SANT'ELENA
Napoleone

MEMORIALE di SANT'ELENA
(PAGINA 155 - L'ORIGINALE LA TROVATE SUL CD)

(Originale, integrale e con ortografia letterale  - Del Conte di Las Cases - 1a edizione italiana, 1844)

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Sabato, 14 Ottobre 1815

Dopo settanta giorni di navigazione, calcolavasi di scoprire Sant'Elena in questo giorno medesimo: l'ammiraglio aveacene dato l'annunzio. Difatti, alzatici appena da mensa, il grido Terra! terra!  ci colpi dolcemente l'orecchio. Un quarto d'ora era soltanto trascorso dall'istante indicato dall'ammiraglio.
L'Imperatore recossi tosto sul dinanzi del vascello per vedere la terra. e credè averla, in fatto, scoperta. Noi restammo poi tutta notte colle vele in fermo.

Domenica, 15 Ottobre 1815
A giorno fatto, io vidi l'Isola ben distinta e assai vicina. La sua estensione parvemi dapprima assai notevole, ma essa impiccioliva molto a proporzione che noi ci avvicinavamo alla terra. Finalmente, settanta giorni dopo aver lasciata l'Inghilterra, e centodieci dopo aver abbandonato Parigi, noi caliamo le àncore verso mezzodì: esse toccano il fondo e formano, così, il primo anello della catena che sta per avvincere l'odierno Prometeo all'eterno scoglio cui é condannato.

Noi trovammo in rada gran parte di quelle navi della nostra flotta che eransi separate da noi, e che avevano espressamente lasciate addietro, siccome poco veliere. Esse erano, nondimeno, giunte da qualche giorno: locchè prova sempre più l'incertezza estrema di tutti i calcoli marittimi, tutti, sono più o meno, appuntellati al capriccio delle calme, alla forza e variazione del vento.

L'Imperatore, contro il suo uso, erasi alzato di buon'ora, e comparve tosto sul cassero: egli inoltrossi sul davanzale della scala esterna per contemplare la sponda a tutto comodo. Vedeasi una specie di villaggio inquadrato, per dir così, entro una corona di enormi rocce, aride e ignude, la cui vetta, severa innalzavasi fino alle nubi. Ogni pianoro, ogni cresta, ogni fessura, era ispida di cannoni. L'Imperatore scorreva ogni cosa col suo cannocchiale: io era al suo fianco, e sebbene tenessi il mio sguardo immobilmente affisso sovra il suo volto, non mi venne fatto di discernervi la più piccola emozione. Era questo, nullameno, il perpetuo suo carcere, e ben probabilmente la sua tomba pur anco!... Che mai avreio io potuto, a fronte di tanta impertubabilità, sentir o lasciar travedere?...

L'Imperatore rientrò, poco stante, nella sua cabina: ei mi fece chiamare, e lavorammo come era nostro costume, alle memorie.
L'ammiraglio, il quale erasi di buon mattino recato a terra, ritornò verso le sei stanco estremamente: egli aveva visitato tutte le diverse località sull'isola, e credea aver trovato qualche cosa di ben atto al bisogno. Ma occorrevano molte riparazioni, la cui esecuzione potea richiedere un due mesi di tempo. Già tre mesi erano decorsi dacchè avevamo posto piede nel nostro carcere di legno, e le istruzioni ministeriali imponevano che vi restassimo sinchè il nuovo carcere terreno fosse disposto a riceverci. L'ammiraglio non sentissi capace di tanta barbarie: egli ci notificò, non senza lasciar trapelare l'interna consolazione ch'ei ne provava, che assumeva sopra di sè la responsabilità di farci sbarcare al domani stesso del nostro arrivo.

