SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
ARMANDO DIAZ

ARMANDO DIAZ era nato a Napoli il 5 dicembre 1861, da famiglia d'origine spagnola venuta in Italia con Carlo di Borbone. Iniziò la carriera militare nell'artiglieria, passando poi - dopo il corsa alla scuola di guerra -- nello Stato maggiore. Nel 1910 fu promosso colonnello di fanteria e dal maggio dei 1912 prese parte, alla testa del 93° reggimento, alla campagna libica, dove il 29 settembre 1912 rimase ferito a una spalla. Poco dopo, rimpatriato, fu chiamato al comando del corpo di Stato maggiore quale segretario del capo di Stato maggiore dell'esercito, generale Pollio, continuando in quella carica anche quando - morto improvvisamente il Pollio nel luglio 1914 - gli successe il Cadorna.
Promosso al grado di maggior generale, collaborò col Cadorna nella preparazione dell'esercito durante la neutralità italiana. Quando I' Italia entrò in guerra, fece parte del Comando supremo con le funzioni di capo del reparto operazioni, rimanendovi oltre un anno, e cioè fino a quando, promosso tenente generale, chiese ed ottenne il comando d'una divisione sul Carso (49a).

Si distinse nel 1916 nelle operazioni intorno a Gorizia, sul Veliki Hribach, a San Grado di Merna e sul Volkovniak. Nel maggio 1917, quando s'iniziò una nuova offensiva italiana, era alla testa del XXIII corpo d'armata, sempre sul Carso, agli ordini del Duca d'Aosta, comandante la III armata. In quelle operazioni (maggio-giugno) il suo corpo d'armata fu dapprima in riserva, poi venne inviato in linea nel settore di Castagnavizza a parare una furiosa controffensiva austriaca, contro la quale il D. riuscì a mantenere le posizioni fra Versic e Jamiano. Tre mesi dopo, ripresasi ancora l'offensiva sul Carso, il D. spintosi fino al vallone di Brestoivizza, si mantenne di fronte a vigorosi contrattacchi, a segnare il punto più avanzato toccato dalla nostra occupazione carsica. Fu ferito a un braccio e decorato di medaglia d'argento al valor militare. La sua azione complessiva di comandante del XXIII corpo gli valse la commenda dell'Ordine militare di Savoia. Aveva appena compiuto, ai primi di novembre del 1917, la ritirata con la III armata dal Carso al Piave, conseguente alla battaglia perduta dalla II armata sul medio Isonzo (Caporetto) , quando fu chiamato al supremo comando dell'esercito.

La decisione di sostituire Cadorna con Diaz, fu deciso a Peschiera al convegno voluto dagli Alleati.
Le decisioni sarebbero state prese a Rapallo, se Lloyd Gorge e Painlevè avessero avuto dei sicuri elementi di giudizio; che i politici italiani presenti in quel momento non avevano, così lontani e assenti dal fronte.
Dopo i colloqui, il comunicato dell'8 novembre annunziava qualcosa di concreto.
"Essendo stato deciso nei colloqui di Rapallo di creare un Consiglio Supremo politico fra gli Alleati, per tutto il fronte occidentale, sono stati nominati a far parte di tale Comitato militare: per la Francia il generale Foch, per l'inghilterra il generale Wilson e per l'Italia i generale Cadorna. A sostituire il generale cadorna nel Comando Supremo è stato con Regio Decreto d'oggi nominato Capo dello Stato Maggiore del Regio Esercito il generale Diaz, e come sottocapi i generali Badoglio e Giardino".

Il Re agli alleati parlò con calma, con chiarezza, con equilibrio, senza esagerare né nell'ottimismo, né nel pessimismo. Famoso anche il suo preambolo nell'ordine del giorno del 10 novembre che il Re lanciò dal Quartier Generale alla Nazione e all'Esercito, un inizio non allarmistico, non certo di un vinto....
"Italiani ! Il nemico favorito da uno straordinario concorso di circostanze, ha potuto concentrare contro di noi tutto il suo sforzo...." e concluse "...al nemico, che ancor più che sulla vittoria militare conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una sola coscienza, con una voce sola: tutti siamo pronti a dare tutto per la vittoria e per l'onore d' Italia".

Lloyd George e Painlevé riconobbero in quel piccolo italiano un uomo dalla testa quadra e dai nervi saldi di cui potevano fidarsi, al quale potevano affidare le loro preziose divisioni.
A lui, non ad altri, Vittorio Emanuele, con grande lealtà di soldato, aveva cercato di temperare il giudizio che gli alleati avevano espresso su Cadorna. Lui e non altri aveva scelto il successore di Cadorna nel generale ARMANDO DIAZ. Bisognava avere fiducia nella sua scelta; va bene questo Diaz non era che un comandante di un Corpo d'Armata; aveva, sì, diretto un dipartimento del Comando Supremo, ma non si era distinto per azioni particolarmente brillanti o clamorose; ma il re lo scelse non per meriti particolari ma per le sue doti umane. Uno dei due sottocapi di stato maggiore, che gli erano stati assegnati, BADOGLIO, era sì molto brillante, ma aveva comandato proprio il Corpo d'Armata che teneva il settore del fronte dove si era prodotto lo sfondamento: e l'inchiesta successiva sulla sua azione di comando in quel frangente, non pronunciò un giudizio del tutto favorevole.

