TABELLA BATTAGLIE NELLA STORIA

BATTAGLIA DI IPSO

 

Data 301 a.C.
Luogo: Ipso (località della Frigia in Anatolia)
Contesto. Lotte dei diadochi
Eserciti contro: Antigonidi e coalizzati
Protagonisti
Antigonidi:
Antigono Monoftalmo
Demetrio Poliorcete
Coalizzati:
Seleuco
Lisimaco
Antioco figlio di Seleuco

Forze impegnate

Antigonidi 70000 fanti 10000 cavalieri 75 elefanti
Coalizzati 64000 fanti 10500 cavalieri 400 elefanti

 

QUADRO STORICO

La leggenda dice, che Alessandro Magno, nelle ultime parole pronunciate prima di morire affidasse il suo regno “al più forte”. Di tutti i suoi successori, i diadochi, Antigono Monoftalmo (cioè il guercio) fu quello che si sentì più “forte” di tutti e trascorse quasi due decenni nel tentativo di ridurre alla ragione o annientare i suoi colleghi, i quali erano stati ben contenti di ritagliarsi ciascuno una fetta dell’enorme impero.

Alla fine di una serie infinita di guerre erano rimasti vivi soltanto cinque diadochi: Cassandro in Macedonia, Lisimaco in Tracia, Tolemeo in Egitto, Seleuco in Babilonia e nelle satrapie Orientali e lo stesso Antigono in Asia Minore e in Siria. Grazie alle imprese del figlio Demetrio Antigono era riuscito a battere separatamente Tolemeo e Cassandro, si era proclamato Re per diritto di conquista e nel 302 aveva gli eserciti ben dentro la Grecia, a minacciare l’esistenza del debole re di Macedonia Cassandro.

A tutti i rivali di Antigono sembrò opportuno fare causa comune prima di essere ingoiati l’uno dopo l’altro dall’avido guercio. La coalizione fu presto fatta e il piano strategico prevedeva che Lisimaco con le forze proprie e reparti ottenuti da Cassandro attraversasse i Dardanelli per entrare in Asia, dove avrebbe atteso l’arrivo di Seleuco dalla Babilonia e di Tolemeo dall’Egitto. Le forze della coalizione così riunite avrebbero sconfiggere facilmente quelle di Antigono. Un piano così audace che prevedeva di concentrare in un unico punto le forze di generali distanti migliaia di chilometri l’uno dall’altro, non poteva essere attuato con precisione cronometrica, soprattutto perchè Tolemeo e Seleuco, dovevano attraversare interi territori soggetti ad Antigono e quindi ostili.

Lisimaco, che era stato il primo ad arrivare in Anatolia e ad invadere la Frigia, aveva dovuto così sostenere il peso dell’attacco di Antigono che per tutto l’inverno del 302 cercò di indurlo alla battaglia campale per annientarlo separatamente dagli altri. Lisimaco era però troppo scaltro per offrire un’occasione simile ad Antigono, e temporeggiò a sufficienza per permettere ai suoi alleati di soccorrerlo. In realtà Seleuco impiegò quasi un anno per portare tutte le sue truppe in Frigia, e Tolemeo non arrivò mai. Mentre assediava il porto di Sidone in Fenicia gli giunse la notizia che i coalizzati erano stati sconfitti in battaglia da Antigono, e pertanto ritornò precipitosamente in Egitto.

Seleuco invece, evitando la strada che dalla pianura mesopotamica portava in Cirrestica, in Cilicia e da lì in Asia Minore, facile, ma controllata dal nemico, prese il percorso più disagevole che dalla Media, attraverso la regione armena del lago Van, portava in Cappadocia, dove fece svernare le sue esauste truppe all’inizio del 301. La grande traversata dell’altopiano armeno durante i rigori dell’inverno costituisce una delle grandi imprese militari di ogni tempo, anche perché riuscì a portarsi dietro ben 500 elefanti che gli erano stati donati dal re indiano Chandragupta e che sarebbero stati molto utili nella successiva battaglia. Lisimaco si trovava accampato nella piana di Salonia, tra Eraclea e la moderna Bolu, ancora a 400 chilometri di distanza da Seleuco, mentre Antigono durante l’inverno ricevette i rinforzi del figlio Demetrio, che dopo avere stipulato una tregua con Cassandro si era precipitato in Asia in aiuto del padre. Anche Cassandro mandò rinforzi agli alleati al comando di Plistarco, ma parte di questo contingente fu intercettato presso il Bosforo dalla flotta di Demetrio e un’altra parte, venne distrutta da una tempesta, così che solo 5000 uomini mal equipaggiati poterono raggiungere il campo di Lisimaco.

LA BATTAGLIA

Nella primavera successiva anche Lisimaco e Seleuco si ricongiunsero e sfidarono Antigono e Demetrio nella piana di Ipso, circa a 20 chilometri a nord della città attuale di Afyon. Non erano più possibili compromessi, il destino dell’Asia sarebbe stato deciso da questo scontro. Secondo Plutarco Seleuco e Lisimaco avrebbero avuto sotto il loro comando 64.000 fanti, 10.500 cavalieri 120 carri da guerra e 400 elefanti, mentre Antigono e Demetrio potevano opporre, 70.000 fanti, 10.000 cavalieri ma solo 75 elefanti. Come d’abitudine per gli schieramenti ellenistici, la fanteria occupava la posizione centrale dei due schieramenti, protetta su ambo i lati dalla cavalleria. Le forze mobili erano affidate ai figli dei sovrani. Su un’ala Antioco figlio di Seleuco si trovava di fronte Demetrio Poliorcete. La cavalleria del primo era in massima parte leggera, costituita da arcieri a cavallo e portatori di giavellotto, che non potevano reggere ad una carica di cavalleria più pesante come quella di Demetrio.

