di Michele Ippolito

STORIA RECENTE DELLA ROMANIA


Il satrapo ignorante
e la rivoluzione che lo abbatté


Il colpo di stato del 1989 in Romania come spartiacque tra il regime di Nicolae Ceausescu ed una difficile transizione verso la democrazia

Prima parte

Introduzione

"Imputato Nicolae Ceausescu…." "Non sono imputato, sono il presidente della Romania e il comandante supremo delle forze armate".
In risposta al presidente del tribunale rivoluzionario che lo stava condannando a morte, Ceausescu rispose così. Questa fu una delle ultime frasi pronunciate dal "conducator" Nicolae Ceausescu, presidente romeno per venticinque anni, uno dei dittatori abbattuti dalla svolta anticomunista dei Paesi che aderivano al Patto di Varsavia, nel 1989.
Il colpo di stato in Romania non ha avuto, però, nulla a che vedere con le altre contemporanee rivoluzioni che miravano a riforme politiche, sociali ed economiche sostanziali, messe in atto nei paesi vicini alla Romania nei mesi immediatamente precedenti. Ungheria, Bulgaria, Repubblica Democratica Tedesca, Cecoslovacchia, hanno visto cadere i regimi che li governavano senza bisogno che ci fosse spargimento di sangue. In Romania, invece, l'odio per il dittatore era così forte che l'eliminazione fisica era stata considerata l'unica strada percorribile per poter ristabilire la democrazia nel Paese, non lasciando a nessuno la possibilità di guardarsi indietro, verso un passato fatto di miseria e oppressione politica, verso un regime comunista solo a parole, ma in realtà incapace di gestire qualsiasi tipo di politica economica valida per il benessere del Paese. O almeno, così si sperava.
Negli occhi delle popolazioni di tutto il mondo che hanno seguito attraverso la televisione gli stravolgimenti del 1980 in Europa dell'est, le immagini del corpo di Ceausescu a terra, subito dopo l'esecuzione della sua condanna a morte, alla pari della caduta del muro di Berlino, (avventura poco più di un mese prima), sarebbero rimaste per sempre come le più significative della caduta dei regimi comunisti in Europa.

1989, l'anno dei grandi cambiamenti
All'inizio del 1989 , la Rivoluzione in Romania, sembrava inevitabile. La corruzione, il dissesto economico, la povertà della popolazione, la sfiducia nell'ideologia comunista da parte di larghissime parte dei cittadini romeni minavano ormai in modo profondo le strutture sociali dello Stato. Ma, nonostante questo, la velocità con cui si svilupparono gli eventi della fine del dicembre 1989 fu a dir poco sorprendente, tanto che tutti gli osservatori politici, sia ad occidente che ad oriente, ne furono sconvolti.
Lo storico britannico Timothy Garton Ash ritrova che le fondamenta, non solo della Rivoluzione rumena, ma , in generale, del crollo dei Paesi del blocco comunista alla fine degli anni ottanta possono essere individuate nell'opera di un solo uomo, il Segretario del Partito Comunista Sovietico Mikhail Gorbaciov.
Per Garton Ash, la vera e propria rivoluzione ebbe inizio quando Gorbaciov ed i suoi collaboratori si resero conto che se l'economia dei paesi comunisti fosse stata portata avanti con gli stessi metodi degli anni trenta, si sarebbe arrivati ben presto allo schianto. Ci voleva quindi una decisa inversione di rotta, attuata tramite un processo di rinnovamento radicale delle strutture sociali, politiche ed economiche di tutti i Paesi che facevano capo all'Urss. I primi popoli a beneficiare di una politica di controllo meno repressiva da parte dei sovietici e di un'apertura politica in senso liberale dei propri leaders politici furono Ungheria e Polonia.
La cosiddetta "Dottrina Brezhnev", che per anni aveva giustificato le interferenze dell'Urss negli affari di politica interna degli altri Stati aderenti al Patto di Varsavia, fu rimpiazzata , come disse scherzando un portavoce del Governo sovietico, dalla "Dottina Sinatra", che prevedeva che ciascuno Stato avesse il diritto di "fare a modo suo". Il riferimento, è chiaro, era alla famosa canzone interpretata da Frank Sinatra, "My way".
Il ritiro dell'esercito sovietico , dopo anni di occupazione armata, dall'Afganistan nel febbraio 1989 fu la prima prova tangibile che la nuova politica estera del regime gorbacioviano era ormai in atto, e che l'impero messo su in decenni da Lenin e dai suoi successori si stava lentamente sgretolando.
Nello stesso periodo, in Polonia, il regime comunista del generale Jaruzelski, diede vita a tavoli di trattative con la chiesa cattolica e con il movimento degli operai denominato "Solidarnosc", guidato dal futuro presidente della Repubblica, Lech Walesa. A Budapest, nel mese di marzo del 1989, otto gruppi anticomunisti decisero la loro unione, chiedendo dei negoziati con le forze comuniste al governo. L'anno precedente il leader comunista storico del Paese, Janos Kadar, aveva lasciato ogni suo incarico di guida del Paese, cosa che aveva già , di fatto, aperto la strada ad una modernizzazione concreta dell'Ungheria. Ad aprile, in Polonia, i comunisti accordarono, sotto la spinta dell'opinione pubblica, lo svolgimento di libere elezioni e a Solidarnosc fu dato il permesso di parteciparvi, grazie alla cancellazione della legge che lo riconosceva come movimento fuorilegge. Le elezioni si svolsero a giugno, ed i candidati democratici ottennero novantanove seggi su cento alla Camera alta, a segno di una schiacciante vittoria degli anticomunisti. I comunisti, di mala voglia, ma ormai completamente distrutti nelle loro fila, dovettero accettare che il dissidente Tadeusz Mazowiecki divenisse il primo premier polacco non comunista dopo oltre quarant'anni.
In estate, in Ungheria, si svolse una solenne cerimonia pubblica in cui lo Stato conferiva a Imre Nagy, il leader della rivolta del 1956, soffocata nel sangue dai carri armati sovietici, un'alta onorificenza. La cerimonia fu seguita in diretta televisiva da tutto il popolo ungherese, ed in quella occasione, il leader dell'opposizione anticomunista, Viktor Orban chiese libere elezioni e il ritiro delle truppe sovietiche dal territorio ungherese.
A fine estate, fu organizzata una gigantesca catena umana, che legò le mani di centinaia e centinaia di cittadini baltici, estoni, lettoni e lituani, per ricordare il cinquantennale della firma del patto Molotov-Ribbentrop. In realtà la manifestazione fu un'immensa mossa propagandistica dei nazionalisti di questi tre Paesi, le cui bandiere, per la prima volta dopo cinquant'anni sventolavano nell'aria liberamente, senza che ufficiali sovietici lo vietassero. Nel corso di tutta la manifestazione, i partecipanti gridarono ad una voce "Libertà, libertà!"
I tedeschi abitanti nella Repubblica Democratica Tedesca capirono che era giunto il loro momento, ed a migliaia lasciarono la loro patria per emigrare in Ungheria, Stato che aveva da poco aperto le sue frontiere con l'Austria, smantellando la cortina di ferro che si trovava al confine. I tedeschi dell'est finalmente potevano vedere realizzato il loro sogno: poter emigrare e ricongiungersi con i parenti rimasti nell'area del blocco occidentale al momento della spartizione della Germania in zone d'influenza al termine della seconda Guerra Mondiale.
Gorbaciov si recò in visita ufficiale nella Repubblica Democratica Tedesca nel mese di ottobre del 1989 per il quarantesimo anniversario della creazione dello Stato, e proprio in quel periodo l'emigrazione verso l'Austria dei cittadini tedeschi dell'est si era trasformato in un vero e proprio esodo. Inoltre, i cittadini tedeschi dell'est che erano ancora in patria, scesero nelle strade per gridare al governo, che aveva vietato qualsiasi forma di manifestazione pubblica, la loro voglia di libertà. Lo slogan maggiormente gridato in quei giorni fu "Noi siamo il popolo".
Gorbaciov, al momento di prendere la parola alla cerimonia ufficiale, ammonì severamente, ma con molta ironia, il leader comunista Erich Honecker, dicendogli che la storia non dimentica quanti falliscono nel tentativo di seguire le richieste del tempo in cui vivono. Appena tornato a Mosca, Gorbaciov dovette scontrarsi duramente con il politico russo Boris Eltsin, che gli chiedeva di cancellare l'articolo della costituzione sovietica che prevedeva la supremazia del partito comunista su tutte le altre strutture istituzionali dello Stato. Dopo soli dieci giorni dalla visita di Gorbaciov, Honecker fu deposto da un colpo di stato, senza alcuno spargimento di sangue.
La notte tra nove e dieci novembre 1989, cadde il simbolo visibile della separazione dell'Europa in blocco occidentale e blocco comunista, il muro di Berlino, che tagliava la città in due parti. I tedeschi di Berlino, armati di martelli, scalpelli e picconi, abbatterono il muro, festeggiando poi tutta la notte con fiumi di champagne.
Il giorno dopo, il membro del Politburo della Repubblica Democratica tedesca, Guenter Schabowski fece il seguente annuncio: "Considerato che la presente situazione è per noi non più controllabile, abbiamo deciso di adottare delle nuove regole , che permetteranno ad ogni cittadino della Germania Est di spostarsi liberamente all'interno dello Stato."
Il 17 novembre, gruppi di studenti che dimostravano in modo pacifico a Praga furono attaccati falla polizia. Questo avvenimento fece iniziare una vera e propria guerriglia per le strade della capitale cecoslovacca, con i rivoltosi che , nel giro di pochi giorni, presero il comando della nazione, nominando presidente della nuova Repubblica, Vavclav Havel, un uomo di cultura, un dissidente che aveva iniziato il 1989 in una galera di Praga, con l'accusa di essere un oppositore del regime comunista, e lo terminava seduto sullo scranno più importante della sua patria.
Garton Ash nota: " Per fare ciò per cui la Polonia ha impiegato dieci anni, l'Ungheria ci ha messo dieci mesi, la Germania Est dieci settimane, la Cecoslovacchia dieci giorni."."
In dicembre, il presidente statunitense George Bush,sr. e Gorbaciov si incontrarono nell'isola di Malta per pianificare il ritiro delle truppe sovietiche dall'Europa. Questo atto, per gli storici, ha sancito la fine ufficiale della guerra fredda, durata più di quarant'anni. Gorbaciov, in quell'occasione, chiarì qual era la nuova filosofia seguita da Mosca: "Abbiamo rinunciato al monopolio della verità, e a credere di essere migliori del resto del mondo, di avere sempre ragione su tutto, e che chiunque sia in disaccordo con noi sia un nostro nemico. Adesso siamo fermamente ed irreversibilmente guidati dall'idea della necessità in politica, in economia, nel campo scientifico, ed in tecnologia, di princìpi di libertà di scelta nonché di principi di assistenza mutuale, e, nella sfera ideologica, dall'accettazione delle idee altrui e del dialogo riguardo le condizioni e le conseguenze, che possono essere assimilate ed utilizzate per il nostro comune progresso." Il primo ministro britannico Margaret Thatcher, che per prima aveva capito che Gorbaciov poteva essere l'uomo giusto per avvicinare i due blocchi contrapposti , ormai stanchi di una lunga ed infruttuosa Guerra Fredda, era giubilante: "Che anno fantastico, questo 1989! Sarà ricordato per decadi come l'anno in cui i popoli di mezzo continente hanno iniziato a spezzare le loro catene". E nulla importa se Gorbaciov, anni dopo ha dichiarato che non era minimamente sua intenzione abbattere il sistema comunista dell'Europa orientale, ma solo modernizzarlo!
Era ormai chiaro che il momento di una rivoluzione anche in Romania era giunto. Le ore del governo dittatoriale di Nicolae Ceausescu erano ormai contate.
Chi era il satrapo ignorante…
Nato il 26 gennaio 1918 a Scornicescdti, in gioventù era stato un rivoluzionario, lottando contro la monarchia di re Michele, e, grazie alla sua amicizia con il leader della fazione comunista rivoluzionaria Gheorghe Gheorghiu-Dej, conosciuto durante un periodo di detenzione in carcere. Quando Gheorghiu-Dej divenne presidente della Romania nel 1952, Ceausescu è chiamato ad affiancarlo e compie tutto il cursus honorum nello Stato rumeno, finché, nel 1965, Ceausescu viene nominato segretario del Partito Comunista Rumeno e nel 1967, presidente della Romania. Pur facendo parte del blocco comunista, Ceausescu è l'alleato più instabile e meno leale dell'Unione Sovietica: mantiene i rapporti con Israele, condanna le invasioni Sovietiche di Cecoslovacchia ed Afganistan pur senza mai far seguire nessun operazione di rottura con i sovietici alle sua parole, ma il capolavoro lo compie in occasione del boicottaggio dei paesi comunisti delle Olimpiadi di Los Angeles del 1984. Ceausescu, infatti, non rispetta le direttive sovietiche e manda comunque negli Stati Uniti una folta rappresentanza di atleti, che, ovviamente, fanno man bassa di medaglie nelle stesse discipline solitamente appannaggio degli atleti di Urss, Cuba e Germania Est, permettendo alla Romania di piazzarsi addirittura la secondo posto nel medagliere assoluto. Inoltre, la Romania, tra i paesi del blocco comunista, era senza dubbio quello che intratteneva maggiori rapporti politici ed economici con i Paesi occidentali. Per quello che riguarda la politica interna, Ceausescu, che nel 1974 decide di indire le prime elezioni per la Presidenza della Repubblica della storia della Romania, ovviamente stravincendole, crea la Securitate, una polizia segreta composta da più di sessantamila agenti, che controllava ogni aspetto privato e pubblico della vita dei cittadini rumeni e che aveva il compito di soffocare ogni forma di protesta la regime.
Ma Ceausescu può essere anche ricordato come il grande affamatore della Romania. Ceausescu, nel tentativo di ripianare l'incredibile debito estero del Paese, ammontante a oltre ventuno miliardi di dollari, favorì le esportazioni della grande maggioranza della produzione agricola ed industriale del Paese, creando così uno stato di povertà in tutta la Romania, che si manifestava in una mancanza continua dei generi di prima necessità, del cibo, della benzina, delle medicine, per il suo popolo. I disastri in materia economica, l'inflazione galoppante, la miseria, la repressione continua delle idee libertarie e di opposizione inasprirono i rapporti tra il presidente ed il suo popolo. Nicolae Ceausescu fu fucilato, insieme alla moglie Elena, dopo un processo sommario, il giorno di Natale del 1989, con l'accusa di genocidio del popolo rumeno e distruzione dell'economia nazionale.

