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CRONOLOGIA

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STORIA DELL'ECONOMIA - IL CAPITALISMO

PARTE SECONDA - LA GRANDE INDUSTRIA
CAP. VIII - LA RIVOLUZIONE SOCIALE
PRODOTTA DALLA GRANDE INDUSTRIA
1. Le classi lavoratrici - 2. La crisi dei piccoli produttori - 3. Il risanamento della crisi


III
IL RISANAMENTO
DELLA CRISI PROFOTTA DALLA GRANDE INDUSTRIA


Se le forze economiche che producevano l'asservimento progressivo del lavoratore e la graduale eliminazione della piccola e media produzione non avessero trovato ostacoli si può prevedere che il lavoratore si sarebbe sempre più avviato alla condizione di povero e la produzione economica si sarebbe concentrata gradualmente in un piccolo numero di capitalisti attivi, intelligenti, energici. Non v'era nessuna ragione per supporre che la manifattura potesse resistere alla macchiofattura e che la crescente produttività del lavoro a macchina non dovesse rendere sempre più superfluo un numero crescente di lavoratori, e da costringerli a vivere sulla carità pubblica. Gli argomenti di cui si servivano gli economisti inglesi per respingere questa profezia si dimostravano artificiosi e non sempre sinceri. Come esempio e misura delle loro argomentazioni ottimistiche valgano le parole del Levi:
«La prima introduzione delle macchine può infatti spostare e diminuire per un momento l'impiego del lavoro, può talvolta disoccupare persone le quali non saranno altrimenti capaci di impiegarsi in altro modo e creare il bisogno di un'altra classe di lavoratori assolutamente diversa ; ma se ha tolto il lavoro a dieci persone ne ha creato per centinaia. Come accade ciò ? Un
yard di calico fatto con le mani costa due scellini, fatto a macchina può costare quattro pence. A due scellini per yard poche persone ne possono comprare, a quattro pence centinaia di persone ne vorranno. Buon mercato sviluppa il consumo. L'articolo che sinora era usato dalle alte classi sociali soltanto, si vede ora addosso alle moltitudini degli operai. Crescendo la domanda cresce la produzione e in un tale rapporto che - sebbene il numero degli operai ora impiegati nella produzione del calico può essere infinitamente minore, rispetto a una determinata quantità di calico - il numero di lavoratori richiesti per la produzione dei milioni di yards ora adoperati eccede di gran lunga il numero dei lavoratori occupati, quando tutto il lavoro richiesto per la produzione del calico consumato era fatto a mano» (LEONE LEVI, Work and Pay, pag. 28).
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Non ci vuol molto a comprendere dove si annidi il sofisma. A parte la questione se la maggiore occupazione di lavoratori dipenda o meno dal medesimo capitale, oppure, come é al contrario vero, da un nuovo capitale: il capitale risparmiato dal maggior guadagno; noi ci domandiamo come faccia il Levi a sapere che la domanda crescerà in un rapporto tale per cui, nonostante la maggior produttività del lavoro, non soltanto saranno reimpiegati gli antichi lavoratori, ma anzi la domanda di lavoro crescerà. È bensì vero che scemando il prezzo, cresce la domanda, ma non sappiamo in che proporzione, e facendo poi l'ipotesi che le condizioni economiche della società non siano mutate ; ora se invece queste condizioni mutano, perché scemano i redditi di un gruppo sociale, per la disoccupazione che si verifica in mezzo ad essi, non si può avere questo aumento paradossale della domanda di cui parla il Levi. Bisognerebbe ammettere che ciò che appare come aumento della domanda da una parte, debba coincidere con lo scemare della domanda dall'altra; e che ciò che guadagnano le fabbriche a macchina, perdono le manifatture. Nel complesso, finché restiamo in queste condizioni, non é verosimile l'aumento della domanda del quale parla il Levi ; e poi, anche ammesso un tale aumento, noi non sappiamo nulla delle sue proporzioni. Si vede pertanto che tutta l'argomentazione del Levi gira su una serie di ipotesi tutt'altro che dimostrabili : aumento della domanda del prodotto, e in una proporzione che reclama un'estensione degli impianti produttivi, aumento della domanda di lavoro, aumento finale delle rimunerazioni. Contro queste ipotesi c'é l'ovvio fatto che la domanda complessiva ha dovuto diminuire, per la disoccupazione degli antichi operai a mano, e che la loro disoccupazione é definitiva, finché un altro capitale non possa impiegarli.

