Quando ci fu la "Crisi di Cuba" lo smantellamento in Italia delle rampe di missili rivolte verso l'URSS,
fu il (segreto) prezzo pagato da Kennedy a Krusciov.


di Marco Brando


Palazzo Chigi, 44 anni fa, scelse di mantenere un terribile segreto: sui cinquanta megatoni ospitati nel Tacco d'Italia. La prova? « It clearly makes no sense to continue to classify the existence of the Jupiters and their locations, but the Italian Government seem to want it that way for political reasons » .
Lo scrisse il 18 settembre 1961 Alan G. James, funzionario dell'Ufficio per gli Affari europei del Dipartimento di Stato Usa, in un rapporto finora inedito.
Traduzione: « Non ha evidentemente senso continuare a mantenere segreta l'esistenza degli Jupiter e il loro dislocamento, ma il governo italiano sembra volere questo per motivi politici » .

Cinquanta megatoni sono, nelle scala della guerra nucleare, equivalenti a 50 milioni di tonnellate di tritolo; e alla potenza di 3.500 bombe atomiche uguali a quella che nel 1945 distrusse Hiroshima, in Giappone, uccidendo 127.000 persone. Quei megatoni, all'inizio degli anni ' 60, costituivano la potenza di trenta missili statunitensi Jupiter dislocati in Puglia. Pronti ad essere lanciati verso l'Urss e i Paesi del blocco sovietico. Da dieci siti, nel raggio di 45 chilometri dall'aeroporto militare di Gioia del Colle.

Quel rapporto, custodito dagli archivi statunitensi del NSA ( National Security Archive) e ora desegretato, racconta la storia dei missili allineati da Nord Ovest a Sud Est, tra Spinazzola, Gravina, Acquaviva delle Fonti, Altamura, Irsina, Matera, Laterza, Mottola.

Circostanza di cui s'era a conoscenza ufficiosamente, ma sempre coperta dal segreto di Stato e con contorni poco nitidi.
Nel 1999, sulla Gazzetta del Mezzogiorno, ne scrisse Giorgio Nebbia, professore emerito di Merceologia a Bari e padre dell'ecologismo italiano:
« La storia è stata raccontata con grandi dettagli, ricavati dai documenti segreti militari, resi accessibili grazie ad una speciale legge americana sulla " Libertà di accesso alle informazioni" » .

Di recente è tornato sull'argomento il professor Nicola Pedde, direttore di Global Research : «Dall'archivio Usa esce un interessante documento storico nel quale per la prima volta si parla, e si descrive nel dettaglio, della gestione dei missili Jupiter dislocati in Puglia » .


Siamo riusciti a ritrovare le copie fotostatiche del documento partendo da una traccia lasciata nel sito di Peacelink ( http:// italy. peacelink. org), in una nota all'articolo di Nebbia; siamo quindi risaliti alsito www. gwu. edu/~ nsarchiv/ nsa/ NC/ nuchis. html ( Nuclear History at the National Security Archive ) della George Washington University.
Il rapporto di James ( intitolato « Note del mio viaggio presso i siti italiani degli Jupiter » ) spiega tutto nei dettagli, compresa la contrarietà del terzo Governo Fanfani con ministro della Difesa Giulio Andreotti a divulgare il segreto.

Era il 1960 quando i missili iniziarono a giungere in Puglia, dagli Stati Uniti, nella distrazione generale. La storia racconta Nebbia « era cominciata nel settembre 1958, quando gli americani, allora era presidente Eisenhower, insistettero presso il governo italiano perché accettasse testate nucleari in grado di colpire l'Urss e paesi satelliti come Albania, Romania, Bulgaria » . « I militari americani spiega erano meno di quattrocento » .

Poi, all'inizio del 1961, a Eisenhower successe Kennedy, con una politica di distensione nei confronti dei sovietici. Nell'ottobre 1962 gli americani scoprirono che una nave russa stava portando missili nucleari a Cuba. Nebbia: « Kennedy minacciò la guerra contro l'Urss. Ci furono frenetici contatti fra Kennedy e Krusciov. Intervenne anche Papa Giovanni XXIII: alla fine i missili sovietici tornarono indietro e l'America si impegnò a ritirare gli Jupiter da Puglia e Turchia » .

