RAZZISMO
COME PROBLEMA STORICO-SCIENTIFICO


Giovanni De Sio Cesari
( http://www.giovannidesio.it/ )

INDICE :
Il problema - Cenno storico - Concetto di razzismo -  Le ragioni del razzismo Culture e stereotipi - Esistono popoli superiori ?
Razzismo culturale - Razze - Antisemitismo


IL PROBLEMA


In questo lavoro NON ci poniamo il problema del razzismo dal punto di vista etico, non ci chiediamo se sia male o bene (qualunque definizione si voglia dare di questi termini) ma solo se ha fondamento storico-scientifico: la domanda che ci poniamo nel presente lavoro è se i fatti storici possano o meno autorizzare una interpretazione razzista, se nell’esame delle vicende storiche nel loro complesso, possa essere ricavata o esclusa una interpretazione razzista.

Nella nostra società l’idea di razzismo viene caricata di ogni negatività morale e considerata oggettivamente una follia  e quindi pare inutile e anzi quasi immorale prendere in considerazione le sue motivazioni teoriche.

In realtà le teorie razziste sono state abbastanza comuni fino a che gli esisti estremi del nazismo hanno fatto si che esse fossero condannate quasi unanimemente e restassero solo appannaggio di qualche imbecille coro da stadio.

Ma non bisogna guardare solo agli ultimi decenni di storia ma anche ai molti millenni che li hanno preceduti: nulla ci assicura che quello in cui, in questi ultimi pochi decenni, noi abbiamo creduto sia più duraturo di quello che si è pensato per millenni. Dobbiamo giustificarlo criticamente: non possiamo dire semplicisticamente che ciò che è nuovo, moderno sia di per se giusto e bene e di per se evidente.

Noi infatti siamo abituati a pensare che i valori del moderno Occidente (uguaglianza democrazia, libertà, laicismo, parità dei sessi) siano universali, eterni e di per se evidenti : ma non è cosi.

Anzi qualcuno e non senza ragione ritiene che sia proprio questo atteggiamento ad essere sostanzialmente una forma di razzismo.

Così poichè pensiamo che vi deve essere parità fra uomo e donna giudichiamo arretrati quelli che non l'accettano, poichè pensiamo all'infibulazione come contraria ai nostri principi consideriamo barbari quelli che la praticano, se siamo per la pace consideriamo criminali quelli che invece credono nelle virtù belliche e cosi via.

Non possiamo pensare che i nostri principi di uguaglianza, democrazia, libertà siano cose ovvie e chiare: in realtà non ci rendiamo conto che essi nella storia e anche nell'umanità di oggi sono delle eccezioni più che delle costanti, che sono delle “ novità “ che non sono stati affatto sempre presenti nella storia e nemmeno lo sono tuttora in altre aeree culturali: solo la mancanza, da una parte, di senso storico e dall’altra la scarsissima conoscenza delle altre civiltà, ci porta a un errore del genere che spesso si rivela tragico.

Il razzismo è fenomeno amplissimo e comune nella storia e nell'umanità e non possiamo limitarci a demonizzarlo senza prenderne in considerazione le idee, le motivazioni teoriche sociologiche e psicologiche. Se diciamo che è solo follia noi NON lo respingiamo veramente: per farlo bisogna spiegare PERCHE è infondato non basta dire che “è” infondato (che non ha idee).

Il superamento del razzismo è una conquista difficile, lenta e anche nella nostra civiltà è più una meta ideale che una realtà effettiva.

Sembra cosa facile perchè in realtà ci si ferma a superficialità: magari la mamma insegna al figlioletto a dare la mano al compagno nero. Si dice che il razzismo è un fatto contro natura perché i bambini in genere non fanno troppo caso al colore della pelle: ma a prescindere che in realtà essi non si rendono conto del suo significato, credono che sia come l'essere biondo o bruno, grasso o magro e credono che i "negri" possano nascere da genitori bianchi e viceversa ma soprattutto bisogna considerare che tutti i nostri modi di pensare (tanto il razzismo che il suo contrario) non sono “fatti naturali” ma sempre appresi dall’ambiente.

Cosi è banale dire che il colore della pelle non deve dividere: i problemi sono tanti e tanto più complessi.

Ci pare ovvio dire che "razzista" è termine negativo solo per quelle persone che credono che il razzismo sia male.

Se due concezioni sono in contrasto (fascismo, -antifascismo, comunismo-anticomunismo. religione.- ateismo ) evidentemente quello che è negativo per uno sarà positivo per l'altro.

Quando ci limitiamo infatti a dire che una cosa "è male" rafforziamo la convinzione in quelli che pensano già come noi che sia male ma non convinciamo quelli che la pensano diversamente.

Non si può rifiutare una idea semplicemente con gli insulti con lo sdegno, con il dire che è immorale, che è antidemocratica ecc ecc . Queste sono tutte cose che non hanno niente a che fare con la attendibilità ( verità o falsità ) di un affermazione.

Vi è infatti differenza fra giudizio di fatto ( tizio ruba) e di valore: (rubare è male): se una teoria è immorale non per questo è falsa e viceversa.

Per quanto riguarda assassinio, stupro e simili il caso è molto diverso: in linea generale chi li commette non pretende di aver compiuto un’azione giusta mentre il razzista è convinto di essere nel giusto e nel vero e ritiene che gli altri invece mentano o si sbagliano.

Qualcuno parla di "negatività oggettiva " del razzismo e simili confuse formule: ma questo paiono una contraddizione in terminis : infatti "negativo " è proprio del giudizio di valore mentre "oggettivo" indica proprio un giudizio di fatto.