… e chi era la moglie del satrapo ignorante
Elena Ceausescu nacque il 7 gennaio 1919, da una famiglia molto povera (il padre era un umile bracciante). Studiò pochissimo, solamente fino alla seconda elementare, quindi era poco più che un'analfabeta. Nel 1930 Elena incontrò l'uomo che sarebbe diventato successivamente suo marito, Nicolae Ceausescu, che allora era solo un attivista del partito Comunista romeno. I due si sposarono nel 1939 e, da quel momento, e per cinquant'anni rappresentarono una formidabile e vincente squadra.
Nicolae la nominò presidente del Consiglio Nazionale della Ricerca Scientifica. Successivamente Elena ebbe decine e decine di riconoscimenti per un suo presunto impegno scientifico, che aveva prodotto straordinari risultati nel campo della chimica industriale, ed in particolar modo le furono attribuiti degli importanti studi sulla natura e le funzioni dei polimeri, che lei ovviamente non aveva mai compiuto , ma che erano stati portati avanti da scienziati rumeni dei quali lei si accaparrava l'onore delle scoperte. Tutti i suoi successi accademici ed i suoi riconoscimenti ufficiali possono tranquillamente essere considerati come conquistati in modo assolutamente fraudolento. La prova evidente è data dai moltissimi convegni scientifici ai quali Elena non solo partecipava senza mai profferire parola , ma addirittura ascoltando a bocca aperta gli altri scienziati che dissertavano sulle loro scoperte scientifiche. Nel 1980 fu nominata Primo viceprimo ministro, cioè ottenne la seconda posizione all'interno del regime retto dal marito, carica che mantenne fino alla morte. Alcuni osservatori notano oggi che proprio in coincidenza con l'ingresso di Elena negli organismi istituzionali dello stato romeno, cominciò la decadenza politica del marito. Elena visse la sua vita nel lusso, mentre il suo popolo pativa la fame ed il freddo. Possedeva quaranta case, decine di automobili, pasteggiava a caviale e champagne mentre nei negozi di Bucarest non si trovava neppure il pane. Elena fu uccisa insieme al marito Nicolae al termine di un processo sommario il 25 dicembre 1989.
La crisi che causò la Rivoluzione
Fin dalla rivoluzione comunista che depose re Michele per lasciare spazio alle strutture del Partito unico in Romania, retto dallo spietato dittatore Gheorghiu-Dej, i romeni sono stati un dei popoli che maggiormente hanno pagato sulla loro pelle il cambiamento di regime.
Gheorghiu-Dej era senza dubbio un uomo spietato, che, dalla fine del 1953, anno in cui giunse al potere, fino alla sua morte, nel 1965, instaurò un vero e proprio regno del terrore nel suo Paese. Decine di migliaia di suoi concittadini furono sterminati nei gulag, con la scusa che era necessario annientare fisicamente la borghesia romena per instaurare il governo del proletariato. Nei gulag però finirono non solo i borghesi ed i possidenti, ma anche oppositori del regime a vario titolo ed i contadini che non volevano aderire alla collettivizzazione forzata delle loro terre. Il risultato fu un massacro di cittadini romeni perpetrato dagli uomini che avrebbero dovuto governarli con giustizia.
Altri mezzi utilizzati dal regime comunista per l'annientamento sistematico degli oppositori furono gli arresti di massa con l'accusa di vagabondaggio, portati avanti in un modo molto ingegnoso. Il regime aveva nazionalizzato tutte le attività economiche, non solo le grandi industrie ed imprese, ma anche i piccoli esercizi commerciali e gli uffici di ogni tipo. Chi veniva riconosciuto come oppositore al regime veniva immediatamente licenziato, e di conseguenza non aveva di che sfamarsi, rendendosi facile preda per la polizia, che aveva tutti i motivi per arrestarlo. Oppure, ancora, gli oppositori venivano internati in ospedali psichiatrici in cui erano sottoposti a torture e, o morivano di stenti, o impazzivano veramente. Anche qui era semplice imbastire una procedura "regolare": se tutti , in Romania, sono favorevoli al comunismo, ritenendola una dottrina giusta, chi non è d'accordo, deve per forza avere dei problemi mentali, e , per il suo bene , è giusto che sia internato. Il regime di Gheorghiu-Dej era stato veramente duro ed aveva creato un forte clima di paura in tutti i cittadini, che ormai, nel 1965, anno della sua morte, non osavano più neppure ribellarsi.
Alla morte di Gheorghiu-Dej si aprì la lotta per la sua successione. La spuntò il più giovane ed inesperto dei candidati, Nicolae Ceausescu, designato a quell'incarico dallo stesso Gheorghiu-Dej. Ceausescu, nei primi anni del suo governo fu molto ben visto dalla popolazione romena, perché il suo regime era meno spietato di quello del suo predecessore e perché Ceausescu aveva in tutti modi resistito alle pressioni dei sovietici di entrare nelle questioni interne romene, ad esempio scontandosi con l'idea dei sovietici di trasformare la Romania in un Paese ad economia prevalentemente agricola, in cui si producessero soia e granturco che sarebbero serviti a sfamare tutti gli abitanti dei Paesi del Patto di Varsavia. La Romania, invece, per anni aveva seguito scrupolosamente le dottrine staliniste che miravano ad un economia basata sull'industria pesante, quindi era impossibile riconvertire radicalmente tutto il tessuto produttivo del Paese. E Ceausescu, con l'appoggio unanime dei suoi cittadini, resistette e vinse.
La colpa di Ceausescu nei confronti del suo popolo non fu però di natura "politica": come abbiamo detto, anzi, Ceausescu fu meno duro di Gheorghiu-Dej nei confronti dei suoi concittadini. Il suo errore fu quello però di distruggere tutto ciò che la Romania aveva nel giro di pochi anni, portando la sua nazione al degrado e riducendola in una povertà assoluta.
Nel 1982 Ceausescu annunciò una politica di austerità per poter pagare un debito estero di oltre dieci miliardi di dollari . Quando , nel 1989, il suo regime cadde, l'obiettivo era stato raggiunto, ma il prezzo da pagare era stato altissimo per la popolazione, che non glielo avrebbe perdonato.
Il 1982 può essere individuato come l'inizio di una guerra silenziosa, con l'introduzione di politiche di austerità che avrebbero messo a dura prova il già povero popolo rumeno. Il motivo per cui Ceausescu si era convinto ad accelerare le pratiche per la riduzione del debito risalivano all'enorme impressione che aveva destato in Ceausescu il crac economico della Polonia, oberata dal suo debito estero. Ceausescu decise quindi, che il collasso economico era da evitare a tutti i costi. Tre furono i motivi che convinsero Ceausescu a cambiare rotta nei suoi intendimenti di politica economica: innanzitutto, una crisi avrebbe certamente portato Ceausescu, che riteneva di essere un vero e proprio genio in materia, ad un grave fallimento davanti alla nazione. Inoltre, i lavoratori rumeni erano già troppo gravati e non avrebbero potuto tollerare una crisi economica così forte. Ma soprattutto, Ceausescu, da stalinista convinto quale era, riteneva assurdo pensare che le istituzioni finanziarie occidentali e statunitensi sarebbero dovute accorrere a risollevare le sorti della sua nazione: sarebbe stato uno smacco troppo grosso. Il dittatore aveva speso tutta la sua carriera da presidente a cercare di allontanare la Romania dalla sfera di influenza sovietica e non poteva correre il rischio di gettare la sua nazione tra le grinfie degli americani.
Purtroppo per il suo popolo, il suo programma di austerità avrebbe voluto dire che i romeni avrebbero pagato caro le paranoie e le smanie di grandezza del proprio capo. Ceausescu razionò progressivamente il cibo, i divertimenti e l'energia, tanto che il dissidente del regime in esilio Mihai Botez stimava che ogni anno almeno quindicimila rumeni morivano di fame, freddo e ristrettezze di ogni genere.
Allora, la Romania era abbastanza ricca da poter soddisfare tutte le richieste minime dei suoi abitanti. Ceausescu scelse, colpevolmente, di seguire un'altra strada. E nel 1990, quando il debito con l'estero era ormai azzerato, la Romania si trovava nella miseria più assoluta. La cosa più grave fu che non tutta la popolazione dovette subire le ristrettezze economiche decise dal dittatore. Infatti, lui, la sua famiglia e i suoi collaboratori più vicini, vissero nel lusso e nella ricchezza, continuando ad accumulare capitali. Questa situazione acuì l'odio della popolazione contro Ceausescu, la sua famiglia e la sua corte di amici. Sia i Paesi dell'est che quello del blocco occidentale si dichiararono pronti ad aiutare l'economia rumena a stabilizzarsi , ma alla fine rimasero alla finestra, in attesa di un segnale di disponibilità e di buona volontà da parte del dittatore, che non arrivò mai. Come accennato, lo stato in cui Ceausescu costringeva a vivere i suoi abitanti è stato chiamato da alcuni giornalisti e storici la "guerra silenziosa di Ceausescu." Tale guerra mieté centinaia e centinaia di vittime tra la popolazione civile, affamata, infreddolita e ridotta allo stremo delle forze.
Tra il marzo del 1985 e l'inizio del 1988, Ceausescu attuò una continua rotazione negli incarichi, ai ministeri della difesa, della finanza, del commercio estero, degli esteri, a ad altri importanti enti governativi. L'obiettivo era piazzare sempre ad ogni posto un uomo a lui fedele, che non lo tradisse. Spesso la scelta cadde su parenti: suo fratello Nicolae A. Ceausescu, fu nominato capo dipartimento al Ministero degli Interni. ,mentre una altro fratello, Marin Ceausescu, fu nominato responsabile dei rapporti commerciali con l'Austria, uno dei Paesi con cui la Romania intratteneva maggiormente rapporti commerciali, e responsabile per tutte le operazioni di servizio segreto della Securitate in Europa occidentale.
Nel 1987 Ceausescu lanciò una campagna per la devillagizzazione delle campagne, e alla fine si mise contro anche le etnie minori del paese, a cominciare dagli ungheresi, che protestarono vivacemente contro il regime nel giugno 1988. Molti di essi furono costretti a lasciare il paese a causa della politica governativa che li aveva affamati e raggiunsero la Jugoslavia.
La devillagizzazione fu forse l'idea più folle concepita dalla mente contorta di Ceausescu: l'obiettivo del piano, mai condotto a termine, anche perché fortissime erano le pressioni in senso contrario di alcuni membri dell'entourage di Ceausescu, convinti dell'impossibilità pratica di attuarlo, era un'applicazione meccanica del principio comunista per cui doveva essere annullata ogni differenza tra villaggio e città. Il mezzo per raggiungere tale scopo era la costruzione di grandi complessi agro-industriali in cui i romeni svolgessero , insieme, le attività agricole e quelle di intrapresa. I contadini furono privati delle proprie terre e le loro abitazioni furono rase al suolo per aumentare il terreno agricolo su cui lavorare. Quei contadini che erano riusciti a conservare la propria casa erano riusciti a mantenere anche dei piccoli pezzi di terra, che però potevano essere adibiti solo a giardino. Il piano di devillagizzazione aveva ucciso anche quella piccola economia di commercializzazione di prodotti agricoli come uova, galline o ortaggi, che non potevano più essere tenuti dai contadini. Insomma, il piano, che prevedeva che dai quattordicimila villaggi che esistevano in Romania si dovesse scendere a soli duemila, fallì miseramente e fu ben presto accantonato, anche per enormi proteste popolari dei cittadini della Romania, sia quelli di etnia ungherese che quelli di etnia romena.
Nel 1989, la Romania cominciò ad alzare una cortina di ferro al confine con l'Ungheria, per evitare che i suoi cittadini di etnia ungherese fuggissero verso la loro madrepatria. La cosa fece enormemente irritare il leader sovietico Mikhail Gorbaciov, che in quegli anni stava invece cercando , invece, di trovare il modo per arrivare ad una veloce apertura delle frontiere verso i paesi occidentali e per la democratizzazione. Sotto la pressione internazionale, Ceausescu alla fine abbandonò anche questo progetto.
Nel 1989, Vladimir Tismaneanu, poco prima che gli avvenimenti rivoluzionari sconvolgessero il volto politico dell'Europa orientale, scrisse che "il regime di Ceausescu è probabilmente il più a rischio tra tutti quelli dell'Europa centro orientale". Gli osservatori internazionali si rendevano conto che l'odio verso il dittatore era alle stelle e che la situazione non avrebbe retto a lungo. Anche i militari volevano sovvertire il regime, ed il motivo era chiaro: non accettavano ingerenze nelle decisioni di loro esclusiva competenza e non accettavano di non poter utilizzare le troppo costose attrezzature da guerra più moderne, dovendo sfruttare ancora il lavoro manuale per i lavori all'interno delle caserme.
Ceausescu capì che nell'esercito c'era un diffuso malcontento nei suoi confronti e pochi giorni prima della sua caduta annunciò un incremento della spesa militare del paese, dopo dieci anni di totale abbandono. Ovviamente non bastò per evitare che l'esercito diventasse il suo primo nemico nei giorni della rivoluzione.