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Lunedì, 16 ottobre 1815
L'Imperatore, dopo il suo pranzo, imbarcossi in un palischermo coll'ammiraglio e 'l gran maresciallo per recarsi a terra. Un unanime slancio degnissimo d'osservazione aveva riuniti tutti gli ufficiali sul cassero, e gran parte dell'equipaggio ai due lati della nave: questo slancio non era figlio della semplice curiosità, giacchè da tre mesi noi ci conoscevamo a vicenda: l'affezione più intima parlava per noi in tutti i cuori.
Prima di scendere nel palischermo, l'Imperatore fece chiamare il capitano comandante il vascello, prese da esso commiato e lo pregò di trasmettere i suoi ringraziamenti agli ufficiali ed ai marinari. Queste parole produssero una grande emozione su quelli che udirono proferirle, altri  se le fecero spiegare.
Il resto del seguito dell'Imperatore sbarcò verso le tre ore. Noi fummo accompagnati da molti ufficiali. Tutti, nell'abbandonare la nave, parvero testificarci una sincera simpatia.
Noi trovammo l'Imperatore nella sala che eragli stata destinata. Ei salì, qualche istante dopo, nella sua stanza, ove fummo tosto chiamati. Egli non era meglio alloggiato che a bordo: noi ci trovammo installati in una specie di locanda o di casino ammobiliato.
La città di Sant'Elena consiste in una cortissima strada o filza di case, lunghesso il centro d'una ben augusta vallea, fiancheggiata da due montagne a picco, ed una roccia affatto sterile e ignuda.

Martedì, 17 ottobre 1815
Alle sei del mattino, l'Imperatore, il gran maresciallo a l'ammiraglio andarono a cavallo a visitare il Longwood, il " lungo bosco", la casa che era stata prescelta per sua residenza, è situata alla distanza di due tre leghe dalla città. Al loro ritorno essi videro una piccola casa di campagna nello sprofondamento della valle, due miglia circa al di sopra della città. L'Imperatore provava somma ripugnanza a ritornarsene là ove avea pernottato; egli avrebbevi sofferta una reclusione più angustiosa ancora di quella patita a bordo; apposite sentinelle custodivano le porte:   gruppi di curiosi adunavansi sotto le finestre: ei sarebbe quindi stato costretto a viversene rigorosamente entro la camera: Un piccolo casotto attinente a ques'abitazione andogli più a genio, e l'ammiraglio convenne anche lui che avrebbevi trovato albergo migliore. L'Imperatore fermovvi adunque dimora, e spedì tosto a cercarmi. Egli erasi talmente affezionato al suo lavoro di memorie sulle campagne d'Italia, che non potea più farne a meno. Io mi posi subito in via per raggiungerlo.

La piccola valle in cui alzasi il villaggio di Sant'Elena innoltrasi ancora per lungo tratto entro l'Isola, serpeggiando tra due catene di aridissime roccie le quali la inchiudono e premono.  Apresi costantemente in seno ad essa una via carreggiabile: giunta ad una lunghezza di due miglia circa, questa via lascia il piano della valle e prosiegue aderendo a fianco della montagna, nella quale é scolpita a sinistra: essa non offre più che precipizi ed orridi abissi, i quali appaiono minacciosamente dal suo lembo esterno, che é il destro. Ma il terreno allargasi ben presto di prospetto, e presenta una pianura in cui veggonsi parecchi rustici fabbricati, alquanti alberi ed altri segni di vegetazione. Essa è una specie di oasi in mezzo agli scogli.

Colà era la modesta locanda di un negoziante dell'Isola (il sinor Belcombe). A trenta o quaranta passi a destra della casa principale, e sopra un poggio ripidissimo, scorgevasi una guisa di casino o piccolo palazzotto ad uso famiglia, che nei bei giorni, van a prendervi il thè ed a respirarvi un'aria più fresca: era questo l'appartamento affittato dall'ammiraglio per temporario ricovero dell'Imperatore che occupavalo solo il mattino. Mentre io salivo il tortuoso cammino del colle, ripidissimo, come già dissi, in ogni suo lato, io scopriva, infatti, da luntano quella strana abitazione, e fermavami a contemplarla. Ed era ben esso l'Imperatore colui ch'io vedevo da lontano, un po' curvo e semplice, incoronato da quel sì celebre cappello! Ei stavasi in piedi sulla soglia della porta, allorchè io giunsi in sua presenza. - " Ah! Eccovi adunque", dissemi esso.

