I FATTI DEL '900 - QUASI SCONOSCIUTI
Sezione a cura di Michele Squillaci e Francomputer

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1900-1943

ITALIA - 44 Anni in Cina


Le operazioni italiane e la concessione di Tien-Tsin

1 – Premessa

L’Italia sin dalla seconda metà del 1800 cercò di espandere le proprie attività commerciali in Estremo Oriente tentando nel contempo di stabilire relazioni diplomatiche con la Cina e con il Giappone. Nel 1898 l’incrociatore Marco Polo, proseguendo nelle missioni affidate alle navi italiane, raggiunse le acque cinesi con l’incarico di esplorare la costa, individuare una zona adatta all’approdo ed avviare trattative per procedere all’acquisto del territorio prescelto. Nel corso della crociera, fu giudicata idonea alla costituzione di una base la baia di San-Mun, a circa 180 miglia a sud di Shanghai nella provincia del Chekiang. Nel marzo 1899 la richiesta di acquisto della baia, avanzata dalla rappresentanza diplomatica di Hong-Kong, fu però respinta dalle autorità cinesi.

2 - Disordini in Cina ed a Pechino

Più o meno nello stesso periodo di tempo nel “Celeste Impero” il movimento xenofobo della setta fanatica dei boxers si diffuse tra le popolazioni incitate alla rivolta ed esortate a sterminare gli stranieri. Le missioni religiose si trovarono ad essere le più minacciate. Il 20 aprile 1900 i Boxers attaccarono la missione cattolica di Pao-Ting-Fu dove indigeni convertiti si difesero subendo forti perdite. Nel maggio gli episodi di violenza si rinnovarono mentre grosse bande di boxers si misero in marcia verso Pechino attaccando i villaggi e danneggiando lungo il loro percorso reti ferroviarie e telegrafiche. La minaccia si estese ben presto alle concessioni europee di Tien-Tsin ed alle rappresentanze diplomatiche di Pechino. Per far fronte all’emergenza, nel porto di Ta-Ku si concentrarono numerose navi da guerra, tra cui gli incrociatori italiani Elba e Calabria.

2.1 – Coordinamento internazionale ed invio di truppe a Pechino

Il 28 maggio 1900 il Corpo diplomatico accreditato a Pechino decise di salvaguardarsi chiedendo aiuti militari ai comandanti delle forze navali radunate a Ta-Ku. Raggiunto con difficoltà, un accordo con le autorità cinesi per consentire l’ingresso nella capitale di truppe straniere, i primi contingenti di soldati partirono da Tien-Tsin il 31 maggio. I reparti di formazione inquadrarono parte degli equipaggi delle navi delle varie flotte cui si aggregarono anche quelli fatti scendere a terra dagli incrociatori italiani presenti in rada. L'Elba sbarcò un gruppo di 40 marinai, comandato dal Tenente di Vascello Federico Paolini che si unì ai distaccamenti francese, russo e inglese inviati a Pechino (1). Altri 40 uomini della R.N. Calabria, posti al comando del Tenente di Vascello, Giuseppe Sirianni furono invece destinati alla difesa di Tien-Tsin.

I reparti prescelti per la difesa delle Legazioni - tra cui il raggruppamento di marina italiano comandato dal Paolini - risalito il Pei-Ho sopra pontoni rimorchiati si trasferirono a Tien-Tsin per poi raggiungere a mezzo ferrovia Pechino. Nella serata del 31 maggio quindi oltre 300 uomini tra ufficiali e soldati, marciarono lungo la Via delle Legazioni per raggiungere le rispettive rappresentanze diplomatiche. II 3 giugno giunse a Pechino un altro contingente di truppa composto da cinquantadue marinai tedeschi e da trentasette marinai austriaci. Conseguentemente nella capitale dell’Impero si trovarono concentrati oltre 400 uomini di varia nazionalità. La presenza dei soldati, anche se numericamente non rilevante, contribuì ad incutere rispetto ed a garantire il servizio d’ordine tanto da far ritenere ai rappresentanti diplomatici di avere forze sufficienti per far fronte alle circostanze del momento.

Nelle prime giornate di giugno cominciarono a giungere a Pechino profughi provenienti dalle province più direttamente minacciate e tra questi alcuni missionari che fornirono informazioni dettagliate sulla situazione in essere e sugli eccidi perpetrati in vari distretti dai boxers. Giunsero notizie sull’uccisione di alcuni italiani a Pao-Ting-Fu nonché quella dell'assassinio di due missionari inglesi avvenuta a sud di Pechino. Altri ragguagli furono forniti sulle condizioni della ferrovia tra Pechino e Tien-Tsin considerata parzialmente inagibile a causa dei danni arrecati alla linea ed alle stazioni. Cattive nuove giunsero anche dal Pe-Tang dove il capo delle Missioni cattoliche, monsignor Favier, temendo un attacco alla cattedrale già presidiata da circa 30 militari francesi, chiese rinforzi alla Legazione italiana. Vista la delicatezza della situazione, il gran numero di profughi e la presenza di suore anche italiane presenti al Pe-Tang, fu deciso di accogliere la richiesta e di inviare in loco un piccolo drappello di 11 marinai posto al comando del sottotenente di vascello Angelo Olivieri.

2.2 - Spedizione dell’ammiraglio Sir Edward Seymour
(< qui nell'immagine)

Allarmati quindi dalla gravità delle molteplici informazioni ricevute da varie fonti e dall’inerzia delle autorità imperiali, i rappresentanti del Corpo diplomatico decisero di inoltrare nuove richieste di aiuto ai propri governi ed ai comandanti delle squadre presenti a Tien-Tsin. I capi delle forze navali, malgrado qualche screzio sulla scelta dell’ufficiale cui affidare il comando, decisero di organizzare una spedizione di soccorso su Pechino, attribuendone la guida all'ammiraglio inglese Sir Edward Seymour. Il 10 luglio cinque treni partirono da Tien-Tsin con a bordo oltre 2.000 uomini muniti di cannoni e mitragliatrici. Otto le nazionalità rappresentate nell’impresa militare 915 Britannici, 512 Tedeschi, 312 Russi, 157 Francesi; 111 Americani, 54 Giapponesi, 42 Italiani e 26 Austriaci.

Salutati alla partenza dalla comunità internazionale di Tien-Tsin, ed attesi a Pechino per la notte, le truppe presero posto sui treni portando con sé anche materiale idoneo per riparare la linea ferroviaria nei punti interrotti. Nella giornata dell’11 giugno il personale delle legazioni di Pechino si preparò ad accogliere i soldati in arrivo predisponendo anche i locali mezzi di trasporto. Non essendo però arrivato nella mattinata alcun treno ed in assenza di notizie, nel pomeriggio Il cancelliere della Legazione giapponese Sugiyama ritornò alla stazione ma, sceso dalla carrozza, fu barbaramente trucidato da soldati cinesi. Il suo cadavere sfigurato fu abbandonato nel fango. Nel pomeriggio del 13 giugno le bande dei boxer entrarono in forze a Pechino distruggendo e massacrando. Nella loro furia incendiarono i beni dei missionari, i locali delle Dogane, le abitazioni degli insegnanti stranieri all'Università imperiale e la grande cattedrale dell'Est dove un vecchio sacerdote francese morì tra le fiamme con molti suoi convertiti. Nel corso della notte i tumultuanti si avvicinarono alla Legazione Austriaca dove però furono…..degnamente accolti dai proiettili sgranati dalla mitragliatrice del picchetto di guardia.

Nel frattempo il convoglio dell’ammiraglio Seymour, attardato dalla riparazione di alcuni tratti della ferrovia e superata senza problemi circa la metà del tragitto fu attaccato dai Boxers il 12 luglio nei pressi di Lang-Fang.

Gli attacchi in forze si susseguirono nelle giornate successive creando gravi difficoltà alle truppe in movimento anche a causa dell’occupazione e del danneggiamento da parte dei Boxers del ponte di ferro sul Pei-Ho nei pressi di Yang-Tsun e della conseguente impossibilità di ottenere rifornimenti da Tien-Tsin. Non sussistendo le condizioni per procedere oltre Lang-Fang, l’ammiraglio Seymour decise di ritornare a Yang-Tsun e di percorrere il residuo tragitto verso Pechino per via fluviale. Un attacco organizzato a Lang-Fang da truppe regolari cinesi contro il treno del contingente tedesco, oltre che comportare alcune perdite tra cui quella di un ufficiale e di cinque marinai italiani, costrinse l’ammiraglio Seymour ad arretrare verso Tien-Tsin abbandonando, per il momento, qualsiasi velleità di raggiungere Pechino.

2.3 - Combattimenti a Tien-Tsin e conquista dei forti di Ta-Ku

Boxers e truppe regolari cinesi, oltre che operare contro le truppe dell’ammiraglio Seymour, svilupparono azioni offensive anche contro le comunità straniere di Tien-Tsin incendiando alcuni settori della concessione francese. I militari presenti, pari a circa 800 uomini, furono fortunatamente rinforzati dall’arrivo di circa 1.600 soldati russi che, giunti troppo tardi per aggregarsi alla spedizione su Pechino, si unirono agli altri combattenti raggiungendo le linee difensive assegnate.

Nella giornata del 16 giugno i comandanti delle flotte preoccupati dalla inagibilità della ferrovia, dalla mancanza di comunicazioni con la spedizione Seymour ed inoltre dalla possibilità di un blocco del canale alla foce del Pei-Ho che avrebbe intrappolato le navi, decisero di agire preventivamente e di occupare i forti di Ta-Ku. Convinti che solo il controllo dei forti, situati in posizione dominante all’entrata del fiume Pei-Ho, potesse costituire una valida protezione di Tien-Tsin, delle navi e delle forze di Seymour, intimarono senza indugio la resa al comandante della guarnigione cinese.
Le autorità cinesi rifiutarono di aderire all’ultimatum perciò, nella notte del 15 giugno alcune cannoniere a basso pescaggio appartenenti alla marina Russa, Inglese e Giapponese, con a bordo una forza d’assalto di circa 900 uomini tra cui un drap¬pello di 24 marinai italiani al comando del sottotenente di vascello Giovanni Tanca, si avvicinarono ai quattro forti che aprirono immediatamente il fuoco. Accesasi la battaglia tra le artiglierie contrapposte, gli equipaggi di due bastimenti inglesi riuscirono ad abbordare di sorpresa quattro caccia cinesi fermi all’ancora riuscendo ad assumerne il controllo senza subire perdite. Poche ore dopo, malgrado i danni sofferti da alcune navi a causa del cannoneggiamento subito, la forza da sbarco prese terra assaltando ed occupando le fortificazioni.

A Pechino i disordini non si placarono, massacri ed incendi provocati dai Boxers furono constatati in molte zone della città provocando notevole preoccupazione nella comunità straniera. Bruciò anche la Cattedrale del Sud mentre nelle strade adiacenti, centinaia di cristiani furono trucidati.

Il 19 giugno la corte imperiale cinese apprese la notizia della caduta dei forti di Ta-Ku e considerando l’azione “atto di guerra”, diramò istruzioni ai propri comandi militari per agire di conseguenza ed ordinò ai plenipotenziari stranieri di abbandonare Pechino. I rappresentanti diplomatici delle varie nazioni rifiutarono l’ingiunzione di lasciare le proprie sedi sotto scorta cinese e si predisposero a difesa. Il 20 il ministro tedesco Klemens Freiherr Von Ketteler ( < nell'immagine qui a fianco) nel tentativo di ottenere un’udienza a Corte fu ucciso da un soldato cinese e la sera stessa i Boxer, decorso il termine stabilito nell’ultimatum, posero l'assedio al quartiere delle legazioni di Pechino. Il 21 con un editto imperiale fu dichiarata guerra alle potenze straniere.

 

2.4 - Liberazione di Tien-Tsin e rientro della Colonna Seymour.

Nel frattempo i boxer attaccarono le concessioni di Tien-Tsin. Le ostilità iniziate contro i quartieri stranieri a partire dal 15 giugno si intensificarono e, nelle giornate successive all’attacco ai forti di Ta-Ku, forti contingenti di truppa ne attaccarono le difese peraltro bombardate dall’artiglieria cinese. La guarnigione forte di 2.400 uomini e costretta a difendere un perimetro di circa 8 km, si trovò in difficoltà. Molti i caduti ed i feriti, tra questi nel pomeriggio del 18 giugno il S.T.V. Ermanno Carlotto (3) posto al comando del piccolo distaccamento italiano sbarcato dalle R. Navi Elba e Calabria.

