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I PENITENTI  - X - XIII sec

La vita e le durissime regole di un ordine laico organizzato dalla Chiesa nel XIII secolo.
 I suoi moltissimi adepti furono impiegati nell'offensiva contro le devianze dottrinarie

 

I PENITENTI: 
CACCIATORI DI ERETICI

 


 

di ENRICO BUTTERI ROLANDI


Il XIII secolo fu un'epoca caratterizzata da un'intensa spiritualità, in cui si tendeva ad attribuire una valenza religiosa ad ogni aspetto della vita e dell'attività umana. A contribuire a creare questo stato di tensione spirituale erano i continui scontri tra papato ed impero, che portarono in molte città alla divisione della popolazione in due fazioni, e soprattutto il diffondersi dell'eresia in alcune zone importanti come la Pianura Padana e la Linguadoca dopo circa un millennio di pace e di uniformità religiosa.
L'eresia trovò terreno fertile soprattutto negli strati più bassi della popolazione, pur riuscendo a coinvolgere anche persone di rango sociale elevato, e per combatterla la Chiesa cercò di sfruttare la particolare situazione psicologica della collettività, individuando lo strumento più idoneo nella propaganda e nella mobilitazione dei laici. E' in questo contesto che nacquero gli ordini mendicanti, di cui ben presto la gerarchia ecclesiastica colse le potenzialità e l'utilità non soltanto nella lotta contro l'eresia, ma anche come strumento per tenere sotto il proprio controllo l'attività dei laici e delle loro associazioni.
Proprio a causa delle esigenze della Chiesa e della sua influenza sulle vicende del tempo, assunse caratteristiche nuove sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo il vecchio istituto dei "fratres de poenitentia" e si sviluppò un vero e proprio movimento penitenziale che da un lato, rimanendo nell'ambito istituzionale della Chiesa, portò alla nascita dei terzi ordini regolari, dall'altro, sfuggendo al controllo della gerarchia ecclesiastica, diede vita al movimento dei Flagellanti.
I Penitenti costituivano un "ordo" autonomo che si poneva a metà strada tra quello dei religiosi e quello dei laici e che comprendeva tutti quei fedeli che, pur restando nel secolo, sceglievano volontariamente di condurre una vita di privazioni e di penitenza simile a quella che veniva imposta ai pubblici peccatori riconciliati.

A carico dei penitenti volontari erano previsti dal diritto canonico obblighi ben precisi, tra cui, prima di tutto, quello della "mutatio habitus". Chi sceglieva la strada della penitenza aveva l'obbligo di portare una veste molto semplice, che non poteva essere colorata e doveva essere di lana grezza, scura e riconoscibile come abito religioso. Si trattava del simbolo della scelta di quella persona e del suo nuovo stato religioso così che chiunque avrebbe potuto rendersene conto.
In origine era sufficiente presentarsi in chiesa con l'abito del penitente perché la scelta fosse considerata definitiva, ma a partire dal Duecento le confraternite di penitenti stabilirono che i pretendenti si sottoponessero ad un periodo di prova di un anno, sotto il controllo degli amministratori della confraternita, prima che essi potessero essere definitivamente considerati penitenti volontari.

La pubblica penitenza comportava anche l'obbligo della tonsura e vietava poi di curare barba e capelli, ma nelle fonti duecentesche non si fa più alcun riferimento né alla barba né ai capelli. Anche per le donne era previsto, in origine, il taglio dei capelli prima della benedizione del sacerdote. La rinuncia alla vita mondana da parte del penitente implicava il divieto di assistere agli spettacoli, tanto più che nel Medioevo le esibizioni di cantastorie e giullari erano poco edificanti, e ai banchetti.
Quest'ultimo divieto, in particolare, trovava la sua giustificazione nel fatto che le confraternite erano solite riunirsi per simposii che spesso sfociavano nell'ubriachezza generale e degeneravano in risse e, in alcuni casi, in omicidi, dando vita alle proteste, alle condanne e alle minacce che caratterizzarono i Concili di tutto il Medioevo. Ai penitenti era poi vietato di occuparsi di commercio, poiché era considerata un'attività poco onorevole a causa delle speculazioni e delle frodi che spesso i commercianti ponevano in essere.

Tutti coloro che avevano accumulato ricchezze grazie al commercio venivano considerati pubblici peccatori. Per accedere allo stato di penitente era necessario restituire tutto ciò che era stato guadagnato illecitamente e poiché nella maggior parte dei casi non era possibile determinare a chi i beni erano stati sottratti ed in quale quantità, la restituzione doveva avvenire attraverso ingenti donazioni a favore di ordini religiosi, ospedali e di tutte quelle istituzioni che svolgevano opere di carità.
Altro obbligo importante era quello di non esercitare pubbliche funzioni giuridiche ed amministrative e di rinunciare ad esse, visto che queste erano una delle principali fonti di ingenti patrimoni, mentre i penitenti dovevano vivere in povertà. Inoltre essi dovevano abbandonare la carriera militare e non potevano portare armi, cosa che implicava il vantaggio dell'esenzione dal servizio militare anche nei Comuni in cui questo era obbligatorio.