É vero che si suppone che questo altro capitale sia appunto rappresentato dal capitale investito nelle macchine che hanno sostituito il lavoro vivo, ma é classico l'argomento che questo capitale rappresenti una domanda di lavoro sempre minore del capitale prima dedicato alle sussistenze del lavoratore, perché, mentre esso é appunto eguale a questo capitale, contiene una parte destinata al reintegro delle materie prime e al pagamento dei profitti investiti nella produzione delle macchine. Di modo che il capitale rivolto alla produzione delle macchine rappresenta sempre una domanda di lavoro pari soltanto a una frazione dell'antica domanda di lavoro. Sarebbe perciò assurdo ritenere che il lavoratore disoccupato nella industria ove prima si lavorava a mano, sia ora occupato nella industria che produce le macchine ; e ciò senza nemmeno tener conto del lento logorio e della più lenta ricostituzione di questo capitale macchine, che vuol dire sempre una più lenta domanda di lavoro. Ma e poi - se ci poniamo dal punto di vista della capacità tecnicamente illimitata dei progressi industriali - il limite all'impiego delle braccia riappare, perché mentre la domanda dei prodotti non é estensibile all'infinito, i progressi tecnici possono presto soddisfare quella domanda che il mercato presenta in prodotti, senza bisogno di far crescere il numero dei lavoratori impiegati. Onde, a guardar bene, le obiezioni del Levi non risolvono niente e si limitano a spostare il problema.

Cerchiamo di comprendere quale é stato il corso dei fatti. L'Inghilterra, grazie alla precocità con la quale ha adottato i nuovi sistemi industriali, non si trovò subito innanzi al limite delle braccia occupate. Superato il primo momento di crisi, il basso prezzo dei suoi prodotti s'impose su tutti i mercati e sconfisse la manifattura locale. L'argomentazione del Levi sembra dunque riflettere uno stato di cose puramente inglese. Ma sebbene la posizione dell'Inghilterra fosse visibilmente eccezionale, anche per essa si presentò praticamente il limite allo sviluppo delle proprie industrie e quindi alla domanda di lavoro.
Esaminando i censimenti inglesi dal 1841 al 1881, si vede che la popolazione Operaia, dopo esser cresciuta in una proporzione non rilevante, ha poi cominciato a scemare. Ciò vuol dire che l'industria non é punto vero che abbia bisogno di un numero di braccia sempre crescente, ma che prima o poi giunge il punto di saturazione e allora la popolazione operaia cresce meno celermente della popolazione naturale. Le cifre percentuali della popolazione operaia, rispetto alla popolazione totale, furono nel Regno Unito, le seguenti (
HOBSON, The Evolution of modern capitalismus, pag. 226 ).
1841 - - - - - - 27.1 %
1851 - - - - - - 32.7 %
1861 - - - - - - 33.0 %
1871 - - - - - - 31.6 %
1881 - - - - - - 30.7 %

Considerando anche i risultati del censimento del 1841, si vede che nelle industrie fondamentali del presente sistema economico - metallurgia, costruzioni meccaniche e navali - continua l'incremento, ma non in rapporto dell'aumento della popolazione.
Nel 1881 il numero degli operai impiegati alla lavorazione dell'acciaio e del ferro fu di 361.343 ; nel 1891 esso era cresciuta a 380.193, con un aumento del 5,3 per cento, mentre la popolazione é cresciuta dell'11,7 per cento. Aumento assoluto, ma appena pareggiato dall'aumento della popolazione, mostrano le industrie del riscaldamento e illuminazione e le industrie chimiche. Invece si ha diminuzione assoluta e relativa nelle industrie tessili e dell'abbigliamento:
Tessili e coloritura Abbigliamento
1841 - - - - - - - - - 9.1 - - - - - - - - - 7.8
1851 - - - - - - - - - 11.1 - - - - - - - - - 10.3
1861 - - - - - - - - - 10.2 - - - - - - - - - 9.8
1871 - - - - - - - - - 9.3 - - - - - - - - - 8.5
1881 - - - - - - - - - 8.2 - - - - - - - - - 8.1
1891 - - - - - - - - - 7.6 - - - - - - - - - 8.3