I continui attacchi dei Boxers e delle truppe imperiali cinesi – incuranti delle perdite - resero difficile….la vita ai difensori ma un messaggero riuscì a raggiungere Ta-Ku informando sulla situazione i comandi che organizzarono una colonna di soccorso. Giunti vari contingenti militari sbarcati da una nave trasporto russa proveniente dal Port Arthur e da una inglese giunta da Hong Kong, furono costituite due formazioni per un complesso di circa 2.000 soldati che, trasportati in parte in treno, raggiunsero la periferia di Tien-Tsin. Il 23 giugno, dopo numerosi scontri, le colonne di soccorso raggiunsero la periferia dei quartieri internazionali e, superata la resistenza cinese, riuscirono a liberare civili e combattenti.
Nel frattempo la colonna Seymour, proseguendo la sua ritirata lungo il fiume, fu attaccata in più occasioni dalla cavalleria e dalle truppe imperiali. Superata anche la resistenza di alcuni villaggi ostili, la colonna riuscì a raggiungere l’arsenale cinese di Hsi-Ku. Dopo aver conquistato la piccola fortezza, le truppe dell’ammiraglio vi trovarono rifugio difendendosi da nuovi e reiterati assalti delle forze avversarie. Da Tien-Tsin però partirono in soccorso reparti russi, inglesi ed un piccolo contingente di marinai italiani. Reparti di cavalleria russa raggiunsero l’arsenale ed il 26 giugno - messo in fuga il nemico ed incendiato il deposito - la colonna Seymour si rimise in marcia portando al seguito numerosi feriti. Nel corso delle azioni in cui i reparti della spedizione si trovarono coinvolti le perdite subite ammontarono a 62 morti e 232 feriti. Tra questi 8 italiani di cui deceduti il sottocapo Vincenzo Rossi(2), il trombettiere Ovidio Painelli, i cannonieri Filippo Basso, Alberto Autuori e Cesare Sandroni.

Il 14 luglio le forze alleate occuparono anche la parte indigena di Tien-Tsin, ormai in fiamme, rendendo sicura tutta la zona delle concessioni straniere. Il successo riportato pose un freno al partito reazionario a Pechino in assenza di risultati atti a conseguire la vittoria ed essendosi rivelate infondate le speranze di riscossa riposte sui boxer. Molte invece le conseguenze negative: massacri, razzie, incendi, devastazioni, inutili distruzioni, nessun progresso nell'attacco alle legazioni ed infine guerra aperta tra la Cina ed alcune delle maggiori potenze mondiali.

3 - Intervento in forze delle Grandi Potenze

Alcuni osservatori misero in luce il diffondersi - dopo l'occupazione di Tien-Tsin – di una notevole dose di scetticismo da parte dei “mass media” dell’epoca sulla reale possibilità di intervenire a tempo per salvare il personale delle Legazioni assediate. Al pessimismo, si aggiunse il dolore, l’angoscia e la commozione di tutto il mondo per effetto delle notizie – false - pubblicate con ampia enfasi dal Daily Mail sul massacro di tutti i difensori delle rappresentanze diplomatiche.

L’attenzione dimostrata dall’opinione pubblica sui fatti dipinti a tinte piuttosto fosche, il martirio di molti missionari che preoccupò le gerarchie ecclesiastiche e le richieste di intervento formulate anche per il tramite della stampa, imposero ai governi delle Grandi Potenze di mantenere vivo il prestigio delle rispettive bandiere, di garantire la salvaguardia dei propri rappresentati all’estero e difendere – ovviamente e principalmente – i propri interessi commerciali. Fu quindi decisa una spedizione internazionale, alla quale concorsero Francia, Inghilterra, Germania, Austria, Russia e Giappone.
Anche l’Italia aderì all’iniziativa dopo vari passaggi parlamentari. Il 5 luglio il Ministero della Guerra dispose l’invio in Cina degli incrociatori Ettore Fieramosca, Vettor Pisani nonché delle Regie Navi Vesuvio e Stromboli costituendo la Divisione Navale Oceanica posta al comando dell’Ammiraglio Camillo Candiani che innalzò la sua insegna sul Fieramosca.
Altrettanto velocemente fu allestito anche un contingente di soldati agli ordini del colonnello Vincenzo Garioni e costituito da un battaglione di fanteria comandato dal tenente colonnello Tommaso Salsa e da uno di bersaglieri con a capo il maggiore Luigi Agliardi. Completarono la forza di intervento, un reparto cavalleggeri, una batteria di mitragliatrici, una batteria da montagna, un distaccamento del genio, un ospedaletto da campo, un drappello della sussistenza ed una sezione di Carabinieri Reali; in tutto 83 ufficiali e circa 1.900 uomini di truppa.
La spedizione partì da Napoli il 19 luglio 1900, a bordo dei piroscafi Minghetti, Giava e Singapore salutata per l'ultima volta dal re Umberto I. Pochi giorni dopo la truppa apprese del decesso del re a seguito di un attentato (2).

Lo sforzo militare italiano non fu tra i più importanti ove paragonato a quello delle altre nazioni partecipanti all’impresa, la Francia concorse con oltre 10.000 uomini, la Germania con 4.000, l'Inghilterra impegnata in guerra nel Transwaal inviò due divisioni coloniali, la Russia e il Giappone un corpo d'armata per ciascuna, gli Stati Uniti infine inviarono nell’estate circa seimila soldati. La forza complessiva posta al comando del maresciallo tedesco Alfred Graf von Waldersee raggruppò quindi a mobilitazione conclusa un totale di circa 70 mila soldati con 165 cannoni e un migliaio di portatori.

3.1 - Assedio alle Legazioni ed alla Cattedrale del Nord (Pe-Tang)

3.1.1 – Assedio alle legazioni

Durante la faticosa ritirata delle truppe dell’ammiraglio Seymour verso Tien-Tsin a Pechino i boxer (< qui nell'immagine a fianco) misero sotto assedio sia il quartiere delle legazioni sia la cattedrale del Pe-Tang dove trovarono rifugio 3.500 persone protette da un velo di truppa: 30 marinai francesi e 11 italiani.

Scaduto l’ultimatum inoltrato al Corpo diplomatico per abbandonare Pechino, fu iniziato l'attacco contro le Legazioni. Cadde un marinaio francese mentre le truppe internazionali per difendersi dagli assalti cercarono di fortificarsi nelle rispettive sedi. Le residenze del Belgio e dell’Olanda, abbandonate a causa della localizzazione esterna, furono incendiate dai cinesi. I boxer però non attaccando a fondo consentirono agli assediati di riordinare la truppa disponibile e di organizzare il fulcro della difesa nella vasta cinta della legazione britannica. Uomini e donne contribuirono nel mantenimento delle posizioni anche imbracciando i fucili mentre al comando del capitano austriaco von Thomann furono impiegati nei vari settori difensivi i 20 ufficiali ed i 389 marinai presenti a Pechino e cioè: 82 Britannici, 81 Russi, 56 Americani, 52 Tedeschi, 47 Francesi, 37 Austriaci, 29 Italiani e 25 Giapponesi.

Nella giornata del 22 giugno alla ripresa dell’attacco furono feriti due marinai italiani mentre, a causa di un errato ordine da parte del comandante austriaco, i distaccamenti italiano, austriaco, francese, tedesco, giapponese, russo ed americano abbandonarono le loro posizioni e raggiunsero la Legazione britannica. Incendiata da parte cinese anche la Legazione italiana ed occupate alcune barricate i soldati ebbero l’ordine di riprendere le posizioni perdute mentre Il capitano von Thomann – accusato di incompetenza - fu immediatamente esonerato dal comando.

Il distaccamento italiano unitamente a quello giapponese, si schierò a difesa nell’antica dimora di un mandarino cinese - la “Villa del Foo” - ubicata nel recinto delle Legazioni e nei pressi dell’ambasciata inglese. Nel corso degli scontri il 23 cadde ferito per poi morire nella giornata successiva, il marinaio Mazza. Il 24 furono respinti ripetuti tentativi di scalata alle mura della villa, caddero molti avversari ma anche il marinaio Zolla. Il 25, nel rispondere al fuoco con il cannoncino da 37 mm. portato da Tien-Tsin, rimasero feriti anche il sottocapo Munsariello ed il cannoniere Meloni.

Anche gli altri distaccamenti, americano, inglese, francese ed austriaco nel bloccare l’avanzata dei boxer e delle truppe imperiali, subirono dolorose perdite nella difesa della legazione di Francia e delle mura di recinzione dei vari quartieri soggetti ai gravosi assalti nemici. Nel luglio nella zona del Foo, dopo una sortita effettuata da una compagine di italiani, giapponesi, inglesi e francesi contro le truppe assedianti, i boxers riuscirono ad aprire delle brecce nelle mura di cinta della villa senza però riuscire ad oltrepassarle. Nelle azioni rimasero uccisi il cannoniere Manfron e il marinaio Boscarino, tra gli altri feriti il timoniere Saldinari, un volontario inglese ed alla spalla il tenente di vascello Paolini che, ricoverato in infermeria, fu sostituito nel comando dal marchese Livio Caetani.
La legazione di Francia intanto, bombardata e conquistata dai cinesi, fu incendiata mentre nella zona del Foo caddero ancora due italiani: il cannoniere Melluso e il capo cannoniere Milani. In altri successivi attacchi perse la vita il cannoniere Marsili mentre rimasero feriti il marinaio De Gregorio ed il cannoniere Gherardi.
La posizione degli assediati già critica all’inizio degli assalti lo divenne ancora di più successivamente anche a causa delle numerose perdite che si verificarono e delle carenze che cominciarono a manifestarsi nelle magre riserve alimentari e nel munizionamento. Una provvidenziale sospensione degli attacchi da parte cinese consentì ancora una volta di riorganizzare le forze a disposizione. Quasi contemporaneamente all’inquietudine e alla frustrazione si sostituì negli animi degli assediati la speranza della salvezza infatti notizie provenienti da Tien-Tsin diedero ormai per sicuro il prossimo arrivo a Pechino di consistenti contingenti di truppa.

La tregua, durata pochi giorni fu interrotta il 24 luglio; i rinnovati attacchi comportarono altri vuoti tra i difensori italiani nuovamente comandati dal tenente di vascello Federico Paolini.
In infermeria….. lo sostituirono a causa delle ferite riportate in combattimento il cannoniere Gaggero e poi il 29 il cannoniere Lunardo. Il frastuono dovuto ai combattimenti in corso nella città che continuarono per altre lunghe settimane e quello del rimbombo dei cannoni fu udito anche al Pe-Tang dove la situazione dei difensori della cattedrale risultò molto più difficile.

3.1.2 – Assedio alla Cattedrale del Pe-Tang

La difesa del Pe-Tang, o cattedrale del Nord (< nell'immagine qui a fianco) fu affidata, come già accennato, ad un distaccamento francese forte di 30 uomini al comando del sottotenente di vascello Paul Henry cui si unì - inviato da Pechino - il sottotenente di vascello Angelo Olivieri con 9 uomini e 2 sottufficiali. All’interno della cinta oltre alla cattedrale, un orfanotrofio, la casa del vescovo, un convento, un dispensario, alcune scuole, una tipografia, una cappella, un museo, negozi, stalle ed altri edifici, anche suore, missionari e solo altre ….3.000 persone da difendere e nutrire, con moltissime donne vecchi e bambini.

Nulle le probabilità di abbandonare il complesso degli edifici e tanto meno quelle di una fuoriuscita dei convertiti cinesi la cui sorte sarebbe stata irrimediabilmente segnata. Scarse le munizioni e scarsi i viveri malgrado le scorte raccolte in previsione di possibili torbidi. L’impossibilità di ottenere rifornimenti a causa dell’assedio e la numerosità dei profughi dislocati alla meno peggio all’interno della cinta della cattedrale, obbligò il vescovo Pierre Marie Alphonse Favier a razionare i viveri. Con il passare dei giorni la situazione andò via via peggiorando costringendo i rifugiati ad utilizzare come cibo brodaglie preparate con erbe, foglie degli alberi e radici. Alta quindi la mortalità specie tra i bambini in assenza di latte e di altri idonei nutrimenti.
I difensori della cattedrale oltre che essere pochi, non beneficiarono della tregua che - per quanto temporanea - diede respiro alle Legazioni; furono infatti attaccati con alterna violenza e da masse nemiche sempre più numerose, per un periodo consecutivo di circa otto settimane. Boxer, truppe imperiali ed artiglieria si alternarono negli assalti nel tentativo di penetrare nel recinto, ottenere una vittoria considerata prestigiosa, e ……massacrare tutti. Non mancarono comunque gli episodi di eroismo, nei primi giorni di assedio i difensori organizzarono una sortita e si impadronirono di due pezzi di artiglieria del nemico.
Molti soldati, nell’adempiere al loro dovere caddero durante i combattimenti e tra questi anche l’ufficiale francese Paul Henry ucciso da un proiettile che lo colpì al collo; nel suo raggruppamento si ebbero molti feriti e cinque morti. Tra gli italiani tutti restarono più volte feriti compreso il comandante, deceduti invece i marinai Danese e Colombo, i cannonieri Roselli, Fanciulli e Piacenza e il capo cannoniere Marielli.
Riducendosi le possibilità di resistenza e……risultando assolutamente negative le probabilità di sopravvivenza in caso di resa, si tentò di chiedere aiuti all’esterno avvalendosi allo scopo di un messaggero indigeno. Il tentativo non ebbe successo; la staffetta catturata fu decapitata e la sua testa esposta come monito sul cancello principale.

