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IMPERI E CIVILTÀ INVULNERABILI?

Come un inglese nel ’19

di Paolo Tanda


Come un inglese che nel 1919 sta seduto nella sua poltrona, nel suo club di Londra, convinto che ora che la Gran Bretagna ha vinto la grande guerra, l’Impero britannico continuerà a governare il mondo.
Chi avrebbe potuto dargli torto? Sconfitti i tedeschi, scomparsi i grandi imperi: il Reich tedesco, l’impero austro-ungarico, l’impero ottomano, l’impero russo, il solo impero transnazionale rimanente al mondo era quindi l’impero britannico. In più l’estensione territoriale dell’impero britannico anziché restringersi si era espansa, grazie all’acquisizione delle colonie tedesche in Asia, in Africa ed in Oceania. La sua sfera d’influenza si era ancor ingrandita a spese dei pochi resti dell’impero ottomano in medio oriente, la crisi indiana sembrava superata grazie agli sforzi fatti dagli indiani a favore della causa inglese.
Tutto “congiurava” per far intravedere all’impero britannico uno splendido e luminoso futuro.
Eppure non era così.

Ai nostri giorni la dissoluzione dell’impero britannico sembra quasi un fatto inevitabile, scontato. Eppure solo ottanta anni fa lo si sarebbe, si certo, potuto intuire, ma non sicuramente come qualcosa di concreto, di attuale.
Si trattava piuttosto di un’ idea, non certo ancora una realtà evidente per tutti. Anzi.
L’impero britannico credeva di essere immortale, e questo è un atteggiamento comune a tutti gli imperi e a tutte le grandi civiltà.

Al giorno d’oggi l’idea di immortalità connaturata alla civiltà occidentale trova conferma nell’idea di “progresso infinito”. Nella mentalità occidentale moderna la storia è divenuta essenzialmente la storia del progresso, e il progresso procede in maniera lineare attraverso i vari accadimenti del divenire umano, come l’ ascesa e il declino dei grandi imperi e delle grandi civiltà.
Questa mentalità è tipica in particolare della cultura nordamericana.

Eccone alcuni esempi: la letteratura popolare ed il cinema americani immaginano una possibile causa di un (eventuale) declino della loro “civiltà” solo cercandola fra ipotesi fantascientifiche o catastrofistiche. Dunque la identificano in qualcosa di estremamente improbabile, di assolutamente lontano nel tempo, come ad esempio la caduta di un meteorite che cancelli l’intera civiltà umana, una guerra termonucleare che distrugga il genere umano oppure l’invasione degli extraterrestri arrivati per sottomettere e schiavizzare l’umanità.
Tutti eventi, questi, che comunque non lascerebbero il governo del mondo ad una nuova potenza di questo mondo; gli americani non sembrano essere affatto preparati all’idea che la loro primazìa possa un giorno essere soppiantata da una nuova potenza più dinamica della loro.

Eppure non è così! Poche (o forse addirittura nessuna) civiltà sono mai state più vulnerabili e in condizioni più precarie di quella americana nei nostri tempi. L’economia di mercato liberistica, che impronta di sè pressoché ogni aspetto dell’american way of life è per definizione vulnerabile.
Il caso più manifesto fu ovviamente il crollo di Wall Street del ‘29, ma situazioni simili si sono riscontrate varie volte nel corso degli ultimi anni, non ultimo il fatto stesso che l’11 settembre Osama Ben Laden abbia scelto il World trade Center come principale obiettivo dell’attacco, il che è un chiaro segno del fatto che i nemici stessi dell’America vedono proprio in quella che per gli americani è la loro forza più grande, il loro più punto più esposto, la loro vera debolezza.