Il problema è che si lanciano come accuse le opere di Gabineau, Chamberlain (< vedi) Rosemberg ma non si dice perchè sono infondate.

Tutti dicono che l'antisemitismo è un assurdo ma quasi mai ho letto perchè l'antisemitismo sarebbe un assurdo: ma se non diciamo le nostre ragioni ci saranno sempre dei razzisti e degli antisemiti convinti di essere nel giusto proprio perchè pensano che non abbiamo argomenti.

CENNO STORICO

Se il discredito in cui sono cadute le teorie razziste si è originato dai disastri e dalle incredibili efferatezze provocate dal nazismo, nella storia invece il razzismo è stata teoria largamente diffusa e genericamente condivisa.

Gia i popoli primitivi definiscono in genere se stessi come gli "uomini" (cioè i "veri uomini") e infatti molto spesso i nomi delle tribù significano semplicemente "uomini" .

In greco il termine "barbari" significava semplicemente "non Greci": ma in età classica i Greci erano convinti che essi fossero inferiori, proprio geneticamente ai Greci ( eppure avevano creato civiltà tanto grandi e illustri ) .

Fa meraviglia vedere Aristotele, "il maestro di color che sanno", come lo definisce Dante, affermare che solo i greci sono liberi per natura mentre tutti gli altri sono per natura schiavi.

Anche gli ebrei furono profondamente razzisti considerandosi il popolo eletto per discendenza genetica e non era nemmeno possibile convertirsi all'ebraismo : solo chi nasce da donna ebrea è un prediletto di Dio.

I romani invece non furono razzisti nel senso genetico: pensarono invece di essere superiori solo moralmente: esaltarono la "virtus romana" (valore militare) il "mos maiorum" (le leggi degli avi) ma ritennero che anche gli altri potevano adottarli. Infatti assimilarono tutti gli altri popoli: il loro grandioso apporto alla civiltà fu sintetizzato dal detto “ fecit orbem urbem" ( fece divenire il mondo come la città di Roma ).
Copiando il termine greco , chiamarono "barbari" quelli che non facevano parte dell'impero romano: poichè questi erano tutti popoli non civili (o meno civili) il termine ha assunto poi il significato che mantiene tuttora di "non-civile" .

Furono poi Cristianesimo e Islam a predicare invece l'uguaglianza di tutti gli uomini.

Pur tuttavia l’idea delle differenze razziali rimase, in concreto, ancora ampiamente diffusa sia pure in contrasto con una concezione religiosa universalistica che escludeva il razzismo che ha come presupposto una concezione naturalistica dell'uomo.

L’idea dell’uguaglianza poi fu resa laica nel 700 dall'Illuminismo .

E' impressionante, però, notare come gli estensori della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti che proclamavano l'uguaglianza degli uomini possedevano degli schiavi neri: per quanto possa sembrare incredibile essi nel momento in cui creavano il primo stato che solennemente proclamava la uguaglianza di tutti gli uomini pur tuttavia pare che facessero nei fatti una eccezione per gli uomini neri il cui stato di schiavitù non veniva posto in discussione rimandando la questione a un futuro lontano e indefinito.

L’affievolirsi della egemonia del cristianesimo permise una nuova fioritura di teorie razziste.

Gia l’idealismo tedesco cominciò a parlare di razza e di lingua pura a proposito della Germania e sorsero un pò dovunque teorie che affidavano a questa o quella nazione un primato civile.

La concezione naturalistica del Positivismo diede una base che sembrò scientifica a molte teorie razziste. In genere l’idea della selezione naturale si prestava come fondamento a una visione gerarchica delle razze ciascuna delle quali sarebbe stata a un diverso grado di sviluppo nell’evoluzione umana.

Lo stesso Darwin personalmente fu impressionato dalla differenza fra l'uomo primitivo e gli europei: racconta egli stesso che fu scioccato nel suo viaggio dall'assassinio di un bambino che aveva fatto cadere delle uova e concluse che i primitivi fossero più vicini agli animali che agli europei.

Nel ‘900 vari regimi politici adottarono idee razziste: propriamente mentre il nazismo fu razzista in senso biologico (come i Greci) il fascismo invece si rifece ai Romani: sia pur in modo estremamente confuso, velleitario e antistorico infatti pretese di portare la civiltà romanizzando (italianizzando) altri popoli. Cantarono : "faccetta nera, sarai romana, e per bandiera avrai quella italiana".
( Ndr. e Indro Montanelli dall'Africa scriveva "Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza, non si può non si deve! .... Il bianco comandi !")

Ma non bisogna credere che il razzismo fosse solo retaggio del nazi-fascismo: esso era diffuso un pò dovunque, contrastato decisamente non solo dal cristianesimo ma soprattutto dal marxismo e dal socialismo in generale, tanto che al presente l’anti-razzismo viene presentato come una bandiera propria delle sinistre. Tuttavia esso viene respinto in base alla teoria generale che i conflitti nel mondo sono essenzialmente quelli tra classi sociali. Manca quindi una critica scientifica e  storica specifica sulle teorie razziste considerate genericamente come una invenzione (una falsa coscienza, una mistificazione) delle borghesia per ingannare i proletari. L’affievolirsi della diffusione di tale concezioni ormai ristrette a pochi ambienti però non affievolisce la tendenza anti razzista della sinistra della società moderna.

Nel mondo moderno occidentale il superamento del razzismo rimane pur sempre una meta ideale più che una realtà concreta ed effettiva: idee più o meno razziste sono spesso presenti e non ce ne accorgiamo nemmeno e comunque sono poi apertamente diffuse in molta parte del mondo non occidentale.