Ceausescu, il dittatore nazionalcomunista e autoritario
Il governo di Ceausescu è stato fortemente nazionalista. In nome dell'interesse nazionale, Ceausescu tentava goffamente di giustificare un servizio fortemente ramificato di polizia segreta, la Securitate, nata con l'intento di reclutare informatori e delatori volontari da inviare come cimici nelle associazioni di dissidenti, nei movimenti dei lavoratori, nelle università, finanche nelle case private dei cittadini. Gli studenti denunciavano alle autorità comportamenti anti-regime dei professori, figli quelli dei genitori, i sottoposti denunciavano i superiori sui posti di lavoro, per scalare la gerarchia interna del partito. Era sorta quasi una gara a chi denunciava più oppositori del regime, per entrare nelle grazie dei gerarchi del partito comunista rumeno e della cerchia di amici del presidente Ceausescu. Ceausescu era terrorizzato dall'idea di nemici che attentassero alla sua supremazia. Ceausescu aveva quindi bisogno di uno spauracchio, di un capro espiatorio, di un nemico immaginario, non "proprio" ma della nazione, che egli stesso rappresentava, per giustificare le terribili ed estreme misure che lui ed il suo regime erano "costrette a prendere" per tutelare i cittadini rumeni" . Una docente dell'Università dell'Ucla ha trovato un ottimo paragone per definire le azioni di Ceausescu, avvicinandole a quelle dei governanti della Repubblica di Oceania nel celeberrimo romanzo di fantapolitica di George Orwell, "1984", che dovevano per forza stare in guerra contro qualcuno, per poi dover indicare i nemici che miravano alla stabilità del loro Paese ai propri cittadini, con l'unico scopo di poter giustificare qualsiasi limitazione di libertà fatta sugli stessi cittadini, relegati al rango di sudditi. Ceausescu aveva scelto come nemici della nazione rumena gli ungheresi e gli americani. Gli ungheresi per le loro mire espansionistiche sulla Transilvania, zona segnata alla Romania alla fine della Prima Guerra Mondiale e dopo i Trattati di Versailles, ma largamente abitata da minoranze ungheresi, e gli americani a causa di una loro presunta volontà di invadere lo stato romeno per instaurarvi un regime imperialista. I romeni erano quindi superiori a tutti gli altri popoli, secondo Ceausescu, che fece passare questa convinzione come una delle linee guida del suo governo, cercando di dimostrare al suo popolo come egli stesso non avesse paura di opporre la Romania a nessuna altra potenza mondiale. Nel 1968, questo fu il motivo che lo indusse a rifiutare la partecipazione di truppe rumeni all'invasione della Cecoslovacchia da parte di carri armati russi, che repressero nel sangue la "primavera di Praga".
Si raggiungeva allora il punto più alto della popolarità di Ceausescu nel paese, da quando, tre anni prima il dittatore aveva preso il posto di Gheorghiu-Dej: il partito comunista diventò sempre più popolare e nacque il culto della personalità di Ceausescu.
Nicolae Ceausescu fece di due capisaldi le teorie per reggere il suo Paese: il nazionalismo e l'autoritarismo, che portarono il dittatore a seguire le fallimentari politiche staliniste di industrializzazione forzata a danno di una economia agricola e contadina. Il socialismo di Ceausescu prevedeva l'investimento delle maggiori percentuali dei profitti ricavati dallo Stato in questo settore, nonostante fosse assolutamente assente qualsiasi forma di pianificazione organizzata dei comparti agricoli ed industriali nel Paese. Nel contempo Ceausescu volle prevedere sempre più manifestazioni pubbliche autocelebrative del suo nome e della sua persona, e si sprecarono in quegli anni elogi pubblici, poesie, canzoni, dedicate alla figura "del coraggioso ed amato conducator della Romania" . L'immagine di Ceausescu fu affissa su manifesti ad ogni angolo di strada, ed il nome di Ceausescu si trovava in ogni tipo di documento o di immagine, sempre preposto a quella del partito comunista Rumeno. La Securitate fu sempre più oppressiva nei confronti della popolazione, arrivando perfino ad informarsi su chi fossero gli ascoltatori abituali della radio clandestina anti-regime 'Free Europe' e cosa i professori insegnassero nelle scuole ai propri allievi. La Securitate cominciò ad arrestare persone sulle quali gravavano solamente indizi, a torturarli, a dichiararli imputati in processi sommari senza alcun tipo di valenza legalitaria e a condannarli al carcere duro senza neppure uno straccio di prova concreta. Molti di loro scomparvero nel nulla, senza che, ancora oggi, si sia saputo più nulla della loro sorte.
Ceausescu emanò una legislazione che vietava il diritto di associazione: quattro persone non avrebbero potuto assemblarsi senza aver chiesto una autorizzazione preventiva al Governo: Ceausescu stabilì poi l'isolamento più completo della Nazione nei confronti degli stati esteri e vietò le televisioni libere, prevedendo solo una televisione di stato che dava ai cittadini notizie false e distorte, rendendoli incapaci di capire veramente cosa stesse succedendo in quegli anni nel Paese. Nicolae e sua mogli Elena venivano mostrati sempre felici e sorridenti, mentre visitavano città e villaggi, campi e fattorie contadine. I due tenevano dei bambini tra le braccia e diffondevano il verbo nazionalista e socialista, chiarendo ai rumeni quanto grande fosse la benevolenza del governo verso i lavoratori rumeni e quanto apprezzassero i tanti sacrifici fatti dalla popolazione per il bene dello stato.

Famiglia presidenziale o famiglia reale?
Nicolae e Elena Ceausescu cominciarono ben presto a pretendere che lo Stato assoldasse artisti e scultori di fama che li ritraessero: in quegli anni immense statue della coppia presidenziale e loro gigantesche icone spuntarono un po’ dappertutto, nelle strade, nelle sedi del partito, negli uffici pubblici della Romania. La coppia acquistò o fece costruire un palazzo per loro in ogni città o comune della Romania, ed il guardaroba di Elena in poco tempo superò di gran lungo per numero di abiti, quello di Evita Peron. I discorsi di Ceausescu cominciarono ad essere più nazionalisti che mai: ciò che era romeno era magnifico e strepitoso, al contrario di tutto ciò che era straniero. Ceausescu pretese poi di arrogarsi il diritto di imporre ai rumeni che cibo mangiare, visto che razionò il cibo, obbligò i cittadini a vestirsi con abiti più pesanti o più leggeri a seconda delle condizioni climatiche e ordinò ai suoi connazionali anche quanti figli essi avrebbero dovuto avere, visto che l'aborto era un reato gravissimo punito con l'imprigionamento. Pretese che fosse costruito una sorta di suo palazzo imperiale, il "palazzo del Popolo", costruito con enormi sacrifici economici del popolo ed unicamente in onore del suo leader. Questo palazzo è oggi il secondo maggiore palazzo in tuta Europa, secondo solamente alla Reggia di Versailles. Per realizzarlo sono state abbattute centinaia e centinaia di abitazioni nella città di Bucarest e vi sono stati impiegati più di ventimila lavoratori per parecchi anni. Il motivo per cui Ceausescu pretese che fosse costruito un nuovo palazzo, che, tra l'altro, era adornato dai marmi più pregiati, dai lampadari più fastosi e dalle tende più belle, era che, dopo il terremoto che nel 1977 aveva colpito la Romania, c'era la necessità di porre in un luogo sicuro tutte le sedi delle istituzioni rappresentative romene, ed in primo luogo, il palazzo presidenziale. Ceausescu fece analizzare tutto il suolo della capitale dai migliori geologi del Paese, per scegliere quale fosse il terreno più adatto per resistere ad un nuovo, eventuale, terremoto, e lì fece costruire la nuova "reggia".
Il culto del leader è stato molto ben documentato negli anni della dittatura dei Ceausescu in Romania. Alla pari di Stalin ed Hitler, Ceausescu aveva creato una immagine di se stesso pari a quella di un dio. Ceausescu riscrisse la storia rumena, esagerando il suo ruolo nel creare la "Romania comunista". Creò una macchina per la propaganda da fare invidia a tutti gli altri dittatori della storia, macchina che elevò il ruolo di Ceausescu e della maggior parte dei componenti della sua famiglia. Elena Ceausescu, che era una semianalfabeta, con un curriculum scolastico molto ridotto, fu trasformata dalla propaganda in una delle più grandi scienziate della sua epoca. I Ceausescu amavano mostrare in pubblico i regali di prammatica ricevuti nel corso delle visite ufficiali a capi di Stati esteri, per dimostrare al popolo quanto fosse accresciuto il rilievo internazionale della Romania da quando Ceausescu era al potere. Nel 1978, i giornali rumeni riportarono fedelmente che "nel corso di una visita ufficiale di Ceausescu nel Regno Unito, Margaret Thatcher era rimasta impressionata dalla personalità del Presdiente Ceausescu, e che rimase molto colpita dal forte legame tra Ceausescu e la sua nazione, la Romania, uno Stato che manifestava una forte volontà di sviluppare la cooperazione con altre nazioni." In un contesto ampiamente pompato come il precedente, i giornali rumeni parlarono anche dell'incontro tra Ceausescu e l'ex presidente americano Richard Nixon, che disse, secondo i racconti dei giornalisti rumeni al seguito del loro presidente: "Sono colpito dalla profonda comprensione di Ceausescu de i maggiori problemi che affliggono il mondo. Il Presidente Ceausescu può contribuire e deve contribuire alla risistemazione dei più urgenti e globali problemi di ogni singolo uomo." Ovviamente, alle parole della Thatcher e di Nixon fu data un'ampia risonanza all'interno della Romania.
Immensa risonanza fu data anche alle quindici lauree honoris causa che furono date ad Elena da alcune delle più prestigiose università europee, statunitensi e sudamericane per i suoi (falsi) studi chimici.
In ultimo, è opportuno ricordare che Nicolae Ceausescu è stato per anni l'autore romeno più tradotto all'estero. In tutto il mondo gli uomini politici più importanti, a prescindere dal colore e dallo schieramento politico, facevano a gara per scrivergli le prefazioni.
Niente più libertà in Patria, massima libertà in politica estera
Nel 1975 Ceausescu bandì l'ingresso nel paese a tutti i giornali stranieri, e tutti i cittadini che dall'estero venivano in Romania furono sottoposti a severi controlli al moneto del loro ingresso nel paese. Una legge addirittura arrivò a proibire ai cittadini rumeni di rispondere a qualsiasi domanda fosse loro stata posta da cittadini stranieri. Gli stranieri che arrivavano in Romania erano obbligati a soggiornare in hotel in cui era presente un controllo di polizia gestito della Securitate. A professori e studenti fu vietato di esercitarsi nel comunicare in lingue straniere. I volumi universitari e scolastici furono tutti ricontrollati e riscritti, secondo i canoni propri delle dottrine ideologiche del marxismo. Per almeno quatto ore al giorno l'elettricità viene staccata, di cui due nel pomeriggio. Questa regola valeva per tutti gli appartamenti, ma , cosa più grave, anche per tutti gli ospedali. I romeni potevano usufruire, nelle loro case, di acqua calda per non più di due ore al giorno. I cittadini si dicevano rivolgere gli uni agli altri come "camerati". In pratica, la Romania fu per venticinque anni un affare privato di Nicolae Ceausescu che ne disponeva a suo completo piacimento e che faceva il bello ed il cattivo tempo, decidendo sulle sorti e sulle volontà dei singoli cittadini. In quegli anni i parenti di Ceausescu che ottennero altissimi posti nella gerarchia dello Stato arrivarono a trenta persone. Il nepotismo era oramai una regola nella gestione degli affari pubblici della Romania. I rumeni che aderivano al partito erano costretti a giurare fedeltà e totale devozione al loro leader, Nicolae Ceausescu. Il partito Comunista divenne una organizzazione di massa subordinata allo stato.
Le funzioni accordate al Partito Comunista e allo Stato divennero sempre più larghe che in Unione Sovietica. Ai rumeni fu fatto obbligo di giurare fedeltà ad entrambi, al partito ed allo Stato .
Ceausescu divenne nello stesso tempo Segretario Generale del Partito , Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, e Responsabile del Consiglio Nazionale della Difesa sullo Sviluppo Socio-Economico. Il culto della sua persona fu il maggiore in tutto il mondo comunista, preceduta solo da quella di Kim Il Sung in Corea del Nord. Ceausescu richiese ed ottenne l'appoggio popolare nel suo diniego all'Unione Sovietica di far entrare la Romania nel Comecon , l'organismo di cooperazione economica per molti aspetti similare alla occidentale Comunità economica europea. Per Ceausescu, il sottostare alle direttive di un organismo sopranazionale di programmazione economica voleva dire diventare servi ed era un concetto insostenibile per un qualsiasi stato comunista, ed offensiva per l'orgoglio dei rumeni e per l'economia della Romania. Ceausescu si fece portatore all'estero anche di una (seppur limitata) indipendenza nelle politiche di difesa e di affari esteri. Alla fine, per giustificare e protrarre le sue crudeli politiche interne allo Stato, si fece scudo del nazionalismo, facendo credere alla sua nazione che la Romania fosse costantemente minacciata da aggressori stranieri. Il nazionalismo era penetrato a tal punto negli animi dei rumeni, che il primo successore di Ceausescu, Iliescu dovette seguire anch'egli una politica fortemente nazionalista, e molti attacchi della nuova dirigenza rumena furono rivolti contro la stessa minoranza che già era stata attaccata da Ceausescu, gli ungheresi.
Insomma, con un tale continuo perpetrare di misfatti era ovvio che la Romania ed i romeni non avrebbero potuto sopportare a lungo ed avrebbero reagito. Capitò proprio nel momento storico in cui tutti i regimi comunisti dell'est caddero, sulla spinta di richieste di innovazione. Ma in Romania, Stato per molti aspetti rimasto fermo addirittura al Medioevo, il fine ultimo della folla era solo uno: cacciare il tiranno.
Timisoara e il ruolo dell'Ungheria
Quello romeno era un regime il cui presidente, ultranazionalista, era pronto ad accusare i "nemici ungheresi" come unica scusante per le disfatte del proprio regime, proprio come Hitler accusava gli ebrei di corrompere lo spirito della Nazione tedesca.
La città simbolo del conflitto tra romeni ed ungheresi è Timisoara, la prima città a ribellarsi alla dittatura di Ceausescu. Timisoara si trova nella Romania occidentale, ed è il capoluogo del distretto di Timis. La città è situata ai confini del paese con l'Ungheria e vi vivono circa un milione e settecentomila ungheresi. La questione ungherese in Romania è apertissima fin dalla fine della Prima Guerra Mondiale, quando, dallo smembramento dell'Impero Austo-Ungarico, le potenze uscite vincitrici dal conflitto, decisero , a Versailles di dare una nuova faccia all'Europa, anche grazie alla creazione di nuovi stati. Per ridurre l'Ungheria a poco più di uno staterello, si pensò di "ritagliare" alcuni territori, facendoli rientrare nei confini della nuova Romania. Tra questi, appunto, la zona di Timisoara e l'intera Transilvania, abitata perlopiù da romeni, ma anche da forti minoranze di etnia ungherese, che avevano lingua, cultura, tradizioni e religioni che riflettevano la propria etnia slava, mentre quella rumena, è neolatina. I conflitti tra le due anime in Romania furono esasperate da Ceausescu , che fece del suo regime un governo non solo comunista, ma anche fortemente nazionalista, in cui chi non era rumeno era da considerarsi un pericoloso nemico: la stessa sorte toccò anche alle popolazioni ungheresi che comunque possedevano cittadinanza rumena. La situazione, con il passare degli anni si fece sempre più insostenibile e negli ambienti della borghesia ungherese di stanza in Romania, la fronda verso il regime dispotico di Ceausescu fu sempre fortissima. Nei mesi precedenti la Rivoluzione le autorità ungheresi stimolarono le dimostrazioni di massa nelle piazze di Budapest in favore dei diritti negati ai loro confratelli che vivevano in Romania, per provocare una reazione del regime di Ceausescu.
Padre Laszlo Tokes, un ungherese, pastore evangelico che da sempre era impegnato in un'opera propagandistica contro il regime di Ceausescu, aiutato dai parrocchiani della minoranza ungherese a cui era a capo, era da tempo osservato dalle autorità ungheresi che stavano pensando di farlo diventare una sorta di eroe ungherese, in una possibile rivolta della minoranza magiara contro il regime rumeno.
La attività di Tokes era destinata a rimanere isolata alla minoranza ungherese , ed Tokes sarebbe diventato un punto di riferimento unicamente per gli ungheresi presenti in territorio rumeno. Ma la storia volle affidargli un ruolo ben più ampio, e, ovviamente, nessuno avrebbe potuto prevederlo.

