JIHAD E SHAID :

DALLA GUERRA SANTA AI KAMIKAZE

 

Giovanni De Sio Cesari
( http://www.giovannidesio.it/ )

 

Struttura:

Premessa -  Jihad pacifico - Jihad violento -  Gli Shaid - Prospettive

 

PREMESSA

Nell’immaginario occidentale il termine di “guerra santa” corrisponde subito a quella di attentatore suicida, (kamikaze, come in genere si dice).
Notiamo preliminarmente che i due termini non esistono nell’ambito islamico: ciò che noi chiamiamo “guerra santa” corrisponde a jihad (sforzo) mentre al kamikaze corrisponde lo shaid (martire). Ancora più importante pero è tener prenete che non è vero affatto che il termine jihad implica necessariamente quello di shaid.
La confusione nella corrispondenza dei concetti, tuttavia, per quanto possa sembrare strano, non è solo dell’Occidente cristiano ma è anche molto ampia anche nello stesso mondo islamico. Mi è capitato, alcuni anni or sono, di conversare con una signora che, essendo figlia di diplomatici, aveva vissuta la giovinezza in Egitto e frequentato anche scuola di lingua araba: ebbene la signora ignorava l’esistenza non solo dei termini indicati ma anche di altri che si suppongono peculiari del mondo arabo e che ormai sono comuni anche in Occidente.
Anche Magdi Allam afferma che ha sentito parlare di dar el islam (terra dell’islam) e dar el harb (terra della guerra) solo in Italia perchè tali termini erano praticamente sconosciuti nell’Egitto fino agli anni 80.

Il ritorno di questi antichi concetti con significati e coloriture nuove erano anche estranei quindi a buona parte degli islamici stessi fino a tempi recenti. Si impone quindi una puntualizzazione del significato dei due termini.

IL JIHAD PACIFICO

Il termine arabo coranico Jihad significa propriamente “sforzo”: talvolta nel corano è usato nel significato di sforzo interiore per adeguarsi alla volontà di Dio e talvolta in quello di sforzo bellico.
I due significati appaiono del tutto diversi, diremmo anzi, in contrasto, tuttavia ad un esame più attento essi sono invece strettamente connessi.
Infatti il jihad è lo sforzo di abbandonarsi alla volontà di Allah ( che è il significato proprio del termine arabo di “Islam”), di seguire cioè la legge che Allah ha dato agli uomini tramite il profeta Muhammed. Essa può essere seguita nel fare l’elemosina, il pellegrinaggio e le tante altre prescrizione ma può anche realizzarsi nella difesa armata dell’Islam stesso: bisogna seguire la volontà di Dio anche se questa può portare al sacrificio della nostra vita.

In realtà il concetto si ritrova anche nel cristianesimo primitivo ( e anche moderno): il cristiano segue la via indicata dal Signore (nella carità, nella preghiera ecc) ma anche fino a perdere la propria vita per testimoniare la propria fede (in greco: martire, cioè testimone) che diviene una via privilegiata, più diretta e intensa. Analogamente il mussulmano ritiene che l’uomo che perde la vita per difendere la propria religione sia un testimone della fede ( shaid in arabo ha lo stesso significato del termine martire in greco ). Vero è che il cristianesimo parla di un martire disarmato e non di un guerriero mentre invece l’islam allude proprio a un combattente e anche in guerre non propriamente difensiva come quelle di conquiste di nuove terre all’islam. Tuttavia l’islam ha avuto fin all’inizio una connotazione bellica e comunque anche il cristianesimo medioevale ha assunto caratteri guerreschi ( crociate, ordini monastico-cavallereschi).

Il jihad, quindi, oltre che essere uno sforzo interiore per la propria perfezione. si può manifestare come sforzo per difendere e anche diffondere la fede. Tuttavia questo non significa affatto che il Jihad debba risolversi solamente in una azione di carattere bellico e violento.