La situazione particolarmente precaria subì un ulteriore declassamento nella scala dei valori. Divenne infatti…..disperata anche a seguito delle nuove strategie di attacco sviluppate dei cinesi nel tentativo di ridurre le loro perdite. Già il 18 luglio una mina fatta esplodere sotto una costruzione del recinto, provocò circa cinquanta vittime e molti danni. Il 12 agosto un’altra carica provocò la morte di circa cento cinesi e di cinque marinai italiani. Il giorno dopo un'altra deflagrazione oltre a provocare un’altra strage distrusse una parte delle mura esterne ma alla formazione della breccia non seguì l’attacco conclusivo. Ai difensori non rimase che contare le cartucce residue ed attendere mentre ben 300 profughi, deceduti per le privazioni ed a seguito dei combattimenti, furono sepolti negli spazi aperti della cattedrale.

4 - La spedizione Internazionale Galesee e liberazione di Pechino

4.1 – Avanzata del Corpo Internazionale e primi combattimenti

Nel frattempo tra Ta-Ku e Tien-Tsin, cominciarono a giungere importanti forze internazionali ed alla fine del mese di luglio sotto il comando del generale inglese Alfred Gaselee si raccolse un contingente di 25.000 uomini. Ancora in viaggio il contingente italiano, il maresciallo von Waldersee ed altri numerosi reparti provenienti da varie nazioni.

Il generale Galesee (< nella foto qui a fianco) per quanto giudicasse delicata la situazione scelse in un primo tempo la strada della prudenza in attesa di avere a disposizione armi e materiali moderni nonché forze sufficienti a garantire inequivocabilmente il successo. L’esigenza però di un intervento urgente fece riconsiderare le decisioni assunte dal Consiglio alleato di guerra che analizzò in alternativa la possibilità di un’avanzata immediata destinata a ridurre la pressione dei boxer e delle truppe imperiali sugli assediati. Dopo vari scambi di idee, scartate le ultime obiezioni per un rinvio dell’operazione, nella mattinata del 3 agosto fu deciso di mettersi in movimento. All'alba del 4 agosto il piccolo esercito del corpo internazionale di liberazione iniziò la marcia da Tien-Tsin verso Pechino con una forza di 20.000 uomini composta da 10.000 Giapponesi, 4.000 Russi, 3.000 Britannici 2.000 Americani, 800 Francesi, 100 Tedeschi, 100 austriaci ed italiani. Organizzati i trasporti lungo le rive del fiume Pei-Ho, tramite l’utilizzo di giunche, di sampan e di carovane la spedizione dopo trentasei ore arrivò a Yang-Tsun, dopo aver sostenuto due scontri vittoriosi contro l’avversario.
La prima battaglia fu combattuta la mattina del 5 agosto a Peitsang, pochi chilometri a nord dell'arsenale di Hsi-Ku. Sostenuti dall’artiglieria britannica giapponesi e russi avanzarono in formazione attaccando e sbaragliando le posizioni nemiche. Raggiunto il successo le truppe alleate avanzando combatterono nuovamente a Yang-Tsun. Anche in questo caso l’assalto condotto da americani e da inglesi con il sostegno degli altri contingenti malgrado alcune perdite ebbe successo ed il 6 agosto la cittadina cadde.

Dopo una sosta necessaria al riordino delle truppe ed al sopraggiungere dei rifornimenti i comandi decisero di avanzare direttamente su Pechino costituendo una colonna di 14.000 uomini composta principalmente da americani, inglesi, giapponesi e russi. Un altro raggruppamento di italiani, tedeschi, austriaci e francesi rientrato a Tien-Tsin per assenza di trasporti si rimise poi in marcia per raggiungere il gruppo principale e partecipare alla liberazione di Pechino.

4.2 - Liberazione di Pechino e del Pe-Tang

Il 26 furono ripresi gli attacchi contro le legazioni sospesi fin dal 14 luglio per ottenere risposta al nuovo invito rivolto ai diplomatici di lasciare la città sotto scorta cinese. Nei primi giorni di agosto nei quartieri delle legazioni a Pechino la battaglia continuò nel suo corso provocando altre perdite tra le fazioni contrapposte mentre cominciò a diffondersi la notizia – ormai sicura – sull’invio da parte di tutte le grandi potenze di truppe destinate alla Cina. Voci accreditate e considerate ufficiali resero inoltre nota la partenza del generale Galesee quale avanguardia di un esercito molto più consistente e superiore ai 40.000 uomini.

Il grosso del Corpo di liberazione, intanto, marciando verso Pechino occupò Hosiwu nelle prime ore del 9 agosto, Matou all'alba del 10 e Changchiawan nella giornata dell'11. La città di Tung-Chow, cinta di mura e situata a ventidue chilometri da Pechino, costituì quindi l’ultimo ostacolo da superare nella corsa contro il tempo per raggiungere le Legazioni assediate. Nelle prime ore del 12 agosto i giapponesi fecero saltare in aria il cancello sud di Tung-Chow e gli alleati, entrati nella città la saccheggiarono. Dopo un breve periodo di riposo fu pianificato l'attacco finale alla capitale del “Celeste Impero” da svilupparsi per il tramite di quattro colonne d’assalto. Si convenne inoltre che tutti i contingenti - inglesi, americani giapponesi e russi - avrebbero trascorso la notte a circa cinque chilometri dalle mura per attuare tra il 14 ed il 15 un attacco contemporaneo concentrando i singoli sforzi sugli obiettivi puntigliosamente assegnati.

Nella giornata del 13 agosto il piccolo esercito lasciò Tung-Chow, si aprì a ventaglio e avanzò faticosamente sulle strade rese viscide dalla pioggia. Il piano formulato per attaccare congiuntamente Pechino fu però disatteso. I russi avanzando prematuramente dopo aver combattuto nel settore inizialmente riservato agli americani entrarono in città. Tutte le truppe furono quindi lanciate avanti per l'assalto finale. Ai russi seguirono americani inglesi e giapponesi che dopo accaniti combattimenti occuparono le porte, scalarono le mura (nell'immagine sopra) sconfissero i difensori ed avanzarono all’interno della cinta. Issate le bandiere nazionali da ogni distaccamento e sopraffatte le ultime resistenze, gli inglesi ed il 14° reggimento di fanteria degli Stati Uniti arrivarono alle Legazioni nel primo pomeriggio seguiti a breve distanza di tempo dai russi e dai giapponesi. Esultanti i soldati ed i borghesi delle Legazioni che - dopo aver subito notevoli vicissitudini nei cinquantacinque giorni di assedio costati al personale europeo oltre 80 morti e 150 feriti - finalmente liberi andarono incontro ai loro salvatori salutandoli con riconoscenza ed entusiasmo.

Fuggita la corte imperiale, disintegrato il governo, dissolte le armate cinesi, spariti i boxers, il 15 le truppe alleate diedero l’assalto alla Città Imperiale eliminando ogni sacca di resistenza. Nella giornata successiva fu organizzato un gruppo di intervento per liberare la cattedrale del Pe-Tang ancora soggetta agli ultimi attacchi avversari.

Al Pe-Tang, terminati i viveri ed ormai con pochissime cartucce a disposizione, i difensori furono messi sull’avviso del mutamento della situazione generale udendo il tuonare dei cannoni alleati e vedendo sparire dalle mura della Città Imperiale gli stendardi cinesi. Finalmente il 16 agosto, giunsero alcune pattuglie di soldati giapponesi che liberarono la cattedrale seguiti successivamente da una formazione di reparti francesi, russi, inglesi ed italiani. Tra gli italiani il Paolini con 10 uomini accolto festosamente dal sottotenente di vascello Angelo Olivieri e dai suoi 5 marinai superstiti.

4.3 Parata militare nella città proibita

L’imperatrice vedova fuggita nella giornata del 15 agosto con un piccolo seguito si rifugiò dapprima nel palazzo d'Estate per poi raggiungere Sian, capitale della provincia dello Shensi. Dopo la sua fuga, Pechino si riempì di cadaveri. I militari alleati rastrellarono la città alla ricerca dei boxer superstiti catturando per le strade i cinesi che incontrarono ed uccidendo nell’occasione anche molti innocenti. Negli antichi palazzi, nei templi e negli edifici pubblici furono accasermate le truppe che si diedero al saccheggio indiscriminato. Lo spirito vendicativo accese in particolare gli animi dei soldati tedeschi esortati a punire i responsabili dell’eccidio del barone Von Ketteler, come raccomandato ai loro comandanti dal Kaiser in persona "Siano alla vostra mercé tutti coloro che catturerete. Non fate prigionieri. Il nome della Germania dovrà diventare famoso come quello di Attila. Che nessun cinese osi più guardare negli occhi un tedesco"(*). Pechino si spopolò molti abitanti ancora in città non osarono mostrarsi mentre altri, preoccupati per la loro vita, fuggirono verso la campagna lasciando le loro case che furono devastate dai soldati in cerca di oggetti preziosi.

Suddiviso il territorio in settori controllabili, riorganizzate ed alloggiate le truppe, fu deciso dai comandi di organizzare una grande parata militare per festeggiare la vittoria, rendere omaggio ai caduti ed ai membri del corpo diplomatico, dare un segno di potenza ed infliggere al “Celeste Impero” l'umiliazione di veder passare truppe straniere in zone vietate da secoli a tutte le persone "comuni”.

Nella giornata del 28 agosto, i capi militari, i loro stati maggiori, le rappresentanze diplomatiche ed i reparti di tutte le nazioni si riunirono di fronte alla porta sud della città imperiale. Nelle prime ore del mattino una lunga colonna, composta da russi, inglesi, indiani, giapponesi, francesi, tedeschi, austriaci ed americani cominciò a sfilare con le bandiere al vento davanti alle autorità accompagnata dal suono delle fanfare e dalle salve sparate dai cannoni. Alla sfilata presero parte anche reparti di marinai italiani e tra questi le compagnie della R.N. Fieramosca giunte a Pechino nella giornata del 27 al comando del capitano di corvetta Manusardi.

Nelle giornate successive continuarono i rastrellamenti nella città e nei dintorni per rendere sicuro il territorio circostante la città, ripristinare i collegamenti telegrafici danneggiati e mantenere libere le comunicazioni in attesa dell’arrivo degli altri contingenti di truppa tra cui - non ultimi - quelli del piccolo corpo di spedizione italiano.

5 – Operazioni successive - Arrivo del Comandante in Capo - Spedizioni punitive – Trattato di pace

Nelle giornate in cui si realizzò l’occupazione di Pechino da parte delle forze del generale Galesee (< nell'immagine qui a fianco) continuarono a giungere truppe di varia nazionalità. I piroscafi con la forza di intervento italiana raggiunsero Singapore il 14 agosto ed all'alba del 29 entrarono nella rada di Ta-Ku, scortati della R.N. Stromboli. Al termine del viaggio - reso più lungo e faticoso a causa di numerosi fortunali che rallentarono la navigazione - i tre piroscafi, Giava, Singapore e Minghetti trovarono all’approdo le navi della divisione oceanica: l'Elba, la Fieramosca, la Calabria e la Vettor Pisani. L’ultima delle sei unità a disposizione dell’ammiraglio Candiani, la R.N. Vesuvio giunse soltanto il 28 settembre a Shanghai, proseguendo per Ta-Ku il 23 ottobre, avendo subito un'avaria all'apparato motore.