Si può ritenere che non sia punto esatto che la macchina come tale faccia sempre crescere la domanda di lavoro. L'aumento della domanda di lavoro si é invece avuta nelle industrie che meno fanno uso di macchine:

ANNO - - - - - - - - - - Trasporto - - - - - - - Commercio - - - - - - - Servizi industriali
1841 - - - - - - - - - - - - 2.1 - - - - - - - - - - - - 5.3 - - - - - - - - - - - - 5.4
1851 - - - - - - - - - - - - 4.1 - - - - - - - - - - - - 6.5 - - - - - - - - - - - - 4.5
1861 - - - - - - - - - - - - 4.6 - - - - - - - - - - - - 7.1 - - - - - - - - - - - - 4.0
1871 - - - - - - - - - - - - 4.9 - - - - - - - - - - - - 7.8 - - - - - - - - - - - - 6.0
1881 - - - - - - - - - - - - 5.6 - - - - - - - - - - - - 7.8 - - - - - - - - - - - - 6.7
Lo stesso si é verificato in Francia. Le statistica francesi mostrano una diminuzione della popolazione impiegata nell'agricoltura e nelle industrie e un notevole incremento delle persone impiegate nel commercio
(LEVASSEUR, La population francaise, Paris, 1889).

Agricoltura Industria Commercio Classi profession.
1856 - - - - - 52.9 - - - - - 29.1 - - - - - 4.5 - - - - - 9.1
1861 - - - - - 53.2 - - - - - 27.4 - - - - - 3.9 - - - - - 9.2
1866 - - - - - 51.5 - - - - - 28.8 - - - - - 4.0 - - - - - 9.5
1872 - - - - - 52.5 - - - - - 24.1 - - - - - 8.4 - - - - - 11.2
1876 - - - - - 53.0 - - - - - 25.9 - - - - - 10.7 - - - - - 10.3
1881 - - - - - 50.0 - - - - - 25.6 - - - - - 10.5 - - - - - 10.2
1886 - - - - - 47.8 - - - - - 25.2 - - - - - 11.5 - - - - - 11.1

Se noi confrontiamo la statistica industriale tedesca notiamo che gli aumenti più forti nel numero degli operai impiegati si sono avuti nelle industrie delle macchine elettrica (1882, erano occupate 1.815 persone, nel 1895 ne erano occupate 26.321); nelle industrie chimica (1882, erano occupate 71.777 persone, nel 1895 erano occupate 115.231) ; nelle industrie della barbabietola (dove, nei due anni del censimento, si passa da 26.000 a 95.000 persone occupate); nelle imprese di costruzione edilizia, in cui si passa da 134.000 persone occupate a 364.000. Le rimanenti industrie, pure loro presentando aumento della popolazione operaia, seguono abbastanza da vicino, o con lievi oscillazioni, il movimento ascensionale della popolazione. Minimo é l'aumento nelle industrie tessili e inferiore all'aumento della popolazione (
W. SOMBART, Moderne Kapitalismus, I, pag. 637).

