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CAPITOLO SECONDO
Lo spirito libero

 

24.
O sancta semplicitas! In mezzo a quale strana semplicità, in quale falsità, vive l'uomo! Non si finisce di meravigliarsene quando si è giunti ad intravedere un tale prodigio. Come abbiamo saputo rendere intorno a noi tutto chiaro e libero e facile e semplice! come abbiamo saputo concedere ai nostri sensi un passaporto per ogni superficialità, al nostro pensiero uno slancio divino verso i salti capricciosi e le conclusioni sbagliate! -- come abbiamo saputo fin dall'origine conservarci la nostra ignoranza per godere d'una libertà, d'una sconsideratezza, d'un' imprevidenza, d'una sicurezza, d'una serenità della vita, appena concepibili ; in breve per godere la vita! Ed è su queste basi solide ed incrollabili dell'ignoranza che la scienza ha potuto fino ad oggi posarsi, la volontà di sapere sopra la base d'una volontà ben più potente: la volontà del non sapere, dell'incertezza, della menzogna! Non già come suo contrapposto, ma piuttosto come un suo raffinamento ! Per quanto il linguaggio, il quale qui, come in altri casi, non sa liberarsi dalla sua goffaggine e continua a parlarci di contrapposti, dove non c'è che differenza di gradazione e di raffinamento; e l'innata tartuferia della morale, la quale oramai ci è penetrata irremissibilmente nelle carni e nel sangue ci scambino le parole in bocca! di quando in quando ce ne accorgiamo e ne ridiamo fra noi al pensiero che la migliore delle scienze cerca di trattenerci in questo mondo semplificato, interamente artificiale, scientemente alterato e falsato, e come anch'essa volontariamente od involontariamente ami l'errore perché anch'essa, la vivente, ama la vita!

25.
Dopo un'introduzione così allegra non si voglia lasciar inascoltata una parola seria: essa è diretta ai più seri tra i seri! Guardatevi bene, o filosofi ed amici della scienza, dal diventar martiri ! Dal soffrire per la causa del « vero » ! E guardatevi anche da difendere voi stessi ! Ciò prorompe l'innocenza, la delicata neutralità della vostra coscienza, vi rende cocciuti contro le obiezioni e le pezzuole rosse, vi imbellisce, vi abbrutisce quando voi nella lotta col pericolo, colla calunnia, colla diffidenza, colla rejezione, insomma con tutte le peggiori conseguenze dell'inimicizia foste costretti a rappresentare la parte dei difensori della libertà sulla terra : - come se la verità fosse una «
persona» tanto ingenua e mal destra da abbisognare di difensori! Ed appunto voi, miei cavalieri dalla triste figura, fabbricatori e spacciatori di ragnatele dello spirito, voi lo sapete molto bene che nulla deve importare se proprio voi piuttosto d'un altro, avete ragione, che nessun filosofo alla lunga ha auto ragione, e che c'è maggior verità in ogni punto interrogativo, che voi mettete dopo certe vostre parole e certe frasi preferite (ed all'occasione anche dietro voi stessi) che in tutti gli atteggiamenti solenni di cui vi fate belli dinanzi agli accusatori ed alle corti di giustizia! Scostatevi piuttosto! Nascondetevi ! E sappiate portar bene la vostra maschera, affinché non vi si possa riconoscere! O perché vi si tema un pochino! E non mi dimenticate il giardino, il giardino coi suoi cancelli dorati ! E circondatevi di persone che siano come un giardino, - oppure rassomiglino ad una musica ai disopra delle acque, quando si avvicina la sera, ed il giorno non è già più che un ricordo: -- cercate la buona solitudine, quella solitudine libera, gaia, leggera che vi permette di restar buoni in un senso o nell'altro ! Quanto velenosi, astuti, cattivi ci rende ogni guerra, che non può esser combattuta apertamente con la forza! Quanto personali ci rende una paura a lungo provata, un lungo spiare le mosse del nemico, o dei possibile nemico! Questi paria della società, lungamente perseguitati, a cui si dà inesorabilmente la caccia - questi eremiti per necessità quali gli Spinoza, i Giordano Bruno finiscono per diventare, anche sotto la maschera più intellettuale, e forse senza ch'essi stessi lo sappiano, degli assetati di vendetta raffinati, degli avvelenatori (si disseppellisca una buona volta la base dell'etica e della teologia di Spinoza) - senza parlare di quella insulsaggine che é l'indignazione morale, la quale nel filosofo è un indizio, ch'egli ha già perduto la sua serenità filosofica. Il martirio del filosofo: il suo « sacrificio per la verità » mette a nudo quanto c'é in lui del demagogo e del commediante; e, posto che sino ad ora lo si sia riguardato con una specie di curiosità artistica, non é difficile comprendere come talvolta si desideri vederlo anche nella sua "degenerazione" (degenerato come martire, come strillone della tribuna o del palcoscenico). È vero però che provando un tal desiderio, bisogna saper chiaramente, ciò che si potrà vedere: - nient'altro che un divertimento satirico, una farsa finale, nient'altro che l'incessante prova che la lunga tragedia, propriamente detta, è finita; ammesso che ogni filosofia nel suo formarsi sia stata una lunga tragedia.