Parte seconda
Cronologia della rivoluzione rumena
Il 1989 è l'anno cruciale per la fine del regime di Ceausescu in Romania.
20-24 novembre : Si svolge il Congresso del partito Comunista. Ceausescu viene eletto segretario del partito, tra le ovazioni della platea, e dopo aver duramente attaccato, nel suo intervento, la politica di perestrojka portata avanti da Mikhail Gorbaciov in Unione Sovietica ed aver riconfermato la sua fede nello stalinismo.
15 dicembre: Padre Laszlo Tokes, un pastore evangelico di etnia ungherese, parla in pubblico contro il regime di Ceausescu, nella sua piccola chiesa a Timisoara, ma l'arrivo della Securitate, dopo le nove di sera, ferma il comizio e disperde la folla, che comincia una vera e propria battaglia con la polizia nelle strade della città.
16 Dicembre: A Timisoara torna una relativa calma, e Ceausescu fa presidiare le strade della città dall'esercito. Il Dipartimento di Stato degli Usa dirama un comunicato in cui si dice che "sembra che finalmente sia arrivato il momento anche per la Romania.
17 Dicembre: Una enorme folla manifesta contro il regime a Timisoara, marciando per le strade ed occupando il Comune, quartier generale del partito Comunista. nei quartieri e bruciando delle immagini del dittatore. L'esercito attacca i manifestanti con i carri armati, lacrimogeni e idranti. Ceausescu comanda che siano chiuse tutte le frontiere.
A Bucarest il comitato Politico Esecutivo condanna le azioni troppo lievi dell'esercito, ordinando che da quel momento in poi i soldati avrebbero dovuto usare proiettili veri al posto di quelli di gomma. La Securitate continuò ad organizzare la lotta gli insorti ed i primi cadaveri di manifestanti rimasti uccisi negli scontri furono cremati o sepolti in fosse comuni.
18 dicembre: Il Governo dà ufficialmente l'ordine all'esercito di sparare pallottole vere contro i manifestanti . Ceausescu lascia il Paese alla volta dell'Iran.
19 dicembre: La resistenza continua e c'è un'escalation di violenza, che fa salire il numero dei morti. Alcuni reparti dell'esercito cominciano a passare dalla parte dei manifestanti, e gli Stati Uniti condannano l'uso della forza da parte del Governo rumeno. Ceausescu comincia la sua visita a Teheran.
20 dicembre : L'esercito continua a sparare sulle masse che gli si oppongono. Ceausescu torna a Bucarest e proclama la legge marziale in tutto il distretto di Timis, in cui si trova Timisoara, dando la colpa di quanto sta accadendo a gruppi di fascisti ungheresi. Negoziatori inviati da Bucarest arrivano a Timisoara per prendere tempo per permettere a nuove truppe di entrare in città. Altre truppe della Securitate entrano in città e cominciano a sparare sulle folle.
21 Dicembre: Ceausescu rivolge alla folla un messaggio teletrasmesso in tutto il Paese. In modo del tutto inaspettato, la folla si ribella e cerca di rompere i cordoni di polizia. Appena dopo otto minuti dall'inizio del suo discorso, la folla comincia a gridare "Timisoara", "Abbasso gli assassini" e "Siamo pronti a morire". La Securitate risponde sparando sui manifestanti e cominciando una vera e propria guerriglia per le strade di Bucarest. Alla fine, tredici ragazzi resteranno uccisi. La folla rifiuta di disperdersi e la polizia arresta molti dei dimostranti. A Timisoara, gli insorti riescono a prendere possesso della città.
22 dicembre: Fin dalla mattina, a Bucarest i dimostranti riscendono nelle piazze. L'esercito che controlla la piazza del palazzo presidenziale passano dalla parte degli insorti, mentre solo la Securitate resta fedele a Ceausescu. La folla si impossessa delle armi custodite nel palazzo presidenziale. Il dittatore cerca di parlare alla folla da un balcone, ma gli insorti non glielo consentono. Ceausescu e la moglie cominciano a pianificare di lasciare Bucarest e la Romania, ma la sera vengono arrestati, poco dopo aver lasciato la capitale a bordo di un elicottero. I due vengono riportati a Bucarest.. Si insedia un Fronte di salvezza Rivoluzionario, alla cui testa c'è Ion Iliescu.
23 dicembre: La lotta continua per le strade di Bucarest. Iliescu comincia a preparare la sostituzione del Governo fedele a Ceausescu.
24 dicembre :A Bucarest è ancora guerra aperta tra esercito e Securitate. Il Fronte nazionale prende sotto il suo controllo la Rivoluzione e instaura un governo provvisorio. Il Fronte decide di fare un processo lampo al dittatore e alla moglie. Il generale Militaru diventa ministro della Difesa.
25 dicembre: Al termine di un sommario processo, svoltosi in una località che non viene immediatamente comunicata, ma che si rivelerà essere la base dell'esercito di Tirgovisti, il Tribunale Straordinario Militare, costituitosi per l'occasione, condanna a morte i coniugi Ceausescu. La fucilazione viene eseguita poco dopo l'emissione della sentenza. A capo del Governo provvisorio viene nominato Petre Roman. I corpi dei coniugi sono mostrati in televisione. I combattimenti continuano nelle strade di Bucarest e Timisoara. I corpi di Nicolae ed Elena Ceausescu vengono sepolti nel cimitero di Ganchea , nella parte occidentale di Bucarest, dopo essere stati diverse ore nella base militare.
28 dicembre: Gruppo di studenti manifestano contro il fronte nazionale a Bucarest.
31 dicembre: la Securitate viene sciolta, ed il suo comandante, il generale Vlad, viene arrestato. Vengono aboliti la pena di morte ed il partito unico.
Il racconto della rivoluzione
La rivolta in Romania covava sotto le ceneri da lungo tempo, ma come per la Prima Guerra Mondiale, la scintilla che ha fatto accendere la miccia è partita nella città di Timisoara, capoluogo del distretto di Timis. Un pastore di una poco nota Chiesa Ungherese Riformata, una piccola chiesa di rito evangelico, rifiutò l'ordine dei suoi superiori di essere trasferito in un'altra diocesi. Padre Laszlo Tokes, questo è il suo nome, attaccò, nel corso di un comizio tenuto in una piazza di Timisoara, il Governo rumeno, reo di infiltrarsi nelle più alte sfere delle chiese cristiane presenti in Romania e di attaccare continuamente l'autonomia dell'etnia ungherese, e di violarne i diritti. Con Tokes c'erano molti preti e molti membri della sua comunità. Tokes annunciò che, comunque, per deferenza e rispetto verso i suoi superiori avrebbe accettato senza discutere più il trasferimento, che sarebbe stato operativo dal 15 settembre. Senza che lui lo avesse richiesto, la sua comunità gli si strinse attorno, organizzando una fiaccolata spontanea in appoggio a Tokes, ed accusando le autorità del regime rumeno di voler allontanare Tokes dal loro territorio. La sera del 10, c'erano, sotto l'abitazione di Tokes circa mille persone, ed il numero, fino al giorno dopo, aumentò di ora in ora. Non si trattava solo di fedeli della sua comunità , ma anche cristiani appartenenti ad altre chiese, come battisti o ortodossi, e gli ungheresi erano affiancati anche da rumeni.
Il giorno dopo, una delegazione inviata dal Comune, guidata dal sindaco di Timisoara, si recò nel luogo dove si svolgeva l'assembramento. Il sindaco chiese ai manifestanti di disperdersi, ma nessuno accolse il suo invito, nonostante egli offrisse in cambio la revoca dell'ordine di trasferimento di Tokes. Questo fece irrigidire ancor di più i manifestanti, che bloccarono il traffico in tutte le strade circostanti e si posero in atteggiamento di sfida verso la delegazione gridando in coro "Libertà!". L risposta della polizia fu quella di attaccare a colpi di manganelli i manifestanti, nel tentativo di disperderli con la forza.
A circa quattrocento chilometri di distanza, a Bucarest, Nicolae Ceausescu e il suo entourage percepirono l'emergenza, senza capirne la reale portata rivoluzionaria. A Timisoara, di ora in ora, la situazione peggiorava sempre di più, e la Securitate aveva perso di mano il controllo della pubblica sicurezza. Ormai nelle strade di Timisoara la guerriglia urbana era in atto. Ceausescu convocò una riunione di emergenza del Comitato politico esecutivo del partito Comunista. Ceausescu e sua moglie Elena criticarono aspramente l'operato dei ministri dell'interno e della difesa, che non riuscivano a tenere la situazione in pugno, e ordinò che la polizia sparasse sui dimostranti di Timisoara. Dopodiché trasferì con decorrenza immediata sotto di sé il controllo di tutti i corpi armati del paese per meglio gestire le operazioni in prima persona. Il pomeriggio del 17 dicembre, i dimostranti si erano già diffusi in tutte le strade principali del centro di Timisoara e la Securitate iniziò a rispondere agli ordini del dittatore.
Centinaia di persone, raggruppate nei pressi della cattedrale ortodossa della città dovettero subire la pressione dei militari ed i loro primi spari contro di loro. Nei negozi delle vie circostanti alcuni presunti manifestanti cominciavano a sparare contro le vetrine dei negozi ed a saccheggiarli. Si scoprirà poi che quei falsi manifestanti erano invece agenti della polizia in borghese che cercavano di costruire un pretesto ragionevole per mettere in atto la repressione. Alcuni giornalisti presenti notarono due stranezze irreali, grottesche: la prima è che nessun dimostrante era armato e quindi non si capiva perché la polizia dovesse sparare su di essi, da cui comunque, non poteva provenire in alcun modo chi avesse voglia di saccheggiare, senza motivo, i negozi circostanti. La seconda è che nei negozi avevano le vetrine desolatamente vuote, senza che ci fosse alcunché da rubare! Una testimonianza di un presente, un giornalista rumeno presente allo scontro, Calin Meda, è agghiacciante: "proprio in quel momento ci fu la prima vittima che io ebbi occasione di vedere con i miei occhi. Era coperta di sangue, il sangue era dappertutto, dalla testa ai piedi. La prima volta che vedi una persona così. Ti sembra quasi un maiale sgozzato. Non puoi credere che un uomo abbia così tanto sangue dentro di sé. E non si era sentito nulla, neppure un urlo o qualcos'altro. Solo nel momento in cui tutti scapparono via, vidi due ragazzi lì, morti. Quella fu la mia prima esperienza di questo tipo. Era il 17 dicembre 1989." Racconta oggi: " Il giorno dopo era un lunedì, ed in quelle poche ore la città era stata massicciamente riempita di militari. Gli ospedali di Timisoara erano stati chiusi ai rapporti con l'esterno. Alcune vittime furono velocemente e sommariamente sepolte dagli uomini della Securitate, altre trasferite in tutta fretta a Bucarest per essere sottoposte a cremazione, per preciso ordine di Ceausescu. Le strade erano state tutte bloccate e nessuno poteva uscire dalla città. Tutte le linee telefoniche erano state interrotte e Timisoara restava così isolata dal resto della Romania.
Ceausescu restò soddisfatto: la situazione ormai gli appariva ormai ristabilita sotto il controllo dello Stato, e quindi, come ormai programmato da tempo, poté partire alla volta dell'Iran, proprio nelle ore in cui alcuni ufficiali governativi arrivavano a Timisoara per mettere definitivamente fine agli ultimi barlumi di resistenza rimasti in vita, secondo i rapporti pervenuti sulla scrivania del dittatore. Il 19 dicembre, uno sciopero generale fu messo in atto a Timisoara e la città ne risultò interamente paralizzata. Tutti i tentativi di negoziare una resa da parte del governo furono infruttuosi e nel frattempo, gli insorti prendevano il controllo su sempre più zone della città. Il 20 dicembre era chiaro che la Rivoluzione a Timisoara era completamente riuscita.
La gente cominciò a riversarsi, allora, nelle strade della città. Mentre carri armati e soldati si preparavano a lasciare la città. Dalla balconata dell'opera, che solo tre giorni prima era stata usata dai cecchini per sparare sulla folla, i leader dei dissidenti, rivolgevano discorsi alla folla sottostante.
Quella stessa notte, Ceausescu e la mogli tornarono dall'Iran, e quasi immediatamente fu preparato per lui un discorso da tenere in televisione, rivolgendosi alla nazione. Ceausescu parlava dal balcone principale del suo palazzo, ma a chi lo guardava da casa, o nella piazza diede solo un'impressione: quella di essere stato oramai sconfitto e che il tempo in cui sarebbe stato al comando della Romania diminuiva di ora in ora.
Ricorda Calin Meda: "Tornai a casa per vedere cosa stesse succedendo, e lui era lì, affiancato da sua moglie, il ministro degli interni, ed un altro uomo, che doveva avere un'altra carica importante, e Ceausescu cominciò a parlare in un'atmosfera veramente solenne. Parlò di alcune "turbolenze" che si stavano verificando nel Paese, e di alcuni servizi segreti stranieri che stavano cercando di attentare contro la Romania… niente di specifico comunque. Ma in quel momento, il resto del Paese era già un altro luogo. Voglio dire: in quel momento, Timisoara, era parte di un altro Paese."
Ad oggi, è ancora strano cercare le motivazioni per cui Nicolae Ceausescu ritenne opportuno rivolgersi alla nazione , il 21 dicembre 1989, per giunta, dopo aver fatto radunare una immensa folla dai sobborghi di Bucarest sotto il palazzo da cui avrebbe dovuto parlare, quello del Comitato Centrale. Probabilmente lo fece perché si sentiva ancora forte, ma si sbagliava: probabilmente quello fu il maggiore errore di che potesse mai fare. Alle 12.30 Ceausescu cominciò a parlare all'enorme folla che si era radunata nella piazza sottostante il Palazzo del Comitato Centrale. Passarono solo otto minuti dall'inizio del discorso e Ceausescu fu interrotto dalla folla, che urlava "Timisoara" e "Abbasso Ceausescu". La televisione, che trasmetteva il messaggio in diretta, e la radio di stato, bloccarono immediatamente dopo le trasmissioni. Le ripresero tre minuti dopo, quando Ceausescu, convinto dalla moglie, tentò di riprendere di parlare. Ceausescu era visibilmente scosso dall'accaduto, ma ci provò, non riuscendoci. Fu zittito dai boati di urla della folla ed all'improvviso lasciò il podio da cui stava parlando. Immediatamente fu spento il nastro preregistrato con applausi ed invocazioni al dittatore che risuonava nella piazza e che serviva per far scena davanti a quanti guardavano lo spettacolo in televisione.
Inoltre, la folla era da tempo pronta a fischiare ed urlare contro il dittatore. Ne è riprova il fatto che tutti i manifestanti che erano arrivato a Bucarest dalle campagne circostanti la capitale per ascoltare il messaggio alla Nazione del Presidente, e per applaudirlo (visto che nelle campagne la popolazione era estremamente fedele al dittatore, nonostante le indicibili vessazioni subìte) non arrivarono mai alla piazza Gheorghe Gheorghiu-Dej, dove si svolgeva il comizio. All'ingresso nella città furono fermati e fu loro riferito che Ceausescu aveva cambiato idea, e che non avrebbe più tenuto il discorso e che quindi potevano tornare tutti nelle loro case. Solo a distanza di qualche ora, quando ormai tutti erano tornati a casa ed era ormai troppo tardi per fare ritorno a Bucarest per ascoltare il presidente, scoprirono di essere stati ingannati, visto che, invece, il comizio sarebbe stato tenuto. Questo diminuì sensibilmente il numero di supporters di Ceausescu presenti alla manifestazione visto che la maggior parte degli iscritti al Partito Comunista si trovava appunto nelle campagne e si identificava nei proprietari terrieri , che inviavano, con loro unilaterale decisione, i propri lavoranti alle manifestazioni pubbliche del partito.
Nel frattempo, mentre Ceausescu, infuriato rientrava nel palazzo e preparava frettolosamente la sua fuga, i dimostranti si ritirarono verso Piata Universitatii e Piata Romana. Alle 14.30 la polizia inviò rinforzi per fronteggiare al meglio la situazione, e cominciò ad arrestare i manifestanti. Alle 17, la folla continuava a rifiutarsi di disperdersi, e la polizia protese per la scelta più cruenta: gli agenti cominciarono a sparare proiettili veri contro la folla uccidendo molti manifestanti ed i carri armati entrarono nelle piazze, reprimendo nel sangue la rivolta. Nel pomeriggio del 21 dicembre, il centro della capitale si riempì di centinaia di persone che domandavano l'esautorazione i Ceausescu da ogni sua carica di governo e violenti scontri ebbero luogo tra i dimostranti e la polizia. Le violenze continuarono per tutta la notte. La mattina dopo, la radio di Stato annunciò che era stato proclamato lo stato di emergenza in tutto il Paese. Immediatamente dopo, la stessa radio diede la notizia che il Generale Vasile Milea, che veniva presentato alla stregua di un traditore dallo speaker, si era suicidato. Milea, che nell'entourage presidenziale rappresentava una sorta di braccio destro di Ceausescu, si era rifiutato di far sparare sulla folla di Bucarest che inneggiava alla morte del dittatore e per questo era stato accusato di tradimento da Ceausescu in persona. A distanza di oltre dieci anni è ancora oscuro se Milea si sia effettivamente suicidato o se sia stato assassinato.
Ion Caramitru, divenuto successivamente ministro della cultura, nel 1989 era un attore, regista e sceneggiatore molto stimato in Romania, e nei giorni della rivoluzione assurse al ruolo di uno dei personaggi simbolo della lotta al regime dittatoriale di Ceausescu. Non appena sentì per radio la notizia della morte di Milea scese n strada ed avvicinò un colonnello che era alla guida di un folto gruppo di soldati alla guida di carri armati, dicendogli che il loro ministro, il ministro della difesa Milea, era stato assassinato. Il colonnello non gli credette ed entrò nel carro armato per contattare il suo quartier generale. Quando uscì, era in lacrime, e gridava che adesso per loro non c'era più nessuna possibilità. Si girò verso Caramitru e gli chiese dove potessero dirigersi adesso. Il cineasta propose di dirigere l'intera colonna verso la sede della televisione per impadronirsene e far sapere a tutta la nazione la verità su quanto stava accadendo.
Nello stesso momento in cui Caramitru e i carri armati si stavano dirigendo vero la sede della televisione, Ceausescu, Elena e le loro guardie del corpo stavano lasciando in elicottero il palazzo del Comitato Centrale. Non avevano una destinazione precisa, sapevano solo che in quel momento la cosa migliore per loro era allontanarsi più possibile dalla folla che loro stessi, in un delirio di onnipotenza avevano fatto radunare, poiché sapevano bene che altrimenti correvano il serio rischio che i manifestanti prendessero possesso del palazzo e li linciassero. Caramitru arrivò alla televisione, e, aiutato dal famoso poeta rumeno Mircea Dinescu, teneva in prima persona le trasmissioni televisive dirette ai rumeni.
"Non potevamo fare altro che dire che eravamo liberi e chiedere alla gente di scendere in strada e prendere parte alla rivoluzione. Non potevamo divulgare né un programma di partito, né un manifesto politico, né nessun'altra cosa di simile, visto che ne eravamo assolutamente impreparati." Ricorda oggi Caramitru.
Vedendo quelle immagini in televisione Ion Iliescu, che da anni ormai preparava, con l'aiuto di molti militari, un golpe contro Ceausescu capì che il suo momento era ormai arrivata e decise che sarebbe toccato a lui prendere in pugno le sorti della Rivoluzione. Iliescu arrivò agli studi televisivi nel pomeriggio e si rivolse alla nazione. Dichiarò che era necessario porre un ordine all'entusiasmo ed alla felicità dovuti alla liberazione dal regime di Ceausescu, perché sennò la gioia si sarebbe trasformata ben presto in anarchia. Annunciò che da lì a poche ore si sarebbe svolta, presso il Palazzo del Comitato Centrale, ormai in mano agli insorti una riunione tra uomini di cultura e militari fedeli agli ideali anti-ceausescu, che avrebbero discusso le linee guida per condurre il paese alle prime libere elezioni della sua storia, attraverso il consolidamento di istituzioni democratiche, un economia di libero mercato e la libertà di stampa. Iliescu creava così il Fronte di Salvezza Nazionale, composto da venti membri, che avrebbe dovuto rifondare la Romania. Più tardi nel pomeriggio, Iliescu, ormai stabilitosi come nuovo leader del Paese, visitò il quartier generale dell'esercito, e lì, incontrandosi con le più alte gerarchie militari , fu deciso di creare due nuovi organismi: il Consiglio Militare Superiore e il Comando Centrale Militare, che avrebbero dovuto convogliare e coagulare le forze di polizia, l'esercito e la polizia segreta.
La notte del 22 dicembre, senza alcun motivo, nelle strade delle maggiori città della Romania, si ricominciò a sparare. Le sparatorie continuarono fino al 25 dicembre. Iliescu e gli altri generali a lui fedeli accusarono oscure "forze terroristiche". Oggi si è portati a credere che tutto ciò fosse solo un ingegnoso piano messo in atto dallo stesso esercito per far credere alla popolazione che il rischio di una ripresa del potere da parte di gruppi fedeli all'ex dittatore era più che possibile. Con ogni probabilità, le sparatorie avvenute nelle città erano finti scontri a fuoco, messi in atto da militari che si contrapponevano ad altri militari, secondo piani prestabiliti a tavolino. Tra le prove a suffragio di questa tesi ci sono i fatti che il Ministero della Difesa o il Palazzo del Comitato Centrale di Bucarest non sono stati neppure sfiorati dagli sviluppi degli scontri armati. Che Iliescu ed il suo entourage non sono stati mai realmente in pericolo di vita in quei giorni, a detta dei loro stessi collaboratori. Che tra tutte le persone fermate perché sospettate di essere dei "terroristi" in quei giorni (circa mille cittadini rumeni), nessuno di essi è stato mai incarcerato, né accusato ufficialmente di alcunché. Mesi dopo Iliescu dichiarò che "quanto è avvenuto in quei tre giorni, resta uno dei più grandi misteri della nostra rivoluzione".
Intanto, a partire dal 22 dicembre, Ceausescu e sua moglie erano agli arresti presso la base militare di Tirgoviste, 50 chilometri a nord di Bucarest. I due erano stati catturati dopo una segnalazione di un motociclista che aveva visto il loro elicottero perdere quota a causa di mancanza di carburante, poco fuori la città di Bucarest. L'elicottero avrebbe dovuto condurre al sicuro la coppia presidenziale nella loro villa a Snagov, appena a nord di Bucarest . Il piano era che i due si sarebbero dovuti poi recare in una base aerea vicino a Pitesti, dove li aspettava un jet che li avrebbe portati lontano dalla Romania, in una sorta di esilio dorato. L'elicottero perse invece quota e dovette atterrare nel bel mezzo di una autostrada. Da lì alla cattura dei coniugi Ceausescu il passo fu facile e breve.
Iliescu decise, senza consultare nessun altro dei membri del Fronte di Salvezza Nazionale che i due dovevano essere processati e giustiziati prima possibile. Dan Voinea, un ufficiale dell'esercito, fu incaricato di recarsi a Tirgoviste per seguire lo svolgimento di tutta l'operazione e per garantirne la buona riuscita. La motivazione data a tutta questa fretta, fu che bisognava far presto ed eliminare il dittatore, altrimenti i "terroristi" avrebbero preso di nuovo possesso del Paese.
Ironia della sorte, Voinea non assistette, dopo esser stato presente a tutto il sommario processo fatto alla coppia presidenziale, all'altrettanto sommaria esecuzione, visto che era uscito un attimo dall'edificio per fumare una sigaretta in tutta tranquillità.
Lo stesso Voinea ha poi raccolto dai presenti alcune testimonianze su come sia avvenuta l'esecuzione e l'ha così raccontata: "Quando furono portati fuori dalla stanza dove si era svolto il processo, attraversarono un corridoio lungo una decina di metri, e poi entrarono nel territorio dell'unità militare. Dall'uscita all'aperto fino al muro davanti al quale loro sarebbero stati posti c'erano circa quindici metri. Appena usciti, Ceausescu si fermò. E guardò i soldati. Fu a quel punto, che, probabilmente, capì ciò che sarebbe avvenuto. I soldati lo sistemarono davanti al muro. Si spostarono e fecero due passi indietro , e l'ufficiale in comando della squadra sparò per primo. Gli altri membri del plotone di esecuzione spararono immediatamente dopo di lui. Quando spararono , Ceausescu saltò, penso per un riflesso incondizionato, forse perché spararono ai suoi piedi. Saltò più di un metro e mezzo. E forse chi guardava in televisione l'esecuzione ha visto che Ceausescu morì girato dalla parte della schiena, con i suoi piedi sotto di lui. Poi il plotone sparò ad Elena."
Nel frattempo, a Bucarest, la maggior parte dei membri del Fronte di salvezza nazionale non erano per nulla a conoscenza di quanto era avvenuto al dittatore. Ana Blandiana, una poetessa conosciutissima nel paese e membro del Fronte, ricorda che il suo nome fu nominato spesso da Iliescu nei suoi discorsi radioteletrasmessi, ma che lei , in realtà, non partecipava a nessuna decisione importante del Fronte. "Nei giorni successivi alla presa del potere, tutti mi trattavano come uno dei leaders del Paese. Ma io non ero neppure riuscita a capire dove si trovasse il quartier generale del nuovo governo!"
Iliescu organizzò il primo incontro pubblico del Fronte, il 26 dicembre, e fu in quell'occasione che annunciò che Ceausescu e la moglie erano stati processati e giustiziati. A quel punto, tutti i presunti "terroristi" smisero di sparare. Ana Blandiana racconta che sia lei sia altri membri del Fronte, rimasero sconvolti nello scoprire che tali decisioni erano stati prese senza che loro fossero consultati. Capirono allora che a loro non era stato riservato nessun ruolo decisionale reale per il governo della Romania, ma che rappresentavano solo uno specchietto per le allodole, una bella facciata da presentare ai rumeni e nient'altro. Solo nomi famosi per attirarsi le simpatie della popolazione. Iliescu sapeva benissimo che se li avesse consultati tutti , molti di loro si sarebbero opposti alla sua decisione, chiedendo un processo vero con tutte le garanzie, ed in cui sarebbe emerso cosa effettivamente egli aveva fatto negli anni del suo governo dello Stato. Quando, poi, contravvenendo alla natura assolutamente straordinaria e temporanea del Fronte, Iliescu decise di trasformarlo in un partito politico, andò dalla Blandiana per chiederle di essere la leader delle deputate del partito. Il tono usato da Iliescu fu quasi minaccioso: le disse che lei era una delle figure chiavi della Rivoluzione, e che non aveva alcun diritto di tirarsi indietro, perché il Fronte aveva bisogno di persone amate dalla gente e quindi anche di lei. La Blandiana asserisce di aver capito solo in quel momento che Iliescu aveva bisogno di lei solo perché aveva intenzione di usarla per i suoi scopi. E rifiutò di essere candidata.