Una civiltà basata sulla produzione e lo scambio di merci a livello mondiale non può mantenere il controllo a livello globale senza mantenere costantemente una indiscussa superiorità economica su tutto il resto del mondo. Un simile sistema, però una volta che si, per così dire, “globalizza”, ovvero crea una rete di interdipendenze strettissime fra loro, corre il rischio di saltare: una piccola falla nel sistema, una crisi in una qualsiasi parte del mercato mondiale potrebbe portare l’America ad una crisi proprio nel cuore del suo sistema politico ed economico. La superiorità militare degli Usa, poi, altro non è che un’estensione della egemonia economica americana, egemonia che si manifesta nel modo più evidente nella costante corsa dei militari Usa verso la ricerca di sistemi di armamento sempre più avanzati e tecnologicamente sofisticati. Al punto che durante la guerra del Kosovo i militari americani si lamentavano del fatto che i loro alleati della Nato non sarebbero stai in grado nel giro di pochi anni di cooperare con le loro forze armate in quanto non sarebbero stati in grado, né all’altezza, di interagire con la loro tecnologia. E dunque: nel confronto con un esercito tanto più arretrato possedere un esercito tecnologicamente così sofisticato non offre, in realtà, pressoché alcun vantaggio, anzi.
Ad esempio, sostituire un carro armato Abrahams è decisamente più costoso e difficile rispetto alla sostituzione di un “vecchio” T72 sovietico, e, in particolare nel corso di una guerra a bassa intensità, su vasta scala e di lungo periodo le perdite di materiale potrebbero diventare economicamente insostenibili e tali da impedire, inoltre, un ricambio del personale, che, per poter utilizzare materiale tanto sofisticato, deve comunque essere altamente specializzato.

L’attuale esercito degli Stati Uniti è in sé un’arma davvero fenomenale, duttile e potente, in grado di sconfiggere sul campo su ogni terreno qualsiasi esercito al mondo; le sconfitte del passato sono state assimilate. L’America ha imparato a puntare su un altissimo grado di specializzazione. Dopo l’11 settembre ha rinunciato alla teoria delle “perdite zero” che aveva fatto fallire l’operazione “Restore Hope” in Somalia e che aveva causato tanti “effetti collaterali” fra la popolazione civile serba durante la guerra del Kosovo allo scopo di risparmiare le vite dei soldati americani.
L’esercito americano è strutturato allo scopo di combattere in fretta e vincere altrettanto in fretta qualsiasi guerra contro qualsiasi esercito. Il solo dubbio che ci si pone è se sia veramente in grado di sostenere una guerra di medio o lungo periodo. Il ricorso alla guardia nazionale per pacificare i territori occupati può essere efficace per brevi periodi ma su un lungo periodo porrà problemi sia di tipo economico sia di tipo politico, quindi in caso di una guerra prolungata nel tempo la struttura stessa dell’esercito Usa dovrà per forza cambiare per poter affrontare questo genere di sfida.

L’idea che il sistema occidentale sia destinato a durare, oltre che sulla superiorità militare americana, si basa anche sull’idea che la democrazia sia un valore di per se’, e che come tale abbia la capacità intrinseca di imporsi su sistemi politici diversi grazie alla sua superiorità morale.
Basterebbe solo leggere Hans Kelsen per notare il fatto che solo pochi decenni fa, prima dell’imporsi delle democrazie occidentali sulle grandi autocrazie europee, la discussione sulla superiorità del sistema democratico era ben lungi dall’essere risolta a favore della democrazia, e soprattutto è da notarsi il fatto che i sostenitori dell’autocrazia basavano le loro ragioni sia su una migliore governabilità di quel sistema, sia su una maggiore autorità morale intrinseca a quel sistema e causata dall’immagine quasi sacrale dei suoi capi.
L’esempio tipico portato dai sostenitori dell’ inferiorità del sistema democratico era la presentazione del Cristo al popolo ebraico e la scelta fatta da questo a favore di Barabba.

La tesi della superiorità del sistema autocratico era invece supportata dall’idea dell’infallibilità del capo, scelto non per volontà della maggioranza ma grazie alla sua stessa predestinazione e capacità di prendere il potere.
Paradossalmente i maggiori sostenitori del sistema democratico contemporanei, gli americani, basano la loro idea di superiorità del sistema democratico in sé su una sua superiorità data dalla maggiore autorità morale ad esso intrinseca, quasi una superiorità data da dei fattori di tipo religioso, quasi come se la democrazia fosse un dogma religioso e come tale partecipasse della verità rivelata da questa stessa religione; insomma le ragioni americane a sostegno della democrazia sono estremamente più simili alle ragioni a sostegno dell’autocrazia piuttosto che a quelle che Kelsen presentava a sostegno della democrazia stessa.
Questa tendenza a ritenere che la civiltà occidentale grazie al suo sviluppo tecnologico e grazie alla superiorità morale del sistema democratico ed anche grazie al fatto che le civiltà concorrenti sembrino volersi “occidentalizzare”, sia destinata a dominare il mondo per un tempo infinito.
Ma è così?
Non siamo forse noi stessi degli inglesi seduti in una poltrona in un club di Londra nel 1919?