26.
Ogni uomo eletto tende instintivamente a cercarsi un nido dove si senta al sicuro dalla massa, dal vulgum pecus; dove possa dimenticare I' "uomo medio" che é la regola per sentire se stesso quale un'eccezione: - escluso il caso, che da un istinto ancor più forte venga sospinto direttamente verso quella «regola», come un veggente in senso sublime ed eccezionale. Colui che al contatto cogli uomini non é passato per tutti i colori della miseria, e diventa volta a volta verde o grigio per la ripugnanza, per la nausea, per la compassione, per il pessimismo che é frutto della solitudine, non é certamente un uomo di gusti superiori: ma ammesso ch'egli non prenda sopra di sé volontariamente il pondo e la noia di tutto ciò, che tenti di sottrarvisi con ogni cura, e resti nascosto silenzioso ed altero nella sua rocca, ebbene, una cosa è certa, ch'egli non é nato, non è predestinato alla conoscenza delle cose. Imperocchè, se così fosse, un bel giorno dovrebbe dirsi "al diavolo il mio buon gusto, la regola è più interessante delle eccezioni - di me, che sono l'eccezione », e discenderebbe nella folla, anzi vi si spingerebbe ben addentro: lo studio dell'uomo mediocre, studio lungo, serio, che per esser
completo esige molta simulazione, abnegazione, confidenza e cattive compagnie - ogni compagnia che non sia quella dei suoi pari è cattiva - forma parte integrante della Storia della vita di ogni filosofo, forse la parte più ingrata, la più nauseante, la più ricca di disinganni.
Ma se egli é fortunato, come si conviene ai beniamini della scienza, egli troverà sul suo cammino chi gli abbrevierà e gli faciliterà il suo compito intendo dire i cosiddetti cinici, i quali in se riconoscono senz'altro l'animale, la volgarità, la "regola", ma possiedono anche oltre ciò un sufficiente grado di spirito e uno stimolo che li costringe a parlare di se stessi e dei loro simili dinanzi a testimoni: talora persino nei libri si mostrano avvoltolati nel proprio fango. Il cinismo è la sola forma - sotto la quale le anime volgari rasentino l'onestà; e l'uomo superiore ogni qualvolta si trova dinanzi ad un cinismo rozzo o raffinato deve aprire le orecchie e dirsi avventurato se per lui il commediante svergognato od il satiro della scienza, gli riveleranno il loro intimo pensiero.
Vi sono persino dei casi, in cui alla nausea si aggiunge un'attrattiva; nei casi cioé, dove per un capriccio della natura in un simile capro e scimmiotto indiscreto ha preso stanza il genio, come nell'abate Galiani - l'uomo più profondo, più arguto e forse anche più sozzo del suo secolo - molto più profondo di Voltaire e per conseguenza anche molto meno parolaio. Avviene abbastanza, spesso, come abbiamo accennato, che una testa di scienziato si trovi attaccata ad un corpo di scimiotto, un'intelligenza superiore ad un'anima volgare; per i medici ed i fisiologi moralisti un fatto non raro.
Ed ogni qualvolta taluno parli senza acredine, ma ingenuamente dell'uomo come d'un ventre che ha due bisogni e d'una testa che ne ha uno solo; e scorga o voglia scorgere nella fame, negli appetiti sessuali, nella vanità le vere ed uniche molle di ogni umana azione; in breve, dove si parla "male" dell'uomo - anche se non « a fin di male » l'amico della conoscenza deve ascoltare attentamente, anzi deve sempre tender l'orecchio dove si parla senza indignazione. Giacchè l'uomo indignato, colui che si lacera le carni con i propri denti (o si avventa contro il mondo, Dio o la società) potrà forse, secondo i criteri della morale, stare più in alto del satiro ridente e soddisfatto di sé stesso; ma in ogni altro senso egli ci rappresenta il caso più comune, più indifferente e meno istruttivo. E nessuno mentisce tanto quanto l'uomo indignato.

27.
È difficile esser compresi, principalmente quando si pensa e si vive « gangasrotogati » in mezzo ad uomini che pensano e vivono diversamente, vale a dire « Kurmagati » o tutt'al più « a salto di rana », « mandeikagati » - vedete che faccio ancor io il possibile per esser difficilmente compreso? - e bisogna esser riconoscenti di tutto cuore a chi dimostra la buona volontà d'interpretarci con qualche finezza. Ma per ciò che concerne i « buoni amici », i quali amano troppo i propri comodi e nella loro qualità d'amici credono aver un diritto alla comodità, si farà bene d'accordar loro fin dal principio un posto per lo sfogo dei loro malintesi: così si avrà occasione di ridere; oppure d'abolirli del tutto, codesti buoni amici e rideremo ugualmente!