I reparti dei due battaglioni costituenti la forza di intervento sbarcati nella stessa giornata del 29 furono avviati parte a piedi e parte in ferrovia a Tien-Tsin. Lo sbarco di questi reparti portò la presenza dei militari italiani in Cina ad un complesso di 2.445 uomini con 96 ufficiali, una batteria da montagna, 6 mitragliatrici e 300 qua¬drupedi.

Il 26 settembre, il comando supremo del Corpo di spedizione fu assunto dal feldmaresciallo tedesco von Waldersee che raccolse sotto la sua guida circa 70 mila uomini con 165 cannoni e 36 mitragliatrici, imponente anche lo spiegamento delle forze navali, 131 navi per un totale di 517.000 tonnellate. Immediatamente dopo aver assunto i poteri il maresciallo progettò con la collaborazione degli altri comandanti una serie di azioni destinate a rastrellare il territorio e ad allontanare definitivamente da Pechino e dal suo circondario ogni forma possibile di reazione.

5.1 – Rastrellamenti e spedizioni punitive

Nel mese di ottobre i battaglioni italiani trasferiti a Pechino ed ormai pronti per l’impiego furono utilizzati - come altri contingenti internazionali - in operazioni punitive svolte contro le cittadine di provincia maggiormente responsabili di azioni delittuose contro stranieri, missionari ed indigeni convertiti. Negli ultimi mesi del 1900 e nei primi del 1901 furono effettuate incursioni su numerosi villaggi ed alcune cittadine tra cui Chan-Hai-Tuan, Pao-Ting-Fu, Ku-nan-Hsien, Kalgan e Ping-ku-shien. A queste spedizioni parteciparono in forze i reparti italiani costituiti da bersaglieri e da marinai con al seguito la batteria da montagna manovrata dagli alpini.

Il 4 ottobre due compagnie di bersaglieri e una di marinai con una forza complessiva di 470 uomini marciando a tappe forzate attaccarono Chan-Hai-Tuan e dopo numerosi assalti obbligarono il nemico a ritirarsi in disordine, lasciando sul terreno armi e munizioni.
Subito dopo fu organizzata una grossa spedizione. Circa 20.000 uomini organizzati su varie colonne si diressero su Pao-Ting-Fu, cittadina ubicata a circa 140 chilometri da Tien-Tsin ed altrettanto da Pechino. In questa località alcune centinaia di convertiti cinesi armati dai missionari locali si opposero ai boxer prima di dover soccombere alle forze avversarie durante le fasi più tragiche dei primi mesi del 1900. Il 10 ottobre le truppe italiane, ivi inclusa la batteria da montagna, si prepararono a partecipare all’azione con circa 400 uomini formati da una compagnia di marinai del Fieramosca e due compagnie di fanteria del colonnello Salsa.
Raggiunti i villaggi di Lu-ku-Kiao e di Liang-Siang-Hsien la colonna si congiunse con altri reparti al comando del generale Galesee mentre altre consistenti forze seguirono itinerari diversi. A Cho-Chao le truppe furono ben accolte dalle autorità locali che attestarono la loro lealtà procedendo alla decapitazione di alcuni boxers. Giunti a Pao-Tin-Fu i generali comandanti delle tre colonne si riunirono a consiglio. Sorsero dissensi tra le parti in quanto il generale Bailloud, nel dichiarare la località protettorato francese, non ritenne giustificabile l’ingresso di altri contingenti di truppa nel centro abitato. Superate le obiezioni francesi a seguito delle rimostranze del generale Galesee, furono occupate le porte della cittadina ed innalzate sulle mura le bandiere dei vari distaccamenti. Quasi contemporaneamente giunse a Pao-Tin-Fu un’altra colonna al comando del colonnello Garioni dopo essersi scontrata con elementi cinesi. Costituita una commissione di inchiesta per punire i responsabili dei massacri avvenuti localmente durante la ribellione dei boxers e giustiziati i maggiori responsabili delle stragi, le colonne il 29 ottobre ripresero la marcia di rientro verso Pechino, lasciando in città solo un presidio formato da soldati francesi e tedeschi.
Al contingente italiano - durante la marcia di rientro nelle giornate fra il 2 e il 4 novembre - un reparto tedesco segnalò la presenza di nuclei avversari a Ku-nan-Hsien a circa 12 chilometri da Pechino. Il colonnello Garioni decise di muovere verso la località con tutti i suoi uomini. La città - già in stato di allarme - fu attaccata da reparti di bersaglieri e di marinai che dopo una breve lotta ne occuparono gli ingressi. Molti cinesi furono fatti prigionieri, i superstiti del presidio fuggendo consentirono la cattura di circa 1.600 fucili, 8 cannoni e numerose bandiere. La colonna riprese poi la marcia su Pechino lasciando dietro di sé, tra i cinesi un centinaio di morti e feriti.

A Pechino, dopo pochissimi giorni, sistemati gli alloggiamenti, gli italiani si mossero per partecipare, dal 12 novembre al 4 dicembre, alla spedizione su Kalgan, fiorente centro commerciale situato a circa 200 chilometri a ovest di Pechino. Essendo stato segnalato il concentramento di grosse masse di soldati regolari cinesi, il 9 novembre tedeschi ed austriaci partirono da Pechino per attaccare Kalgan. Il 12 novembre lasciarono la città anche gli italiani: 120 marinai con due compagnie di fanteria ed una di bersaglieri. La colonna al comando del colonnello tedesco York von Wartemburg - sotto capo di S. M. del maresciallo Waldersee - non riuscì ad agganciare il nemico. Non si verificarono quindi combattimenti di rilievo fatti salvi alcuni scontri con nuclei isolati come quello avvenuto nel villaggio di Huai-Lai dove un piccolo presidio fu attaccato. La marcia di andata e ritorno del contingente fu alquanto faticosa essendo stati complessivamente percorsi in una ventina di giorni circa 500 chilometri, in ambiente freddo e montano. Nella fase di rientro durante una tappa a Huai-Lai il comandante tedesco morì nel suo alloggio asfissiato dalle esalazioni di una stufa a carbone. Il 5 dicembre furono celebrati in maniera solenne i funerali del colonnello York von Wartemburg alla presenza del maresciallo Waldersee e dei picchetti di tutte le nazioni.

Fra dicembre e gennaio si susseguirono ricognizioni in forze e puntate contro gli ultimi focolai di ribellione tra cui quella su Ping-ku-shien a nord est di Pechino. Nella seconda metà di gennaio del 1901, a seguito di segnalazioni pervenute al colonnello Garioni sulla presenza di truppe nemiche, fu deciso di raggiungere la località ed attaccarla. La spedizione si compose di due compagnie di marinai di 100 uomini ciascuna di una compagnia di fanteria e di un reparto di esploratori. Dopo aver incontrato molti profughi in fuga lungo il tragitto la cittadina fu raggiunta ed occupata senza incontrare resistenza.

In seguito mancando le attività operative, le truppe rimasero in attesa di ordini riordinando il materiale ed esercitandosi in un poligono posto in opera nei pressi del Palazzo d'Estate. La presenza dei vari contingenti inattivi rese disponibili gli uomini necessari per riorganizzare i servizi, ripristinare le strade, potenziare l’illuminazione e riparare molti palazzi destinati ad alloggi della truppa e dei loro comandanti. Furono inoltre istituiti nei quartieri occupati anche servizi di polizia affidati ad ufficiali cui fu attribuito il delicato incarico di sovrintendere alla sicurezza di tutta la città.
Il 21 gennaio 1901 le truppe italiane occuparono a Tien-Tsin insieme agli austriaci, la parte del sobborgo della città cinese compreso fra la concessione russa, la linea ferroviaria e la sponda sinistra del fiume Pehi-Ho. La parte orientale di tale superficie, circondata dal fiume e da un terreno di proprietà delle ferrovie imperiali cinesi, fu poi attribuita esclusivamente all’Italia. Nello stesso mese di gennaio fu inoltre celebrato il funerale dei caduti italiani del Pe-Tang che, esumati, furono sepolti nel cimitero internazionale. Alla cerimonia partecipò il maresciallo Waldersee un generale francese, uno tedesco ed una folta rappresentanza militare italiana ed estera.

Nel frattempo, i rappresentanti delle grandi potenze ed i plenipotenziari cinesi avviarono le trattative per negoziare la pace.

5.2 - Trattato di Pace

I negoziati di pace avviati già dalla fine del settembre 1900 furono complicati e durarono a lungo. Il 22 dicembre le diplomazie di 11 nazioni, in accordo con i rispettivi governi, presentarono ai plenipotenziari cinesi una nota collettiva composta da 12 articoli che, ove accettata dalla Cina, avrebbe permesso di giungere ad un trattato conclusivo.

Una delle condizioni imposte fu quella di ottenere la punizione dei responsabili dei massacri compiuti nell’Impero. Relegata nella lontana Sian l’Imperatrice Tsu-Hi si convinse dell’opportunità di ripudiare la politica seguita dai principi e dai ministri favorevoli ai boxer, rassegnandosi all’idea che solo la loro eliminazione avrebbero placato le potenze straniere ed impedito la integrale colonizzazione dell'impero. Nei primi di gennaio i sostenitori dei boxer, indipendentemente dal rango rivestito - principi, ministri, generali e governatori - furono esiliati, costretti a suicidarsi oppure condannati a morte e decapitati. ( < nell'immagine qui a fianco) L'indebolimento dell'autorità imperiale facilitò la Russia nel tentativo di estendere la propria influenza in Manciuria, ed accelerò il processo di maturazione della crisi interna cinese sfociata nella rivoluzione nazionalista e repubblicana del 1911.
Le trattative durarono ancora a lungo ma il 7 settembre 1901 fu firmato il protocollo di pace che impose alla Cina una serie di obbligazioni quali il divieto di importare armi, lo smantellamento di alcune fortificazioni, l’emanazione di un editto per vietare manifestazioni xenofobe, il pagamento di ingenti somme a risarcimento dei danni nonché il diritto riconosciuto alle Potenze Occidentali di mantenere guarnigioni permanenti a difesa delle rispettive Legazioni.
Inglesi, francesi, giapponesi, tedeschi ed americani mantennero ed in alcuni casi ampliarono le loro numerose concessioni. La Russia, si accaparrò invece nuovi importanti territori in Manciuria che perse successivamente a seguito della guerra del 1904 combattuta contro il Giappone. Gli italiani - scarsamente tutelati durante i negoziati – mantennero a Tien-Tsin la fascia territoriale di mezzo chilometro quadrato sulla sinistra del Pei-Ho occupata alla fine del gennaio 1901.
La pace riportò la serenità ed i profughi e gli sfollati fecero rientro alle loro case ripopolando Pechino ma, se poco avevano prima di partire..…ancor meno trovarono al loro rientro, case sventrate, suppellettili distrutte, devastazioni di ogni genere ed in alcuni casi la pericola accusa di connivenza con i boxers. Con la pace, arrivarono anche le polemiche. Francesi e americani criticarono l'intervento dei loro governi, accusandoli di aver mandato le truppe in Cina soltanto per soddisfare precise brame imperialistiche. Anche in Italia il ministro della guerra fu messo sul banco degli imputati. Le corrispondenze di Luigi Barzini, arrivate da Pechino contribuirono ad accendere ancor di più gli animi.

Le ultime truppe internazionali lasciarono Pechino dieci giorni dopo la firma del trattato dove, reduce da Sian, rientrò nell’ottobre 1901 l’imperatrice con la sua corte scortata da migliaia di fanti e cavalieri. Trascorsero molti anni prima che la Cina si risollevasse dallo stato di degradazione, di debolezza e di anarchia in cui si venne a trovare. La rinascita portò alla rivoluzione che resa inevitabile dalla politica del partito reazionario, spazzò via non solo il trono e la dinastia, ma rovesciò anche il sistema sociale ed economico della vecchia Cina.

5.3 – Rimpatrio del contingente italiano

Nel luglio 1901 luglio, furono rimpatriati i militari della classe 1878 ormai prossima al di congedo ed il 4 agosto del 1901 - a seguito della prevista conclusione degli accordi di pace - il contingente italiano fu notevolmente ridotto ed i suoi componenti lasciarono la Cina per giungere a Napoli il 12 settembre di quello stesso anno. A Pechino, rimasero soltanto 619 bersaglieri al comando del tenente colonnello Salsa. dislocati tra Tien-Tsin e la stazione ferroviaria di Tuangsum oltre a 400 marinai impiegati in servizi di guardia, di polizia e di presidio a Pechino, sul Pei-Ho, a Tien-Tsin e nei forti di Ta-Ku e di Shan-Hai-Kuan.