La storia stessa ci dimostra che essa non è affatto lo svolgersi escatologico del progresso umano. A cominciare con le civiltà micenee, proseguendo lungo tutto il corso della storia umana, troviamo esempi di grandi imperi e di grandi civiltà che sono appassite o semplicemente scomparse causando nelle loro popolazioni un profondo regresso a volte semplicemente tecnologico, altre più generalmente culturale.
La scomparsa della civiltà maya ne è un esempio: i grandi costruttori delle piramidi mesoamericane svilupparono una rete di potenti città stato tecnologicamente avanzate che emerse, scomparve, riemerse e scomparse nuovamente; le invasioni di popoli vicini, problemi ecologici legati ad un errato sfruttamento delle risorse sono spiegazioni del come ed in parte del perché ma la realtà è che la civiltà maya non è veramente “scomparsa” ma è solo regredita. All’arrivo degli spagnoli infatti i maya erano ancora là; quello che mancava era solo una civiltà urbanizzata, ma il ricordo della cultura e della tecnologia maya era ancora vivo.
Esempi di questo genere sono molto comuni nelle Americhe precolombiane, in Africa e in Asia, ma anche nel Mediterraneo di epoca preclassica; un lettore occidentale potrebbe essere tentato dal sostenere che in una civiltà più avanzata ciò non sarebbe possibile e che l’esistenza di una estesa rete di comunicazioni fra le civiltà impedirebbe a queste di regredire a stadi tecnologicamente molto più arretrati.

Questa tesi è decisamente inefficace. Anche prescindendo dalla storia del crollo dei tre più grandi e durevoli imperi dell’antichità: l’impero romano, l’impero persiano-sassanide, l’impero cinese, si potrebbero citare i casi di due dei più estesi ed avanzati imperi del passato: l’impero arabo e l’impero ottomano; la loro rapida ascesa ed il loro improvviso ed eclatante declino. L’impero bizantino ai tempi di Eraclio I ne è forse un esempio, ancor più della caduta dell’impero romano d’occidente, l’imperatore che aveva non solo salvato l’impero nel momento più buio della sua storia fino a quel momento, ma aveva persino sconfitto ed umiliato Cosroe II, il peggior nemico dell’impero romano d’oriente, alla fine del suo regno non poté evitare che un popolo nomade proveniente dal deserto, un popolo privo della ruota, privo di una qualsiasi forza navale, nel corso di pochi anni gli portasse via la più gran parte del suo impero: la Siria, l’Egitto, tutto il nord Africa; e questo nel momento di suo massimo potere militare.
Noi abbiamo la tendenza a pensare ad un impero romano d’oriente aggressivo e strapotente prima dell’intervento arabo nel mondo occidentale, e passivo e sulla difensiva dal seicentoquaranta in poi. Non sono vere né la prima né la seconda affermazione. La maggiore organizzazione bizantina, sia dal punto di vista militare, sia dal punto di vista dell’organizzazione statuale, non era stata sufficiente da sola a sconfiggere i goti in Italia, e la reazione popolare ai greci, che si comportarono più da forze occupanti che da liberatori, aiutò Totila a resistere tenacemente ai bizantini ed indebolì l’impero esponendolo alle minacce dei longobardi in Italia prima e dei persiani di Cosroe II ad oriente poi. Dopo la grande avanzata araba del VII secolo e il primo assedio di Costantinopoli da parte dei musulmani, i bizantini non rimasero quasi mai passivi nei confronti degli arabi, più volte gli eserciti greci riconquistarono Damasco e persino Gerusalemme.