CONCETTO DI RAZZISMO

Ogni definizione di una parola in quanto definizione è sempre vera: quindi si può definire il razzismo in qualsiasi modo: è sempre legittimo: però bisogna vedere cosa effettivamente vogliamo intendere.

Il termine razzista (come fascista, nazista e a volte anche capitalista e comunista) viene assunto come una connotazione fortemente negativa e quindi si tende ad assimilare ad esso tutto ciò che si vuole condannare, diventa una specie di insulto: assume tanti significati vaghi, contrastanti e confusi che non si riesce più a fare un discorso sensato.

In senso stretto il razzismo è una teoria secondo la quale si pensa che un individuo abbia delle caratteristiche mentali (oltre che fisiche) per il fatto stesso che appartiene (geneticamente) a un certo gruppo: e a questo concetto che in seguito ci riferiamo.

Spesso nasce confusione fra “etnia” e “razza" che sono invece termini che secondo l'uso sociologico, hanno un significato assolutamente distinto.

"Etnia" infatti si riferisce ad aspetti appresi (culturali, come la lingua, la religione, ecc ) mentre "razza " a caratteri genetici: se un europeo fosse stato adottato da bambino da cinesi parlerebbe cinese ma non avrebbe gli occhi a mandorla: le due cose sono ben distinte, non possono essere confuse.

Cosi io sono diverso fisicamente da un boscimano (colore della pelle, forma dei capelli). Sono anche diverso e molto per mentalità (capacità: in senso lato): io non sarei capace di sopravvivere nel Kalahari, il boscimano in una metropoli. Tutto questo è ovvio. Il problema però è: le differenze di capacità fra me e il boscimano dipendono solo dall'ambiente diverso in cui siamo stati educati o anche da predisposizioni geneticamente acquisite (analogamente al colore della pelle) ?

Si tratta di concetti del tutto diversi: tuttavia come prima accennato i due concetti vanno in genere comunemente confusi e non si fa la distinzione ben netta che ci dovrebbe essere e si dice insieme e confusamente che siamo diversi nella mentalità e per eredità genetica e per acquisizione culturali.

La accettazione della ipotesi che dipenda essenzialmente da eredità genetica viene detta propriamente RAZZISMO che NON è la constatazione, ovvia, che le razze esistono ma la teoria secondo la quale la mentalità dell'individuo venga determinato non solo da quanto ha appreso ma soprattutto dal patrimonio genetico che ha ereditato: si erediterebbero cioè insieme a caratteri fisici anche attitudini mentali per cui certi caratteri fisici (colore della pelle) sarebbero segni di una diversa attitudine mentale.

Spesso il termine "razzismo" viene considerato equivalente a  "discriminazione". Ma si tratta di uso improprio e fuorviante. Se il razzismo è una discriminazione non per questo tutte le discriminazioni sono razziste .

Alcune discriminazioni anzi sono necessarie, logiche, opportune. Se un ospedale assume solo laureati in medicina discrimina tutti i non laureati fra i quali ci potrebbero essere anche persone più esperte dei laureati: il che può essere teoricamente anche vero.

Se i metalmeccanici rivendicano un salario più alto discriminano gli altri lavoratori ma non per questo sono razzisti: anche le discriminazioni verso le donne dipendono da una certa visione del ruolo dei sessi e non c'entra niente con il razzismo.

In senso ampio poi le discriminazioni sono un aspetto generale della vita: nessuno pensa che noi dobbiamo comportarci ugualmente verso tutti gli esseri umani ma ciascuno discrimina verso i propri figli, parenti, alunni, persone affidate alla propria cura ecc.

Troviamo in una pubblicazione ad ampia diffusione una definizione: “il razzismo è un atteggiamento negativo, violento, di sfruttamento fatto di preconcetti di discriminazioni e stupidità".  Definizione di questo genere costituiscono una valutazione sul razzismo stesso non possono definirne il concetto. Se infatti osserviamo i termini :

“negativo”: dipende dal punti di vista:
“violento”: ma allora anche il rapinatore è un razzista ? :
“preconcetti”: allora anche chi ha dei "preconcetti " contro la modernità o contro la tradizione, contro il jazz, contro qualsiasi cosa è razzista?
“di sfruttamento”: allora anche gli imbroglioni, gli usurai, sono razzisti?
“discriminazioni”: come abbiamo visto non tutte le discriminazioni sono razziste.

LE RAGIONI DEL RAZZISMO

Non bisogna pensare che il razzismo sia insostenibile logicamente e nemmeno che sia necessariamente immorale.

Potremmo definire il razzismo in senso lato la distinzione fra un "noi" (superiori) e gli altri (inferiori). Un tale atteggiamento mentale nasce spontaneo, è quasi un fatto naturale.

Infatti noi siamo animali sociali: quindi tendiamo sempre a identificarci con un certo gruppo  che si distingue proprio perchè in competizione con gli altri.  Avviene tra i paesetti vicini, i quartieri, le scuole, i gruppi di amici, perfino con i viaggiatori di un bus. I ragazzi, in particolar modo, creano gruppi e gruppetti e bande e deliberatamente escludono gli altri: il problema della socializzazione è cosa molto complessa e bambini e giovanissimi emarginati sono un fatto comunissimo. La illusione prospettica poi che il nostro gruppo o gruppetto sia superiore agli altri è una illusione quasi inevitabile: infatti noi giudichiamo sempre partendo dai nostri valori e quindi logicamente gli altri gruppi che hanno valori diversi sembreranno oggettivamente inferiori: un gruppo di adolescenti fans della musica rep considererà inferiori quelli che preferiscono invece la musica classica (o viceversa) perchè credono in buona fede che il rep sia superiore al classico ( o viceversa).