Successivamente, nel maggio del 1902, il reparto fu ulteriormente ridotto a 440 uomini e 32 ufficiali posti agli ordini del maggiore Ameglio, che furono infine rimpatriati definitivamente nel 1905.

Alle truppe dell’esercito in partenza fecero seguito anche le navi da guerra che cominciarono a rientrare. Lo Stromboli lasciò l'Estremo Oriente nel settembre 1901. Nel novembre, ad eccezione della R.N. Vesuvio, rimpatriarono anche gli incrociatori Pisani, Fieramosca ed Elba sostituiti nel servizio dalla divisione al comando dell'Am¬miraglio Luigi Palumbo e composta dalle Regie Navi Marco Polo, Lombardia e dall’incrociatore Puglia. Normalizzandosi sempre più la situazione anche le altre nazioni cominciarono a ridurre le loro flotte che furono inviate in altri teatri operativi. Tra il 1902 ed il 1903 rimpatriate le navi dell'Ammiraglio Palumbo rimase in Estremo Oriente solo il Lombardia raggiunto dal Piemonte nel marzo 1903 e dal Calabria nell’aprile successivo.

5.3.1 - Assegnazione di decorazioni commemorative

Cessate le contingenze dovute alla guerra per premiare il personale dell’esercito e della marina che partecipò alla spedizione in Cina oltre a numerose onorificenze e medaglie al valore, in oro argento e bronzo (3) fu attribuita anche una speciale medaglia commemorativa della campagna nell'Estremo Oriente come stabilito nel decreto del 23 giugno 1901, N. 338. Le medaglia in parola fu attribuita complessivamente a 2.325 persone.

 

REGIO DECRETO 23 GIUGNO 1901, N. 338
VITTORIO EMANUELE III
per grazia di Dio e per volontà della Nazione
RE D'ITALIA
Sulla proposta dei Nostri ministri segretari di Stato per gli affari della guerra e della marina;
Sentito il Consiglio dei ministri;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1.
È istituita una medaglia commemorativa della campagna nell'Estremo Oriente (Cina).
Art. 2.
Tale medaglia, conforme all'annesso modello, sarà coniata in bronzo, avrà il diametro di mm 32, recherà da un lato la Nostra Effigie e dall'altro la leggenda «CINA 1900-1901».
Art. 3.
La medaglia sarà portata appesa al lato sinistro del petto, con un nastro in seta della larghezza di mm 37, di color giallo-oro, con orli azzurri della larghezza di mm 3 e traversato da due righe verticali, parimenti azzurre, larghe mm 5 e distanti fra loro mm 10.
Art. 4.
Il nastro non potrà portarsi senza la medaglia.
Art. 5.
Saranno autorizzati a fregiarsi della medaglia coloro che hanno fatto parte:
a) del personale militare della regia marina imbarcato sulle navi della forza navale oceanica ed operanti al nord del 22° grado di latitudine settentrionale, nei mari della Cina;
b) del personale suddetto sbarcato su territorio cinese;
c) del personale suddetto imbarcato per servizio sui piroscafi noleggiati dallo Stato, con destinazione al nord del 22° grado di latitudine settentrionale, nei mari della Cina;
d) delle truppe del regio esercito formanti il corpo di operazione in Cina;
e) del personale civile addetto alle truppe medesime.
Art. 6.
Potranno ottenere di fregiarsi della medaglia anche i cittadini italiani che, trovandosi in Cina all'epoca dei sanguinosi avvenimenti, abbiano in qualunque modo concorso alla difesa delle legazioni, o di altri luoghi difesi da marinai italiani.
Art. 7.
Apposita istruzione regolerà il modo da seguirsi per chiedere l'autorizzazione a fregiarsi della medaglia.
Art. 8.
Sono applicabili a queste medaglie le disposizioni dell'articolo 22 del regio decreto 28 settembre 1855 sul riordinamento dell'ordine militare di Savoia, relativamente ai casi in cui si perde od è sospeso il diritto di fregiarsene.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 23 giugno 1901.
VITTORIO EMANUELE
C. di San Martino - E. Morin
V. Il Guardasigilli: F. Cocco-Ortu


Anche le altre nazioni decisero di assegnare proprie decorazioni al personale che partecipò all’impresa, giapponesi, americani, tedeschi, austriaci e francesi aggiunsero altre insegne ai loro già nutriti medaglieri.


6 – Concessione italiana a Tien-Tsin -
- Organizzazione dei possedimenti italiani in Cina
- azioni difensive a Seoul

Nell’ambito del trattato di pace del settembre 1901, fu riconosciuta a ciascuna Potenza l’extraterritorialità delle Legazioni ed il diritto da parte delle nazioni firmatarie di mantenervi una guardia permanente per consentirne la difesa. Inoltre il governo cinese riconobbe ai vincitori il diritto di occupare alcune zone territoriali Kuan-tsung, Lan-Fang, Yang-tsun, Tien-Tsin, Kiun-lang-ciang, Tang-ku, Lu-tai, Tangcian, Luanciao, Cian-li, Cin-Kuan-tao, Shan-Hai-Kuan, considerate necessarie per mantenere libere le comunicazioni tra la Capitale e il mare.

In base a tali clausole quindi l’Italia mantenne un Corpo di Occupazione nel Nord Cina fino al 1904, sostituito in seguito da un Distaccamento della Regia Marina, quale guardia della Regia Legazione di Pechino, con un contingente di circa 250 marinai. Questo Distaccamento fu poi ritirato poco prima della prima guerra mondiale e ripristinato, in forma ridotta, alla fine della guerra stessa.
Anche a Tien-Tsin dove prima delle ostilità gli stranieri si trovarono concentrati in cinque concessioni britannica, francese tedesca, americana e giapponese, si aggiunsero quelle nuove austro-ungarica, italiana e russa. Nel 1902 ne ottenne una anche il re del Belgio.
Al dominio di fatto del piccolo settlement italiano di Tien-Tsin, occupato nel gennaio 1901 e poi mantenuto a seguito del trattato di pace, seguì il titolo di diritto. Infatti il 7 giugno 1902 il conte Gallina inviato di S.M il Re d'Italia a Pechino, e funzionari cinesi all’uopo delegati stipularono l'accordo relativo alla concessione del terreno ivi incluse tra le altre condizioni le clausole finanziarie dell’affitto. Il governo cinese attribuì con quell'atto in concessione perpetua al governo italiano il territorio occupato riconoscendo sullo stesso la piena giurisdizione italiana secondo i particolari regolamenti già in atto presso le altre concessioni.
“La superficie così concessa era delimitata in 459,000 metri quadrati; ed era la più piccola fra le concessioni di Tien-Tsin, graduabili, nei riguardi dell'estensione, così: giapponese, inglese, russa, tedesca, francese, belga, austriaca ed italiana. Questa però non era l'ultima quanto ai vantaggi della si¬tuazione. Lo sviluppo della banchina eretta lungo il fiume che la delimita per circa 900 metri, presentava non poca utilità e vantaggiosa riusciva soprattutto la vicinanza da un lato della città indigena, e dall’ altro della stazione ferroviaria dei settlements.
I terreni, dal punto di vista della possibilità immediata dell'uso e dello sfruttamento, potevano distinguersi in tre frazioni. Lungo il fiume le antiche saline, offrivano subito, per un'estensione di circa 60.000 metri quadrati, un tratto abbastanza spianato ad un livello superiore al normale. Al di là, procedendo dal sud verso il nord, era situato il villaggio con una superficie di circa 170.000 metri quadrati, con circa 800 abitazioni in gran parte di fango e 16.500 abi¬tanti. Al nord del villaggio s'estendeva un vasto terreno palu¬doso, con tratti d'acqua che, al momento dell'occupazione, arrivavano anche a tre o quattro metri di profondità. Su questa zona, che, utilizzata per deporvi le bare delle persone morte nel villaggio, era un vero centro d'infezione, si impo¬sero anzitutto come urgenti nuovi provvedimenti igienici lavori di risanamento.” (**)

Preso possesso della concessione, furono analizzati i lavori da effettuare per risanare le zone più malsane e paludose, controllare i titoli di possesso, alienare i terreni senza proprietario e rendere il tutto utilizzabile a fini abitativi e commerciali.

 

6.1 – La guerra Russo giapponese del 1904-1905 - Difesa della legazione di Seul

Concluse le operazioni in Cina e rimpatriato gran parte del corpo di spedizione, l’Italia si trovò ad affrontare alcune vicissitudini interne che si aggiunsero a quelli esterne dovute alla serie di interventi cui le navi della Regia Marina ed in parte le truppe si trovarono ad affrontare in Somalia. Comunque l’interesse del governo al mantenimento delle basi ormai acquisite in Estremo Oriente continuò a permanere potenziando ove possibile le strutture già esistenti. Continuarono le crociere nei mari orientali delle navi italiane infatti il 29 giugno 1903 con il ritorno del Vettor Pisani al comando dell’Ammiraglio Carlo Mirabello si ricostituì la Divisione Oceanica su quattro navi. Nello stesso anno fu poi resa operativa una nuova potente stazione radio telegrafica impiantata presso la Legazione di Pechino con lo scopo di mantenere costante il collegamen¬to tra le Legazioni, le navi e i distaccamenti di truppe dislocate nelle varie località della Cina.

Nei primi mesi del 1904 però l’attenzione si rivolse nuovamente al teatro operativo dell’Estremo Oriente a causa dei contrasti esistenti tra il Giappone e la Russia che portarono nel febbraio alla guerra tra le due potenze. Altre navi lasciarono gli approdi italiani per raggiungere nuovamente i mari orientali. All'inizio del 1904 infatti si alternarono nel servizio nei mari della Cina gli incrociatori Elba, Puglia, Piemonte e Pisani.
Nel 1904 i contrasti insorti tra Russia e Giappone a causa dei reciproci interessi in Corea ed in Manciuria portarono ad una serie di esasperanti trattative per dirimere la controversia. Interrotte le negoziazioni la flotta giapponese attaccò ed affondò il 9 febbraio 1904 a Chemulpo in Corea due navi russe silurandone alcune altre a Port Arthur. All’azione nelle acque di Chemulpo assisterono la R.N. Elba, ed altre tre unità rispettivamente di nazionalità inglese, francese ed americana. Le quattro unità per quanto si trovassero in una situazione delicata, anche politicamente, raccolsero molti naufraghi russi. I superstiti raccolti dall’Elba furono trasportati a Hong Kong per essere poi sbarcati.

Affermata la loro supremazia navale i giapponesi invasero la Corea costringendo le forze zariste ad abbandonare anche parte della Manciuria. L’avanzata nipponica mise a rischio la legazione italiana di Seoul per cui fu inviato un contingente di marinai italiani che raggiunse l’ambasciata predisponendosi a difesa. Costituito il blocco a Port Arthur i russi furono costretti a capitolare nel gennaio 1905 perdendo decine di migliaia di uomini. Anche la flotta russa dopo essersi mossa da Vladivostock nel maggio si scontrò con quella giapponese presso lo stretto di Tsushima rimanendone distrutta. La pace fu firmata con la mediazione degli Stati Uniti il 5 settembre 1905 a Portsmouth. La Russia, sconfitta cedette al Giappone l’isola di Sakalin e riconoscendo gli interessi militari ed economici del Giappone in Corea rinunciò anche alle concessioni precedentemente ottenute dalla Cina. Il passaggio dei diritti della Russia su Porth Arthur avvenne con la riserva del consenso del governo cinese. Tale consenso fu assicurato dal trattato cino-giapponese di Pechino del 22 dicembre 1905.

6.1.1 - Assegnazione di nuove decorazioni commemorative

Per il personale italiano presente in Estremo Oriente fu mantenuto anche per il 1903 e per il 1904 il trattamento previsto per le truppe sul piede di guerra quindi furono pubblicati una serie di decreti n. 176 del 23 aprile 1903, n. 195 del 21 aprile 1904 istituendo una nuova medaglia commemorativa e portando variazioni al precedente decreto del 23 giugno 1901, N. 338. I conferimenti per la medaglia in parola furono solo 736.