«Curiosamente aggiunge il professor Pedde l'aver mantenuto i missili costantemente armati ed averne condiviso le procedure di lancio con gli italiani, costituiva una violazione dell'Atomic Energy Act, così come esplicitamente ricordato dallo stesso autore del documento recentemente declassificato » .

Nel rapporto James riferiva dunque la storia del modo in cui furono piazzati gli Jupiter IRBM presso la 36 ° Aerobrigata d'Interdizione strategica. L'addestramento degli italiani fu svolto nella base Usa di Lackland. I missili furono portati in Puglia con dieci voli dagli Stati Uniti, tra l' 1 aprile e il 10 giugno 1960. « Gioia scrisse il funzionario è il centro di controllo. A Gioia c'è un precedente piccolo aeroporto Nato, comandato da un brigadiere generale italiano e da un colonnello dell'Us Air Force » .
Raccontò che il personale americano è di stanza per lo più a Taranto, a « 50 minuti d'auto da Gioia». In caso di emergenza, i militari Usa hanno a disposizione alloggi in sede.
I missili erano entro il raggio di 10/ 30 miglia da Gioia, in dieci siti che ospitavano, ciascuno, tre ordigni: « Alcuni sulle colline, altri nei campi deserti, uno molto vicino alla linea ferroviaria e visibile dalla strada » . « I carabinieri perlustrano sporadicamente i boschi e i campi intorno alla basi, ma di solito non c'è perlustrazione fuori dalla doppia recinzione » . « Nessun testata nucleare è attualmente immagazzinata a Gioia; sono tutte sui trenta missili » .

A Gioia, James vide « la costruzione destinata a custodire le testate » : « una struttura in cemento armato quadrata, situata a non più di cento yarde ( 90 metri, ndr ) dalla pista di atterraggio... Penso che per sicurezza potrebbe essere posta più lontano dalla pista » .
Ogni installazione era custodita da due ufficiali Usa e da due aviatori italiani. Con turni di 48 ore. Per il funzionario, i turni degli italiani non erano gestiti in maniera efficiente. Comunque « tutte le posizioni possono ricevere simultaneamente le istruzioni » .
James descriveva la procedura di lancio, delegata a due ufficiali uno italiano e uno americano attraverso chiavi separate. « Ma per il supporto tecnico gli italiani sono pesantemente dipendenti da noi » , scriveva. Insomma, non erano in grado di lanciare i missili autonomamente. Anche se i nostri ufficiali erano considerati competenti sul piano teorico, « alcuni a livello di quelli americani » .

James era però preoccupato per quel sarebbe potuto succedere in caso di situazioni d'emergenza o di un incidente: anche perché la gente comune ufficialmente non doveva sapere nulla dei missili, a causa delle scelte del Governo italiano: « Naturalmente è una situazione anomala, perché gli italiani sanno chiaramente che ci sono: emerge quando i mezzi si muovono, in occasione di imprevisti e durante l'esercitazioni per prevenire incidenti nucleari » .
E c'erano rischi: « sebbene la custodia da parte italiana sia ben effettuata » , i missili « rimangono vulnerabili al sabotaggio » . James ipotizzava una più intensa vigilanza da parte dei carabinieri nelle zone adiacenti: « Un sabotatore potrebbe colpire i missili anche con un colpo di fucile... Un piccolo aereo veloce potrebbe penetrare e colpirne uno o due. E nelle vicinanze non c'è alcuna difesa antiaerea » .
« Non ho idea di quali siano le probabilità che questo possa accadere » , scrisse il funzionario. Con un finale agghiacciante: « Riassumento, i nostri soldati e gli italiani stanno correndo dei rischi, visto dove sono poste le basi; ma è un rischio calcolato e non può essere così serio da mettere in discussione l'essenziale utilità degli Jupiter » . Firmato: Alan G. James ( segret).

Per fortuna, finita la crisi cubana con l'Urss, nel giro di poco tempo i poligoni pugliesi furono smantellati. Alla fine di giugno 1963 non rimasero che i ruderi. E restò pure, nella coscienza di tanti che conoscevano il segreto ( italiani e americani), la consapevolezza del rischio terribile e dell'apocalittico ordigno « ospitato » in Puglia.

Marco Brando

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