Quando si dice che non si possono distinguere gli uomini "solo" in base al colore della pelle il razzista risponderà ovviamente che non si tratta "solo" di colore ma che questo è solo il segno di diverse caratteristiche genetiche anche mentali (cioè di una razza diversa).

Si accompagna quasi sempre all'idea di una gerarchia fra le razze. Si potrebbe in teoria pensare che si tratta di “diversità” e non di “superiorità” ma inevitabilmente la diversità diventa superiorità in base all'ordinamento della società: se la razza A per esempio ha maggiore capacità pratica e quella B maggiori capacità teorica ne risulterà che per i primi vi sono lavori manuali e per i secondi lavori intellettuali che è proprio quello che il razzista vuole affermare.

L’dea di base da cui si parte è che si ereditano insieme alle caratteristiche fisiche (colore della pelle, tipo di capelli, di zigomi ecc.) anche aspetti psicologici. Il principio quindi del razzismo che un certo gruppo umano abbia caratteri mentali oltre che fisici comuni pare una ipotesi del tutto ragionevole, niente affatto assurda anche se come vedremo, a nostro parere, scientificamente errata.
 
Anche dal punto di vista etico il razzista dirà pure che egli è nella giustizia perchè vuole affidare a ogni individuo quello per cui è maggiormente portato per natura: e quindi certi gruppi debbono esser subordinati ad altri perchè la natura cosi prevede. Il razzista a modo suo può essere anche molto generoso con le razze che egli considera inferiori.

D’altra parte molti padroni furono generosi con gli schiavi essendo convinti che la propria superiorità razziale dovesse manifestarsi proprio nel senso di giustizia e di paterna guida verso la razza meno dotata: per quanto possa sembrare strano, non pochi "negri" restarono al fianco dei loro padroni bianchi nella Guerra Civile Americana.

Attualmente vi sono due generi di razzismo abbastanza nettamente distinti: talvolta infatti esso ha per oggetto popoli o gruppi etnici variamente individuati come i tedeschi, i giapponesi, gli zingari,  gli ebrei, a volte invece si parla di quello che propriamente chiamiamo razza e in questo caso la discriminazione è rivolta più comunemente verso i “negri”.

Esamineremo distintamente i due fenomeni solo avvertendo che il razzismo rivolto ai popoli contiene anche quello rivolto alle razze ma non viceversa: ad esempio nell’apartheid del sud africa si discriminavano i "negri" ma non si discriminava fra i bianchi mentre la discriminazione fra i popoli comporta a maggior ragione quella fra le razze: il nazismo non solo ritiene che la razza germanica sia superiore alle altre razze bianche ma anche che la razza bianca in generale sia superiore a quella nera.

A parte poi esaminiamo il fenomeno dell’antisemitismo che ha caratteri propri ed originali.

CULTURE E STEREOTIPI

Il razzismo riferito ai popoli nasce da una considerazione comune e irrefutabili: se confrontiamo diversi popoli o gruppi etnici ci accorgiamo immediatamente che essi presentano notevoli differenze nel modo di rapportarsi alla realtà, nei comportamenti, negli atteggiamenti in quello che sociologicamente viene definita globalmente come “cultura”: da qui nasce quasi spontanea l’idea che i popoli siano effettivamente diversi per costituzione e se la differenza è rapportata a modelli e valori si arriva anche una gerarchia fra di esse (che è propriamente quello che abbiamo definito “razzismo”).

Esemplificando: confrontiamo Americani ed Afgani. Certamente vi sono differenze evidenti: gli americani hanno più senso della democrazia, sono meno inclini all’integralismo religioso, riconoscono alle donne una sostanziale parità: da questa constatazione si ricava l’idea che gli Americani siano democratici, laici, non maschilisti e gli Afgani invece siano autoritari, integralisti, maschilisti.

In qualche modo questo può anche essere considerato vero ma non nel senso che lo intendono i razzisti.

Innanzi tutto va considerato che le constatazioni di cui sopra hanno solo e semplicemente valore statistico come in tutte gli ambiti sociologici.

Non è affatto vero che ogni e qualunque americano sia più democratico, meno integralista e meno sessista di ogni e qualunque afgano: in realtà ci saranno sempre un buon numero di Afgani che hanno tali caratteristiche in maggiore misura della media degli americani. Pertanto sarebbe assolutamente errato operare la tipica deduzione razzista: poichè quell’uomo è afgano sarà poco democratico, integralista e autoritario con la moglie.  Molti americani non credono nella democrazia, sono integralisti in religione (fondantamentalista è temine che deriva dall’America ) e sono autoritari con la moglie e molti afgani invece hanno abbracciato le nuove idee moderne ed hanno in queste l’entusiasmo del neofita .

Bisogna poi considerare che se alcune differenze fra i popoli sono reali, sia pure solo sotto il profilo statistico, altre appaiono immotivate, semplici errori prospettici. Infatti le differenze fra i gruppi umani possono essere rilevate da appositi metodi e tecniche sociologiche e pure in questo modo appaiono di non facile individuazione. Ma spesso tali differenze sono semplicemente intuite, diventano patrimonio comune condiviso senza avere alcun fondamento effettivo e diventano gli stereotipi su quali si basano le teorie razziste.