Il jihad infatti può esprimersi innanzi tutto nella apologetica dell’islam e nella diffusione del suo credo e dei suoi principi in modo pacifico. in quello che noi definiremmo “apostolato”. Come quello cristiano, esso può essere rivolto sia verso i fedeli stessi per rafforzare e approfondire la fede, sia verso i non credenti per conquistarli alla vera fede. Pertanto i centri studi ,le biblioteche ,i giornali, la predicazione itinerante, i siti internet, radio e TV e ogni altro mezzo di comunicazione possono realizzare il Jihad.


In particolari i centri islamici, in genere raccolti intorno alle moschee, hanno grande importanza e affiancano alle attività propriamente religiose anche attività educative e
soprattutto assistenziali analogamente a quanto avviene per le parrocchie cattoliche. In tal modo si radicano profondamente nel popolo: il successo e la forza di organizzazione come la palestinese Hamas derivano essenzialmente dalle attività di assistenza capillare che svolgono fra la gente più povera analogamente al modo tradizionale di operare dei conventi cattolici che offrirono sempre almeno una scodella di cibo per i bisognosi.


Chiaramente le democrazie occidentali considerano del tutto lecito questo modo di intendere il Jihad perchè conforme ai propri principi di libertà individuale e di espressione delle idee anche se molti lamentano che non vi sia reciprocità in quanto nel paesi islamici non è possibile svolgere attività del genere ai cristiani.


Il jihad è anche resistenza alla invadenza delle idee moderne considerate immorali, prima fra tutte le permissività sessuale o l’uso di alcool: l’uso richiesto del Hijab ( velo islamico) è un segno di resistenza a una cultura considerata lesiva di principi morali. In effetti anche le autorità religiose cristiane sostengono una resistenza a certi aspetti della cultura moderna ( talvolta in sintonia sostanziale con quelle islamiche ) e questo fatto è considerato assolutamente legittimo: nessuno definirebbe il papa un sovversivo perchè condanna le unioni gay, i i rapporti extraconiugali, l’aborto ecc.

IL JIHAD VIOLENTO

 

Il problema naturalmente sorge quando il Jihad assume la forma di lotta armata o comunque violenta.
Ma anche il jihad violento e guerresco non è certamente tutto riconducibile all’attentato suicida. Esso può assumere la forma di una rivoluzione popolare: è questo il caso dell’ IRAN del 1979.
La sollevazione contro lo scià fu in realtà un movimento generale di tutta, o quasi tutta, la popolazione, si trattò di una vera e propria rivoluzione popolare, molto di più di quanto lo fossero quella francese o russa che furono pur sempre espressioni di una minoranze, sia pure consistenti. Sostanzialmente la rivoluzione fu pacifica: masse oceaniche di popolo dimostrarono contro lo scià affrontando senza armi polizia ed esercito, fino a che questi ultimi, di fronte alla manifestazione di una volontà cosi generale, abbandonarono ogni tentativo di repressione e lo scià fu costretto alla fuga.
Il fondamentalismo islamico dell’ayatollah Khomeini usci poi vincitore di fronte alle altre componenti dell’opposizione allo scià, e quindi tutto il movimento fu presentato come un jihad: una guerra di difesa contro il governo dello scià, che non era più considerato legittimo perché contrario ai principi dell’Islam, ed emanazione del “grande satana” (come fu definita l’America in quanto espressione di un mondo senza Dio).