28.
Ciò che d'una lingua più difficilmente si lascia tradurre in un'altra è il « carattere» del suo stile; il quale ha le sue basi nell'indole della razza, o per parlare più fisiologicamente nel « carattere medio del suo processo di assimilazione ». Vi sono delle traduzioni fatte coscienziosamente, che sembrano quasi contraffazioni involontarie e grossolane dell'originale, unicamente per ciò che non si poté tradirne anche il « carattere » allegro e vigoroso, il quale aiuta a sorvolare su tante cose e parole pericolose. II tedesco e quasi incapace del « presto » nella propria lingua, dunque, come si può arguire facilmente, anche di molte tra le più deliziose ed ardite « nuances » del pensiero libero e indipendente. Nello stesso modo che il buffo ed il satirico sono estranei alla sua indole, così Aristofane e Petronio per lui sono intraducibili.
Tutto ciò che v'ha di grave, di pesante, di solennemente goffo, tutti i generi noiosi dello stile hanno preso tra i tedeschi uno sviluppo esuberantemente rigoglioso ; mi si permetta constatare il fatto, che persino la prosa del Goethe, nel suo miscuglio di
gravità e d'eleganza, non forma un'eccezione alla regola, riflettendo anch'essa la vita del « buon tempo antico » al quale appartiene, ed essendo l'espressione del « gusto tedesco » ad un tempo che un gusto tedesco, ancora esisteva; gusto « rococò » in moribus et artibus. Lessing forma un'eccezione, grazie alla sua indole da attore drammatico, la quale sapeva e comprendeva molte cose; egli che non per nulla fu il traduttore del Bayle e si tratteneva volentieri nella vicinanza di Diderot e Voltaire, ed amava ancora più rifugiarsi tra gli autori comici romani; Lessing anche nel « carattere » cercava il liberalismo, la fuga della Germania. Ma in qual modo la lingua tedesca potrebbe mai imitare, foss'anche nella prosa d'un Lessing, il « carattere » di Machiavelli, il quale, nel suo « Principe », ci fa respirare l'aria fine e asciutta di Firenze e che non può fare a meno di esporci le cose più gravi con un irrefrenabile «allegrissimo» ; forse non senza un sentimento malizioso d'artista che conosce tutto l'ardimento d'un simile contrasto, pensieri lunghi, difficili, rudi, pericolosi e un « tempo » da galoppo, insolentemente capriccioso. Chi infine si attenderebbe a tradurre in tedesco Petronio, il quale, più di qualsiasi altro grande musicista, sinora fu il maestro del « presto » nelle invenzioni, nelle idee, nelle espressioni! - Che cosa può importarci alla fine di tutto il fango di questo mondo ammalato, cattivo, ed anche del mondo « antico », quando si possiede, al pari di lui, le ali ai piedi, il respiro, lo scherno liberatore d'un vento, che mantiene sana la gente, perché la fa correre! In quanto ad Aristofane, questo spirito che trasfigura e completa, in grazia del quale si perdona a tutto l'ellenismo d'aver esistito (ammesso che si arrivi a comprendere ben profondamente quanta parte del medesimo abbia bisogno d'essere perdonata e trasfigurata) - nulla saprei che più m'abbia reso meditabondo sul conto della natura misteriosa di Platone, di quel « petit fait » che ci fu tramandato dalla storia; vale a dire che sotto al guanciale del suo letto di morte non si trovò alcuna « bibbia », niente d'egiziano, di pitagorico, di platonico, bensì le opere d'Aristofane. Come mai un Platone avrebbe potuto vivere - d'una vita greca, della quale egli voleva essere la negazione senza un Aristofane ?!

29.
È ventura di ben pochi l'essere indipendenti; e un privilegio dei forti. E chi tenta d'esserlo, anche a buon diritto, ma senza esservi obbligato, dimostra con ciò che probabilmente egli non é solamente forte, ma benanco audace fino alla temerità. Egli si caccia in un labirinto, egli centuplica i pericoli che la vita arreca di per sé; dei quali non é certamente il minore quello, che nessuno vede come e quando egli abbia smarrito la via, e com'egli venga sbranato lentamente da qualche minotauro della coscienza. Quando un simil essere rovina irremissibilmente, il fatto succede tanto lontano dalla comprensibilità degli uomini, che essi non possono averne sentore e provarne pietà - ed egli non può più tornare indietro! - egli ha perduto anche il diritto alla compassione degli uomini.

30.
Le nostre convinzioni più elevate devono forzatamente parere stoltezze e talvolta anco delitti alle orecchie incapaci e non predestinate ad intenderle. L'exoterico e l'esoterico; secondo la distinzione filosofica in uso presso gl'Indiani, i Greci, i Persiani, i Musulmani, in breve dappertutto dove si credeva ad una gerarchia, e non già ad una uguaglianza a diritti uguali, -non differiscono tra loro unicamente perché l'exoterico sta al di fuori e dal di fuori, e non già dal suo interno, vede, valuta, misura e giudica; l'essenziale si è che egli vede le cose dal basso in alto, - invece l'esoterico le vede dall'alto in basso! L'anima può raggiungere certe altezze, osservata dalle quali anche la tragedia perde la sua forza tragica; e concentrando in uno solo tutti i dolori dell'universo, chi oserebbe affermare con sicurezza, che la vista d'un tanto dolore indurrebbe necessariamente alla compassione ed in tal modo ad un raddoppiamento del dolore?...
Ciò che serve di alimento o di ristoro alla specie degli uomini superiori, dev'essere quasi un veleno per gli uomini inferiori, d'una specie assai differente. Le virtù d'un uomo volgare in un filosofo potrebbero significare vizi o debolezze; potrebbe darsi che un uomo d'una specie superiore col degenerare e coll'andare in
perdizione acquistasse appunto con ciò delle qualità, per le quali si dovesse ritener necessario, nel basso mondo nel quale fosse caduto, di venerarlo come un santo.

Vi sono dei libri, i quali per l'anima e per la salute possiedono un valore inverso, a seconda che l'anima inferiore, la forza vitale inferiore, oppure l'anima superiore e più potente se ne servono; nel primo caso quei libri sono pericolosi, corruttori, dissolventi, nel secondo sono squilli d'araldo che invitano i più valorosi a entrare in lizza per mostrare la propria bravura.
I libri alla portata di tutti emanano sempre un cattivo odore, l'odore della gente minuta. Dove il popolo mangia e beve, e persino dove adora, é inevitabile la puzza. Non bisogna andar nelle chiese, se si vuol respirare l'aria pura.