 

REGIO DECRETO 23 APRILE 1903, N. 176

VITTORIO EMANUELE III
per grazia di Dio e per volontà della Nazione
RE D'ITALIA

Visto il regio decreto 29 novembre 1900, n. 432, che dichiarava sul piede di guerra le truppe della regia marina e del regio esercito formanti il corpo di operazione nell'Estremo Oriente (Cina);

Visto il regio decreto 26 dicembre 1901, n. 568, che dichiarava cessato lo stato di guerra in Cina pel personale imbarcato su regie navi o su piroscafi noleggiati dallo Stato;
Visto il regio decreto 23 giugno 1901, n. 338, che istituiva una medaglia commemorativa della campagna nell'Estremo Oriente (Cina);
Sentito il Consiglio dei ministri;
Sulla proposta dei Nostri ministri segretari di Stato per gli affari della guerra e della marina;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Articolo unico.
I Militari del regio esercito e della regia marina nonché i componenti il personale civile aggregato, i quali furono destinati a prestar servizio su territorio cinese dopo il 31 dicembre 1901, o che avranno tale destinazione in avvenire, sempre che dichiarati sul piede di guerra, sono autorizzati a fregiarsi della medaglia istituita con regio decreto 23 giugno 1901, n. 338, portante però il solo motto: «CINA».
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 23 aprile 1903.
VITTORIO EMANUELE
G. Zanardelli - Ottolenghi - E. Morin
Visto, il Guardasigilli: F. Cocco-Ortu

Con il successivo decreto del 21 aprile 1904 furono dichiarati sul piede di guerra i militari della R. Marina inviati a prestar servizio sul territorio della Corea a decorrere dal 9 gennaio dello stesso 1904.

 

REGIO DECRETO 21 APRILE 1904, N. 195

VITTORIO EMANUELE III
per grazia di Dio e per volontà della Nazione
RE D'ITALIA
Visto il codice penale militare marittimo approvato con R. decreto 28 novembre 1869;
Vista la legge 6 marzo 1898 che regola l'avanzamento dei Corpi militari della R. marina;
Visto il testo unico delle leggi sulle pensioni civili e militari approvato con R. decreto 21 febbraio 1895;
Visto il R. decreto 23 aprile 1903 che stabilisce una medaglia portante il motto: «Cina»;
Sentito il Consiglio dei ministri;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per gli Affari della Marina;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1.
Sono dichiarati sul piede di guerra, per quanto riguarda la disciplina, la giustizia penale militare, l'avanzamento e i diritti alla pensione i militari della R. Marina inviati a prestar servizio sul territorio della Corea a decorrere dal 9 gennaio 1904.
Art. 2.
I militari di cui al precedente articolo sono autorizzati a fregiarsi della medaglia istituita col R. decreto 23 aprile 1903, n. 176.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 21 aprile 1904.
VITTORIO EMANUELE
Giolitti - C. Mirabello
V. il Guardasigilli: Ronchetti


6.2 – Ritiro degli ultimi contingenti italiani dell’esercito

Nei primi mesi del 1905 il contingente posto agli ordini del maggiore Ameglio, partì verso l’Italia a bordo del piroscafo Perseo scortato dall’incrociatore Puglia. In Cina in quel periodo rimase solo un nucleo di 250 marinai adibito a compiti di guardia alla Regia Legazione di Pechino e, sciolta anche la Divisione Navale, restò in servizio una sola unità della marina, il Marco Polo che effettuò molte crociere nei mari della Cina e del Giappone, rimanendo in zona per quasi due anni. Il 31 dicembre 1906 giunse a Shanghai il Vesuvio e pochi giorni dopo iniziò il viaggio di rimpatrio il Marco Polo. Il Vesuvio rappresentò l'Italia in Estremo Oriente fino alla fine del 1908, compiendo anch’esso numerose missioni in Co¬rea ed in Giappone.

La situazione si mantenne del tutto tranquilla così come peraltro dimostrato dal decreto n. 96 del 15 marzo 1908 con il quale, cessato ormai lo stato di guerra, fu dato un termine agli eventuali aventi diritto per acquisire la medaglia istituita con il decreto n. 176 del 23 aprile 1903.

REGIO DECRETO 15 MARZO 1908, N. 96

VITTORIO EMANUELE III
per grazia di Dio e per volontà della Nazione
RE D'ITALIA
Visti i regi decreti 23 giugno 1901, n. 338, 23 aprile 1903, n. 176, 21 aprile 1904, n. 195, relativi alle medaglie commemorative delle campagne nell'Estremo Oriente;
Visti i regi decreti 29 dicembre 1900, n. 432, 26 dicembre 1901, n. 568, 21 aprile 1904, n. 195, relativi allo stato di guerra nell'Estremo Oriente;
Sulla proposta dei Nostri ministri segretari di Stato per la guerra e per la marina;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Articolo unico.
A datare dal 1° aprile 1908 cessa per i militari dell'esercito e dell'armata che si troveranno nelle condizioni previste dai regi decreti 23 aprile 1903 e 21 aprile 1904, il diritto a conseguire la medaglia portante il motto «Cina», fermo restando quando stabiliscono i regi decreti 26 dicembre 1901 e 21 aprile 1904 circa lo stato di guerra per il personale suddetto.
I militari dell'esercito e dell'armata fregiati con la medaglia portante il motto «Cina 1900-1901», sono autorizzati ad aggiungere al nastro della medaglia una fascetta d'argento conforme al modello annesso al presente decreto.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 15 marzo 1908.
VITTORIO EMANUELE
Casana - C. Mirabello
V. Il Guardasigilli: Orlando


7 –Tien-Tsin , trasformazione e sistemazione del territorio

Nel corso degli anni dal 1902 al 1911 a Tien-Tsin si lavorò alacremente per mettere ordine ai territori ottenuti in concessione e fare del piccolo possedimento ormai in mani italiane una base commerciale e militare utile alle esigenze del paese. Altri lavori furono inoltre avviati e conclusi a Shangai per costruire uffici e locali abitativi destinati al Consolato Generale italiano.

Gli avvenimenti in Somalia, il terremoto di Messina del 1908, e successivamente la guerra italo-turca azzerarono le crociere di navi italiane in Estremo Oriente quindi, nel periodo tra il 1911 ed il 1912, nell’importante momento politico dell’instaurazione della Repubblica cinese l'Italia fu rappresen¬tata localmente dal solo presidio della Legazione di Pechino costituito da 10 carabinieri e da 180 marinai con 5 ufficiali e 24 sot¬tufficiali. Alla situazione si pose rimedio con l’invio in Estremo Oriente, a conclusione della guerra italo-turca, dell’incrociatore Marco Polo che vi rimase fino alla fine del 1914 quando fu rimpiazzato dalla cannoniera Sebastiano Caboto.
Nella concessione di Tien-Tsin nel frattempo andarono avanti i lavori appaltati e già allo scadere del decimo anno della concessione, l’area risultò in gran parte bonificata. Attuati i lavori più importanti per il livellamento ed il risanamento dei terreni, furono rimossi i cimiteri, colmate la paludi, migliorata la navigabilità del Pei-Ho, costruti moli di attracco per la navigazione fluviale, messe in opera le strade di collegamento in tutto il settlement, studiato il piano regolatore ed impostato il successivo programa di costruzioni. Ancora abbastanza desolata all’inizio del 1910 a causa degli importanti lavori in corso il settlement cominciò poi ad assumere una dimensione europea grazie alla costruzione di strade, strutture pubbliche ed edifici a caratteristica abitativa e commerciale. il ministro di San Giuliano nella tornata del 19 giugno 1914 della Camera dei Deputati dichiarò: “Al nostro settlement, di Tien-Tsin si é potuto dare uno sviluppo vera¬mente notevole e, oserei dire, inatteso”(**).
Ai costi delle opere si fece fronte tramite i proventi commerciali della concessione, con i fondi messi a disposizione dal Consolato Generale di Shangai ed attraverso le risorse finanziarie di cui alla legge del 30 giugno 1912,con la quale fu autorizzata la Cassa Depositi e Prestiti ad effettuare anticipazioni a favore della concessione fino alla somma di 400.000 lire rimborsabili in trenta annualità. Con questi mezzi fu provveduto tra l’altro ad ultimare le strade che assunsero il nome di via Marco Polo, Principe di Udine, Vittorio Emanuele III, Tripoli, Vettor Pisani, Ermanno Carlotto etc. Per far fronte alle esigenze della popolazione civile cinesi ed europei si iniziò la costruzione dell’Ospedale Italiano e dell'Istituto di Arti e Mestieri per opera della Asso¬ciazione Nazionale delle Missioni. Cominciarono poi a moltiplicarsi i depositi commerciali mentre furono continuati i lavori di costruzione di villini e quartieri popolari.

Ben organizzate le strutture di Pechino e quelle di Shangai, anche Tien-Tsin poco prima del coinvolgimento italiano nella grande guerra si trovò pronta a sviluppare i propri obiettivi industriali e commerciali. Nel 1915 quando l’Italia si affiancò al conflitto contro gli Imperi Centrali, la colonia di Tien-Tsin contava circa 10.000 abitanti cinesi e 350-400 italiani. Nessuna variazione numerica al personale posto a difesa dei possedimenti italiani; circa 200 uomini ed una cinquantina di miliziani cinesi.

7.1 – Tien-Tsin durante la prima guerra mondiale – Irredenti e “Battaglioni Neri” (< nell'immagine a fianco)

I possedimenti italiani in Cina, a Tien-Tsin, a Shangai ed a Pechino non subirono particolari disagi durante le prime fasi della guerra anche se qualche riflesso si manifestò a causa della campagna bellica compiuta nel 1914 da truppe del Giappone e dell’Inghilterra contro le basi tedesche in Cina. All’ultimatum del governo Giapponese del 16 agosto 1914 per il ritiro delle truppe tedesche da Kiao-Ciao, la Germania rispose negativamente. Dichiarata la guerra i giapponesi rinforzati da 2.500 inglesi sbarcarono a Li-Tsun ed il 6 novembre occuparono dopo un duro combattimento Kiao-Ciao. Il governatore tedesco, si arrese con 5.000 uomini cedendo anche il naviglio da guerra alla fonda.

Con l’intervento nel conflitto dell’Italia, la situazione in Cina non cambiò di molto, scarsi gli uomini per lo più rientrati in patria, rallentata l’attività commerciale, modesto il movimento navale con la presenza della sola cannoniera Sebastiano Caboto; risultarono attive solo le rappresentanze diplomatiche.
Un certo impulso all’attività locale si riscontrò a partire dal 1916 quando tra i prigionieri di guerra russi si vennero a trovare molti soldati austriaci di nazionalità italiana disponibili a combattere contro l’Austria. Il Governo italiano, decise di inviare in Russia una commissione che avesse il compito di provvedere alla raccolta ed al rimpatrio degli irredenti. Il primo contingente costituito da 33 ufficiali e 1.665 uomini di truppa lasciò nel settembre del 1916 il campo di Kirsanoff per prendere imbarco il 24 dello stesso mese in Arcangelo sul piroscafo Huntspeal diretto in Inghilterra. Il 1° novembre 1916 si imbarcò il secondo scaglione costituito da 45 ufficiali e 1.620 uomini di truppa. Qualche giorno dopo fu fatto partire anche il terzo gruppo, composto di 21 ufficiali e 664 uomini di truppa.
Riorganizzata la missione, l'attività delle ricerche di soldati di origine italiana tra i prigionieri di guerra proseguì con successo. Oltre 3.000 uomini chiesero la cittadinanza italiana ed il rimpatrio. Ottenuto dal Governo russo il consenso di trasportare in Italia i prigionieri si pensò di iniziare i movimenti nell’agosto 1917. La scarsità del tonnellaggio disponibile permise di imbarcare solo pochi individui mentre la grande massa circa 2.400 uomini rimase frazionata tra Volodga e Kirsanoff. La rivoluzione scoppiata in Russia obbligò a far partire gli ex prigionieri verso Vladivostok dove il capitano dei Carabinieri Cosma Manera propose di formare con i soldati in attesa di destinazione un corpo volontario da affiancare alle truppe alleate. Ottenuto parere favorevole il raggruppamento fu trasferito a scaglioni tra il marzo e l’aprile 1918, a Pechino ed a Tien-Tsin. Nella concessione italiana dove giunse il nucleo più consistente, gli irredenti furono inquadrati e nuovamente istruiti al maneggio delle armi.
Nei primi giorni del gennaio 1918, la Francia, avanzò all'Italia la proposta d'inviare un contingente di truppa nella Siberia orientale. Il Governo italiano, accolse favorevolmente la richiesta prevedendo l’impiego degli irredenti già raccolti a Pechino ed a Tien-Tsin nonché di altri rintracciati nel frattempo nei vari campi di concentramento russi. Deciso l’intervento e le modalità di composizione dei reparti nel luglio 1918 partì da Napoli il piroscafo Roma su cui si imbarcò il nucleo comando che fu rafforzato a Massaua con l’imbarco di circa 400 uomini del 16° e dell’85° fanteria facenti parte della guarnigione della Colonia Eritrea.
Il 30 agosto 1918, dopo aver percorso 9.136 miglia, il Roma giunse in Cina dove fu ricevuto all’approdo dalla R. N. Caboto. Alla sera del 1° settembre le truppe partirono per Tien-Tsin dove furono accolte da una folta rappresentanza dei contingenti alleati, delle autorità italiane e da una delegazione di civili presenti nella cittadina. I reparti furono poi accasermati in locali forniti della concessione italiana, nell'arsenale francese e presso alcune strutture inglesi. Il Comando si stabili in una palazzina della Concessione francese.