Subito dopo, il jihad prese l’aspetto di una guerra regolare, una delle poche guerre regolari dei nostri tempi: la guerra tra Iraq e Iran. L’Iraq di Saddamm Hussein attaccò nel 1979 l’Iran, confidando in un facile successo per il caos regnante in Iran dopo la caduta dello scià; invece l’Iran reagì con forza, bloccò l’attacco e passò quindi a un contrattacco. La guerra duro otto anni, costò forse un milione di morti e fu presentata da parte iraniana come un jihad contro il regime di Saddam Hussein: quest’ultimo inteso come espressione del laicismo di derivazione occidentale ed abbandono del “vero” islam, quindi, si disse, contro “il piccolo satana”, emanazione del “grande satana” che restavano gli Stati Uniti.
Il jihad prese invece l’aspetto di una guerriglia in quegli stessi anni in Afghanistan: l’intervento sovietico in appoggio al regime comunista scatenò una lunga e sanguinosa rivolta, propriamente una guerriglia, che ebbe l’appoggio di tutto il mondo islamico e anche degli USA. Nel 1989 l’Unione Sovietica si ritirò dall’Afghanistan, per un radicale cambio di indirizzo politico ad opera di Gorbaciov; qualche anno dopo poi si dissolse la stessa Unione Sovietica. I combattenti islamici tuttavia considerarono il ritiro sovietico esclusivamente dovuto alla loro lotta, ritennero quindi di aver sconfitto l’URSS ed anzi ebbero l’impressione che la sua stessa dissoluzione fosse dovuta sostanzialmente alla loro vittoria.

Il jihad cominciò ad assumere la forma del terrorismo nell’ambito dell’infinito conflitto arabo-israeliano soprattutto all’inizio nella crisi del libano. Non che il Jihad inventasse il terrorismo: esso era ormai una forma di lotta adottata dai Palestinese da quando nella guerra “dei sei giorni” nel 67 gli eserciti arabi erano stati rovinosamente sconfitti dagli israeliani e non si vedeva alcuna possibilità di affrontare ancora gli israeliani con una guerra convenzionale. Ma negli anni 80 la lotta palestinese comincio ad assumere una caratterizzazione religiosa, divenne cioè anche essa un Jihad mentre era stata negli anni precedenti intesa come una lotta di liberazione senza particolari connotazioni religiose: anzi, spesso gli attentatori erano cristiani che, come è noto, costituivano una minoranza importante nell’ambito dei palestinesi arabi e del relativo Movimento di liberazione.

GLI SHAID

 

In Libano però si innesta anche il fenomeno degli attentatori suicidi. Il fenomeno aveva avuto il suo diretto precedente nella guerra regolare iraq -Iran: fra gli iraniani, nell’ambiente dei pasdaran (i guardiani della rivoluzione), fedelissimi di Khomeini, si formarono squadre di giovanissimi chiamati basiji (“quelli che si radunano”), pronti a immolarsi nella prospettiva del jihad. Sarebbe occorso secondo il diritto islamico il permesso dei rispettivi padri, ma l’ayatollah Khomeini affermò di essere il padre di ogni credente e concesse il permesso egli stesso a tutti. Quando bisognava avanzare contro gli iracheni, protetti da campi minati, venivano chiamati i basiji; questi si accalcavano a volte persino in numero eccessivo, e scoppiavano delle risse per poter partecipare all’azione.

I ragazzi si stringevano alla fronte un nastro, su cui erano scritti dei versi del corano, ed avanzavano cantando sui campi minati trovando la morte saltando sulle mine: dietro di essi avanzavano poi i soldati regolari iraniani. Il fatto destò orrore in Occidente, ma nell'Iran di Khomeini questi giovani furono onorati e grande prestigio si riversava anche sulle loro famiglie: per essi si ricominciò a parlare di shaid ( termine ormai desueto anche nell’ambito islamico), si parlò del fatto che sarebbero stati assunti immediatamente in paradiso accolti da uno stuolo di Uri ( le fanciulle dei grandi occhi di cui parla il Corano e la tradizione islamica).
I “basiji” tuttavia si immolavano in una guerra regolare contro eserciti nemici schierati: non erano nemmeno dei combattenti veri e propri, non portavano armi, non uccidevano, semplicemente si sacrificavano per aprire la strada ai soldati regolari.
Ma in Libano e Palestina il fenomeno dei basiji si incontra con il metodo di guerra del terrorismo e i due fenomeni ben distinti prima, si unificarono: parve che gli attentati sarebbero stati ben più efficaci e devastanti se gli attentatori fossero stati disposti a morire anche essi In effetti la conseguenze furono veramente efficaci: è molto più facile effettuare un attentato se non bisogna preoccuparsi di salvare la propria vita.
Il primo esempio clamoroso fu l’attentato in Libano contro le forze americane: nell’ottobre del 1983 un furgoncino guidato da un attentatore suicida esplose all’’interno di un caserma americana causando la morte di 241 soldati. La pratica dagli ambienti sciiti del libano si è diffusa fra i palestinesi e in tutto il mondo islamico.
 