Nel nostro esempio gli avvenimenti degli ultimi anni ci hanno fatto rappresentare gli afgani come dei fanatici religiosi ma in realtà non sappiamo quanto questo quadro si adatti realmente a quel popolo.

Vediamo un pò più approfonditamente come si formano le rappresentazioni dei vari popoli, i cosi detti stereotipi.

Schematicamente possiamo dire che essi si formano dal contatto diretto o da quello indiretto (cioè da altre rappresentazioni) .

Vediamo il primo caso. Non si viene mai in contatto diretto con un campione statisticamente rappresentativo di un popolo ma sempre con determinate, specifiche categorie di quel popolo.

Consideriamo le emigrazione europea della fine dell’800 e dell’inizio del 900 verso le americhe: non emigravano tutte le categorie di cittadini ma in genere solo quelli più poveri, di più bassa scolarizzazione e anche geograficamente provenienti dalle zone più povere e arretrate ma anche tutte persone determinate a lavorare e farsi una nuova vita. Nelle Americhe queste caratteristiche apparvero come estensibili a tutte le nazionalità mentre in realtà esse erano comuni solo a un determinato strato. Si pensi che gli emigranti italiani non sapevano nemmeno parlare l’italiano.

Fenomeni analoghi avvengono anche nell’ambito delle emigrazioni interne dovute allo sviluppo dell’industrializzazione: i meridionali degli anni 50 nel triangolo industriale non erano i meridionali in generale ma una determinata categoria di essi.

A volte invece l’emigrazione non è di massa ma di elittes: nelle City di Londra, nelle università americane nelle holding di tutto il mondo esistono foltissimi gruppi di stranieri che rappresentano le elittes culturali, i più dotati delle rispettive nazioni. Ma non ne sono certo un campione rappresentativo.

A volte poi il contatto avviene attraverso gli incontri con gli eserciti invasori che certamente hanno atteggiamenti e commettono azioni che mai si permetterebbero di avere nel proprio paese.

Si pensi poi al turismo che ha avuto un enorme sviluppo negli ultimi anni: si dice che esso avvicini i popoli e favorisca la reciproca conoscenza: è anche vero ma con moltissimi limiti. Il turista infatti in genere ignora la lingua, incontra solo determinate categorie di persone, gli addetti, appunto, al turismo che per professione sono gentili e disponibili, accoglienti e che soprattutto gli mostrano quello che il turista vuole: a Venezia lo fanno andare in gondola anche se i veneziani mai si sognerebbero di usarla, a Napoli gli mostrano la tarantella che i napoletano non ballano ormai da secoli, in qualche paese gli fanno trovare addirittura il cammelliere disposto a comprare le donne tanto per dare un po di brivido sexy.

Tanti turisti tornati nei loro paesi credono di essere in grado di discutere con competenza dei paesi in cui sono stati e di cui invece non hanno visto altro che la vetrina scintillante che gli operatori turistici volevano far vedere.

In altri casi invece lo stereotipo si forma per suggestione letteraria o più modernamente dei mass media.

La Francia pare un paese disinibito perchè si prende a modello Parigi o più propriamente i circoli dell’avanguardia culturale di Parigi: praticamente quelli che sono in contrasto con la stessa mentalità generale dei francesi.

La Sicilia invece è la patria della gelosia perchè la si identifica con Cavalleria Rusticana: probabilmente se mettiamo con rigore sociologico in confronto le campagne siciliane e quella della Gironda francese le differenza su questo punto non sarà poi tanta. 

Il film “Rapa Nui” ha dato una immagine di quell’isola quanto mai fantasiosa: il turista che vi si reca ritrova quella atmosfera perchè gli enti del turismo sono interessati a fargliela trovare: non ci si rende proprio conto che si tratta solo di una finzione destituita di ogni fondamento.
 
Se a Londra si incontra un pizzaiolo italiano non si può pensare che gli italiani siano un popolo di buongustai come se si incontra un italiano alla City non si può pensare che gli italiani siano un popolo di affaristi.

Non si può immaginare che tutti i russi siano immersi in drammi etici religiosi come i fratelli Karamazov o pensare che tutte le donne spagnole siano delle Carmen passionali.

Sono evidenti sciocchezze: ma il razzista parte proprio da considerazioni superficiali di questo genere.

Con questo però non si vuole affatto negare che popoli diversi abbiano culture diverse: sarebbe anche essa una evidente sciocchezza: pure alcuni nel lodevole intento di combattere il razzismo sono indotti ad affermare che non esisterebbero differenze culturali importanti, significative, che tutti gli uomini sono uguali. Ma l’uomo è animale sociale: tutto il suo comportamento, tutto quello che pensa e crede deriva, anche se magari in modo molto critico, dall’ambiente in cui vive e si è formato.
 
Nei limiti ai quali abbiamo prima accennato le differenze vi sono e non vanno ignorate.

Il razzismo non consiste però nel riconoscimento, ovvio, che esistono differenze ma nell’idea che tali differenze inferiscano propriamente a un substrato biologico ereditario e che quindi vi sia una fissità negli atteggiamenti mentali dei vari popoli. Una specie di natura propria.

ESISTONO POPOLI SUPERIORI ?

Prendiamo allora in esame la teoria il razzismo che afferma l’esistenza di "popoli superiori" come ad esempio quello di Rosemberg (nazismo) o quello greco antico.

Il presupposto è che un popolo è superiore agli altri per capacità o moralità in quanto crea una civiltà superiore.

Ma la storia contraddice questo affermazione . 