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Giammai l'Imperatore in veruna delle sue campagne, e forse forse in verun istante della sua vita non ebbe alloggio più piccolo, nè incontrò privazioni più dure. Tutta la casa consisteva qui in un'unica stanza al pian terreno, di forma presso a poco quadrata: una porta alle due estremità, e due finestre sur ognuno dei suoi lati perpendicolari: il tutto senza cortine, senza imposte e con appena dentro una sedia.!
L'Imperatore, in quell'istante, trovavasi solo, essendo i suoi due servi affaccendati a disporgli il letto. Presegli talento di passeggiare alcun poco; ma il monticello non presentava  pianura veruna da qualsiasivoglia lato, non veggendosi, intorno al casotto, che enormi sassi e pezzi di rupe. Egli prese allora il mio braccio e posesi con me a conversare. Cadeva intanto la notte, il silenzio addiveniva profondo, assoluta la solitudine: quale turba di sensazioni e di emozioni venne ad assalirmi in questo solenne momento! Io trovavami adunque solo, faccia faccia, nel deserto, e quasi in stato di intima famigliarità col tale che aveva governato il mondo, per dir breve, con Napoleone.!!!...

Come mai spiegare ciò che in me succedeva, come mai dire le battaglie sostenute dal mio povero cuore!...E veramente per bene immedesimarsi colla mia situazione di quel momento converrebbe trasportarsi all'epoca in cui Napoleone era sì potente, all'epoca in cui un suo decreto bastava, per rovesciare i troni o creare i monarchi! Bisognerebbe farsi un'esatta idea dell'impero che la sua presenza esercitava su quelli che lo circondavano alla Tuileire: aver veduto il timido imbarazzo, il profondo rispetto col quale accostavansi a lui i suoi ministri, i suoi ufficiali; l'ansietà, il timore degli ambasciatori, quello dei principi e persino de' re!... Ebbene: nessuna di queste disposizioni era in me venuta meno!....

Allorchè l'Imperatore volle coricarsi, osservossi che una finestra senza difesa di sorta dava precisamente sul fianco del suo letto, quasi a livello della sua faccia: noi la turammo alla meglio con tavole posticce, onde preservarlo dall'aria, di cui pativa estremamente l'azione, bastando la più leggera corrente per raffreddarlo o cagionargli dolore ai denti. Io poi mi rannicchiai in un sottotetto il quale corrispondeva precisamente sulla stanza dell'Imperatore: piccolo cantuccio di sette piedi quadrati, in cui non era che il letto, senza neppure una sedia: qui trovammo ricovero io e il mio figlio, per quale collocai un materasso sul pavimento. Potevamo noi lagnarci delle nostre angustie, noi che eravamo  tanto vicini all'Imperatore da udire il suono della sua voce e sin anco le parole?
I suoi servi si coricarono per terra, traversalmente alla porta, ravviluppati ne' loro mantelli.
Ecco la narrazione letterale della prima notte di Napoleone a Briars (ai rovo), ch'è   tale era il nome del luogo.

Mercoledì, 18 ottobre 1815
Io feci colazione coll'Imperatore: non eranvi nè tovaglie, ne tovagliuoli: la colazione componevasi degli avanzi del pranzo precedente. Un ufficiale inglese era stato alloggiato nella casa vicina per guardarci, e due sotto-ufficiali andavano e venivano militarmente, sotto ai nostri occhi, per sopravvedere i nostri movimenti. Terminata la colazione, l'Imperatore applicossi al lavoro che durò alcune ore: dopo il lavoro presagli talento di esplorare il nostro nuovo dominio, di scoprire il circostante fondo, di prenderne, insomma, possesso.

Discendendo dalla nostra residenza dal lato opposto alla casa principale, noi trovammo un sentiero a cui faceva ala un viale di pianticelle, e che avea al suo fianco orribili precipizi. Per esso, dopo un dugento passi, giungemmo ad un piccolo giardino, su un terreno molto ineguale e  una specie di pergolato costituiva una delle estremità. La porta trovavasi aperta, ma appena noi posto piede colà entro, due ragazze, figlie del padrone della casa, ed aventi quattordici o quindici anni, vennero a raggiungerci. Una di esse era vivace, ardita e sciolta al sommo; l'altra, più seria, ma di una grande ingenuità: ambe parlavano un pochino il francese. Esse non tardarono a girare tutto quanto il giardino, ed ogni cosa misero a sacco per farne omaggio all'Imperatore, assediandolo, intanto, colle più ridicole e strane interrogazioni.
L'Imperatore molto si divertì di una famigliarità così singolare, e così nuova per esso.
"Noi usciamo dal ballo in maschera" dissemi egli quando ce ne scostammo.