Quindi è evidente che né la superiorità militare né quella tecnologica o più generalmente culturale possono porre una civiltà od un impero al riparo dalle aggressioni militari o culturali da parte di culture tecnologicamente più arretrate o culturalmente meno avanzate.
L’impero bizantino di alcuni secoli dopo può essere un esempio ancor più chiaro quando nel 1071 Romano Diogene portava i bizantini alla più disastrosa sconfitta della loro storia contro un altro popolo di nomadi, dei barbari con una tecnologia che non poteva essere messa lontanamente a paragone con quella dei bizantini. Eppure essi furono sconfitti da un esercito meno numeroso, meno organizzato e peggio armato; l’esercito bizantino che, meno di cinquant’anni prima, al comando di Basilio II aveva spazzato la resistenza dei bulgari e riconquistato tutta la penisola balcanica, veniva sconfitto in una maniera irrimediabile da una forza all’epoca non ancora irresistibile e priva di basi.
Eraclio I alle porte di Ctesifonte di certo non avrebbe pensato che l’impero di Giustiniano durante la sua vita avrebbe perso non solo quasi tutte le conquiste fatte durante l’epoca di Giustiniano stesso ma persino tutta la mezzaluna fertile per non riuscire a riconquistarla mai più, quel grande imperatore e soldato della croce non avrebbe mai creduto in quel momento che, dopo aver riconquistato le reliquie della vera croce, avrebbe perso non solo la città di Gerusalemme, ma anche tutto quel nord Africa cristiano che nel corso di pochi secoli si sarebbe convertito per sempre ad una nuova fede.
Il Califfato di Bagdad, o impero arabo nella sua accezione più estesa, è stata certamente una delle civiltà più magnifiche della storia e forse quella, con la dovuta eccezione dell’impero mongolo, quella che ha avuto l’espansione più rapida; dopo i circa seicento anni che passarono dalla morte del profeta alla conquista di Baghdad per mano dei mongoli, però, la grande civiltà cominciò a regredire e a cedere il passo a culture più dinamiche (ma forse meno affascinanti) e che avranno un impatto sulle culture vicine meno dirompente di quella araba.

Come è possibile che la grande capitale di Harun Al Rashid, la città delle mille e una notte, il centro stesso della Umma, nel giro di pochi secoli sia diventata una città marginale, facilmente conquistata da dei barbari infedeli, come è possibile che l’erede di coloro che avevano governato la maggior parte del mondo dalle coste atlantiche della Spagna fino ai confini della Cina, venisse decapitato senza che ciò causasse pressoché alcuna reazione nel mondo?
Eppure un così magnifico impero è caduto; un impero che solo pochi secoli prima era il più dinamico e ben organizzato del mondo, il più tecnologicamente e culturalmente avanzato del mondo.
Se questo accadde ad alcuni se non a tutti i grandi imperi ed a molte delle grandi civiltà del passato che scomparvero o arretrarono a causa della loro incapacità di adattarsi a nuove realtà, perché ciò non dovrebbe accadere anche alla nostra?
Perché abbiamo mandato degli uomini sulla luna.
Perché le nostre armi ed i nostri eserciti sono così superiori a qualsiasi altro da non poter essere sconfitti in battaglia.
Perché siamo moralmente superiori a tutti i nostri oppositori.

Ma lo siamo?
È forse vero che i nostri eserciti sono invincibili?
La nostra tecnologia ci mette davvero al riparo da ogni possibilità di regredire?
Il semplice fatto di aver mandato un uomo sulla luna di per sé ci garantisce che ne manderemo un altro su marte?
Cosa ci fa credere che al fatto che se l’occidente ha sconfitto l’Urss non potrà mai essere sconfitto da nessuno?
Forse il solo fatto che siamo seduti in una comoda poltrona e che pensiamo di essere i padroni del mondo.
Abbiamo veramente la capacità di adattarci ad un mondo che forse non è come noi ce lo figuriamo?
E se non ci riusciremo la nostra civiltà si dimostrerà più solida di tutte quelle che dominarono il mondo prima di noi o un giorno le nostre città finiranno come la capitale di Harun Al Rashid, la splendida Baghdad delle mille e una notte, una delle più spettacolari capitali del passato oggi ridotta ad una città occupata ed umiliata?

Troppo poco e troppo di rado ci poniamo dubbi sulle reali capacità della nostra civiltà di affrontare le sfide che il mondo ci pone di fronte.
Non parlo di uno scontro di civiltà ma della semplice capacità di adattare le proprie strutture ad una realtà che a volte muta ad una velocità tale da non poter essere dominata da mentalità arroganti e supponenti che danno per scontato il fatto che ciò che è ora e ciò che è stato sarà per sempre, che vincere una sfida significhi essere imbattibile e che vincere una battaglia voglia dire vincere una guerra.

A volte neanche vincere una guerra vuol dire di aver veramente vinto una guerra.
Sic transit gloria mundi.

Paolo Tanda

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su questo stesso sito vedi
" 1936 - L'ACCAPARRAMENTO INGLESE DELLE MATERIE PRIME" > >
dell'allora Consiglio Nazionale delle Ricerche


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