltà. Nella classe dei mammiferi i maschi posseggono nelle loro vescicole prostatiche rudimenti di un utero col condotto adiacente; portano anche rudimenti di mammelle, ed alcuni maschi dei marsupiali hanno rudimenti di un sacco marsupiale. Si possono citare altri fatti analoghi. Dobbiamo noi dunque supporre che qualche antichissimo mammifero possedesse ancora organi propri ai due sessi, vale a dire continuasse ad essere androgino dopo di avere acquistato le principali distinzioni della propria classe, e quindi dopo di aver deviato dalle classi inferiori del regno vertebrato? Ciò sembra improbabilissimo, perchè se ciò fosse seguìto avremmo dovuto aspettarci di vedere alcuni pochi membri delle due classi, cioè i pesci e gli anfibi, rimanere androgini. Al contrario dobbiamo credere che quando le cinque classi dei vertebrati hanno deviato dal loro comune progenitore, i sessi erano già divenuti separati. Tuttavia, per spiegarci il fatto che i maschi dei mammiferi posseggono rudimenti di organi accessori femminili non abbiamo bisogno di supporre che i loro primieri progenitori fossero ancora androgini dopo aver assunto i principali caratteri di mammiferi. È possibilissimo che mentre un sesso andava man mano acquistando gli organi accessori suoi propri, alcuni stadi successivi o alcune modificazioni fossero trasmesse al sesso opposto. Quando parleremo della scelta sessuale incontreremo un numero infinito di casi di questa sorta di trasmissione, come nel caso degli sproni, delle piume, e dei colori brillanti acquistati dagli uccelli maschi per battersi o per adornarsi, e trasmessi alle femmine in condizione imperfetta o rudimentale.

Il possedere i maschi dei mammiferi mammelle funzionalmente imperfette è un fatto, per alcuni riguardi, sommamente curioso. I monotremi hanno ghiandole proprie per la secrezione del latte coi loro orifizi, ma non capezzoli; e siccome questi animali stanno alla vera base della serie dei mammiferi, è probabile che i progenitori della classe possedessero similmente le ghiandole per la secrezione del latte, ma non capezzoli. Questa conclusione è sostenuta da quello che si conosce intorno al modo del loro sviluppo, perchè il prof. Turner mi informa, secondo l’autorità di Kölliker e di Langer, che nell’embrione le ghiandole delle mammelle possono essere distintamente segnate prima che i capezzoli siano ancora per nulla visibili; e bisogna tenere a mente che lo sviluppo delle successive parti nell’individuo generalmente sembra rappresentare ed accordarsi collo sviluppo dei successivi esseri nella stessa linea di discendenza. I marsupiali differiscono dai monotremi perchè hanno capezzoli; cosicchè questi organi furono probabilmente acquistati dapprima dai marsupiali dopo che ebbero deviato e si furono innalzati sopra i monotremi, e sono stati poi trasmessi ai mammiferi placentali. Nessuno supporrà che dopo che i marsupiali ebbero acquistato a un dipresso la loro presente struttura, e quindi in un periodo piuttosto ulteriore di sviluppo della serie dei mammiferi, taluno dei suoi membri rimanesse ancora androgino. Sembriamo dunque indotti a tornare alla unione sovraesposta, e concludere che i capezzoli si svilupparono dapprima nelle femmine di qualche forma primitiva di marsupiale, e vennero poi, in grazia della legge comune di eredità, trasmessi in una condizione funzionalmente imperfetta ai maschi.

Nondimeno mi è passato certe volte per la mente il sospetto che molto tempo dopo che i progenitori della classe dei mammiferi ebbero perduto il loro stato androgino, i due sessi abbiano prodotto latte e nudrito così i loro piccoli; e nel caso dei marsupiali, che i due sessi possano aver portato i loro piccoli entro la borsa ventrale. Ciò non sembrerà al tutto incredibile se riflettiamo che i maschi dei pesci aghi (Syngnatus) ricevono le uova delle femmine nelle loro borsette addominali, le fanno schiudere, e poi, come credono alcuni, nutrono i loro piccoli; che certi altri pesci maschi fanno schiudere le uova entro la loro bocca o nelle cavità bronchiali; che certi rospi maschi prendono dalle femmine i rosari di uova e se li avvolgono alle loro cosce, tenendoli colà finchè i girini siano nati; che certi uccelli maschi si assumono tutte le cure dell’incubazione, e che i piccioni maschi, tanto come le femmine, danno da mangiare ai loro nidacei con una secrezione delle loro ingluvie. Ma il sospetto di cui ho parlato mi venne in mente dapprima da ciò che le ghiandole delle mammelle sono nei mammiferi maschi molto più perfettamente sviluppate che non i rudimenti di quelle altre parti accessorie riproduttive che si trovano in un sesso sebbene siano proprie dell’altro. Le ghiandole e i capezzoli delle mammelle, come sono nei maschi dei mammiferi, non possono guari esser chiamati rudimentali; sono soltanto non pienamente sviluppati e non funzionalmente attivi. Si alterano simpaticamente per l’azione di certe malattie, come gli stessi organi nelle femmine. Alla nascita secernono sovente gocce di latte; e si sa che per incidente nell’uomo e in altri mammiferi si sono bene sviluppati ed hanno somministrato buona copia di latte. Ora se supponiamo che durante un primitivo e lungo periodo i maschi dei mammiferi aiutassero le femmine nell’allevare la loro prole, e che in seguito per qualche causa, come per essere scemata la produzione dei piccoli, i maschi abbiano cessato di prestar questo aiuto, il difetto di esercizio degli organi durante la maturità doveva farli divenire inattivi; e da due ben noti principii di eredità questo stato d’inerzia doveva probabilmente venire trasmesso ai maschi nella corrispondente età matura. Ma in tutte le prime età questi organi dovevano rimanere non alterati, cosicchè dovevano parimente essere bene sviluppati nei giovani dei due sessi.