Gli errori di Ceausescu
Probabilmente il più grave errore di Ceausescu nel corso di questi giorni, fu di ritenere di avere ancora il supporto della gran parte della popolazione e soprattutto di volerlo dimostrare. Quando decise di tenere un discorso al centro di Bucarest il 21 dicembre, non poteva certo immaginare che in pochissimi minuti la folla avrebbe cominciato a gridare "abbasso la dittatura!" ed altri canti simili. La televisione rumena, che stava trasmettendo in diretta l'evento, mostrò lo sguardo di Ceausescu, che era sconvolto, e subito dopo smise di trasmettere. Quel gesto dimostrò ai cittadini di tutta la Romania che la scintilla stava per scoccare e che era giunta l'ora di abbattere Ceausescu. Quella stessa notte , cinquantamila persone scesero per le strade di Timisoara e Bucarest a combattere per la loro libertà. Proprio quel giorno, Ceausescu aveva ordinato di chiudere tutti gli accessi alla città di Bucarest. Fu inutile: con la rivolta che iniziava anche nella capitale, l'esercito cedette subito il passo ai dimostranti che arrivavano da fuori la capitale. Il ministro della Difesa romeno, il Generale Vasile Milea, rifiutò di ordinare di far fuoco sui dimostranti e il giorno dopo fu assassinato in circostanze mai chiarite dagli uomini del dittatore. Il 23 Ceausescu prese il suo elicottero personale per fuggire da Bucarest per andare verso un fato incerto. Non riuscì a lasciare la Nazione per andare a rifugiassi probabilmente in Iran, dove era stato amabilmente accolto solo pochi giorni prima. Fu catturato con la moglie poco prima di lasciare il Paese.