E’ apparso alle fazioni estremiste una grande e decisiva arma per combattere i nemici che non si riesce ad affrontare in campo aperto. Un convinzione fondamentale dei terroristi islamici è che essi vinceranno, perché i propri combattenti non temono la morte; mentre i loro avversari vogliono solo salvare la propria vita. Lo shaid è l’esempio proprio di questa disparità morale che permetterebbe all’Islam di vincere la sua guerra contro gli infedeli: il coraggio sorretto dalla fede vince contro tutte le tecnologie: è una idea esaltante per chi non ha le armi per combattere una causa che egli ritiene giusta.
Una certa parte dell’islam (che per comodità espositiva esemplifichiamo in al qaeda) ritiene che i regimi moderati , retti dalle elites culturali più o meno imbevute di cultura occidentale, di destra o di sinistra non fa grande differenza, debbano essere rovesciate per essere sostituite da regimi integralisti islamici ( emirati): essi individuano poi nell’Occidente in generale e negli Usa in particolare non solo la fonte culturale della degenerazione dell’Islam ma anche il sostegno politico e militare di tali corrotti regimi. Individuano pertanto negli Usa e nell’Occidente in generale il vero nemico da abbattere: ma essi non dispongono certo di eserciti in grado di affrontare quelli occidentali. E’ nato quindi del tutto naturale l’idea che il terrorismo avrebbe creato tanta paura nei fiacchi deboli e non motivati occidentali, troppo immersi nei vizi e nelle comodità materiali per avere il coraggio di reagire.

In questo orizzonte spirituale sono maturati gli attentati contro gli occidentali culminati in quelli dell’11 settembre.

Solo allora il mondo occidentale ma in parte, giova ancora notarlo, lo stesso mondo islamico ha scoperto gli shaid, ha connesso strettamente l’attentato suicida e la guerra santa , il jihad e lo shaid. In realtà, come abbiamo mostrato, i due concetti sono ben distinti: solo occasionalmente essi si sono incontrati : il jihad non è affatto solo la violenza bellica e questa comunque non si riduce al terrorismo.

PROSPETTIVE

Tuttavia nella storia quello che è percepito è più importante di quello che è nella realtà, particolarmente poi in un mondo globalizzato in cui predominano i mass medi con le loro terribili semplificazioni.

Ormai ogni mussulmano particolarmente pio appare come un potenziale attentatore suicida: ogni centro islamico un covo di estremisti. Pochi in Occidente hanno la capacità o anche la voglia di distinguere un jihad pacifico da uno violento, un islamico buono da uno cattivo . un credente molto pio da uno disposto a diventare un assassino.
 
Contrariamente alle aspettative di Bin Laden l’Occidente non si è affatto spaventato, ha reagito con forza, forse anche eccessiva: la conseguenza è che almeno per una generazione non solo l’integralismo ma tutto in generale l’islam è caduto in sospetto in tutto il mondo.
Nella lettera aperta diffusa attraverso anche internet in tutto il mondo l’intellettuale pakistano S.A.Rehman di fede mussulmana rivolto a Bin laden e ai suoi seguaci chiedeva:
“sapete quale grado di biasimo, di abominio, di miseria, di debolezza si è venuto a rovesciare sugli innocenti e pacifici mussulmani in tutto il mondo per il vostro cosi detto Jihad ?

Come dargli torto?

 

Giovanni De Sio Cesari
( http://www.giovannidesio.it/ )

vedi anche "PIANETA ISLAM" > >

 

 

H.P. CRONOLOGIA GENERALE