I " fratres de poenitentia " dovevano condurre una vita povera, fatta di privazioni e di frequenti digiuni: in particolare, nel XIII secolo il "Memoriale propositi " dell'ordine della penitenza stabiliva quattro giorni di astinenza dal cibo durante la settimana per tutto l'anno e periodi di digiuno più lunghi di quelli previsti per gli altri fedeli. Un obbligo particolarmente importante, che fu soggetto a numerose modifiche nel corso del tempo, era quello della continenza, che comportava per i penitenti volontari l'astensione da rapporti sessuali per tutto l'anno.
Si trattava di una conseguenza di questa scelta di vita particolarmente importante e, proprio perché la continenza veniva vista come un obbligo essenziale, in un primo tempo il Concilio di Agde del 506 sconsigliò l'ammissione alla penitenza dei giovani che avrebbero potuto non rispettarne gli obblighi per la fragilità legata all'età e, successivamente, il Concilio di Orléans del 538 la vietò esplicitamente. Quando erano coinvolte persone coniugate valeva la regola, ribadita anche da Graziano nel suo " Decretum ", secondo cui uno dei coniugi non poteva accedere allo stato di penitente senza il consenso dell'altro.

Tuttavia, con il passare del tempo, l'obbligo della continenza non venne più inteso per le persone coniugate come perpetuo, ma già verso la fine del XII secolo esso implicava semplicemente una periodica astinenza dai rapporti carnali, coincidente con i periodi di digiuno. Le persone non sposate che sceglievano la strada della penitenza assumevano invece l'obbligo del celibato perpetuo.
In origine i penitenti vivevano nelle proprie case, senza rinunciare ai propri beni terreni e senza dare vita a vincoli di tipo associativo, praticando la penitenza in privato ed individualmente. E' bene sottolineare comunque che tra gli obblighi della penitenza non rientravano forme di mortificazione del corpo che andassero al di là del semplice digiuno e che coloro che facevano ricorso all'autoflagellazione e ad altre pratiche simili lo facevano volontariamente, senza che ciò fosse imposto loro dal diritto canonico.

Ad una prima forma di organizzazione dei penitenti fa riferimento nel 1091 Bernoldo di Costanza che a proposito ei laici " conversi ", cioè convertiti ad una vita di comunione e di penitenza senza tuttavia diventare monaci, distingue tre diverse categorie.
Una prima categoria comprendeva quegli uomini che donavano se stessi ed i propri beni ad una comunità monastica per soddisfarne i bisogni, andando così a costituire una comunità distinta, ma governata da quegli stessi monaci. Nella seconda categoria rientravano le donne che dedicavano la propria vita al servizio di una comunità di monaci o di chierici e vivevano insieme in una casa annessa all'abbazia o alla chiesa, cercando comunque di evitare una promiscuità che avrebbe potuto indurre i religiosi in tentazione. Entrambe queste categorie di penitenti facevano voto di vivere in comunità, di celibato e di obbedienza. Nella terza categoria rientravano i laici "conversi" coniugati che, pur non vivendo in comunità, facevano voto di penitenza e promettevano obbedienza ad una comunità monastica.

Essi donavano sé stessi e i propri beni alla comunità, ma continuavano a vivere nelle terre che avevano donato con la propria famiglia, senza associarsi tra di loro. Capitava tuttavia già prima del 1091 che tutte le famiglie di uno stesso borgo scegliessero la strada della penitenza dando vita ad una vero e proprio gruppo organizzato, visto che abitavano le une vicino alle altre e coltivavano terre confinanti. Si trattava di comunità che rispecchiavano nella struttura e nelle finalità le prime comunità cristiane descritte negli Atti degli Apostoli e che per tutelarsi, soprattutto in Germania, cercavano la protezione feudale di un monastero donandosi ad esso e godendo così non soltanto dei benefici spirituali, ma anche della sua protezione giuridica e dei suoi privilegi ecclesiastici e civili. Comunità di questo tipo si svilupparono in Italia soltanto a partire dal XII secolo e l'esempio più importante è costituito dalla comunità di San Desiderio, sorta nei pressi di Vicenza nel 1188.

(Vedi anche in RIASSUNTI STORIA D'ITALIA - GIOVANNI DI VICENZA)

Con la predicazione di San Francesco e dei suoi compagni si poté assistere ad un incremento del numero delle persone che sceglievano di fare penitenza, tanto che alcuni ritengono di poter parlare di un " movimento penitenziale " originato dall'opera dei primi francescani, giungendo a considerare veritiera la leggenda secondo cui sarebbe stato lo stesso Francesco a fondare " l'ordine dei penitenti". Stando infatti a quanto narrato da un Anonimo perugino, i primi frati minori diedero vita ad una fitta rete di confraternite locali di cui facevano parte i penitenti, creando così un nuovo ordine, di cui chiesero anche il riconoscimento al Pontefice. In realtà, i frati minori favorirono con il loro esempio e la loro predicazione la diffusione della penitenza volontaria tra i laici, ma tale istituto esisteva ed era regolato dal diritto canonico già da tempo.