Infatti: se un popolo fosse superiore agli altri quel popolo avrebbe un primato di civiltà in tutta la storia.  Invece vediamo che il primato civile passa continuamente da un popolo all'altro. Un rapido cenno al mediterraneo: prima antiche civiltà orientali che poi furono costituiti da tre gruppi diversi: camiti (egizi, Sumeri), semiti (Assiri Fenici) e indoeuropei (Persiani, Hittiti, greci): nessuno dei tre gruppi evidentemente aveva capacità superiori.

Un primato civile poi è andato ai Romani nell’antichità, agli arabi nel medioevo, poi ancora all'Italia del Rinascimento, poi alla Francia poi si è spostato verso il nord Europa e verso l'America. La Germania in particolare ha raggiunto un alto livello civile solo da qualche secolo.

Se i germani fossero realmente una razza superiore perchè mai sono stati così primitivi per tanti millenni quando grandi civiltà sorgevano fra gli altri popoli. Lo stesso ragionamento può essere fatto per i greci per gli egizi ecc: La civiltà non si è fermata presso nessun popolo perchè nessun popolo è mai stato superiore per natura a tutti gli altri.

Un altro presupposto appare errato: che esistono geneticamente i popoli "puri" . I nazisti immaginavano che i germani fossero un unico popolo mentre italiani e francesi erano mescolanze di genti diverse. In realtà di alcuni popoli conosciamo meglio la storia e quindi ci rendiamo conto che essi sono mescolanze continue di molti popoli diversi (gli italiani discendono da Latini, altri italici, Liguri, Veneti, Dalmati, Celti , Germani, Greci,  Arabi, Normanni ecc). Di altri popoli non conosciamo la storia e per questo ci sembrano puri: ma in realtà anche i germani sono commisti a slavi, celti, latini,ebrei, popoli orientali come unni, ungheresi, bulgari ecc;

Non è poi affatto vero che le civiltà siano state create da popoli puri: invece sono nate sempre dalla commistione di gruppi diversi. Ad esempio la filosofia che noi consideriamo (giustamente) una gloria dei Greci in effetti nacque nelle colonie greche perchè in contatto con le civiltà orientali: poi ebbe sede in Atene perchè era una città multietnica (una specie di New York dell'antichità) di poi si sviluppò in tutto il bacino del mediterraneo in contatto con tutti gli altri popoli. Se fosse stata veramente una prerogativa genetica greca si sarebbe manifestata invece nei greci più isolati cioè più puri. In effetti tutti i gruppi umani più isolati (geneticamente più omogenei) sono pure gruppi arretrati e primitivi.

Quindi in conclusione :

NON ESISTONO POPOLI SUPERIORI PER CIVILTA'
NON ESISTONO NEMMENO I POPOLI ( DAL PUNTO DI VISTA GENETICO)
E COMUNQUE LA CIVILTA' E SEMPRE IL PRODOTTO DI INCONTRO DI GENTI DIVERSI 

Abbiamo fatto qualche esempio banale: ma chiunque conosce anche un pò di storia vedrà che gli esempi sono infiniti.

RAZZISMO CULTURALE

Vicina al razzismo vero e proprio (genetico) esiste una convinzione che è abbastanza ampia e diffusa: si pensa in questo caso che la diversità non risieda nel patrimonio genetico ma nella diversa cultura che si assorbe fin dall'infanzia nel proprio gruppo di appartenenza. Non si tratta di razzismo perchè non si pensa che la differenza risieda in un fatto biologico, genetico ma gli effetti sono abbastanza simili. Per esemplificare riferiamoci al paragone classico ottocentesco del parigino (l'uomo civilizzato) e l'ottentotto (il selvaggio). Si ammette che un ottentotto adottato in fasce da parigini diventi un parigino come gli altri (e viceversa) e quindi si rifiuta il razzismo. Però si può pensare che dal momento in cui ha assorbito la cultura degli ottentotti non sarà mai in grado di diventare un parigino: si ammette che gli ottentotti potrebbero diventare parigini ma occorrerebbero molte generazioni, un tempo indefinito per cui in effetti i parigini restano parigini e gli ottentotti restano ottentotti nei tempi brevi della umana vita che noi possiamo considerare.

Di conseguenza anche se tutti gli uomini sono teoricamente “uguali” pur tuttavia la prima educazione incide profondante, da una impronta indelebile che poi difficilmente può essere superata. Quindi ad esempio un immigrato anche se adotta  tutti i nostri parametri di pensiero tuttavia in fondo in fondo appartiene alla sua cultura di origine, malgrado ogni apparenza. 

Il discorso si fonda su un fatto che è indiscutibilmente vero che va approfondito ed esaminato attentamente: l'importanza dei primi anni di vita.

Si pensi come sia importante per un bambino di tre anni che gli venga insegnato a mettersi in fila davanti a uno scivolo o che gli venga invece detto che deve essere più furbo e passare davanti agli altri oppure che apprenda a vedere il mondo in modo magico animistico o in modo causalistico, scientifico.

Si pensi anche ai ruoli dei sessi: il modello di base è quello dei genitori: i mariti paragonano anche involontariamente la moglie alla madre (che è il prototipo femminile introiettato dall'infanzia) e forse da questo nasce anche la proverbiale difficoltà nuora- suocera.

Una formazione di base, appresa nella famiglia e nell’ambiente d'origine (non un fattore genetico) verrebbe quindi a determinare la natura di ogni popolo o gruppo.

Con tutti i limiti che prima abbiamo delineato possiamo dire che in generale effettivamente la cultura appresa dall’infanzia è qualcosa di importante che non può essere ignorata: quindi effettivamente individui provenienti da culture diverse possono avere atteggiamenti profondi che si rifanno a quei modelli anche quando pare che questo siano stati completamente abbandonati.
 