31.
Alla venerazione ed al disprezzo della gioventù manca quell'arte della «nuance» che e il miglior beneficio della vita; bisogna quindi pagar assai caro più tardi, d'aver così giudicato uomini e cose con un o un no. Tutto e disposto in modo, che il peggiore di tutti i gusti, quello dell'incondizionato, debba esser atrocemente mistificato prima che l'uomo impari a condire d'un po' d'arte i suoi sentimenti e si veda quasi ridotto a preferire l'artifizio, come sogliono fare i veri artisti della vita. Sembra quasi che lo sdegno e la venerazione che sono propri della gioventù non si diano pace sino, a tanto che non abbiano falsato la visione degli uomini e delle cose in modo da giustificare la propria foga; - già per se stessa la gioventù e qualcosa di snaturante e d'ingannevole.
Più tardi, quando la giovane anima, martoriata da incessanti disinganni, finisce col richiudersi sospettosa in sé stessa, ancor sempre appassionata e selvaggia, malgrado i sospetti ed i rimorsi, oh! come allora si sente adirata contro se stessa, come si sbrana con impazienza, quasi a vendicare su se stessa il proprio lungo accecamento, come se l'accecamento fosse stato volontario!
Durante questa transizione ci si castiga da sé stessi, mediante la sfiducia nel proprio sentimento; si tormenta il proprio entusiasmo col dubbio, e persino nella propria buona coscienza si scorge un pericolo, un adombramento, una rilassatezza della vera onestà; ed anzitutto pigliamo partito, per principio contro la « gioventù ». - Un decennio più tardi si comprenderà che anche tutto ciò non era che « gioventù! ».

32.
Durante il periodo più lungo della storia umana - conosciuto col nome di tempi preistorici - il merito od il demerito di un'azione si giudicava dalle conseguenze ch'essa arrecava: l'azione, per se stessa, come pure l'origine della medesima, non si prendeva in considerazione, ma nello stesso modo all'incirca, come usasi ancora presentemente in Cina, il merito od il disonore dei genitori si tramandava ai figli. Similmente l'azione retroattiva delle conseguenze di un fatto, portava gli uomini a pensar bene o male di questo fatto.
Chiameremo questo periodo il periodo premorale dell'umanità: l'imperativo «conosci te stesso!» era allora ancor ignoto. Invece negli ultimi dieci millenni in alcune parti principali della terra si é arrivati progressivamente a questo: non si giudica più dalle conseguenze; per decidere del valore d'un fatto, se ne considera l'origine.

E questo é di per sé un grande progresso la vista si precisa, si affina lo sguardo - azione incosciente dei predominio dei valori aristocratici, della fede « nell'origine », caratteristica d'un periodo che in un senso più ristretto si può chiamare « morale»: ecco il primo tentativo di conoscer sé stessi. Invece delle conseguenze le cause: quale inversione della prospettiva! E per certo un'inversione ottenuta dopo lunghe lotte e titubanze! Certo : un, nuovo e fatale pregiudizio, una singolare angustia d'interpretazione acquistò con ciò il potere, s'interpretò nel senso il più determinato l'origine d'un azione essere derivante da un'intenzione e si credette fermamente che il valore di un'azione riposasse nel valore dell'intenzione.
L'intenzione sarebbe tutta l'origine, tutta la storia di un'azione: si può asserire che sotto il dominio di questo pregiudizio sino ai tempi più recenti sulla nostra terra si é moralmente lodato, biasimato, giudicato ed anche filosofato. - Ma non ci troviamo noi forse posti oggi dinanzi alla necessità di deciderci per una nuova inversione, per un nuovo spostamento dei valori - non stiamo noi per avventura sulla soglia d'un periodo negativo, che
potrebbe definirsi un periodo extramorale?
Oggi, quando almeno in noi, immoralisti, si desta il sospetto, che precisamente in ciò, che in un atto é privo d'intenzione, risieda il suo vero valore e che ogni intenzione, é tutto ciò che come tale possa esser intraveduto, risaputo, conosciuto, sia un accessorio superficiale, e quasi la buccia dell'atto stesso - la quale permette d' intravvedere qualche cosa, ma nasconde molto di più? In breve, noi crediamo che l'intenzione non sia che un indizio ed un sintomo che abbisogna dell'interpretazione, di più un indizio che può significare molte cose e in conseguenza nulla per sé stesso, - che la morale, nel senso finora attribuitole, quale morale di intenzioni sia un pregiudizio, una cosa precipitata, provvisoria, qualche cosa sul genere dell'astrologia e dell'alchimia, ma in ogni modo qualche cosa che debba esser debellata. Il tentativo di debellare la morale, in un certo senso, anche la vittoria riportata su sé stessi dalla morale; possa esser questo il titolo del lungo lavoro segreto che fu riservato alle più sottili, alle più oneste ed anche alle più maligne coscienze di oggidì, quali viventi pietre dei paragone dell'anima.

33.
Non vi é rimedio; é inesorabilmente necessario fare il processo ai sentimenti d'abnegazione, di sacrificio per il prossimo, a tutta la morale altruistica: così pure all'estetica della « contemplazione disinteressata che serve in oggi a mascherare in modo ancor troppo seducente l'effeminatezza dell'arte. C'é troppo incanto di seduzione e troppa dolcezza in questo sentimento « tutto per gli altri » e « niente per me », perché non si debba sentir il bisogno d'esser doppiamente diffidenti e di domandare: « non si ha forse con ciò lo scopo di sedurre? » - Che tali sentimenti piacciano a colui che li ha e a chi ne fruisce, od anche al semplice spettatore - codesta non è ancora una buona ragione, anzi ciò invita ancor maggiormente alla prudenza. Siamo dunque prudenti!