Lo stesso Francesco, nel suo testamento spirituale, affermava: " Il Signore mi ha concesso di fare penitenza " e i suoi discepoli si presentavano come penitenti di Assisi invitando chi chiedeva loro consiglio a fare penitenza per i propri peccati.
A testimonianza dell'aumento del numero dei penitenti nel XIII secolo può essere citata una Bolla papale del 16 Dicembre 1221 con cui il papa Onorio III, dal momento che era vacante la cattedra vescovile di Faenza, ordinava al vescovo di Rimini di proteggere i penitenti di questa città contro i magistrati che, allarmati dal loro numero crescente, si rifiutavano di rispettare il privilegio dell'esenzione dal servizio militare. In un primo tempo, le confraternite di penitenti si mantennero indipendenti le une dalle altre e ciascuna era governata da due ministri eletti ogni anno dall'assemblea dei confratelli.

A partire dal 1221, le confraternite della Romagna decisero di dare vita ad una vera e propria confederazione, adottando tutte quante lo stesso statuto, il "Memoriale propositi ". Successivamente, la federazione si estese fino a raggruppare anche le associazioni dell'Emilia e della Lombardia, originando nel 1280 la "Provincia lombarda dei fratelli della Penitenza", che comprendeva quasi tutta l'Italia settentrionale.

A partire dal 1289 essa si articolò in quattro province, Bologna, Padova, Milano e Genova, ciascuna con i propri ministri provinciali e capitoli provinciali. Il Memoriale propositi stabiliva che il controllo sull'attività delle confraternite di penitenti spettava direttamente al vescovo, che doveva esercitarlo personalmente oppure tramite un visitatore appositamente nominato. Tuttavia, poiché spesso i vescovi trascuravano questo loro compito, in molti casi erano le stesse confraternite a nominare il visitatore tra i frati minori o i frati predicatori. Fin dall'inizio del XIII secolo, i fratres de poenitentia si legarono strettamente ai frati minori per ricevere da loro assistenza spirituale, ma capitava spesso che, anche per semplici ragioni di maggiore comodità, per esempio perché la sede della confraternita era più vicina al convento dei Domenicani come a Firenze, alcuni di essi preferissero ricorrere ai frati predicatori.

Ciò portò ad una progressiva differenziazione tra quei penitenti che si appoggiavano ai Francescani e quelli che si appoggiavano ai Domenicani, ordini monastici che cercarono di stabilire un controllo sempre più intenso su quelle confraternite che si erano affidate alla loro direzione spirituale. In questo modo, nel 1284, il frate francescano Caro elaborò una nuova redazione del Memoriale propositi che prese il nome di Regola di fra' Caro e successivamente, in seguito all'approvazione da parte del pontefice Nicola IV nel 1289, quello di Regola Bollata.

La regola non aveva introdotto innovazioni particolarmente importanti, limitandosi semplicemente a migliorare l'ordine dei paragrafi del Memoriale, e doveva essere rispettata da tutti i penitenti che si erano posti sotto la guida spirituale dei Francescani. Anche i Domenicani, con il nuovo maestro generale dell'ordine Munio da Zamora, nel 1285 decisero di adottare una propria regola che doveva essere osservata da tutti quei penitenti che si sottomettevano alla guida e alla giurisdizione dei frati predicatori, entrando così a fare parte di quello che veniva chiamato "Ordine della penitenza di San Domenico ".
La regola, che venne approvata da papa Onorio IV nel 1286, introduceva importanti novità rispetto alla regola di fra' Caro. Mentre infatti quest'ultima prevedeva per le confraternite di penitenti soltanto la possibilità di scegliersi il visitatore tra i frati dell'ordine francescano, la regola di Munio da Zamora stabiliva che i penitenti che chiedevano la direzione spirituale dei Domenicani rispettassero pienamente la loro regola e sottraeva ai membri della confraternita la possibilità di eleggere direttamente il proprio priore.
Questo dualismo tra i due principali ordini mendicanti portò successivamente alla nascita dei terzi ordini regolari. La penitenza volontaria fu la prima forte manifestazione dell'impegno religioso dei laici che si estrinsecò in forme organizzative destinate ad influenzare anche le esperienze successive. Il fenomeno venne sfruttato dalla Chiesa come strumento per valutare l'idoneità degli ordini mendicanti a raggruppare intorno a sé i fedeli e, al tempo stesso, per valutare la propria capacità di controllo nei confronti di questi ultimi, in vista di un loro massiccio impiego nell'offensiva contro l'eresia.

di ENRICO BUTTERI ROLANDI

Bibliografia
Le confraternite laicali un'esperienza cristiana tra Medioevo e età moderna, di Giancarlo Angelozzi - Editrice Queriniana, Brescia 1978.
I frati penitenti di San Francesco nella società del Due e Trecento, a cura di Mariano D'Alatri - Istituto storico dei Cappuccini, Roma 1977.
Ordo Fraternitatis confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, di Gilles Gerard Meersseman - Herder Editrice e Libreria, Roma 1977.
Le confraternite medievali dell'alta e media Italia, di Gennaro Maria Monti - La Nuova Italia Editrice, Firenze 1927.

Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
dal direttore di


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