TABELLA BATTAGLIE NELLA STORIA

BATTAGLIA DI MAGNESIA


Data: inverno 190/189 a.C.
Luogo: Magnesia, l’odierna Manisa vicino a Smirne (Turchia)
Contesto. Guerra tra Antioco III e Roma
Eserciti contro: Esercito consolare romano con alleati Pergameni e Seleucidi
Protagonisti:
Lucio Cornelio Scipione
Domizio Enobarbo
Eumene di Pergamo
Attalo di Pergamo
Antioco III il Grande

QUADRO STORICO


All’inizio del II sec. a.C. Mentre Roma sconfigge la Macedonia di Filippo V (197) Antioco III a seguito della vittoria di Panion costringe alla pace i Tolemei d’Egitto(196-195) entrando in possesso dei loro possedimenti tolemaici in Siria, Asia e in Tracia. La politica espansionistica del re seleucide lo porta dapprima ad un urto diplomatico con Roma, poi, alla fine del 192 alla guerra aperta.

Antioco sbarca un contingente di truppe in Grecia, ma questo viene annientato alle Termopili nel 191 dal console Acilio Glabrione.. Passati all’offensiva i romani acquistano il dominio sul Mar Egeo e nell’autunno del 190 le legioni passano lo stretto dei Dardanelli e invadono i possedimenti seleucidi in Asia minore.
Vista la brutta piega che ha preso la guerra incautamente scatenata, Antioco intavola trattative di pace con i Romani, ma senza alcun esito: Roma pretende non solo che il seleucide rinunci alle recenti conquiste, ma che si ritiri ad Est della catena del Tauro, evacuando l’Asia Minore. Di fronte a delle richieste così esose, ad Antioco non resta che tentare l’ultima carta sul campo.

Le forze opposte si incontrano in un’area a nord est di Magnesia sul Sipilo (l’attuale Manisa) vicino alla strada principale che collega Sardi con Smirne (Izmir). Il campo di battaglia scelto da Antioco si trova a est del fiume Frigio (Kum –Tschai), nei pressi della confluenza con l’Ermo, (Gedis Tschai). I Romani sono comandati dal console Lucio Cornelio Scipione, a cui il famoso fratello Publio Scipione Africano - ufficiosamente il vero comandante- debilitato da una malattia, ha assegnato come consigliere, con l’effettivo comando delle operazioni, Domizio Enobarbo, mentre un contingente di alleati pergameni è guidato da Re Eumene e dal fratello Attalo. Antioco è il comandante in capo della sua armata che conta tra gli ufficiali il figlio Seleuco, Antipatro, Zeusi, Minione e Filippo. Domizio Enobarbo, ansioso di concludere la guerra da solo, conduce i Romani oltre il fiume Frigio, e per quattro giorni provoca a battaglia le truppe di Antioco. Il seleucide il quinto giorno accetta lo scontro.

LE FORZE IN CAMPO
Questa è la disposizione dell’esercito romano come si trova in Livio XXXVII, 39, 7-12

“Lo schieramento romano aveva praticamente un aspetto uniforme per genere di uomini e di armi. C’erano due legioni romane, due ali di alleati Latini, ciascuna delle quali aveva 5400 uomini. I romani stavano al centro, i Latini ai lati; le prime file erano formate dagli astati, poi seguivano i principi, chiudevano la formazione i triari. Al di fuori di questa schiera, quasi affiancati al vero corpo dell’esercito, alla destra il console collocò in linea rettagli ausiliari di Eumene, tremila fanti circa, ai quali erano uniti arcieri achei: al di là ancora oppose poco meno di 3000 cavalieri, 800 di Eumene, tutti gli altri romani: all’estremità ebbero posto i Tralli e i Cretesi, 500 in tutto. Il fianco sinistro dello schieramento non presentava la necessità di tali milizie ausiliarie; aveva la difesa naturale del fiume e delle sue rive scoscese. Tuttavia vi furono collocati quattro squadroni (turmae) di cavalleria. Codesta era la forza numerica dei Romani; vi erano in più 2000 Macedoni e Traci, che avevano seguito da volontari l’esercito: essi furono lasciati di presidio all’accampamento.”.