Il piano di Antigono era di far caricare a Demetrio la cavalleria avversaria per poi piomabare sui fianchi e sulle spalle della falange. Al centro Antigono si schierò con i suoi falangiti che fece proteggere dai suoi 75 elefanti schierati insieme alle truppe leggere. L'esercito di Lisimaco e Seleuco era disposto specularmene a quello di Antigono, all'avanguardia un muro di un centinaio di elefanti e truppe leggere e dietro la falange. Ma di riserva o schierati al fianco della falange c'era una riserva di altri 300 elefanti sotto il comando personale di Seleuco. Quando la battaglia si accese i primi a scontrarsi furono gli elefanti e le truppe leggere dei due schieramenti, senza che si arrivasse ad un esito decisivo.

Intanto Demetrio caricava la cavalleria opposta di Antioco e almeno apparentemente ebbe un pieno successo e la costrinse alla fuga. In realtà, Antioco aveva avuto probabilmente l’istruzione di simulare una fuga con i suoi contingenti iranici in modo da attirare Demetrio lontano dal campo di battaglia. La cavalleria iranica non poteva sostenere una carica, ma era adattissima a sfiancare un contingente più pesante ma meno mobile, e difatti Demetrio la inseguì, probabilmente attraverso una vallata a nord del campo di battaglia, senza riuscire a prenderla. Seleuco usò magistralmente i sui 300 elefanti della riserva per creare uno scudo protettivo alla sua retroguardia e per impedire alla cavalleria di Demetrio di tornare indietro e congiungersi col grosso del suo esercito. Nel frattempo con parte degli arcieri a cavallo e lanciatori di giavellotto, Seleuco iniziò a tormentare il lato della falange di Antigono rimasto scoperto.

Il vecchio Re sperò fino all’ultimo che il figlio riuscisse a ritornare, ma i suoi uomini, circondati dai nemici disertarono o furono messi in fuga. Non ci fu un massacro, ma a poco a poco tutto il centro si disgregò e solo pochi uomini della guardia rimasero intorno ad Antigono. Secondo Plutarco una folta schiera di nemici, alla fine, corsero verso il luogo ove si trovava Antigono. Uno dei personaggi che lo attorniavano disse :- O re, questi uomini corrono su di te-.- Quale altra meta potrebbero avere? Rispose Anigono.-Ma verrà Demetrio e mi salverà-. E questa speranza lo sostenne fino all’ultimo: scrutò continuamente in lontananza se mai vedesse arrivare il figlio, sino a che non partì una scarica simultanea e densa di giavellotti, da cui cadde trafitto, Tutti gli altri attendenti ed amici lo abbandonarono, ad eccezione di Torace di Larissa, che rimase vicino al suo cadavere.

Demetrio riuscì a salvare dalla rotta appena 4.000 cavalieri e 5.000 fanti, con i quali raggiunse Efeso e la Grecia, mentre alle sue spalle i suoi possedimenti asiatici venivano divisi tra i vincitori della battaglia. La sua parabola non era ancora giunta al termine, perché, padrone della Grecia e di una potente flotta, avrebbe per altri qindici anni recitato un ruolo da protagonista nella fitta ragnatela diplomatica dei rapporti tra i regni ellenistici, ma non avrebbe mai avuto forze sufficienti per riprendere i territori perduti e sarebbe alla fine caduto prigioniero di Seleuco dopo un’infruttuosa invasione della Siria. A salvare la dinastia Antigonide avrebbe provveduto il figlio Antigono Gonata che conquistato il trono Macedone dopo un’aspra lotta con Tolemeo Cerano, i Galli, Pirro e altri pretendenti macedoni, lo avrebbe conservato per sé e per i figli per oltre un secolo fino all’arrivo dei Romani.

A Ipso venne stroncato l’ultimo tentativo di riunificate l’impero di Alessandro. Antigono lottò tutta la vita per questo sogno e una vittoria in battaglia gli avrebbe dato la possibilità e le risorse, se non a lui al figlio Demetrio, di occupare nuovamente le satrapie orientali e di abbattere definitivamente Cassandro, che si era privato di gran parte delle proprie truppe per prestarle ai coalizzati. La sua sconfitta diede inizio ad una lunga fase di equilibrio tra i regni ellenistici, che si sarebbe protratta fino all’arrivo dei Romani. Nessuno dei re rinunciò teoricamente all’idea di unificare l’impero, ma tutti riconobbero di non avere le forze per questo scopo e lentamente si convertirono a diventare monarchi nazionali, anche se ciò riuscì meglio ai regni più omogenei della Macedonia e dell’Egitto che non a quelli multietnici come quello di Lisimaco o dei Seleucidi. Antigono lasciò un esempio di regalità acquistata per meriti sul campo, in un mondo che aveva fino ad allora riconosciuto il diritto a regnare in base al sangue e alla discendenza regale. L’amministrazione che lasciò all’Asia Minore consentì alla regione uno sviluppo e una prosperità che continuarono anche dopo la sua morte.

APPIAN - ROMAN HISTORY II - LOEB
DIODORO SICULO- BIBLIOTECA STORICA LIBRI XXI -XL, Rusconi
PLUTARCO - VITE PARALLELE - DEMETRIO E ANTONIO - RIZZOLI
E.WILL Histoire politique du mond hellénistique, vol 1 Nancy 1979
STORIA ANTICA CAMBRIDGE- VOL V- GARZANTI
JOHN D. GRAINGER Seleukos Nikator ECIG
FRANCA LANDUCCI GATTINONI -Lisimaco di Tracia - Jaca book 1992
RICHARD A. BILLOWS Antigonos the One-Eyed (University of California Press 1997)

by ALESSANDRO CONTI


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