Giovedì 19, Venerdì 20 ottobre 1815
L'Imperatore fa chiamare  mio figlio a far con sè colazione; si giudichi quanta dovesse essere la sua consolazione per un sì segnalato favore!...Era la prima volta ch'egli aveva modo di vederlo così da vicino, ch'egli lo ascoltava, perfino potergli parlare!. La sua emozione era estrema.
La mensa continuava, del resto, a starsene priva di tovaglia, ed i cibi venivano tuttora trasportati dalla città, nè si allargavano di più in là di due o tre pessimi piatti. Oggidì trovasi, fra le vivande servite, un pollo: l'Imperatore volle spezzarlo esso medesimo con le mani, e ce ne fece parte: ei meravigliava di essere tanto destro in tale ufficio, dopo che, da tanto tempo, avea cessato dal darsi: poichè tutta la giovanile sua galanteria, soggiungeva egli, era andata a naufragare per sempre nelle cure e ne' fastidi del suo generalato d'Italia.
Il caffè, che é un bisogno per l'Imperatore, fu trovato tanto cattivo che l'Imperatore si credè un istante avvelenato: ei gettollo via, e volle ch'io pure cessassi dal berlo.

L'Imperatore servivasi, in quel momento, di una tabacchiera sulla quale trovavansi collocate varie medaglie antiche, circondate da greche leggende. Incerto sul nome di uno dei ritratti, egli mi disse di tradurgli la relativa iscrizione; ed avendogli io confessato che quest'impresa superava le mie forze, misesi a ridere dicendo: "Voi non siete adunque più dotto di me?". Mio figlio tremando si offrì a fare la traduzione desiderata, e lesse, infatti, Mitridate, Demetrio, Poliorcete, ed alcuni altri nomi. L'estrema giovinezza di mio figlio e questa circostanza attrassero l'attenzione dell'Imperatore.
"Ecco! vostro figlio giunge fino a tal segno! Ciò è ben consolante". Posesi quindi ad interrogarlo, lo fe a lungo parlare del suo collegio, de' suoi maestri, delle avute lezioni: poi a me tornando ei disse:

"Quale gioventù é mai questa che io lascio! Essa é nondimeno opera mia. Essa vendicherà abbastanza gli oltraggi ch'io soffro, colle chiare opere che da lei usciranno: da questi frutti forza é pure che emerga quale fosse il cultore: ed allora il dispetto o la mala fede dei declamatori cadrà innanzi all'irrefrenabile argomento dei materiali risultati. Se io non avessi pensato che a me ed al mio potere, giusta quanto si andò sussurrando, e si va tutti i dì ripetendo, s'io avessi veramente avuto a scopo un tutt'altro regno che quello della ragione, si mi sarei studiato di soffocare i lumi sotto lo staio: ma ben lungi da ciò io mi mostravo costantemente intento a promuoverli: Eppure non si fece per questi giovanetti tutto ciò ch'era mio proposito e mia intenzione. L'Università, regolata secondo il disegno ch'io ne avevo concepito, era un capolavoro di morali combinazioni, e doveva essere , pur anco, una meraviglia nelle nazionali sue conseguenze. Un uomo perverso, un uomo, quanto al cuore, miserabilissimo, pose in lacrimevole soqquadro tutti i miei piani: e ciò con avvertito progetto, e per calcolo di fredda nequizia, giacche osò darsene vanto presso i nuovi arrivati! "

Sabato, 21   ottobre 1815
L'ammiraglio venne, entro il mattino, a far visita all'Imperatore. Ei picchiò alla sua porta, e s'io non fossi stato presente, l'Imperatore sarebbesi trovato nella necessità di recarsi esso stesso ad aprire.
Tutti i membri della piccola nostra colonia, rimasti sparpigliati dopo l'arrivo, vennero essi pure a vederci dalla città, sì che fummo un istante riuniti. Ciascuno raccontò le numerose miserie incontrate, e l'Imperatore ne fu vivamente commosso.