Organizzati ed inquadrati, i reparti costituiti dagli irredenti si fregiarono delle mostrine nere degli arditi ed in conseguenza di questo privilegio, assunsero la denominazione di “Battaglioni Neri”. il 13 ottobre 1918 iniziò il viaggio verso la Siberia. Il movimento si effettuò a scaglioni, il 25 ottobre l’ultimo convoglio del Corpo di spedizione arrivò ad Harbin per poi giungere il 21 novembre con i suoi 39 ufficiali e 1.350 uomini di truppa a Kranojarsk. Dopo essere stati impegnati in azione i reparti si fermarono in Siberia fino al giugno 1919 quando fu organizzato il rimpatrio via Vladivostok. Assunta poi la decisione di far effettuare alle truppe lo stresso tragitto dell’andata, da Harbin il contingente raggiunse ancora una volta Tien-Tsin per poi avviarsi ai porti di imbarco per la partenza verso l’Italia dove le varie navi che si occuparono dei trasporti, giunsero nella prima metà del 1920.

8 - Attività diplomatiche ed azioni difensive nel dopoguerra

Conclusa la prima guerra mondiale, ancora una volta l’Italia si trovò in difficoltà. Sul fronte interno infatti, scioperi, malattie, calamità naturali, aumento dei prezzi e la mancanza di lavoro a causa della smobilitazione favorirono le derive estremiste che dopo una lungo periodo di torbidi si conclusero nel 1922 con l’avvento al potere del fascismo. Il 29 ottobre 1922, dopo la marcia su Roma, fu affidata a Benito Mussolini la Presidenza del Consiglio. Il Governo con riguardo ai temi di politica estera, si mosse per trovare soluzione alle questioni pendenti dopo la fine del primo conflitto mondiale. Ottenuta con la conferenza di Losanna del 24 luglio 1923 la sovranità delle isole dell’Egeo, il Capo del Governo decise di impostare una forte politica coloniale per riordinare e pacificare i territori posti sotto la sovranità italiana.

In Libia a partire dal 1920, fu sviluppato un ciclo operativo di grande polizia coloniale per riaffermare la sovranità italiana su tutto il territorio e procedere alla eliminazione delle sacche di ribellione esistenti. Le operazioni militari avviate in Tripolitania ed in Cirenaica trovarono la loro conclusione solo nel 1932.
In Africa Orientale normalizzati i rapporti con l’Etiopia furono raggiunti accordi con l’Inghilterra che si risolsero nella cessione dei territori dell’Oltre Giuba dove, il 29 giugno 1925, la bandiera italiana sostituì quella inglese nelle cittadine di Chisimaio, Gobuin, Serenli e Bur Gao. Tra il 1925 ed il 1927 poi furono occupati i territori dei sultanati: Obbia, Nogal, Migiurtinia.
In Estremo Oriente non furono compiute azioni di particolare rilievo ma a causa della confusa situazione cinese ed a seguito di incidenti che si verificarono alla fine del 1924 nella zona di Tien-Tsin fu fatta sbarcare una compagnia della R.N. Libia che si schierò a difesa della Concessione Italiana. Nel dicembre il comandante della R.N. Caboto raggiunse con i comandi alleati locali un accordo per l’invio in Cina da parte italiana di un contingente di soldati con compiti di polizia internazionale. Approvate le trattative da parte del ministero, la forza dei reparti fu fissata in circa 300 uomini in parte forniti dalla Regie navi Caboto, Libia e San Giorgio.
La complicata situazione cinese non tardò a manifestare i suoi negativi effetti. L’atmosfera si appesantì notevolmente quando la guerra civile limitata a lotte di potere interne minacciò nel suo estendersi gli interessi di molte nazioni tra cui quelli dell’Italia. Il fermento dell’opinione pubblica mondiale e lo scompiglio che fece seguito agli scontri ed ai massacri avvenuti nell’immenso territorio cinese, mise in stato di agitazione la comunità dei “Settlements” internazionali e quella italiana presente nelle concessioni di Tien-Tsin, di Shangai e nella delegazione di Pechino tutte zone queste attribuite ed occupate dall’Italia come già detto nel settembre 1901.
Per consentire il monitoraggio della situazione e salvaguardare per quanto possibile gli interessi nazionali alla fine del 1924 nelle acque cinesi si alternarono varie navi da guerra tra cui l’incrociatore Libia, Il Calabria ed il San Giorgio, oltre la cannoniera Caboto e la stazionaria Carlotto. Considerando pericolosa la situazione per la piccola colonia locale, dalla R.N. Libia fu sbarcata una compagnia di “fanti di marina“ per la difesa della concessione di Tien-Tsin. Nel marzo 1925 il “Battaglione Italiano in Cina” su tre compagnie, di cui una proveniente dal battaglione S. Marco di Pola, fu formalmente costituito assumendo compiti ed incarichi molto simili a quelli già stabiliti con il governo cinese al termine della campagna del 1900 per la protezione dalle rappresentanze diplomatiche e delle concessioni e comunque del tutto analoghi a quelli assegnati dagli alleati alle truppe presenti in zona. Le truppe in attesa di poter essere alloggiate presso la caserma E. Carlotto in costruzione a Tien-Tsin furono suddivise fra le varie rappresentanze in parte a Pechino, in parte rimasero a Shan-Hai-Kuan ed in parte a Tien-Tsin. Nel perdurare dei disordini il battaglione fu impiegato in azioni presidiarie culminate nel 1927 nella difesa degli interessi italiani e del consolato di Shanghai.
La lotta tra nazionalisti ed antinazionalisti oltre a comportare gravi ripercussioni interne mise in stato di allarme anche le Potenze europee ed extra-europee preoccupate per la sopravvivenza delle loro concessioni territoriali e commerciali tanto da far pensare al Giappone di intervenire militarmente propagandando la scusa di voler tutelare i propri diritti e farsi garante dell’integrità delle proprietà straniere.
Nel maggio 1928 la guerra raggiunse la zona Pechino e quella di Tien-Tsin, facendo temere saccheggi, rapine e la violazione territoriale delle concessioni. Quindi nel giugno il battaglione fu messo in stato di allarme e dislocato in difesa della concessione italiana. Alcuni contingenti furono inoltre utilizzati per garantire le comunicazioni tra Tien-Tsin ed il mare nonché, unitamente ad a reparti di altri paesi, per difendere la Centrale Elettrica e la Stazione Ferroviaria.
Nel giugno la bandiera nazionalista fu innalzata a Tien-Tsin e, dopo una serie di saccheggi e di massacri portati a termine contro la popolazione indigena da disertori della parte avversa, la situazione si calmò rapidamente. Nella seconda metà del mese fu quindi possibile ritirare le truppe italiane dalle linee predisposte per la difesa.
Dopo qualche altro allarme dovuto al trascinarsi delle ultime operazioni belliche, la situazione si stabilizzò. Il governo nazionalista con a capo Ciang Kai-Shek, (< nell'immagine qui a fianco) conquistata Pechino ed assunto il potere trasferì la capitale a Nanchino ed assunto l’impegno di non modificare lo “status” delle concessioni internazionali stipulò nuovi accordi di commercio con americani, francesi ed inglesi. Nel novembre del 1928 anche l'Italia – interessata quanto le altre nazioni a quell’importante mercato - concluse un trattato preliminare di commercio e di amicizia per poi inviare come ministro plenipotenziario in Cina un importante esponente del regime: il Conte GALEAZZO CIANO (genero di Mussolini). Ciano fu destinato alla Legazione di Pechino e poi come Ministro plenipotenziario a Shanghai gestendo le relazioni diplomatiche tra Roma ed il Leader cinese Chiang Kai Shek.
Le ottime relazioni istaurate con il governo cinese diedero lustro ed importanza alle rappresentanze italiane ed ai territori gestiti in concessione che videro ampliarsi le attività commerciali ed industriali. Nel 1932 fu attivato un nuovo collegamento tra l’Italia con Shanghai destinando a questa linea due moderni transatlantici: il Conte Biancamano e il Conte Rosso che conquistarono nel primo viaggio un record di velocità. Attraverso questi nuovi servizi si articolarono convenzioni commerciali che comportarono anche l’invio di numerosi tecnici con lo scopo istaurare rapporti di reciproca collaborazione e di stipulare contratti industriali ivi inclusa la fornitura di aerei da costruire in Cina su licenza e materiali anche bellici di vario genere.
Più o meno nello steso periodo di tempo si verificarono incidenti nella Manciuria meridionale dove i giapponesi occuparono alcuni arsenali nella zona di Mukden obbligando le truppe cinesi a ritirarsi. Il Giappone con la sua azione estese il controllo su tutta la Manciuria dove fu istituito lo stato fantoccio del Manchoukuo.

Il Governo italiano a seguito degli episodi che si verificarono, in armonia con le posizioni assunte dalle altre comunità straniere, decise di assicurare la protezione degli interessi italiani in Cina. Prese quindi il mare, con a bordo anche una compagnia da sbarco del battaglione "San Marco", l’incrociatore Trento al comando dell’Ammiraglio Domenico Cavagnari in qualità di comandante della Divisione Navale dell'Estremo Oriente composta dalle navi Trento, Espero, Libia, Caboto e Carlotto. Al contingente del San Marco fu affidata la protezione degli obiettivi d’interesse pubblico, i servizi di guardia e di rappresentanza presso la legazione nonché altri importanti incarichi.

8.1 - Incidenti tra Cina e Giappone
– Il battaglione San Marco ed i granatieri di Savoia delle concessioni italiane.

Le preoccupazioni in Estremo Oriente provocate anche dall’espansionismo giapponese furono rapidamente dimenticate in quanto l’Italia il 3 ottobre 1935 iniziò le operazioni belliche contro l’Etiopia, dando corso ad una rapida campagna che si concluse il 5 maggio 1936 con la conquista di Addis Abeba. La fine della guerra con la vittoria italiana, l’occupazione della capitale etiopica e la proclamazione dell’impero non esaurirono però il ciclo delle operazioni militari che si trascinarono a lungo a causa del permanere di sacche di resistenza la cui eliminazione richiese l’avvio di “grandi operazioni di polizia coloniale”. Subito dopo cominciarono ad affluire in Spagna “volontari italiani” per partecipare alla guerra civile che vide combattere le opposte fazioni nazionaliste e repubblicane.

Ormai impegnato in chiave anticomunista il governo italiano il 6 novembre 1937 aderì al “Patto Anticomitern” già stipulato nel novembre 1936 tra Germania e Giappone. All’indebolimento delle relazioni diplomatiche con Francia, Inghilterra e Russia ed al miglioramento di quelle con Germania e Giappone, seguì la rottura di quelle precedentemente instaurate con la Cina e con il governo di Chiang Kai Shek.
In Estremo Oriente peraltro la situazione si complicò ulteriormente. Il 7 luglio del 1937 uno scontro episodico avvenuto tra militari cinesi e giapponesi a nord di Pechino portò a una nuova guerra. Seguirono vari combattimenti; gli aerei del Manchoukuo bombardarono le città del nord della Cina mentre la flotta giapponese attaccò Shanghai.
La nuova situazione causò l’isolamento delle comunità italiane di Tien-Tsin, Shanghai e Pechino che richiesero urgentemente l’invio di naviglio da guerra ed altri contingenti di truppa ritenendo il battaglione di Tien-Tsin ed i marinai sbarcati dalla R.N. Lepanto, del tutto insufficienti far fronte ad eventuali sconvolgimenti locali. Il governo rispose rapidamente disponendo l’invio nel settore del I° Battaglione del 10° Reggimento Granatieri di Savoia (4) già impegnato con il resto della propria divisione in Africa Orientale All'alba del 28 agosto 1937 il battaglione con una forza di ventiquattro ufficiali, quarantacinque sottufficiali e seicentosettantadue granatieri, fu imbarcato a Massaua sul piroscafo Conte Biancamano ed inviato in Estremo Oriente, per essere dislocato parte a Shanghai e parte a Tien-Tsin. Quasi contemporaneamente lasciò Napoli con a bordo marinai di rinforzo per il battaglione San Marco l’incrociatore Raimondo Montecuccoli (< nell'immagine a fianco) che giunse a Shanghai il 15 settembre in coincidenza con il primo bombardamento giapponese sulla città.
Alla fine del 1937 sembrò che il conflitto cino-giapponese fosse giunto alla sua fase risolutiva poi, caduta Shanghai, le forze giapponesi occuparono Nanchino. Nel corso del 1938 il Giappone invase la maggior parte della Cina nord orientale, la valle del Chiang Jiang fino ad Hankow, e il territorio di Canton, sulla costa sud orientale. Il Governo cinese fu quindi costretto a spostare nuovamente la propria capitale trasferendosi con parte dell’esercito nell’entroterra, nella provincia sud occidentale di Sichuan. Alla fine del 1938 i giapponesi estesero il proprio controllo alle zone costiere alle ferrovie ed alle maggiori città della Cina.