Tuttavia è del tutto smentito dalla esperienza storica che un popolo conservi a lungo caratteri culturali quando le condizioni socio-ambientali siano mutate: la culture cambiano rapidamente quando cambiano le condizioni.

Anzi è fenomeno sociologico ampiamente conosciuto che sono proprio individui che provengono da ambienti diversi ad essere i più radicali sostenitori della cultura acquisita, per essi nuova: basta pensare allo zelo dei neofiti o ai cosi detti “ parvenu”.

Pensiamo ai contadini italiani immigrati in USA. Fin quando erano in Italia le possibilità di migliorare le proprie condizioni economiche erano praticamente nulle in una società stratificata e immobile e pertanto essi aderivano a una antica concezione fatalistica per cui un oscuro “ananche” (destino, tanto ben descritto dal Verga) assegnava a ognuno un propria sorte che non si poteva, anzi non si doveva cambiare.

Ma una volta giunti in America, terra dalle grandi possibilità in una società non stratificata, che premiava lo spirito di iniziativa, quei contadini abbandonarono immediatamente ogni idea di un destino prefissato, furono presi dalla voglia e dall’ansia di riuscire: quando tornavano al loro paesello volevano mostrare i segni del successo mettendo bene in mostra il livello di benessere raggiunto.

Analogamente gli svizzeri che fino al 1800 fornirono soldati mercenari a tutta l’Europa poi nel corso di qualche generazione avendo raggiunto un buon livello di vita divennero il popolo della pace per antonomasia.

Non si può negare quindi che l’appartenenza a una particolare cultura sia un dato essenziale ma non bisogna enfatizzarne le conseguenze perchè nessuna cultura permane immobile per sempre, ma tutte mutano incessantemente, a volte lentamente ma altre volte molto rapidamente e tumultuosamente .


RAZZE

Possiamo considerare come oggetto di razzismo non i popoli ma propriamente le razze (bianchi, neri, gialli). Possiamo notare che il colore della pelle è solo un fatto secondario, che esistono razze di contatto, che il concetto di razza è incerto, indefinito e molte altre cose del genere: tutte giuste. Tuttavia il cuore del problema è un altro.

Nel passato si è parlato di un primato della razza bianca rispetto a quelle di colore: tuttavia si commetteva l’errore grossolano di identificare i bianchi con gli europei (occidentali) e considerare di colore anche Arabi e Indiani pur essi incontestabilmente bianchi Attualmente queste idee appaiono del tutto superate mentre persiste invece il fenomeno della discriminazione rivolta alla razza negra presente tuttora anche negli USA. Poichè "nigger" in USA suona come un insulto si usa blak (nero) ma in realtà molte popolazioni (come ii Dravidi dell'india ) sono di pelle nera ma non "negri": ma esiste effettivamente una razza "negra" ben individuata e non solo per il colore della pelle.

Si nota allora che i bianchi hanno creato grandi civiltà in Occidente, in medio oriente e in India, i mongoloidi in Cina e Giappone, invece nell'africa nera non ci sono civiltà sviluppate: e questo quindi potrebbe significare una inferiorità costitutiva dei "negri" .

Il fatto sarebbe inoltre avvalorato dal fatto che anche in America (in Usa) pur essendo immersi in una civiltà molto aperta e sviluppata pur tuttavia i "negri" sono rimasti mediamente indietro socialmente agli altri gruppi etnici di più recente immigrazione ( Italiani, Irlandesi, Polacchi ecc).

Infine anche ricerche sul Q.I. sembrano avvalorare l'ipotesi di una intelligenza mediamente inferiore a quella degli altri americani.
In realtà un numero abbastanza elevato di americani crede sinceramente, in tutta buona fede, nella inferiorità genetica dei "negri". 

Come interpretare questi fatti senza ricorrere a teorie razziste? 

Possiamo spiegare la mancanza di civiltà in Africa senza ricorrere a una supposta incapacità genetica dei "negri"?

Noi crediamo che bisogna porre attenzione a un fatto semplicissimo: tutte quelle che noi chiamiamo civiltà sono nate con l'agricoltura. Nessuna civiltà è possibile senza la così detta rivoluzione agricola per motivi che qui non stiamo ad esaminare. Di conseguenza non sono nate civiltà in Australia, nell'america del nord, nelle isole del pacifico. Ora l'africa nera fino a tempi recenti non ha conosciuto l'agricoltura, ma società orticole o anche raccoglitrici: per questo non si sono potuto sviluppare civiltà evolute.

L'Europa o la Cina è un susseguirsi di campi coltivati, il paesaggio naturale è sparito quasi: l'africa un susseguirsi di foreste, savane deserti, le culture sono recenti, generalmente importate dai bianchi (europei o arabi).

In molte zone il lavoro dei campi è riservato alle donne, non si conosce la proprietà privata delle terre, le popolazioni sono sempre in movimento da qualche parte : in queste condizioni non potevano nascere grandi civiltà.

Pare evidente quindi che questa sia la spiegazione più ovvia della mancanza di grandi civiltà negre.