Conclusione. – La migliore definizione dell’avanzamento o progresso nella scala organica che sia mai stata è quella di Von Baer, e questa riposa sopra la somma del differenziarsi e dello specializzarsi delle varie parti dello stesso essere, quando è giunto, credo bene di aggiungere, all’età adulta. Ora, siccome gli organismi sono andati lentamente adattandosi mercè la scelta naturale alle varie sorta di vita, le loro parti saranno divenute, pel vantaggio ottenuto dalla divisione del lavoro fisiologico, sempre più diverse e speciali per le varie funzioni. La stessa parte sembra sovente essere stata dapprima modificata per uno scopo, e poi dopo molto tempo per qualche altro scopo al tutto distinto; e così tutte le parti sono andate facendosi sempre più complesse. Ma ogni organismo deve ancora aver conservato il tipo generale di struttura del progenitore dal quale è derivato in origine. Secondo questo modo di vedere, sembra, se ci atteniamo all’evidenza genealogica, che l’organizzazione sia in complesso andata progredendo nel mondo con lenti ed interrotti passi. Nel grande regno dei vertebrati si è spinta all’apice nell’uomo. Non bisogna supporre tuttavia che gli scompartimenti degli esseri organici siano sempre soppiantati da altri e scompaiano appena hanno dato origine ad altri gruppi più perfetti. Questi ultimi, sebbene vincitori dei loro predecessori, possono non esser divenuti meglio acconci per tutti i luoghi nell’economia della natura. Sembra che alcune antiche forme abbiano sopravvissuto per aver abitato certi luoghi riparati, ove non sono state esposte a lotte troppo serie; e queste sovente ci sono di aiuto per ricostruire le nostre genealogie, dandoci un’idea ben chiara di antiche e perdute popolazioni. Ma non dobbiamo cadere nell’errore di considerare i membri esistenti in ogni gruppo di bassa organizzazione come perfetti rappresentanti dei loro antichi predecessori.

I più antichi progenitori nel regno dei vertebrati, dai quali possiamo ottenere un lieve barlume, apparentemente consistevano di un gruppo di animali marini, rassomiglianti alle larve delle attuali Ascidie. Probabilmente questi animali hanno dato origine a un gruppo di pesci di bassa organizzazione, come l’Amphioxus lanceolatus; e da questi debbono essersi sviluppati i Ganoidi e gli altri pesci simili ai Lepidosireni. Da questi pesci un piccolo passo ci conduce agli anfibi. Abbiamo veduto che gli uccelli ed i rettili furono un tempo strettamente affini; e i Monotremi ora riuniscono in lieve grado i mammiferi ai rettili. Ma oggi nessuno può dire per quale linea di provenienza le tre classi più elevate e più affini, cioè i mammiferi, gli uccelli ed i rettili, siano derivati da una delle due classi dei vertebrati più basse, cioè dagli anfibi e dai pesci. Nella classe dei mammiferi non sono difficili da comprendere gli stadi che conducono dagli antichi Monotremi agli antichi Marsupiali; e da questi ai primi progenitori dei mammiferi placentali. Possiamo risalire in tal modo fino ai Lemuridi; e fra questi e i Simiadi l’intervallo non è grande. I Simiadi allora si sono divisi in due grandi rami, le scimmie del nuovo e quelle dell’antico continente; e da queste ultime, in un antichissimo periodo, è derivato l’uomo, meraviglia e gloria dell’universo.

Così abbiamo dato all’uomo una genealogia di prodigiosa lunghezza, ma non si può dire di grande nobiltà. Il mondo, come è stato sovente osservato, sembra essere andato preparandosi da lungo tempo alla venuta dell’uomo; e ciò in un senso è strettamente vero, perchè deve la sua origine a una lunga fila di progenitori. Se un solo anello di questa catena non avesse mai esistito, l’uomo non sarebbe stato esattamente quello che è ora. A meno di voler proprio chiudere gli occhi, noi possiamo, mercè le nostre attuali cognizioni, riconoscere approssimativamente il nostro parentado; e non dobbiamo arrossirne. Il più umile organismo è qualche cosa di molto più elevato che non la polvere inorganica che ci sta sotto i piedi; e nessuno fornito di mente imparziale può studiare una qualche creatura vivente per quanto umile essa sia, senza rimanere preso da entusiasmo per la sua meravigliosa struttura e le sue proprietà.

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