Un processo farsa per salvare gli uomini del dittatore
Oggi si crede che un veloce processo contro i coniugi Ceausescu sia servito soprattutto ad accelerare la Rivoluzione ed a salvare ex membri del partito che volevano avere un ruolo preminente nel nuovo regime piuttosto che a fermare la Securitate. Ovviamente, Nicolae e Elena sapevano troppo e troppe persone, che ancora oggi occupano posti di potere nell'apparato statale rumeno sarebbero stati chiamati in causa in caso di un processo reale ai due coniugi Ceausescu in Romania. Tra le accuse rivolte ai coniugi Ceausescu, c'era, ad esempio, che i due avessero un vero e proprio tesoro, dell'ammontare di circa quattrocentosettanta milioni di dollari, depositati su conti cifrati svizzeri. Ad oggi, neppure un centesimo di questo fantomatico tesoro, probabilmente inesistente, è stato ritrovato.
La maggior parte dei leaders della nuova Romania, compresi il nuovo Presidente Ion Iliescu ed il Primo Ministro Petre Roman, erano ex membri del partito.
Ceausescu e la moglie furono accusati di aver fatto massacrare, nei giorni della Rivoluzione, sessantaquattromila persone. Tali cifre furono offerte in pasto anche alla popolazione, per accrescere la rabbia ed il disprezzo nei confronti del dittatore. Pochi giorni dopo il processo, la somma fu rettificata e si disse che il numero di sessantaquattromila morti non era da riferisi al solo periodo della Rivoluzione, ma a tutta la venticinquennale dittatura di Ceausescu. Dopo una settimana dal processo, il numero delle vittime nei giorni della rivoluzione fu ufficialmente ridotto a settemila, e, nel conteggio finale, i morti erano meno di settecentocinquanta. A Timisoara morirono "solo" centoquindici persone e non i quattromila riportati dai dati del governo.

Le verità nascoste dei giorni della rivoluzione
Secondo i dati del governo, nei giorni degli scontri a Bucarest e Timisoara, circa milleduecento persone sono rimaste uccise negli scontri.
Ma chi , veramente ha preparato il colpo di stato? E' indubbio che Mosca, che aveva sempre mal tollerato l'eccessivamente sleale regime di Ceausescu, non era dalla sua parte. Oggi ci sono le prove che proprio dal Governo di Mosca si è cominciato a preparare un piano di auto per i rivoluzionari che avrebbero poi preso il potere in Romania. Gli stessi che avrebbero poi costituito il Fronte nazionale e che avevano già tentato un colpo di Stato contro Ceausescu nel 1984. Gli stessi che le opposizioni parlamentari, dopo il buon andamento della Rivoluzione, avrebbero poi accusato di aver messo su "un nuovo regime comunista", a dispetto delle novità liberiste portate al regime economico e dell'introduzione del multipartitismo e di un sistema di libere elezioni. Tra i fautori della Rivoluzione ci sono uomini che avevano tramato nell'ombra contro il regime di Ceausescu fin dagli anni settanta, provando ance un colpo di stato, fallito, nel 1984. Questo gruppo, ma nessuno poteva aspettarselo, aveva ampi consensi nell'esercito e nelle unità della Securitate.
Ma andiamo per ordine. Dal momento della cattura di Ceausescu era necessario instaurare un nuovo governo, espressione delle forze rivoluzionarie. Tale governo fu instaurato il 22 dicembre e fu chiamato Comitato nazionale Democratico, ed era formato da militari alleati del generale Militaru, intellettuali e personaggi di spicco che sarebbero entrati immediatamente nel Fronte Nazionale di Salvezza.
Il giorno dopo si costituiva il Consiglio del Fronte nazionale di salvezza, guidato da Ion Iliescu , che divenne il primo alleato del generale Militaru, che, d'altro canto, non fu inserito nel primissimo governo provvisorio, ma che ne entrò a far parte nel giro di qualche giorno, in qualità di ministro della Difesa, carica che tenne per sole sei settimane. Le trattative per la formazione del governo erano state vorticose. L'esercito aveva chiesto che al comando andassero veri politici e non solamente poeti ed intellettuali. D'altra parte, Iliescu voleva cercare di coinvolgere alcuni nomi noti tra i maggiori oppositori del regime, e magari richiamarli dai loro esili all'estero. In realtà, Iliescu e Militaru alla fine formarono un governo che avesse una caratteristica fondamentale: quello di piacere alla gente della strada. Due nomi del primo governo Iliescu erano stati molto vicini a Ceausescu: furono subito sostituiti, non appena Iliescu fiutò che erano visti con sospetto dalla folla. Nel frattempo, il generale Victor Stanculescu, lo stesso che, sotto ordine di Ceausescu aveva ordinato di sparare sulla folla a Timisoara, stava preparando la riorganizzazione delle forze militari pro-rivoluzionarie e coordinando le operazioni contro i pro-Ceausescu.
Il ruolo di Stanculescu lascia veramente molto perplessi, visto che il generale era veramente intimo amico di Elena Ceausescu, non aveva partecipato al colpo di stato, e non aveva rapporti diretti con i più alti esponenti della rivoluzione. In ogni caso, e nonostante questo, Iliescu, quando nel febbraio 1990 si dimise Militaru, nominò Stanculescu nuovo ministro della difesa.
Il ruolo della Securitate nel colpo di Stato
Un altro problema da analizzare è il ruolo che ebbe la Securitate nel colpo di stato. La storia popolare della rivoluzione racconta che l'Esercito appoggiò la Rivoluzione, mentre le truppe della Securitate, la spietata polizia segreta ideata da Ceausescu, difendeva il vecchio regime. Nei mesi successivi fu però ristabilita la verità storica, quando si evinse che le truppe della Securitate avevano lavorato per la rivoluzione a Timisoara, Cluj, Sibiu, Brasov, e quando diversi membri della Securitate entrarono a far parte del governo.
La Securitate curava sia i servizi segreti interni che quelli esteri. Nominalmente, si trovava sotto le dirette dipendenze del ministero degli Interni , ma in realtà riceveva ordini direttamente de Ceausescu , senza neppure consultare il Consiglio dei Ministri.
Se quasi tutto l'esercito si schierò nell'opposizione a Ceausescu nel dicembre 1989, è pur vero che la Securitate si spaccò, e buona parte di essa restò fedele al dittatore.
Nella parte che attaccò Ceausescu spiccava Ion Iliescu, professore universitario che aveva avuto buon gioco a convincere i ragazzi delle università in cui insegnava a entrare a far parte della Securitate. Ovviamente, allo scoppio della Rivoluzione, tutte le frange della Securitate provenienti in modo diretto dalle università si schierarono subito con lui. Il generale Militaru, che guidava, da esercito militare, la rivolta, quantificò in quei giorni che con i rivoluzionari erano passati venti generali di esercito e Securitate. Circa venticinquemila soldati dipendenti dal Ministero dell'Interno, guidati dal colonnello Dumitru Peniuc, che era stato in contatto con Militaru fin dal 1986, aspettando una simile occasione. Militaru è stato artefice dei contati che hanno portato dalla parte dei rivoluzionari il reparto a cui era dato l'incarico di guardare il palazzo del Comitato Centrale. Delle truppe impegnate nella guerriglia per le strade di Bucarest, furono impegnati quattromila soldati, di cui duemila provenienti dalla Scuola Militare Baneasa Securitate e ottocento uomini appartenenti all'Unità Speciale Antiterrorismo, circa cinquecento del Quinto Direttorato, unità responsabile della sicurezza personale di Ceausescu , e seicento soldati provenienti dalla Securitate Municipale di Bucarest.
Il 22 dicembre pomeriggio, le forze della Securitate alleate con Ceausescu attaccarono la piazza centrale di Bucarest, gli uffici della radio e della televisione di Stato. L'Ufficio Postale centrale ed altri importanti palazzi. Non attaccarono però, il quartier generale della Securitate, in cui si trovava il Generale Iulian Vlad. Vlad era considerato un lealista al regime, ma in realtà, stava già operando come fosse un membro del Fronte di salvezza, fino al 24 dicembre, quando alcuni altri membri del Fronte decisero che Vlad ed altri membri della Securitate, che pure stavano operando a favore della Rivoluzione, stavano organizzando la resistenza in favore di Ceausescu.
Nel frattempo veniva costituito il governo rivoluzionario provvisorio, e tra i suoi membri c'erano diversi ufficiali della Securitate. Molti ufficiali dei quali il nuovo governo non conosceva la lealtà o che si erano dimostrati favorevoli a Ceausescu furono espulsi dalla Securitate e arrestati tra il 26 dicembre ed il 31.
La verità è che gli ufficiali fedeli a Ceausescu che restarono a combattere contro l'esercito regolare della Romania non ebbero alcun contatto con il dittatore fin dal momento della sua fuga in elicottero. I generali che Ceausescu aveva lasciato a capo della Securitate per gestire la situazione, subito cambiarono partito e divennero fedeli al regime rivoluzionario. Di conseguenza , le truppe a loro sottoposte, nel momento in cui furono diffuse le immagini dei cadaveri di Ceausescu e della moglie, cessarono di combattere . Altri sporadici attacchi delle truppe pro-Ceausescu, tra cui anche cui anche quelli di alcuni terroristi arabi, che la Securitate stava addestrando a diventare dei cecchini, continuarono nei giorni successivi, ma in realtà era poca roba: la resistenza del dittatore era ormai stata sconfitta.
Il 22 dicembre, un generale dell'esercito regolare fu sentito dire che "ormai la Securitate non esisteva più". Nei fatti era vero. Ufficialmente, la Securitate cessò di esistere lo stesso 22 dicembre con il decreto numero 4 del Consiglio del fronte di salvezza , che inglobava la Securitate nell'esercito regolare, dichiarandone la morte. Tuttavia, il fronte lasciò in piedi fino al 30 dicembre le strutture organizzative della Securitate, al fine di organizzare, tramite esso, la resistenza al regime preesistente
E' da notare, comunque, come Iliescu aveva tutta l'intenzione di rendere la Securitate nemico individuabile dai rumeni: dopo che l'esercito, alla guida del generale Stanculescu aveva sparato sulla folla a Timisoara, Iliescu fece girare la voce che si trattava di agenti della Securitate travestiti da soldati. Tutto questo per ripulire l'immagine dell'esercito, che doveva essere visto come un amico per tutta la popolazione, visto che comunque la Securitate era destinata a scomparire nel giro di pochi giorni.
Nel gennaio 1990, Iliescu affermò che la Securitate era stata sciolta e che era stata integrata nell'esercito. Almeno otto generali e uno sconosciuto numero di altri ufficiali erano stati arrestati tra il dicembre 1989 e l'inizio del 1990.
Toccò al Generale Militaru e al generale Stanculescu attendere all'integrazione dei due corpi della Securitate all'interno delle forze armate, assistiti da un consigliere speciale nominato direttamente da Iliescu, Virgil Magureanu. Prima delle sue dimissioni dal governo nel febbraio 1990, avvenute perché il militare riteneva di "avere esaurito il suo compito", mise le quattro unità di sorveglianza e di controspionaggio sotto il controllo dell'esercito così come ogni tipo di controllo sulle apparecchiature radiotelevisive e telefoniche. Il 9 febbraio, una settimana dopo che il governo del fronte di salvezza venisse sostituito da un nuovo Governo di Unità nazionale, il Generale Militaru si dimise e Fu sostituto dal Colonnello Generale Victor A. Stanculescu, un uomo che non aveva certamente mai avuto nessun rapporto diretto con i sovietici, ma che era stato il responsabile di aver fatto sparare sui dimostranti a Timisoara il 17 Dicembre. Dall'inizio del 1990, Iliescu si era attorniato di un gruppo di militari ed ufficiali dell'ex Securitate . la presenza di fin troppi membri dell'ex Securitate nei posti di potere dello Stato aveva fatto gridare allo scandalo larghe fette della popolazione rumena. Molti cominciarono a pensare che Iliescu fosse solo un fantoccio messo al posto di Presidente dagli stessi brutali e oppressori ufficiali della Securitate che avevano governato per venticinque anni assieme a Ceausescu. Era ovvio a tutti che sebbene la Securitate non esisteva più, gli uomini che l'avevano foraggiata per anni c'erano ancora, e adesso ancora più forti dietro la copertura di un regime democratico.
In breve tempo venne varata una nuova legge elettorale. Il primo presupposto divenne mettere fuorilegge partiti che si richiamassero direttamente al dittatore assassinato, e che gli ex funzionari di partito e gli ex ufficiali della Securitate non avrebbero avuto il permesso di candidarsi per le prime tre legislature: la loro assenza dalla vita istituzionale del Paese, anche se certamente lo privava si personalità di grande ingegno e capacità, serviva senza dubbio a velocizzare la pacificazione nazionale. Questo in teoria: nei fatti fu subito chiaro a tutti che gli ex ufficiali della Securitate, stavano, poco a poco, conquistando tutti i più alti posti di poteri nella nuova Romania di Iliescu.
Il ruolo dell'esercito
Il 3 gennaio 1990 il Generale Nicolae Militaru, ammise che già da sei mesi lui ed alcuni suoi stretti collaboratori stavano preparando il colpo di stato per abbattere la dittatura di Ceausescu. Il video con questa dichiarazione fu subito teletrasmesso in tutto il mondo, e creò un forte imbarazzo nel Pentagono degli Stati Uniti, sede del Dipartimento per la Difesa e nel neonato governo rumeno. Il nuovo primo ministro, Petre Roman, si affrettò a smentire subito le dichiarazioni di Militaru, ma il Times , che per primo aveva dato risalto alla notizia, scrisse che le dichiarazioni del generale erano veritiere e date con cognizione di causa, e che, inoltre, erano state date nel corso di un dibattito sorto tra i membri del nuovo governo su come chiamare il nuovo governo provvisorio. Il Times presentò Militaru come uno dei personaggi più importanti del Consiglio di salvezza Nazionale, organo esecutivo del Fronte di Salvezza Nazionale. Ancora oggi è molto difficile stabilire con precisione quanti e quali membri facessero parte del Consiglio. Alcune fonti riportano una composizione a ventisette membri all'inizio, saliti poi a trentanove, fino addirittura al numero di centocinquanta. Il Times ammise comunque che, in realtà, le decisioni, venivano prese da un gruppo ristretto di persone , non più di undici, che si incontrava almeno una volta al giorno. Non si sa oggi a che ora questo gruppo si incontrasse né dove si incontrasse, ma ciò che è certo è che nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione, fu questo gruppo a condurre avanti la neonata democrazia rumena.
Un ruolo importante in questo Consiglio era tenuto da uomini dell'esercito rumeno, senza l'apporto del quale, mai la rivoluzione sarebbe andata a buon fine. Nel comitato ristretto , secondo il Times , si trovavano quattro non meglio specificati generali, uno dei quali era Militaru. Il 29 dicembre 1989, il Times, nella sua edizione londinese, aveva pubblicato un articolo in cui erano riportate queste parole: "L'esercito rumeno, agli occhi di molti cittadini inseriti nel nuovo ordine, è adesso il fattore chiave nel futuro del loro Paese. "
Comunque, il New York Times, possedeva un filmato della durata di quattro ore della riunione successiva al tentativo di Ceausescu di fuggire da Bucarest. In quell'occasione , qualcuno propose di chiamare il nuovo governo provvisorio "Governo del Fronte Democratico". A Militaru, la parola democratico sembrava addirittura eccessiva e propose, al suo posto, di utilizzare, la dizione "Consiglio di Salvezza Nazionale" "visto che stava già funzionando con questo nome già da sei mesi.". Era ovvio che il termine democratico non poteva minimamente appartenere all'ideologia ed alla terminologia militare, gerarchica, rigida. Ed era anche ovvio, ormai, che la rivoluzione popolare era stata cavalcata da uomini che tramavano nell'ombra contro Ceausescu già molto tempo prima del tragico epilogo del dicembre 1989.
Nel 1983, come scrive Mary Ellen Fischer, per la Romania circolavano con insistenza voci che si stesse preparando un colpo di stato per abbattere Ceausescu . I militari, allora, erano più che mai arrabbiati con il dittatore, che voleva coinvolgere le truppe in operazioni di edilizia civile. Il fine di Ceausescu, neppure tanto nascosto, era di trasformare l'esercito in una sorta di esercito per la difesa del socialismo e per l'edilizia, mentre i generali scalpitavano per avere da Ceausescu più armi moderne e tecnologia.
Ceausescu non riuscì a vincere le resistenze dei suoi generali e dovette ripiegare creando una nuova forza di polizia, le Guardie Patriottiche, una reale milizia di cittadini con incarichi di polizia e non militari. Per Ceausescu la nuova milizia doveva essere d'ausilio all'esercito e doveva essere preposto a tutti gli incarichi "civili" che l'esercito si era rifiutato di prendere sotto la sua diretta responsabilità.