Effettivamente nella media i neri di America si trovano (o si trovavano fino a qualche anno fa ?) a un livello medio più basso degli altri gruppi. Il fatto può essere spiegato storicamente e sociologicamente in modo semplice e convincente. Il popolo degli USA è formato da persone che provengono da tanti paesi diversi ma sono tutti accomunati dalla "voglia di riuscire:": non si attraversa l'oceano per "tirare a campare". Cosi si è formata la " american way of life", la vivissima aspirazione al successo per una specie di selezione sociologica delle persone più attive e motivate. Sui neri americani hanno agito forze opposte. Trascinati a forza in un mondo assolutamente nuovo, non avevano alcuna possibilità di emergere perchè in stato di schiavitù. Perchè mai avrebbero dovuto impegnasi nel lavoro? Per far più ricchi i propri padroni? Era certamente meglio cercare ogni scusa per lavorare il meno possibile. A un certo punto, finita la schiavitù, non era certo possibile che essi assorbissero di colpo una cultura dl lavoro del tutto antitetica, soprattutto perchè erano continuamente e fortemente discriminati. Alcuni lo fecero comunque rapidamente, altri invece si sono attardati: la cultura di un gruppo si forma lentamente ma ancor più lentamente si perde. Certamente quando, in particolare dai tempi di Kennedy, i neri d’America hanno avuto più reali possibilità, essi vanno dimostrando sempre di più di entrare nell’etica del lavoro e della riuscita come gli altri americani.

Per quanto riguarda il QI: un tempo si riteneva che misurasse effettivamente l'intelligenza ma ormai tutti concordano che esso misura le effettive conoscenze dovute all'educazione: è quindi del tutto ovvio che i ceti meno colti riescono anche meno nei QI, senza che questo significhi che geneticamente siano meno capaci ma solo che sono meno colti.

Per quanto riguarda il razzismo americano contro i neri noteremmo pure che esso è sempre stato un fenomeno limitato a una parte relativamente piccola dell'America, quella della vecchia "cotton belt", e comunque è stato combattuto non solo dai neri ma anche dalla grande maggioranza dei bianchi.

Credo pure che il razzismo sia quanto di più lontano si possa pensare dalla "american way of life" : non per niente il termine "yankee" fu usato proprio per prima negli stati del sud per indicare i nordisti.

Il sud infatti rappresentava una società agricola patriarcale, molto più vicina alla parte più arretrata dell'Europa che allo spirito del West e del nord industriale e liberista.

Credo pure che la difficoltà della lotta al razzismo risiede proprio nella tradizione democratica degli USA: infatti ogni comunità ha una sua gelosa autonomia: quindi il razzismo predominante in una certa zona è molto difficile da sradicare. Infatti Kennedy a proposito dell'Università dell'Alabama dovette fare una specie di "colpo di stato legale" nazionalizzando la guardia nazionale.

ANTISEMITISMO

L’antisemitismo è un  tipo di razzismo che si segnala per la sua assoluta mancanza di fondamento e di razionalità.

Premettiamo che antisemitismo è cosa del tutto diversa dall’antiebraismo dei secoli precedenti: esso consiste nella avversione a un popolo considerato una razza, per motivi biologici-genetici, non culturali. Non ha rilevanza il fatto religioso e culturale. Un ebreo rimane un ebreo anche se si converte al cristianesimo e anche se, caso molto frequente, non segue nessuna religione.

Come abbiamo prima mostrato il razzismo non manca di basi fattuali e logiche anche se abbiamo poi mostrato che esso non regge a una analisi più approfondita. L’antisemitismo invece appare semplicemente una sequela di grossolani errori e fantasie infondate di contraddizioni logiche di cui di seguito evidenzo le più importanti.

POPOLO EBRAICO:  gli Ebrei non possono considerarsi geneticamente un popolo, e il fatto risalta immediatamente agli occhi. Infatti gli Ebrei hanno caratteri somatici simili ai popoli presso i quali hanno convissuti (biondi nel nord, bruni nel sud, addirittura "negri" i Falascià dell’Etiopia), a dimostrazione dello scambio genetico. E d’altra parte bisogna anche ritenere che, per le conversioni di Ebrei al cristianesimo, anche i non Ebrei hanno qualche antenato ebreo.

SEMITI: Il termine non indica solo gli Ebrei: deriva da un personaggio biblico, Sem, uno dei figli di Noè e indica nella Bibbia e poi anche nel mondo moderno tutta una serie di popoli che parlano una certa famiglia di lingue. Sono semiti non solo gli Ebrei ma la maggior parte dei popoli che abitano o abitarono il Medio Oriente (Arabi, Assiri, Fenici). Non si può nemmeno affermare che formino una razza (non hanno caratteri somatici peculiari) ma sono popoli di razza bianca che parlano una determinata famiglia di lingue.

ARIANI: il termine usato in contrapposizione a semita non ha senso: esso indicava gli invasori bianchi che, ad ondate, si riversarono sull’India gia abitata dai Dravidi, popoli di carnagione molto scura. Nel mondo moderno qualche volta può indicare coloro che parlano lingue cosi dette indo-europee (della stessa famiglia cioè del sanscrito parlato dagli Ari). Ma in ogni caso gli indoeuropei non possono in nessun caso identificarsi con gli europei: anche i Persiani, i Curdi, la maggior parte degli abitanti dell’india e perfino gli zingari parlano lingue indo-europee.
Restringere poi come spesso viene fatto dal nazismo il concetto di ari ai soli europei nordici (di caratteri germanici) è del tutto arbitrario Gli stessi tedeschi appartengono solo in parte al tipo nordico (alto e biondo) idealizzato dal nazismo e che è invece molto più prevalente nei popolo baltici. Lo stesso Hitler aveva un aspetto molto più mediterraneo: poteva sembrare essere un ebreo anzi secondo alcuni aveva effettivamente un nonno ebreo.

Giovanni De Sio Cesari
( http://www.giovannidesio.it/ )

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