Antioco comanda un esercito di tipo misto, con parte delle truppe armate alla macedone, parte alla orientale. Il nerbo è costituito da 16000 falangiti posti al centro dello schieramento; a copertura dei lati vulnerabili della falange vengono impiegati 3000 fanti galati, equamente ripartiti ai lati. Alla destra della falange vengono schierati i catafratti, l’”agema”, gli argiraspidi, e la cavalleria iranica dei Dahi. Alla sinistra della falange sono collocati alcuni contingenti di Galati e Cappadoci, fanteria ausiliaria di varie nazionalità e due corpi di cavalleria pesante: i catafratti e la cavalleria dei compagni, la guardia personale che Antioco aveva messo sotto la guida del figlio Seleuco. Livio aggiunge una vasta lista di contingenti di fanteria leggera mercenaria, soprattutto arcieri e frombolieri, ma li colloca soprattutto alle ali, mentre secondo Appiano sono collocati, giustamente, davanti allo schieramento dell’esercito seleucide, per neutralizzare i veliti romani.

Contrariamente agli usi macedoni che prevedevano una disposizione a 16 file, la falange di Antioco viene disposta in 10 raggruppamenti di 32 file, ciascuno con una fronte di 50 militi. Nell’intervallo dei raggruppamenti vengono posti 2 elefanti. Secondo quanto ricostruito dal Bar Kochva alla sinistra seleucide circa 6500 cavalieri 4700 uomini di fanteria leggera dovevano fronteggiare la cavalleria romano pergamena- e i 3000 peltasti di Eumene. Al centro una falange di 16000 uomini e 22 elefanti, con ai lati 3000 galati a copertura stava davanti all’ala latina e alla prima delle legioni romane. L’altra legione romana e l’ala latina, più quattro squadroni di cavalleria romana si trovavano di fronte alla cavalleria catafratta pesante, agli argiraspidi e alla cavalleria dei Dai.

L’esercito di Antioco, numericamente era superiore a quello romano, ma aveva meno truppe in grado di sostenere un confronto corpo a corpo con le legioni. In effetti un esercito seleucide al massimo ad organici pieni non poteva mettere in campo più fanteria di un normale esercito consolare e la superiorità numerica in questo caso era stata ottenuta con contingenti di alleati e mercenari, troppo eterogenei tra loro e di difficile manovrabilità. Da qui la necessità di “coprire” l’ala sinistra, superiore numericamente a quella avversaria, ma meno manovrabile, con alcuni carri falcati. Il loro scopo non era altro che di portare abbastanza confusione nella cavalleria avversaria in modo da impedirle la manovre ed esporla eventualmente all’attacco di quella seleucide.

LA BATTAGLIA

Antioco, prende il comando dell’ala destra e intende caricare con i catafratti e l’Agema la legione davanti a sé, mentre l’ala sinistra, al comando del figlio Seleuco e di Antipatro ha il compito di impegnare la cavalleria romana attaccandola con i carri. La falange al comando di Zeusi e Minione e gli elefanti guidati da Filippo rimangono in attesa. Tra le fonti superstiti (Appiano, Giustino e Livio,) non c’è accordo sul reparto romano che avrebbe ricevuto per primo l’urto della cavalleria siriana, ma è chiaro l’esito. La legione all’ala sinistra non sostiene l’urto e i Romani si ritirano in disordine. Antioco insegue i fuggiaschi ed arriva fino al campo romano.

Tuttavia il fronte romano ha ceduto solo nel punto dell’impatto della cavalleria siriana, i reparti intorno a quello che ha subito lo sfondamento non si demoralizzano e rimangono al loro posto. I soldati in ritirata cercano dapprima di rientrare nell’accampamento difeso dal tribuno Marco Emilio lepido che comanda i 2000 Macedoni e Traci, ma l’ufficiale romano fa chiudere le porte e con le minacce riporta all’ordine almeno alcuni dei fuggitivi. Antioco per portare avanti l’attacco ha ora bisogno del supporto dalle proprie truppe, che invece non arriva.

Nell’altra ala Eumene riesce facilmente a neutralizzare la minaccia dei carri facendo bersagliare gli attaccanti dai mercenari cretesi e tralli. Essi vengono istruiti di mirare ai cavalli per ferirli e farli imbizzarrire, e lo stratagemma raggiunge pienamente lo scopo. I carri dispersi in tutte le direzioni finiscono per non fare alcun danno all’esercito romano e cozzano invece contro la cavalleria seleucide scompigliandone i ranghi. Con perfetto tempismo Eumene dà ordine alla cavalleria pergamena e romana di caricare la cavalleria galata e cappadoce, poi, alla fuga di questa, la cavalleria catafratta e della guardia.