34.

Da qualsiasi punto di vista della filosofia si voglia considerare il mondo in cui crediamo di vivere, la cosa più sicura e più stabile che il nostro occhio possa percepire e la sua erroneità; - in conferma di ciò militano molte ragioni le quali vorrebbero indurci a congetturare che un principio ingannevole si trovi nell' «essenza delle cose» .
Ma chiunque rende responsabile della falsità dei mondo il nostro stesso pensiero ossia « lo spirito », -- scappatoia onorevole per ogni « advocatus dei », cosciente od incosciente, chiunque considera questo mondo, con lo spazio, il tempo, la forma il movimento come falsamente dedotto, avrebbe buone ragioni per imparare finalmente a diffidare del pensiero stesso; non ci avrebb'egli forse giocato fin qui la più brutta delle sorprese? E quale garanzia avremmo noi, ch'esso non continui a fare ciò che ha sempre fatto fin qui? Ma sul serio: l'ingenuità dei pensatori ha in sé qualche cosa di commovente che ispira rispetto, quell'ingenuità che permette loro anche ai nostri giorni di porsi in faccia alla propria coscienza per pregarla di dar loro delle risposte « sincere », per esempio, se essa é reale, perché con tanta risolutezza cerca di tener lontano da sé il mondo esteriore. Il credere nelle « certezze immediate » é un'ingenuità morale che fa onore a noi filosofi: ma é venuto il tempo di non essere soltanto uomini morali! Astraendo dalla morale, quella credenza é una stolidità che ci fa poco onore! Ammesso pure che nella vita borghese la diffidenza sempre desta possa essere un indizio di « cattivo carattere », e sia per conseguenza una cosa imprudente: qui tra noi, oltre i confini del mondo borghese e dei suoi « si e « no » - che cosa può mai impedirci d'essere stolidi e di dire: il filosofo ha il diritto d'avere « un cattivo carattere » perché é l'essere che più di ogni altro sulla terra é stato canzonato! Oggi egli ha il dovere d'essere diffidente e di guardar di sbieco rintanato negli abissi dei sospetto. - Mi si perdoni questo scherzo; giacché io stesso ho imparato a pensar diversamente per quanto concerne l'ingannare e l'esser ingannato e saprei distribuire dei buoni colpi se dovessi esser colto dal furor cieco dei filosofi che non vogliono esser ingannati.

E perché no ? Che la verità valga di più dell'apparenza non é che un mero pregiudizio morale: anzi é la supposizione la meno provata che ci sia. Abbiamo il coraggio di confessare a noi stessi che nessuna vita potrebbe esistere se non fosse basata sulle valutazioni e sulle apparenze prospettiche; e se mai col virtuoso od imbecille entusiasmo di taluni filosofi si volesse del tutto abolire il « mondo apparente » ; ebbene, anche ammesso che voi lo poteste - della vostra stessa « verità » non resterebbe un bel nulla! Eppoi, che cosa ci obbliga infine ad ammettere che esista una contraddizione essenziale tra il « vero » ed il « falso » ? Ma é sufficiente ammettere dei gradi d'apparenza, ombre più o meno cupe, - dei differenti « valori » per adoperare il linguaggio dei pittori ! perché mai il mondo, che ci riguarda --- non dovrebbe essere una finzione? Ed a chi obietta: « ma per ogni finzione si richiede un autore» non si potrebbe forse rispondere francamente: Perchè ? Codesto « si richiede » non potrebbe essere una finzione esso pure? Non é forse permesso d'esser un po' ironici verso il soggetto, come pure verso il predicato e l'oggetto? Non é forse permesso al filosofo di non credere nella grammatica? Ho tutta la stima per le governanti, ma non sarebbe giunto il momento di rinunziar a giurare nel loro verbo?

35.
Olh! Voltaire (oh umanità! Oh imbecillità!). La < verità la ricerca del « vero » non é cosa facile; e se l'uomo in ciò procede troppo umanamente -- "il ne cherche le vrai que pour faire le bien" - ci scommetto che finirà col non trovar nulla.