Il rapporto con l'esercito si era però definitivamente incrinato. Nel 1984 fallì un primo colpo di Stato per abbattere Ceausescu, e da quel momento in poi, si sarebbe creato un continuo muro contro muro tra il dittatore e le più alte sfere militari.

Il ruolo degli stati Uniti
Il 19 dicembre 1989, la Casa Bianca denunciò i massacri perpetrati dal regime di Ceausescu in Romania, condannandone la violenza e riferendo come brutale la repressione attuata contro i manifestanti nelle vie di Bucarest, senza però presentare alcuna particolare immagine di quanto stava avvenendo in Romania.
La Casa Bianca denunciò anche che le misure repressive messe in atto dal governo rumeno erano del tutto ingiustificate ed andavano assolutamente controcorrente rispetto ai positivi cambiamenti politici che stavano avvenendo in Europa orientale. Gli Usa si auspicavano una politica coordinata di tutti i Paesi appartenenti alla Csce, la Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa, affinché fosse presa una posizione comune di condanna e chiese a Urss e Francia di coordinare i loro sforzi per convocare una conferenza internazionale per risolvere il problema al più presto.
Questo documento emanato dalla Casa Bianca, ebbe enorme rilievo sui mezzi di comunicazione ungheresi , jugoslavi e degli altri paesi europei, e fu considerato come una vera e propria bordata contro il regime rumeno, e come un segnale che i rivoluzionari rumeni avevano il supporto degli stati Uniti nel loro tentativo di abbattere il regime di Ceausescu.
Nel frattempo l'esercito, che da tempo stava preparando il processo rivoluzionario, si attivò per aizzare le masse popolari creando una rivolta che avrebbe dovuto sembrare partire dal basso, mentre, in realtà la rivoluzione era stata preparata fin nei minimi dettagli già da mesi.


Il ruolo dell'Unione Sovietica

La Romania decise di rompere ogni contatto diretto con i servizi segreti sovietici già nel 1964. Quando Ceausescu salì al potere nel 1965 egli accelerò un processo di desovietizzazione del Paese, proibendo i rapporti tra militari rumeni e sovietici, e imponendo addirittura gli ufficiali rumeni che avevano spostato donne sovietiche di divorziare e di rimandarle nell'Urss , oppure di dimettersi dal proprio incarico.
Successivamente Ceausescu esautorò tutti gli ufficiali filosovietici presenti nel Governo e nell'esercito. Il governo moscovita rispose a Ceausescu isolandolo trai vari paesi del blocco comunista, escluidendo i rappresentanti rumeni dai meetings del patto di Varsavia o dalle riunioni coordinate dei servizi segreti.
Il colpo di stato contro Ceausescu, non poteva non essere ben visto dal regime sovietico.
Anche prima che Gorbaciov prendesse il potere, Ceausescu sembrò guardarsi bene dai tentativi di colpo di stati messi in atto dai sovietici . Probabilmente anche il fallito colpo di stato del 1984 aveva visto muoversi dietro le quinte ufficiali sovietici. E comunque, pensava Ceausescu, anche se i russi non fossero stati direttamente impegnati nel colpo di stato, certamente chi avesse voluto metterlo in pratica si sarebbe sentito coperto, dalla maldisposizione russa verso di lui.
Una delle questioni più dibattute è il ruolo dell'Unione Sovietica sulla presa del potere e sulla composizione del fronte di salvezza. E' certo che vari membri del fronte abbiano incontrato esponenti dei servizi segreti sovietici per chiedere appoggi nel caso di un colpo di stato in Romania, ma è difficile stabilire se effettivamente il colpo di stato possa essere definito come una cospirazione filosovietica gestita da agenti dei servizi segreti sovietici in Romania. In ogni caso, Mosca ha sempre saputo le trame cospirative dei ribelli di Bucarest, e che i membri del governo e dell'esercito rumeno erano ansiosi di rovesciare il regime di Ceausescu. Ceausescu era stato molto ostile anche nei confronti di Gorbaciov. I primi esempi riguardano l'opposizione all'estensione temporale del rinnovo del patto di Varsavia, che Ceausescu avrebbe voluto più breve, nel 1985, e l'opposizione di Ceausescu alle politiche riformiste di Gorbaciov. Neppure il programma di devillagizzazione di Ceausescu, che inaspriva i rapporti con gli Ungheresi, nel 1989 era affatto gradito a Gorbaciov. Gorbaciov aveva anche in antipatia personale Ceausescu. Ceausescu era stato, nel 1985, dopo l'elezione di Gorbaciov alla segreteria del Pcus, l'ultimo a fargli le sue congratulazioni tra i leaders dei paesi del Patto. Gorbaciov, d'altro canto aveva lasciato la Romania per ultima nel suo primo giro attraverso le capitali dei vari Paesi del patto. Quando Gorbaciov, nel maggio 1987 visitò per la prima volta Bucarest, a tutti i delegati che ascoltarono Gorbaciov parlare davanti al Congresso del Partito Comunista Romeno si accorsero che la tensione tra il loro presidente e Gorbaciov si tagliava con il coltello. Gorbaciov , in modo molto velato, nel suo discorso attaccò la politica antiungherese di Ceausescu ed il suo nepotismo. Gli ufficiali romeni, allo scopo di farlo innervosire interruppero ben sedici volte Gorbaciov con applausi durante il suo discorso, irritando il leader sovietico in modo visibile. Gorbaciov ebbe subito dopo un incontro privato con Ceausescu e gli chiese di aprire la strada del Paese alle riforme istituzionali . La risposta di Ceausescu fu sprezzante : "Altrimenti che farete? Ci invaderete con i carri armati?". Ceausescu odiava la sola idea di dover prendere lezioni di qualsiasi genere da Mosca. Nell'occasione Ceausescu dichiarò la sua contrarietà ad ogni "meccanica e dogmatica imitazione dell'esperienza politica di un altro Paese". nei mesi successivi Ceausescu strinse i rapporti con i più alti esponenti del regime cinese e con il dittatore della Corea del nord, Kim Il-Sung, famoso per le vessazioni economiche e politiche a cui costringeva il suo popolo.
I rapporti tra rumeni e sovietici andarono sempre peggiorando, tanto che , in un proprio rapporto di inizio del 1989, la Securitate riteneva che l'Urss stesse prendendo contatti con i servizi segreti francesi ed italiani per sovvertire il regime di Ceausescu, asserendo di poter già contare sui servizi segreti ungheresi, che stavano già operando in tal senso in Transilvania. Nel frattempo la Securitate cominciò a seguire le mosse di uomini ritenuti non leali verso il regime, e seguirono anche alcuni incontri tenuti alla luce del sole da Petre Roman (il futuro primo ministro), Andrei Plesu (il futuro ministro della cultura), e Ion Iliescu.
Gorbaciov tentò comunque di riavvicinarsi alla Romania e dopo un incontro bilaterale, nel 1988, i due paesi trovarono accordi su trenta progetti di carattere economico. Gorbaciov e Ceausescu sembrarono ansiosi di mettere da parte le loro differenze ideologiche per partecipare alla cooperazione economica .gli incontri tra i due leaders continuarono nel gennaio 1989 e lì si decise anche di aumentare i contratti collettivi di lavoro, stabilimenti scientifici, più importanti facilitazioni per l'accesso alle università, ed anche un minimo di pluripartitismo a livello locale. Ma questi furono solo flebili segnali di riavvicinamento. In realtà la situazione diplomatica tra i due paesi non accennava a migliorare. Quando, nel febbraio 1989, la Romania cominciò costruire la cortina di ferro al confine con l'Ungheria, i sovietici pensarono di intervenire militarmente per bloccare Ceausescu. Ceausescu informò l'Ungheria nell'agosto 1988 che la Romania aveva la possibilità di costruire armi nucleari, anche se l'affermazione sembrò di dubbia veridicità, l'Ungheria e l'URSS dovettero per forza di cose mettersi in preallarme. Ma il culmine, Ceausescu lo raggiunge nel luglio 1989 facendo convocare di urgenza una riunione del patto di Varsavia con all'ordine degli giorno "sulle ostili azioni dell'Ungheria contro la Romania. Nell'incontro , Ceausescu chiese a voce alta delle sanzioni dei paesi del patto contro l'Ungheria, che ovviamente non furono accettate da nessuno. Era ovvio, che, vista la saturazione degli alleati, quando per la prima volta apparve in televisione davanti a tutti i rumeni il nuovo governo, espressione del Fronte per la salvezza nazionale il primo pensiero dei rumeni fu che la rivolta era stata appoggiata dai sovietici.
Il primo ministro della difesa del fronte di salvezza, il Generale Nicolae Militaru, era un uomo di cui si conoscevano i continui contatti con i servizi segreti sovietici fin dagli anni '70. Oggi si sa che addirittura Militaru aveva cercato direttamente l'appoggio dei sovietici nel 1987 per un suo colpo di stato, ma che non trovò accoglienza presso i sovietici. Militaru non desistette e nel 1988, durante una sua visita a Mosca cercò di riproporre la proposta, ma gli fu negato , perché i membri del governo sovietico non reputavano conveneiente che loro alti ufficiali dei servizi segreti incontrassero un alto ufficiale rumeno che voleva fare un colpo di stato. D'altra parte, però l'Urss gli garantì l'inviolabilità personale ed ogni tanto mandava un agente dei servizi segreti, sotto la copertura di reporter della Pravda, in teoria arrivato a Bucarest per intervistarlo, in pratica a controllare se avesse bisogno di aiuto. Gorbaciov era dunque tenuto costantemente al corrente dei tentativi in Romania per far fuori Ceausescu , ma si guardava bene dal farlo sapere al suo collega rumeno.
Anche Iliescu era molto vicino ai russi e al loro governo. Aveva compito i suoi studi in Russia ed era amico personale di Mikhail Gorbaciov. Per cinque anni aveva frequentato la scuola di formazione per i quadri del partito comunista europeo a Mosca, da cui solitamente venivano reclutati gli agenti del Kgb. Nonostante questo, Iliescu ha sempre smentito di essere stato un amico di Gorbaciov, quando quest'ultimo studiava all'Università di stato di Mosca. Nonostante ciò, è certo che Gorbaciov salvò la vita di Iliescu nell'estate del 1989. La Securitate aveva intercettato una conversazione tra Iliescu e Militaru in cui i due mettevano su carta un paino per far cadere il dittatore. Iliescu fu portato nel quartier generale della Securitate per essere interrogato riguardo il colloquio, ma non gli fu torto un capello. Quando Gorbaciov visitò Bucarest nel luglio 1989, per partecipare ad un incontro del Gatt che si teneva lì, Iliescu fui portato fuori dal Paese per tre giorni. Iliescu era stato anche portato fuori dal paese durante la visita di una settimana di Gorbaciov nel, maggio 1987.
Nei giorni immediatamente precedenti la rivolta di Timisoara, alcuni ufficiali dell'esercito russo furono visti a Timisoara. Sia il portavoce del ministro degli esteri sovietico, Gennady Gerasimov che il ministro Eduard Shevardnadze negarono che ci fosse un rapporto diretto tra i due fatti, ma questa può essere solo un'altra prova. Inoltre nei giorni precedenti la rivolta, fu trovato un insolito flusso di turisti provenienti dall'estero, specialmente dalla unione sovietica. Lo stesso Ceausescu s ene chiese il motivo, quando si accorse dai dati del ministero, che erano stati richiesti un alto numero di permessi per giornalisti stranieri, diplomatici stranieri, e turisti di ogni genere, che si dovevano recare Timisoara, Arad, Cluj e Sibiu.
Secondo i dati ufficiali dello stato romeno, il numero di presunti turisti russi nel paese aumentò molto nei giorni della rivoluzione del dicembre 1989. Infatti, da una media, dei mesi precedenti, di circa ottanta turisti al giorno, si passò, in quel periodo a circa mille persone. Tutto ciò lascia chiaramente presupporre che quanto avvenuto in quei giorni, le sommosse e la rivolta, furono almeno parzialmente orchestrate da agenti dei servizi segreti russi. Alcuni giornalisti hanno riportato che non meglio specificati servizi di intelligence jugoslavi, ungheresi e dei paesi occidentali, hanno avuto ruoli più o meno importanti nel tramare contro il regime di Ceausescu in quei giorni, ma tutto ciò non è stato provato: le ridde di voci di chi avesse fomentato la rivolta alla fine del dicembre 1989 cominciavano a divenire sempre più caotiche.
Il 22 dicembre, il giorno che Ceausescu lascio Bucarest in elicottero, il governo sovietico affermò tutto il suo appoggio al governo provvisorio. Lo stesso giorno, il congresso dei deputati del popolo sovietico ricevette una lettera firmata da Gorbaciov sul tema degli avvenimenti di quei giorni in Romania. Il Congresso votò, quel giorno una risoluzione a favore del supporto di un forte ruolo dell'Urss nel supportare la causa del popolo rumeno. Il giorno dopo, l'ambasciata sovietica a Bucarest poté rispondere affermativamente alla richiesta del governo provvisorio di un aiuto delle truppe russe se ce ne fosse stato bisogno o contro le truppe favorevoli a Ceausescu. Le iniziative sovietiche a riguardo, in quelle ore, ottenevano il supporto di Francia e Stati Uniti. In ogni caso, il Generale supremo dell'esercito rumeno Stefan Gusa resosi conto della situazione poté, con sollievo, informare Iliescu che l'esercito avrebbe potuto benissimo far fronte alla situazione militare. L'Unione sovietica a quel punto decise che non c'era bisogno di inviare delle truppe rosse a Bucarest, ma offrì al nuovo governo solo medicine, munizioni ed un'assistenza tecnica. Certo è che, attraverso canali non ufficiali, gli aiuti sovietici alla rivoluzione rumena furono anche di più: un rapporto dell'agenzia di stampa sovietica Tass riporta che l'esercito sovietico ed il Kgb si resero partecipo di decine di azioni di sabotaggio contro le truppe fedeli a Ceausescu.