La teoria che questi fatti consentono é semplicissima. Il macchinismo ha contribuito a far crescere la domanda di lavoro per due vie: in primo luogo aprendo all'attività umana campi che prima le erano interdetti (industrie chimica, elettrica, dei trasporti navali e terrestri a vapore, ecc.), e in secondo sviluppando una domanda di prodotti anche nelle industrie non meccanica per l'aumento dei redditi personali. Infatti noi vediamo che la maggior domanda di lavoro si ha nelle industrie dei trasporti, nelle industrie del commercio e nei servizi professionali e personali. Una parte sempre più larga del lavoro della nazione é assorbita dal commercio. In Prussia, nel 1885, il commercio (senza contare le poste e le ferrovie) assorbiva 771.323 persone ; nel 1895, si era già ad 1.174.902 persone. Fra il 1881 e il 1891 si é avuto un aumento della popolazione impiegata nel commercio di più che il 50%. Commercianti ed agenti di commercio passano da 285.138 a 367.037; i bancari e i cambiavalute crescono del 30 per cento ; gl'impiegati delle compagnie di assicurazioni si sono triplicati. L'accrescimento del commercio é dovuto all'aumento dei prodotti e alla necessità di dover moltiplicare i mezzi per portarli a disposizione del consumatore. L'aumento verificatosi nei servizi personali si deve evidentemente, al crescere della ricchezza.

Quindi non si può considerare la macchina dall'unico punto di vista della sua capacità di far concorrenza all'uomo, ma anche dal punto di vista della sua capacità di compiere lavori che l'uomo non sarebbe mai stato capace di compiere e quindi di creare indirettamente una domanda di lavoro, che, senza la macchina, non si sarebbe mai avuta.
Man mano che le applicazioni meccaniche si generalizzavano nasceva una domanda di lavoro nuova.
La discesa dei valori, iniziata nelle industrie dove la macchina aveva spostato e scemato il lavoro dell'uomo, subiva un arresto. Non era la cresciuta capacità di consumo del prodotto di queste industrie, che, facendo crescere la domanda di lavoro, recava ad un aumento dei salari ; era invece la domanda di lavoro nelle industrie nuove (chimiche, elettriche, a vapore, dei trasporti) che non soltanto riassorbiva la popolazione disoccupata dalla industria meccanica, ma, chiedendo nuove braccia non sempre disponibili, portava a un rialzo dei salari. Sugli inizi del sistema industriale meccanico non era visibile che l'azione della macchina volta a sostituire il lavoro dell'uomo ; e il teorico prevedeva la « miseria crescente» (
È dunque chiaro che Marx ha studiato le macchine dal solo punto di vista della loro capacità di muovere concorrenza al lavoro vivo. Dato questo punto di vista egli doveva necessariamente formulare la teoria del peggioramento progressivo delle condizioni di vita delle classi lavoratrici. Naturalmente non si può supporre che egli intendesse questo peggioramento altrimenti che in senso assoluto e fisico. Solo la glossa analfabeta della Socialdemocrazia poteva concepire l'assurdo che Marx intendesse la miseria crescente degli operai in un senso relativo. Ma bisogna anche aggiungere che questa glossa si fregia del nome di Giorgio Plekanoff. Così è detto tutto.) degli operai, la fatalità del destino che li costringeva a passare dallo stato di proletari a quello
di poveri, la loro inevitabile rivolta, per evitare questo abisso di miserie.

A sistema industriale pienamente spiegato, si capiva che la macchina non disoccupa sempre, ma é capace di creare lavoro ; e il teorico passava all'esagerazione opposta prevedendo che il regime capitalistico avrebbe realizzato il massimo di benessere compatibile con la esistenza delle classi lavoratrici.
Giffen così riassume i progressi dei lavoratori inglesi, realizzati per il complesso di tutte queste circostanze: « Il corpo fortificato da un nutrimento sostanzioso, lo spirito coltivato frequentando le scuole, i musei, le biblioteche, l'operaio inglese é divenuto fisicamente e intelletualmente un tipo d'uomo veramente progressivo. Egli guadagna i più alti salari d'Europa, ha le giornate di lavoro più corte, nove ore, spesso otto; meglio alloggiato, meglio nutrito, meglio vestito, egli può, spendendo la stessa somma che spendeva prima, acquistare molto più di prima. La mortalità é diminuita, l'età media si é elevata e la criminalità diminuisce continuamente» (
R. GIFFEN, The progress o f the working classes, London, 1884).