Gli zelatori dello stato maggiore consumeranno poi molto inchiostro per dimostrare che Cadorna, sì, era un grande stratega, e che Diaz era una "nullità". D'accordo. Ma chi studia sui documenti e nelle testimonianze il carattere di questo generale napoletano, si accorge del perché della preferenza. E indubbiamente, quel Re silenzioso, che si aggirava nei campi di battaglia, Diaz lo aveva conosciuto per quelle doti, che non avevano nulla a che vedere con i piani di battaglia. E dato che il "marmittone" reale, "re soldato per caso", era un attento (e molto introverso) osservatore (il suo ferreo tirocinio di "militare fanciullo" lo aveva fatto sotto l'autoritario "filo-prussiano", colonnello Osio) sapeva che i soldati avevano di che motivare la loro ostilità verso Cadorna e verso tutti quelli che erano come il "generalissimo", come fu poi definito, dal "sadismo mistico".

Davanti ad un esercito non professionista ma di massa, i comandanti più che farsi capire da chi non poteva capire, dovevano loro, che erano in grado di comprendere cercare di capire. Era più importante la questione "psicologica" che non quella "militare". E i fatti successivi diedero ragione di questa scelta.
Il piccolo sovrano piemontese, dopo la sanguinosa esperienza del rigido e spartano Cadorna, come lui settentrionale, volle un napoletano. Non era un genio della strategia? Non importava gran che. Si trattava di fabbricare un muro di sbarramento: un muro che non poteva avere altro fondamento che il "morale" dei soldati. I piani di battaglia li fanno i giovani tenenti colonnelli di stato maggiore freschi di studio e di entusiasmi. Mentre il nuovo comandante doveva occuparsi di ben altro.
Il Re probabilmente conosceva quella frase che ripeteva spesso Federico II quando visitava i suoi principi vassalli che trattavano i propri contadini all'occorrenza soldati, come bestie e con la frusta. Il Re di Prussia li rimproverava "...trattateli come uomini, non come animali addomesticati; perché quando avrete bisogno di veri uomini, non troverete in loro degli amici, ma troverete solo degli animali addomesticati, sempre pronti a fuggire da voi come davanti al nemico".

Mentre il Re lanciava il suo proclama, il generale ARMANDO DIAZ assumeva il comando e dirigeva alle truppe un laconico comunicato:
"Assumo la carica di Capo di Stato Maggiore, e conto sulla fede e sull'abnegazione di tutti"
.

Stop!

Nell'ora grave, Armando Diaz immediatamente si adoperò per ridare saldezza all'esercito, riparare le gravi perdite subite dal 24 ottobre all'8 novembre, e risollevare gli animi turbati. Con le sole forze italiane (le divisioni alleate giunte in Italia essendo entrate in linea solo un mese dopo) superò la prima e più critica fase della stabilizzazione sulla linea Altipiani-Grappa-Piave, che il suo predecessore Cadorna aveva opportunamente prescelto per una resistenza ad oltranza, e che il D. riaffermò fin dal primo momento di voler tenere ad ogni costo. Mentre rapidamente rinvigoriva l'esercito, il D. si mantenne sulla linea dei monti e del Piave durante tutto l'inverno 1917-18, finché nella seconda metà del successivo giugno fu in grado di respingere la grande offensiva (battaglia dei Piave) con la quale l'intero esercito austro-ungarico sperò di poter dilagare nel Veneto occidentale e nella Lombardia. Dopo la vittoriosa azione dei giugno, il D. preparò l'esercito al supremo attacco, riserbandosi di fronte agli alleati la scelta del tempo e della linea direttrice, in modo che la battaglia riuscisse decisiva e, attraverso il crollo austriaco sulla fronte vegeta, assicurasse la pronta risoluzione; della guerra.

Cominciata il 24 ottobre 1918 e terminata il 3 novembre, la battaglia di Vittorio Veneto segnò la rotta completa e la resa a discrezione dell'esercito austro-ungarico. Per dimostrare anche in questa circostanza, come sempre, la propria solidarietà con gli alleati, Diaz fece comprendere nell'armistizio una clausola che concedeva facoltà all'esercito italiano e agli alleati di passare attraverso il territorio austro-ungarico per attaccare la Germania, nel caso che questa potenza avesse voluto continuare da sola la guerra; e poco dopo diede inizio ai movimenti per essere in grado di passare dalla minaccia all'attuazione. Frattanto il 4 novembre, con uno storico bollettino, aveva annunciato al mondo la vittoria italiana; e lo stesso giorno Vittorio Emanuele III gli aveva conferito il collare dell'Ordine supremo della SS. Annunziata.

Dopo la guerra il Diaz rimase in secondo piano finché in Italia prevalsero sentimenti di scarsa valutazione della vittoria e di scarsa riconoscenza per i combattenti; ma, nell'ottobre del 1922, all'avvento del Fascismo al potere, accettò l'offerta del portafoglio della Guerra nel nuovo regime, del quale fu convinto assertore, rimanendo a quel posto fino al 1924, allorché, per ragioni di salute, decise di ritirarsi definitivamente a vita privata. Poco dopo (novembre 1924) fu nominato maresciallo d'Italia, grado ripristinato per onorare i supremi condottieri dell'esercito nella guerra mondiale. Nel febbraio 1918 era stato nominato senatore del regno. Nel dicembre 1921 gli era stato conferito il titolo di duca della Vittoria.
Armando Diaz è morto a Roma il 29 febbraio 1928. Non ha pubblicato memorie.

 

Bibliografia e fonti
ALBERTO CONSIGLIO - V.E. III, il Re silenzioso.
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia
Enciclopedia Italiana Treccani


ALLA PAGINA PRECEDENTE

CRONOLOGIA GENERALE  *  TAB. PERIODI STORICI E TEMATICI