36.
Ammesso che null'altro ci sia « dato di reale all'infuori del nostro mondo di brame e di passioni, e chi noi non possiamo raggiungere nessun'altra « realtà » che non sia quella dei nostri istinti -- giacche il pensare non é altro che il rapporto dei vari istinti tra di loro -; perché non sarebbe permesso di fare una prova e di domandare se codesto dato non sia sufficiente per comprendere da noi stessi anche il mondo cosiddetto meccanico (o « materiale »)?
Non intendo già di comprendere l'universo come una "illusione" -, una apparenza», una « rappresentazione » (nel senso di Berkeley e di Schopenhauer) ma come una realtà simile a quella delle nostre passioni come una forma più primitiva del mondo delle passioni, nel quale tutto ancora é racchiuso in una potente unità, per diramarsi e trasformarsi poi (e come é naturale assottigliarsi e indebolirsi) mediante il processo organico - una specie di vita istintiva, nella quale tutte le funzioni organiche, l'assimilazione, la nutrizione, l'eliminazione, il ricambio sono ancor collegate sinteticamente come una forma primaria della vita.
Non é soltanto permesso di tentare questa prova; é anzi imposto dalla coscienza del metodo. Di non accettare molte specie di causalità, sino a tanto che il tentativo di riuscire con una sola non sia spinto sino all'estremo limite (sino all'assurdo, sia detto con licenza): é questa la morale del metodo, alla quale oggidì é impossibile sottrarsi ; -- é una conseguenza della sua «definizione» come direbbe un matematico. La questione in fin dei conti sta in ciò, se noi proprio riconosciamo la volontà come efficiente, se crediamo alla causalità della volontà ed in sostanza questa credenza é la credenza alla causalità stessa - noi dobbiamo tentare di ammettere ipoteticamente la causalità unica della volontà. La "volontà" é ben naturale non possa agire che su altre "volontà" e non già sulla « materia » (per esempio sui nervi): in breve, bisogna avere il coraggio di ammettere l'ipotesi che, dovunque si riconoscono degli « effetti » si tratti d'una volontà che agisca su d' un'altra volontà - e che tutto il « divenire » meccanico in quanto sia dovuto ad una forza attiva, non sia altro che forza di volontà, effetto di volontà. -- Supposto, infine che si riuscisse a spiegare tutta la nostra vita effettiva come un'evoluzione ed una diramazione di un'unica forma fondamentale della volontà, - vale a dire della volontà di dominare, come io sostengo; -- supposto che si potessero ricondurre tutte le funzioni organiche a codesta volontà del dominare, e in essa si potesse scoprire anche la soluzione dei problema della generazione e dell'alimentazione perché codesto é un problema, -- si avrebbe con ciò conquistato il diritto di poter determinare ogni forza agente con un'unica definizione: la volontà della dominazione. Il mondo visto dall'interno, il mondo determinato e definito nel suo « carattere intelleggibile » - sarebbe per l'appunto la « volontà della dominazione » e nient'altro che ciò.

37.
Ma come? In lingua povera non significherebbe ciò: Iddio é confutato, ma il diavolo non lo é? -- al contrario ! Al contrario, amici miei! E del resto chi diavolo vi obbliga a parlare in lingua povera ?

38.
La sorte toccata, al sole dei tempi moderni, alla rivoluzione francese, farsa terribile e inutile, se considerata da vicino, ma nella quale in tutta Europa gli spettatori sentimentali e generosi s'industriarono a scoprire sì a lungo e con tanto appassionamento l'interpretazione dei propri sdegni e dei propri entusiasmi, sino a tanto che il testo scomparve sotto l'interpretazione: potrebbe toccare ai nostri posteri, di comprendere cioè falsamente tutto il passato, e di renderne forse in tal guisa sopportabile l'aspetto. - O piuttosto: non é questo di già avvenuto? non fummo noi stessi - codesti « posteri generosi » ? E tutto ciò non scompare forse a seconda che incominciano a comprendere.

39.
Nessuno ritiene per vera una dottrina unicamente perché essa ci rende felici o virtuosi : eccettuati i graziosi idealisti che spasimano per il buono, per il vero, per il bello e che nel proprio stagno fanno sguazzare i desideri di ogni specie, goffi ed ingenui. Felicità è virtù non sono argomenti. Ma d'altro canto si dimentica molto volentieri, dalle menti ponderate, che anche il render infelici e cattivi non sono argomenti da contrapporre. Una cosa potrebbe essere vera, anche se dovesse essere pericolosa nel massimo grado; essere cioé una condizione fondamentale della esistenza, quella di dover perire per aver raggiunto la piena conoscenza delle cose, di modo che la robustezza d'una mente si misurerebbe dal grado di « verità » che é stata capace di sostenere, o per parlare più chiaramente, dal grado sino a cui è stata obbligata a rarefarla, a raddolcirla, ad intorbidirla, a falsarla.
Ma è fuor di dubbio, che per la scoperta d'alcune parti della verità i cattivi e gli infelici sono maggiormente privilegiati ed hanno una maggior probabilità di riuscita; senza parlare dei cattivi che sono felici, - una specie che dai moralisti viene passata sotto silenzio. Forse che la durezza e l'astuzia sono condizioni più favorevoli alla formazione d'uno spirito robusto ed indipendente nel «filosofo» di quanto lo possono essere la bonarietà e l'arte mollemente arrendevole del prender alla leggera le cose, arte che si ammira e si pregia, e con diritto, in uno scienziato. Ammesso, anzitutto, che non si restringa il concetto « filosofo » unicamente a quel filosofo che scrive dei libri - o peggio ancora, che stempera nei libri la propria filosofia! Un ultimo tratto per completare la figura del filosofo liberale ce lo fornisce Stendhal ed io non tralascierò di sottolinearlo per riguardo al gusto tedesco, - giacché esso é contrario al gusto tedesco: Pour être bon philosophe - dice quest'ultimo grande psicologo - il faut être sec, clair, sans illusions. Un banquer, qui a fait fortune, a une partie du caractére requis pour faire des découvertes en philosophie, c'est à dire pour voir clair, dans ce qui est ».