Oggi il capitale dei sindacati, unioni, cooperative di consumo e di produzione e il piccolo risparmio si elevano a circa sette miliardi di lire (
Resoconto di Brabrook, capo registrar delle Friendly Societies).
Certo queste cifre possono essere soggette a riduzione ed essere difformi. Non tutto é roseo nella vita delle classi lavoratrici inglesi, ma sebbene si possa prevedere che esso dovrà arrestarsi, e in un certo senso si possa anche dire che si é arrestato (le ragioni si diranno in seguito), il progresso delle classi lavoratrici inglesi é un fatto reale. La spinta si può ritrovare nelle stesse trasformazioni tecniche, che hanno aperto agli uomini nuove sorgenti di ricchezza.

Ma trasformazioni non meno notevoli accadevano in un'altra direzione. Sugli inizi della rivoluzione industriale, il capitale in cerca di profitti doveva muovere necessariamente guerra alla manifattura. La concorrenza industriale non si esplica che sottraendo la clientela. Quindi il capitale industriale tentava togliere alla manifattura la sua clientela e grazie alla superiorità tecnica che possiede su quest'ultima riusciva pienamente al suo scopo. Abbiamo già visto che la rivoluzione industriale si inaugura con l'immiserimento dei lavoratori e con la distruzione della manifattura indipendente. La grande industria distrugge la piccola industria. Si ha una vera ecatombe dei ceti medi: conseguenza inevitabile dell'applicazione della macchina alle vecchie industrie, già prima fornite direttamente dalla mano dell'uomo.

Ma, come abbiamo visto, la macchina non si manifesta solo nella concorrenza con la manifattura.
Ora dal momento che essa si crea un campo suo, che non interferisce col campo della manifattura, la mortale concorrenza che essa portava alla piccola e media produzione si arresta. L'attività capitalistica non é più necessariamente volta a sottrarre la clientela alla manifattura. Dal momento che il capitale può guadagnare i propri redditi in un campo tutto suo, cessa la mortale concorrenza alla media produzione, e appaiono nel processo economico momenti nuovi. Il capitale non cerca più di sostituire la manifattura e di pigliarle la clientela con una produzione in grande, ma di associarsi alla stessa manifattura e al mestiere sopravvivente, per sfruttare insieme il consumatore. In altri termini, il capitale rispetta mestiere e manifattura rendendoseli tributari col credito, e diventando a questo modo cointeressato alla loro conservazione.

L'inchiesta sul mestiere in Germania ed Austria contiene a questo proposito un ricchissimo e copioso materiale illustrativo. Scegliamo qualunque esempio. Le statistiche mostrano che in Germania crescono di numero le panetterie, specie le più minuscole. Ma l'inchiesta osserva : « Solo pochi fornai sono in grado di comprare a pronta cassa; la maggior parte di essi comprano la farina a credito, che essi ottengono a lunga scadenza, grazie alla concorrenza che si fanno fra di loro i grossi commercianti. Generalmente il credito é a due mesi, ma più spesso di tre, e talvolta di quattro mesi ». Fra i grossisti di farina e i fornai si trovano numerosi mediatori, i quali si fanno gran concorrenza, e alla loro iniziativa si deve il sorgere di molti forni. In altri casi il sorgere dei piccoli forni é dovuto alla speculazione dei padroni di case, che costruiscono nelle loro case dei forni e poi li cedono ai fornai, entrando in compartecipazione sugli utili.
In Nurnberg si verifica lo stesso per i fabbri. I grandi proprietari di officine meccaniche, dovendo liberarsi del loro materiale, offrono crediti su larga scala ai piccoli commercianti, e spesso questi si danno al commercio dei prodotti del ferro per tale facilità di ottener credito. Rapporti più complicati, ma altrettanto evidenti si hanno nelle industrie edilizie, dove il mantenimento della piccola produzione per certe opere complementari (tetti, imposte, vetri, intonacature, ecc.) appare un vero interesse capitalistico. Infatti l'impresa costruttrice, generalmente appoggiata a una Banca, non fa che appaltare le singole parti del lavoro, e grazie all'acuta concorrenza che si fanno fra di loro i maestri, ottiene il lavoro a condizioni favorevolissime.