Domenica, 22 Ottobre 1815
I ministri inglesi, violando i diritti dell'ospitalità a cui ci eravamo con tanta fidanza abbandonati, pareano nulla avere omesso onde rendere questa violazione più amara e sensibile. Col rilegarci alla fine del mondo, tra le privazioni, gli strapazzi e i bisogni d'ogni specie, essi aveano voluto farci bere, fino in fondo, l'amaro calice della sventura. Sant'Elena é una vera Siberia: la differenza é sola nel freddo e nel caldo e nella sua piccola estensione.
L'Imperatore che era ricco di tanto potere, e disponea di tante corone, vi si trova confinato in una piccola casuccia di pochi piedi quadrati, appiccata a una sterile rupe, senza cortine, senza imposte e senza suppellettili di sorta. Là deve dormire, vestirsi, mangiare, lavorare, soggiornare: e deve uscire se i servi debbono spazzar la sua stanza. Il suo cibo consiste in poche, scarse e pessime vivande, recatigli da lontano, in quella guisa in uso nelle carceri. Egli difetta realmente delle cose al vivere più necessarie: il pane ed il vino non sono di quella qualità che é in uso tra noi, ed il nostro palato lo abborre: l'acqua, il caffè, il butirro, l'olio e le altre materie più indispensabili vi sono rare ed appena sopportabili. Un bagno, oggetto tanto necessario per la di lui salute, vanamente lo si desidera. l'esercizio stesso del cavallo vi riesce impossibile!...

I suoi compagni, i suoi servi sono separati da esso da due miglia di distanza: non é loro permesso di recarsi a vederlo se non accompagnati da un soldato: essi vengono spogliati delle loro armi, e veggonsi condannati a passar la notte nel corpo di guardia, se ritornano troppo tardi, od accade qualche sbaglio nella consegna; caso che affacciasi ogni giorno. Per tal modo congiurano contro di noi. sulla vetta di quest'orrido scoglio, la barbarie degli uomini e i rigori della natura! Facilissimo, nonpertanto, sarebbe stato il procurarci una dimora conveniente alla nostra situazione, e non iscompagnata da modi più umani!...

L'Imperatore riassunse così le durezze alle quali andavamo soggetti:
"A quale vergognoso destino fummo noi riservati? Le angosce che noi soffriamo son quelle della morte. All'ingiustizia, alla violenza ecco aggiungersi ora l'oltraggio, il dolore de' prolungati martirii; Se io  ero tanto nocivo, perché non si sono di me sbrigati? Poche palle nel capo o nel cuore avrebbero bastato, ed in questo delitto sarebbesi almeno scorto alcun che di energia. Se voi e la moglie vostra non foste qui con me, io non vorrei ricever qui che la razione del semplice soldato. Come mai i sovrani europei possono tollerare che si offenda in me il regio carattere di cui sono rivestito? Non iscorgono essi che uccidono in me se medesimi colle proprie mani? Io entrai da vincitore nelle loro capitali: se nel mio trionfo avessi nutrito uguali sentimenti, che mai sarebbe di essi avvenuto? Essi mi chiamarono tutti il loro fratello, ed in vero io tale erami fatto in virtù della scelta del popolo, della sanzione della vittoria, del marchio della religione, delle alleanze politiche, e della parentela stessa con essi contratta. Credono   adunque che il pubblico buon senso non arresterassi ad esaminare la loro morale, e punto non temono le conseguenze di tale esame? ...Presentate nondimeno, o signori, le vostre lagnanze, e date opera acciò l'Europa le conosca e se ne sdegni: le mie sarebbero al disotto della mia dignità e del mio carattere: io comando o mi taccio".

Lunedì, 23 Ottobre 1815

Un ufficiale senza preambolo alcuno, aprì la porta e si introdusse, di per sè, nella camera dell'Imperatore. Le sue intenzioni erano del resto buone; era il capitano di una piccola nave giunta con noi, il quale ripartiva per l'Europa, e si recava  dall'Imperatore se avea qualche lagnanza da inviare.
Napoleone ritornò sull'argomento appena accennato poc'anzi, ed animandosi ancora di più a grado a grado, gli esternò per suo governo i pensieri più alti, più forti e più generosi. L'ufficiale sembrava molto colpito da ogni frase, e ci lasciò con promessa di adempiere fedelmente all'impostagli missione. Ma potrà egli mai tradurre le espressioni, l'accento soprattutto con che tali parole furono espresse alla mia presenza? L'Imperatore fece comporre di esse una specie di nota, ma che l'ufficiale avrà senza dubbio trovata ben debole accanto a ciò che avea da viva voce sentito.

Martedì, 24 Ottobre 1815.....

Lo storico e raro memoriale - interamente digitalizzato
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link: CRONOLOGIA DI NAPOLEONE Anno per anno

MARIA LUISA D'AUSTRIA - La sposa del" nemico"

qui la RIVOLUZIONE FRANCESE - e le varie tappe di N. anno per anno

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