40.
Tutto ciò che é profondo ama mascherarsi ; le cose più profonde odiano anzi l'imagine e la similitudine. Non sarebbe forse appunto il contrasto la vera forma di travestimento preferita dal pudore d'un Dio? Una domanda invero degna d'esser fatta e sarebbe curioso se qualche mistico non avesse di già fatto un tentativo di questo genere. Vi sono dei procedimenti tanto delicati che si opera molto saggiamente nascondendoli sotto una maschera di brutalità per renderli irriconoscibili; vi sono delle azioni ispirate da tanto amore e da una sì esuberante generosità che ci invoglierebbero a caricare di legnate chiunque sia stato testimonio oculare delle medesime: con ciò la sua memoria si intorbiderebbe. Tutti conoscono l'arte d'intorbidire da sé stessi la propria memoria, di maltrattarla per potersi vendicare almeno di quest'unico complice delle loro azioni; - il pudore é ingegnoso. Non sono già le cose peggiori, delle quali maggiormente si ha vergogna; dietro una maschera non c'é soltanto la perfidia -- havvi anche tanta bontà nell'astuzia. Io potrei immaginarmi
benissimo che un uomo, che avesse da nascondere qualcosa di molto prezioso, di fragilissimo, potesse attraversare la vita colla brutalità, e la schiacciante rotondità d'una grande botte da vino: la delicatezza del suo pudore così esige. Un individuo, che è profondo anche nel proprio pudore, trova i suoi destini, le risoluzioni più importanti, su certe vie alle quali a pochi é dato di accedere, e la cui esistenza devono ignorare anche, gli amici più fidati : egli nasconde loro i suoi pericoli mortali, ed anche la riconquistata sicurezza della vita.
Un simile essere misterioso che istintivamente si serve della parola per tacere e dissimulare, ed é inesauribile nei mezzi di sottrarsi alle risposte, vuole ed esige che la sua maschera riempia al suo posto, il cuore e la testa dei suoi amici; e se anche egli non lo volesse, un bel giorno i suoi occhi s'aprirebbero ugualmente ed egli vedrebbe che, malgrado questo, non si conosce che la sua maschera, ed é bene che sia così. Ogni mente profonda abbisogna d'una maschera: di più ancora, intorno ad ogni spirito profondo si va formando senza cessare in corso di tempo una maschera, grazie all'interpretazione costantemente falsa, perché superficiale, di ogni sua parola, di ogni suo passo, di ogni segno di vita che da lui emani.

41.
Bisogna fornire a sé stessi la prova che si è destinati ad essere indipendenti, a dominare: e ciò a tempo opportuno. Non bisogna sfuggire a simili prove per quanto un tal giuoco sia pericoloso, giacché alla prova noi soli assisteremo quali testimoni, e non vi sarà alcun altro giudizio. Non legatevi mai ad alcuna persona: foss'ella pure la più amata, - ogni persona è una prigione, un vincolo. Non attaccatevi ad una patria: anche se fosse la più infelice e la più debole, - é già più facile staccare il proprio cuore da una patria vittoriosa. Non attaccatevi al sentimento della pietà: anche se lo doveste provare per uomini superiori di cui il caso vi avesse permesso di conoscere l'interno martirio e l'impotenze della difesa. Non alla scienza: per quanto essa possa allettarvi con le più mirabili scoperte, che in apparenza proprio a voi essa riserva. Non attaccatevi all'idea della vostra propria liberazione, della lontananza, dell'inaccessibilità dell'uccello, che vola sempre più in alto per vedere sempre di più al disotto di sè : - pericolo comune a chi vola. Non alle vostre proprie virtù, correndo forse il rischio che il vostro essere complesso divenga vittima d'una parte di voi stesso, per esempio, della vostra « ospitalità », ciò che tra i pericoli é il maggiore per le anime nobili e generose, le quali si dànno con una prodigalità indifferente e spingono la virtù della liberalità sino a tramutarla in un vizio. Bisogna sapere preservare se stessi : la prova più forte della indipendenza!

42.
Una nuova specie di filosofi sta per sorgere: io ardisco battezzarli con un nome che non è senza pericolo. Come io li indovino, in quanto essi stessi si lasciano indovinare - giacché é specialità dei filosofi, di voler restare sempre enigmatici in qualche cosa - questi filosofi dell'avvenire potrebbero a buon dritto, forse anche a torto, essere chiamati « tentatori ». Questo nome stesso non è infine che un semplice tentativo, e, se si vuole, una tentazione.

43.
Sono essi forse dei nuovi amici della «verità», codesti filosofi sorgenti? È probabile: giacché sino ad ora tutti i filosofi amavano le proprie verità. In tutti i modi essi non saranno dei dogmatici.
Dovrebbero sentirsi contrariati nel loro orgoglio, e nel loro stesso gusto, se la loro verità dovesse essere una verità alla portata di tutti : ciò che sinora era stato l'intimo desiderio ed il senso recondito di tutte le aspirazioni dogmatiche. « Il mio giudizio é mio: ed altri non potrà vantare, un diritto sul medesimo» almeno così dirà forse il filosofo dell'avvenire. Bisogna liberarsi dal cattivo gusto di voler andare d'accordo con molti.
« Bene» non suona più bene in bocca del vicino. E come mai potrebbe darsi un «bene comune» ? Questa parola contraddice se stessa: ciò che può essere comune, non può avere che un valore molto scarso. Infine le cose devono essere come sono e
come sempre sono state: le cose grandi riservate agli uomini grandi, le cose profonde ai profondi, le delicatezze ed i brividi ai raffinati e, in breve, tutto ciò ch'è raro agli esseri rari.