La situazione dei piccoli maestri é gravissima. In generale non abituati ai metodi della speculazione, accettano prezzi disastrosi, che essi non hanno saputo calcolare. Le imprese costruttrici pensano che é tutto loro interesse non distruggere questa condizione di cose, la quale, se fosse rimossa, sarebbe a loro danno. Qui noi vediamo plasticamente come la grande industria, associandosi al mestiere, lo mantenga in vita e diventi cointeressata alla sua conservazione (
Larga documentazione su questo punto in SOMBART, Moderne Kapitalismus, I, sez. VII, che riassume felicemente il materiale della inchiesta tedesca più sopra citata).

Ma questa reviviscenza del mestiere é ben più fortemente sollecitata dallo stesso credito bancario o privato, il quale, andando in cerca di impiego, quanto tutte le vie del grande capitalismo sono tentate, deve necessariamente riversarsi sui ceti medi, inalando loro un ossigeno salvatore che non avrebbero mai sperato. Se infatti, sul momento della formazione del regime della grande industria, la relativa scarsezza dei capitali fa che essi s'impieghino direttamente, allorché l'accumulazione capitalistica é progredita e gl'impieghi più rimuneratori del capitale si sono esauriti, il capitale, per evitare di entrare in concorrenza con sé stesso, deve rivolgersi al mestiere, alla manifattura e al medio e piccolo commercio per associarseli.

La sparizione della sopravvissuta manifattura o del medio e piccolo commercio sarebbe senza efficacia per l'arricchimento del capitale, perché ormai si é già raggiunto il saggio minimo del profitto. Al capitale conviene meglio rendersi tributarie le forme economiche sopravvissute, anziché schiacciarle in una lotta mortale, che apparirebbe vera arte per l'arte. Così nel momento in cui il capitalismo celebra il suo pieno trionfo, resta interrotto il processo, che mena alla distruzione del ceto medio dei produttori e dei commercianti (
BERNSTEIN (Die Voraussetzungen des Sozialismus, Stuttgart, 1899, pag. 59), ha un presentimento di questo fatto, ma non ne vede le ragioni. Da cui il facile gioco dei suoi avversari socialdemocratici).

Onde mentre la grande azienda progredisce e si sviluppa nel campo che le é proprio, non più si nota lo scemare dell'azienda media e piccola ; anzi uno al progredire delle grandi aziende si ha il conservarsi delle medie e delle più piccole.
Ma coteste medie e piccole aziende sopravvissute o nuovamente create non hanno nulla più di comune con le vecchie e piccole aziende del mestiere indipendente. Anzi esse non sono per nulla indipendenti. Anch'esse si sono trasformate e divenute appendice ed accessorio del capitale. Il capitale, raggiunto il minimo dei profitti, é preservato dal capriccio di far sparire queste medie e piccole aziende; tanto più che per il capitale non ci sarebbe nessuna ragione di far così. Conviene più al capitale imbalsamare queste forme economiche e ricavarne il frutto relativo che esse consentono.
Intanto la forma ibrida risultante da questa associazione del mestiere col capitale sottrae al proletariato rivoluzionario l'assistenza e l'appoggio dei ceti medi minacciati dal capitalismo; poiché, come il capitale diviene interessato alla conservazione della piccola e media produzione e commercio, tali forme economiche son cointeressate alla conservazione del capitalismo, dal quale traggono la loro ragione di essere (
È questa una delle tante ragioni che rivela l'assurdità del socialismo riformista, che, proponendosi la difesa dei ceti medii, ignora di difendere puramente e semplicemente il capitalismo; da cui la contraddizione fondamentale e insanabile di tutta la sua politica, che, quando è sincera, appare una vera quadratura del circolo).
Onde l'ultima parola del capitalismo trionfatore sembra essere difesa
della media e piccola proprietà, perché difesa di queste vuol dire in fondo difesa del capitalismo. Così il ciclo storico é completo, e il capitalismo della grande industria, nato dalla dissoluzione del mestiere indipendente, sembra proporsi l'ipocrito fine della sua ricostituzione.

continua con il capitolo NONO

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