Nel novembre 1938 l’incrociatore Montecuccoli già sede del Comando Superiore Navale in Estremo Oriente fu rimpiazzato dal Bartolomeo Colleoni, che restò in Cina fino al 5 settembre 1939, quando fu richiamato in patria a causa dell’inizio del secondo conflitto mondiale. Nello stesso anno – come già avvenuto durante la prima guerra mondiale - le truppe tra cui alcuni reparti dell’aeronautica, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri furono rimpatriate lasciando in loco una piccola guarnigione e due cannoniere la Lepanto e la Carlotto dislocate e a Shanghai ed a Tien-Tsin.

9 - Concessioni e rappresentanze diplomatiche durante la seconda guerra mondiale

Iniziata la seconda guerra mondiale l’Italia si trovò in difficoltà sia in Africa Settentrionale sia in Africa Orientale. Il successo delle truppe britanniche in Libia, a Sidi el Barrani e Bardia tra il dicembre 1940 ed il gennaio 1941, indusse gli inglesi ad attuare operazioni in grande stile contro l’Abissinia onde assicurarsi il dominio del Mar Rosso. Il piano britannico fu sviluppato prevedendo un movimento convergente verso il centro dell’altopiano etiopico operando a nord del Sudan. Affluiti rifornimenti via mare, l’offensiva britannica in Africa Orientale iniziò quasi contemporaneamente in Eritrea e Somalia. Caduta Cheren le truppe britanniche occuparono nell’aprile 1941 la città di Asmara e proseguendo la loro avanzata attaccarono il ridotto dell’Amba Alagi. Subito dopo cadde Massaua che per l’Italia significò anche la perdita di tutta l’Eriitrea. In Somalia le truppe inglesi in avanzata conquistarono Mogadiscio e Chisimaio. Dopo aver superato la resistenza dei ridotti centrali occuparono Assab ed infine Gondar che cadde dopo l’ultima battaglia difensiva italiana tra il 24 ed il 28 novembre 1941.

Poco prima della caduta delle basi del Mar Rosso in mani avversarie, il comando della Marina ordinò alle navi ed ai sommergibili di abbandonare i porti oppure di autoaffondarsi Così nel febbraio 1941 la nave Eritrea e due navi bananiere trasformate in incrociatori ausiliari la Ramb 1 e la Ramb 2 partirono da Massaua per raggiungere Kobe in Giappone – porto neutrale - o in alternativa Shanghai o Tien-Tsin. Sia l’Eritrea che la Ramb 2 raggiunsero la loro destinazione eludendo la sorveglianza inglese; la Ramb 1 fu invece affondata nell’Oceano indiano dall’incrociatore Leander. Nello stesso periodo si trovarono in Estremo Oriente anche alcuni sommergibili Cappellini, Giuliani, Torelli e Cagni appositamente attrezzati per trasportare materie prime di particolare valore bellico dal Giappone all’Italia.

Con il Giappone ancora neutrale, e ciò fino al dicembre del 1941, le rappresentanze italiane di Tien-Tsin, di Shanghai, Hankow e Pechino vissero abbastanza tranquillamente occupandosi, oltre alle usuali attività diplomatiche e di assistenza al personale italiano in transito, di predisporre – soprattutto a Shanghai – gli opportuni accordi e quanto ulteriormente necessario per consentire il trasferimento in Italia dei rifornimenti bellici prioritari. Successivamente, come alleati, i rapporti si mantennero abbastanza cordiali fino al 25 luglio del 1943 quando la caduta del fascismo e l’avvento del governo Badoglio determinarono diffidenza ed ostruzionismo da parte delle autorità giapponesi e tedesche interessate al naviglio da guerra e soprattutto ai sommergibili presenti nei porti giapponesi.

9.1 - Avvenimenti dopo l’8 settembre -
- Cattura di navi e sommergibili italiani ed
- occupazione di Tien-Tsin da parte giapponese.

La situazione, ovviamente peggiorò l’8 settembre 1943. La notizia dell’armistizio giunse inaspettata in Estremo Oriente come peraltro in tutti gli altri teatri operativi dove armate, divisioni, reggimenti, personale civile e dei servizi si trovarono in situazioni disperate. I comandi giapponesi non appena ricevute le informazioni sulla defezione italiana, si mossero immediatamente . Forti contingenti di truppa furono inviati nei settori italiani, la stazione radio di Pechino difesa da un centinaio di soldati oppose resistenza ma fu obbligata a cedere le armi dopo aver reso inutilizzabile ogni strumento di trasmissione e distrutti codici e documenti. A Tien-Tsin, dopo una prima resistenza, la guarnigione minacciata da considerevoli forze di fanteria dotate di carri armati ed artiglieria decise anche essa di arrendersi. Tutti furono fatti prigionieri ed internati - subendo un trattamento molto duro – nei campi di concentramento di Tien-Tsin, della Corea e del Giappone.

Eliminate le poche forze terrestri i giapponesi cercarono di prendere possesso delle navi presenti nei loro porti e segnatamente il Cappellini a Sabang, il Giuliani ed il Torelli a Singapore, le cannoniere Lepanto e Carlotto a Shanghai, l'incrociatore ausiliario Calitea 2° a Kobe ed il transatlantico Conte Verde a Shanghai. L’Eritrea, in navigazione verso Sabang, captò un telegramma di Supermarina - “Supermarina a Comando Superiore Navale E.O. alt Navi e sommergibili tentino raggiungere porti inglesi aut neutrali oppure si autoaffondino alt 210408” - modificò quindi la propria rotta consegnandosi agli inglesi nel porto di Colombo nell’oceano indiano. A Durban, in Sud Africa si consegnò invece il sommergibile Cagni che in rotta verso Singapore che, dopo aver danneggiato una portaerei nei pressi di Freetown, ottemperò allo stesso ordine di Supermarina.
Il Cappellini bloccato a Sabang fu trasferito sotto scorta giapponese a Singapore e malgrado gli accordi raggiunti fu catturato mentre l’equipaggio fatto prigioniero fu internato.
Anche i sommergibili Giuliani e Torelli, ormeggiati a Singapore, subirono la stessa sorte; analoga quella del personale che raggiunse in campo di concentramento l’equipaggio del Cappellini. La Lepanto, la Carlotto, la Calitea 2° ed il Conte Verde riuscirono ad autoaffondarsi mentre tutti gli equipaggi furono internati e sottoposti a pesanti rappresaglie.

Quasi tutte le unità, recuperate, rimesse in efficienza, ed in condizioni di riprendere il mare furono utilizzate in operazioni belliche dai tedeschi e successivamente dai giapponesi fino alla fine della guerra. Quasi tutte però andarono perdute. Una parte del personale con l’avvento della Repubblica Sociale aderì all’invito di continuare a combattere a favore dell’Asse. Lasciarono quindi i campi di concentramento per essere nuovamente imbarcati sulle loro navi o utilizzati nei cantieri navali ed in svariate altre attività.

Con la fine della guerra molti soldati italiani già nei campi di concentramento giapponesi, furono fatti nuovamente prigionieri – questa volta dagli americani – che li trasferirono nelle Filippine e nelle Hawaii. Molti rientrarono dalla prigionia ricondotti in patria dalle navi americane altri invece morirono per gli eventi bellici o a causa delle sofferenze patite durante la prigionia.

9.2 - Fine della seconda guerra mondiale,
- trattati di pace,
- rinuncia alla concessione di Tien-Tsin.

Terminato il conflitto mondiale si cominciò a pensare alla pace ed alla successiva per quanto lontana futura ricostruzione. Dopo una serie di trattative avviate con la conferenza di Londra del settembre 1945, i trattati pace tra le nazioni vincitrici della seconda guerra mondiale e gli ex alleati della Germania - Italia, Finlandia, Romania, Ungheria, Bulgaria – furono firmati a Parigi nel febbraio 1947. Secondo le condizioni previste dal trattato l’Italia fu costretta a cedere parte dei territori considerati nazionali quali, Zara, Fiume, l’Istria e parte della Venezia Giulia. Rinunciò inoltre alle isole del Dodecaneso, alle colonie dell’Africa Settentrionale e dell’Africa Orientale. La Somalia in “Amministrazione Fiduciaria” rimase all’Italia fino al 1960.

Anche la piccola concessione di Tien-Tsin fu inclusa nelle varie clausole dei trattati internazionali, l’Italia infatti dopo oltre 40 anni di gestione, rinunciò alla concessione il cui territorio ritornò nella piena disponibilità cinese.

 

Michele Squillaci

NOTE:

1. Dei 40 marinai e 2 ufficiali italiani a Pechino, 13 morirono e 16, tra cui entrambi gli ufficiali, furono feriti. Essendo stata distaccato dal contingente iniziale un gruppo di 11 marinai e di un ufficiale per la difesa del Pe-Tang una parte dei morti e dei feriti fu dovuta agli scontri che si verificarono in quel settore.
2. Attentato a Umberto I - Il 22 luglio 1900 il Re Umberto I tornò a Monza da Napoli dopo aver salutato i battaglioni in partenza per la Cina. A Monza il Re riprese le sue abituali occupazioni. La mattina della domenica - 29 giugno - presenziò alla messa nella cappella del castello, alla sera andò ad assistere ad un concorso ginnico organizzato dalla società " Forti e Liberi ". Finita la cerimonia il Re nel montare in carrozza e nel rispondere ancora in piedi all’applauso della folla fu ucciso, colpito al cuore ed al collo. dai colpi di rivoltella sparati da un anarchico: Gaetano Bresci. Pochi giorni dopo la salma di Re Umberto fu portata a Roma per essere sepolto nel Pantheon.
3. Medaglia d’Oro - Per il comportamento durante gli scontri con i Boxers furono concesse varie decorazioni al valore, tra cui quattro medaglie d'oro: T.V., Federico Paolini, S.T.V. Ermanno Carlotto (alla memoria), S.T.V. Angelo Olivieri, S. Capo T. Vincenzo Rossi (alla memoria).
4. Divisione di Fanteria Granatieri di Savoia. Costituita come divisione di Fanteria nel 1940 con i reggimenti di fanteria 10° e 11° Granatieri di Savoia ed il 60° reggimento Artiglieria, fu disciolta nel 1941. La Divisione fu costituita nel 1936 su due reggimenti ciascuno su tre battaglioni e fu fatta affluire in Africa Orientale dal 16 novembre 1936 al 3 gennaio 1937, per essere destinata a presidio di Addis Abeba. Giunta in Africa, prese parte alle operazioni di polizia coloniale in A.O.I. dal 1937 al 1939. Il I Battaglione del 10° Reggimento Granatieri che operò con gli altri fin verso la fine dell'agosto 1937, per essere poi destinato in Estremo Oriente da dove rientrò nel dicembre 1938. Nel 1940, unitamente a quattro battaglioni Cacciatori d’Africa e 7 battaglioni CC.NN, fu schierata nel settore di Addis Abeba. Abbandonata Cassala nel gennaio 1941, sostenendo combattimenti di retroguardia, i reparti della divisione furono inviati sulla linea di Cheren. Dopo aver contrastato l’avanzata nemica nel ridotto di Cheren fino alla fine di marzo del 1941 i reparti superstiti confluirono verso l’Amba Alagi dove furono costretti ad arrendersi con l’onore delle armi.

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Associazione Nazionale Alpini Storia delle Truppe Alpine 1872-1972 Cavallotti editori Milano, 1972
Collezionismo italiano – Compagnia Generale Editoriale – Milano, 1980.
Navi e Marinai – Compagnia Generale Editoriale – Milano, 1979
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