A quel punto l’intera ala sinistra dell’esercito seleucide cede sotto l’urto e fugge disordinatamente lasciando scoperto il centro. La falange fa appena in tempo ad aprirsi per accogliere la fanteria leggera e a formare una sorta di rettangolo difensivo, che i nemici la circondano da tutti i lati, mentre tutta l’ala destra seleucide è ormai rifugiata nell’accampamento e l’ala sinistra continua ad assediare l’accampamento romano, ponendosi quindi fuori portata.

Secondo Appiano i falangiti riescono a modificare il loro assetto e a mostrare una fronte di lance su tutti i lati. Se i romani volevano venire al corpo a corpo erano pronti a riceverli. Ma non erano queste le intenzioni di Domizio, che decide di bersagliarli da lontano con gli arcieri, i frombolieri e i lanciatori di giavellotto. Sotto la pioggia di proiettili i falangiti siriani cercano di ritirarsi, seguiti passo passo dai nemici, ma infine gli elefanti dentro lo schieramento si imbizzarriscono causando la rottura della falange. Segue una fuga disordinata che termina con l’annientamento di tutti quei veterani. L’accampamento di seleucide, diventa il rifugio di quei pochi ancora scampati, ma, dopo una breve resistenza, viene preso con un ulteriore massacro.
Mentre il suo esercito si disintegra, il Re Antioco continua a minacciare l’accampamento romano con i cavalieri sotto il suo comando, ma la ricostituzione della legione e un rinforzo di 200 cavalieri pergameni al comando di Attalo lo convincono a desistere.

Quando ritorna al punto di partenza convinto di avere ottenuto un importante successo, non trova né il proprio esercito né l’accampamento, già in mano ai nemici. Riconosciuta la sconfitta non gli resta che fuggire a Sardi e poi a Celene. Viene a sapere che suo figlio Seleuco e i suoi ufficiali sono giunti addirittura fino ad Apamea in Siria. Tutta la regione anatolica è persa e le città un tempo sue soggette mandano pegni di sottomissione ai romani. Senza un esercito, senza il corpo dei veterani della falange, una resistenza ulteriore non è nemmeno pensabile e la pace a qualunque condizione diventa l’unica soluzione. Zeusi e Antipatro smessi i panni degli ufficiali in cui non avevano invero ben figurato, e indossati quelli dei plenipotenziari, negoziano una pace secondo accordi preliminari presi a Sardi e poi ratificati ad Apamea, che prevedono da parte di Antioco la cessione di tutti i territori dell’Asia Minore a ovest della catena del Tauro, il pagamento di 15000 talenti e il rilascio di alcuni rifugiati politici ostili ai romani come il cartaginese Annibale (che provvede però a far perdere le proprie tracce). Il re Eumene viene ricompensato dai Romani con gran parte del territorio sottratto ad Antioco, un premio davvero adeguato per il vero artefice della vittoria di Magnesia.

La battaglia non venne vinta dalle legioni, che anzi furono messe in seria difficoltà dall’attacco di Antioco, ma dalla cavalleria romano-pergamena e dalle fanterie ausiliarie. L’esercito Siriano ha avuto da allora cattiva fama, ma al di là della prova davvero mediocre fornita da alcuni reparti, ha sofferto prima di tutto una carenza di comando da parte degli ufficiali di Antioco, carenza che si era già manifestata in precedenti battaglie ma che non aveva mai dato luogo ad esiti così catastrofici. Magnesia segnò la definitiva consacrazione di Roma come unica potenza nel Mediterraneo così come il declino dell’impero seleucide, che vistosi privato di gran parte della sua forza politica e militare, non riuscì più a mantenere una salda presa sulle popolazioni iraniche e di lì a pochi decenni sarebbe stato definitivamente sconfitto dai Parti.

Fonti e studi moderni

Livio Storia di Roma XXXVII.
Appiano, The Syrian War, Loeb
Giustino, Storie Filippiche, Rusconi
Bar Kochva B., “The Seleucid Army”,Cambridge, 1976
Bevan E.R., “The house of Seleucus”, London, 1902
Green P., “From Alexander to Actium: The historical evolution of hellenistic age”, Berkeley, 1990

by ALESSANDRO CONTI


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