44.
È necessario che dopo di ciò io soggiunga ancora, che anche essi, i filosofi dell'avvenire, saranno degli spiriti liberi, molto liberi, e non saranno soltanto degli spiriti liberi, ma qualche cosa di più, di più elevato, di affatto diverso, che non può essere misconosciuto o scambiato?
Però mentre dico questo, sento, quasi altrettanto verso di loro, quanto verso di noi, che siamo i loro araldi, e precursori, noi spiriti liberi! --- il dovere di allontanare da noi di comune accordo un antico pregiudizio, un equivoco che purtroppo molto a lungo al pari d'una nebbia ha reso impenetrabile il concetto «spirito libero».
In tutti i paesi d'Europa e così pure in America vi è chi abusa di quel nome, vi è una specie di spiriti molto angusti incarcerati, incatenati, i quali vogliono ad un dipresso il contrario di ciò che sta nelle nostre intenzioni e nei nostri istinti, - senza dire che di fronte ai nuovi filosofi venturi, essi devono avere le porte ben chiuse e le finestre bene asserragliate. Essi appartengono, per dirla in breve, alla specie dei livellatori detti falsamente « spiriti liberi » ---- mentre altro non sono che schiavi eloquenti e bene versati nell'arte dello scrivere del gusto democratico e delle idee « moderne » che ne derivano; uomini tutti senza solitudine, senza la propria solitudine, ragazzi buoni e impacciati, ai quali non negheremo né il coraggio né i buoni costumi, ma che non sono uomini liberi, superficiali sino al ridicolo, anzitutto per la loro inclinazione fondamentale di scorgere nelle forme dell'attuale vecchia società la causa di ogni miseria umana e di ogni insuccesso: di modo che la verità si trova completamente invertita!

Essi tendono con tutte le loro forze alla verde uniformità dei pascoli, che forma la felicità delle greggi, che procura ad ognuno una vita sicura, scevra di pericoli, comoda e facile; e i cui ritornelli più noti sono l' uguaglianza dei diritti e la « compassione per tutte le sofferenze » -- che il soffrire per sè stesso viene da loro riguardato come cosa che dev'essere abolita.
Noi al contrario, che ci siamo fatti l'occhio e la coscienza per rispondere alla questione, dove e come sinora la pianta « uomo » sia cresciuta più rigogliosa, riteniamo che ciò sia sempre avvenuto in condizioni opposte e che sia stato sempre necessario l'aumento del pericolo fino all'enormità, che il genio d'invenzione e di dissimulazione dell'uomo (il suo < spirito >), sotto una pressione ed una costrizione prolungata si sia sviluppato in finezza e in audacia, che la sua volontà di vita si sia elevata fino alla volontà di potenza assoluta; - noi riteniamo che durezza, prepotenza, schiavitù, pericoli esterni ed interni, stoicismo, arti tentatrici e diaboliche di ogni specie, che tutto il male, ciò che v'ha di terribile, di tirannico, la brutalità degli animali rapaci, la perfidia del serpente, che s'incontra nell'uomo, che tutto ciò abbia ugualmente contribuito ad innalzare la specie «uomo» per lo meno quanto i contrapposti di tutto ciò: -- e dicendo questo, non diciamo ancora tutto, eppure col nostro parlare e col nostro tacere in questo punto noi ci ritroviamo al polo opposto di tutte le moderne ideologie ed aspirazioni pecorili: forse ne siamo agli antipodi! C'é da stupirsi se noi, .« spiriti liberi », non siamo forse i più loquaci? che non desideriamo di far trapelare ad ogni occasione da che cosa lo spirito può rendersi libero e verso che cosa egli potrà allora sentirsi più sospinto? E richiamandoci alla formula pericolosa dell' « al di là del bene e del male » con la quale noi ci preserviamo dal rischio d'essere scambiati con gli altri, noi ci sentiamo d'esser qualche cosa di diverso dai « libres perseurs », dai « liberi pensatori », o comunque amino appellarsi tutti codesti bravi avvocati delle «idee moderne» Siamo padroni, o per lo meno ospiti in molte ragioni intellettuali; rifuggenti sempre dai cantucci privi d'aria e snervanti nei quali s'affannano a spingerci le nostre simpatie e i nostri pregiudizi, la gioventù, la nascita, il caso, sia esso dovuto agli uomini od ai libri e persino la stanchezza d'un lungo pellegrinaggio, pieni di malignità contro gli allettamenti della dipendenza che si cela negli onori, nei danari, nei pubblici uffici o nell'esaltazione dei sensi: riconoscienti persino ai bisogni ed alle infermità, perché ci porsero ogni volta la possibilità di liberarci da qualche regola e dal « pregiudizio » che le è annesso, r
iconoscenti a tutti ciò che in noi é Dio e demonio, pecora e verme, curiosi, sino al vizio, investigatori sino alla crudeltà, con delle dita che tastano l'inafferrabile, dei denti e degli stomachi che sfidano ogni cibo più indigesto, pronti a qualunque opera, che richieda sagacità, pronti ad ogni ardimento grazie ad un eccesso di « libero arbitrio », con anime anteriori e posteriori, di cui nessuno può penetrare le ultime intenzioni, con fondi e doppi fondi che nessun piede giungerebbe a percorrere sino alla fine, sotto il mantello della luce, conquistatori, e quantunque ci si possa confondere, con degli eredi e degli scialacquatori, siamo ordinatori e raccoglitori da mane a sera, avari delle nostre ricchezze e dei nostri scrigni rigurgitanti, economi nell'apprendere e nel dimenticare, ingegnosi nell'inventar progetti, talora superbi delle nostre tabelle categoriche, talora pedanti talora gufi notturni del lavoro, anche in pieno giorno: sì, se fa bisogno, anche spauracchi - ed oggidì ce n'é bisogno; perché noi siamo gli amici nati, giurati e ardenti della solitudine, della nostra stessa più profonda solitudine, della mezzanotte e del meriggio - ecco quali uomini siamo noi spiriti liberi! e forse siete anche voi qualche cosa di tutto ciò, voi che verrete nell'avvenire! voi, i nuovi filosofi?

segue:

CAPITOLO TERZO
La mania religiosa > >


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