 

Gli uomini-chiave della rivoluzione:
Nicolae Militaru

Il nome del Generale Nicolae Militaru era assolutamente sconosciuto a tutti gli osservatori internazionali prima della Rivoluzione e tale restò per la maggior parte della stessa. La prima volta che il suo nome comparve su un giornale estero fu in una articolo del New York Times del 28 dicembre, articolo a firma della giornalista Mary Ellen Fischer, autrice, successivamente del libro "Nicolae Ceausescu," riferendosi al Consiglio di Salvezza Nazionale, la Fischer dice che "se il governo di transizione non riuscirà a restaurare l'ordine in modo accettabile per far sì che in aprile 1990 si tengano le già promesse elezioni, allora un militare che oggi è il nuovo ministro della difesa, potrà essere considerato una valida alternativa all'anarchia."
La grande stranezza è rappresentata dal fatto che la Fischer elogia con aggettivi molto forti Militaru ed il suo ruolo. Ma come poteva Mary Ellen Fischer sapere che Nicolae Militaru era un ministro della difesa valido, se non era conosciuto praticamente da nessun giornalista occidentale? E come mai nel suo libro, pubblicato successivamente, nel tracciare i profili di alcuni alti dirigenti militari dell'epoca di Ceausescu e del periodo rivoluzionario, Militaru non è citato neppure in una pagina? La risposta è semplicissima: la Cia aveva aiutato la Fischer a reperire informazioni giornalisticamente nuove per scrivere il suo libro, ed in cambio , la Fischer aveva pubblicato sul New York Post alcuni commenti "pilotati" dai piani alti della stessa Cia, che aveva tutto l'interesse a puntare su uomini che riteneva a lei fedeli.

Ion Iliescu
Ion Iliescu, nacque a Oltenita, il 3 marzo del 1930. Iliescu si diplomò presso la facoltà di elettrotecnica all'Istituto Politecnico di Bucarest e studiò anche all'Istituto per l'Energia di Mosca.
Fu tra i cofondatori dell'associazione Comunista degli Studenti rumeni nel 1955 e tra il 1967 ed il 1971 occupò la carica di Ministro della Gioventù. Nel 1971 divenne segretario del Comitato centrale del Partito comunista romeno per sei mesi. Tra il 1971 ed il 1974 fu primo segretario del distretto di Timis, e, tra il 1974 ed il 1979 tenne la stessa carica a Iasi. Tra il 1979 ed il 1984 Ion Iliescu fu il manager del Consiglio Nazionale Idrologico, e dal 1984 al 1989 fu dirigente della Casa editrice Tecnica Immediatamente dopo la Rivolta di Timisoara del dicembre 1989 Ion Iliescu divenne il presidente del Consiglio del fronte nazionale di Salvezza (CFSN) e del Consiglio provvisorio dell'unità nazionale (CPUN).Alle prime lezioni libere della storia della Romania, il 20 maggio 1990, Iliescu fu rieletto Presidente della Romania, con l'85.07% dei voti validi, appoggiato dal Fronte di salvezza Nazionale, divenuto, nel frattempo, un partito politico. Nel 1992, nel corso delle elezioni del 27 settembre, Ion Iliescu fu rieletto Presidente con il 61.5% dei voti, dopo un turno di ballottaggio, grazie all'appoggio del Fronte Socialdemocratico rumeno (FDSN), un partito nato dalle divisioni avvenute in seno al Fronte di Salvezza Nazionale Il candidato battuto da Iliescu nel ballottaggio, Emil Costantinescu, espressione della Convenzione democratica Rumena, (CDR), fu eletto nel 1996 alla carica di Presidente, carica alla quale Iliescu è ritornato dopo aver vinto le elezioni del novembre 2000.

Petre Roman

Nato a Bucarest il 22 luglio 1946, si laureò alla Facoltà degli studi dell'Energia nel 1968, e nel 1971, e fino al 1974, risiedette in Francia per conseguire un dottorato. Successivamente, e fino al 1990 rimase presso la stessa Facoltà che lo aveva laureato in qualità di professore. Considerato dagli osservatori internazionali come il delfino di Iliescu, ebbe una parte rilevante nella gestione delle fasi post-rivoluzionarie in Romani nel dicembre 1989. Fu nominato Primo ministro., il primo dell'era post-comunista, da Iliescu e fu riconfermato dallo stesso Iliescu alla carica, in seguito alla vittoria del Fronte di salvezza Nazionale alle elezioni del 20 maggio 1990, nelle quali Roman fu pure eletto deputato. Tenne la carica fino al settembre 1991, quando nel Paese scoppiò una rivolta dei minatori che si schierarono dalla parte di Iliescu e contro Roman, che ben presto era entrato in frizione con il Presidente, costringendolo alle dimissioni. Il suo governo fu caratterizzato fa pragmatismo e da una attivismo molto marcato in politica estera. Roman insistette molto sulla possibilità di far entrare la Romania nella Cee e nella Nato Nel 1992, con la divisione del Fronte di Salvezza Nazionale, Iliescu creò un nuovo partito l'FDSN. Petre Roman fu invece eletto, in qualità di leader del nuovo FSN deputato a Bucarest.

Parte terza
La transizione nel Paese
Meno di sei mesi dopo la sanguinosa rivoluziona rumena, Ion Iliescu, un vecchio funzionario comunista, era riuscito a consolidare il suo potere. Nonostante alle elezioni del 20 maggio le opposizioni avessero denunciato irregolarità e brogli, confermate poi dagli osservatori internazionali presenti.
Subito dopo l'elezione di Iliescu, dimostranti diedero vita a forti proteste, seguito di quelle già portate avanti per tutta la campagna elettorale, per spingere l'FSN a non candidare ex esponenti di rilievo dell'ex partito Comunista alla guida della nuova Romania. La polizia represse simili dimostrazioni, che talvolta degenerarono in vera e propria guerriglia urbana. Iliescu fu costretto a intervenire in televisione per appellarsi al popolo, chiedendo che la popolazione aiutasse l'esercito a prevenire che a Bucarest dei "fascisti estremisti" cercassero di minare le fragili basi della nuova democrazia.
I giorni successivi, centinaia di minatori scesero nelle strade della città, armati di picozze, martelli e catene, attaccarono le università, picchiando professori e studenti, nonché le sedi delle opposizioni politiche di Iliescu. Iliescu, da parte sua, ringraziò ed elogiò pubblicamente i minatori, chiamandoli "patrioti". Per lui, i minatori avevano salvato il suo governo.
"Non sarebbe corretto -disse Iliescu- condannare la violenza dei minatori. La loro violenza è solo una reazione alla violenza perpetrata per prima, quella di alcune forze politiche che hanno osteggiato il loro movimento."
L'episodio portò alle dimissioni il primo ministro in carica, Petre Roman, in dissenso con la linea di Iliescu e traumatizzò per anni la Romania , che era costretta a rendersi conto delle forze che appoggiavano dall'oscurità Iliescu e che tipi di rapporti questi avrebbe tenuto, in futuro, con la popolazione di cui era diventato Presidente. Di certo non si sarebbe più arrivati agli eccessi di violenza perpetrati ai danni della popolazione dagli uomini fedeli al regime di Ceausescu, ma di certo, l'intimidazione, la minaccia, ed in casi estremi, la violenza, restavano comunque armi di cui il governo, in caso di bisogno sarebbe stato pronto a servirsi.
Le forza democratiche di opposizione, nel 1996, riuscirono a far eleggere un presidente frutto della loro espressione, Emil Costantinescu, il rettore dell'Università di Bucarest, appoggiato da molti intellettuali dissidenti che avevano ritenuto di essere stati manovrati come marionette da Iliescu nel periodo della Rivoluzione. La squadra di governo nominata da Costantinescu si trovò davanti ad un grosso problema , prima ancora di iniziare a lavorare: le strutture economiche ed amministrative che reggevano lo Stato rumeno, costruite da Iliescu ,per molti aspetti sui modelli lasciati in eredità dal regime di Ceausescu, erano state costruite su basi ideologiche e programmatiche diametralmente opposte a quelle dei partiti della Convenzione Democratica, e quindi contrari alla volontà popolare del 1996. Inoltre, anche le persone che erano a capo delle maggiori strutture economiche ed amministrative del Paese erano da annoverare tra i fedelissimi ad Iliescu, e quindi, potevano tranquillamente essere considerati avversari di Costantinescu e del suo governo. La maggior parte di questi dirigenti erano ex membri dei servizi segreti, della Securitate, del partito Comunista, delle strutture statali dell'epoca di Ceausescu, e molti di loro erano in carica fin dai tempi della loro nomina, avvenuta grazie a Ceausescu. Iliescu aveva dovuto, infatti, accettare moltissimi compromessi, ed il risultato era stato che il progresso e le riforme economiche necessarie per il paese erano state molto rallentate e molte verità che il popolo voleva conoscere su quanto era accaduto durante i venticinque anni del regime di Ceausescu erano state insabbiate per difendere quanti le avevano perpetrate.
I servizi segreti nella transizione
Alla fine del dicembre 1989, e la caduta del regime di Ceausescu, il brutale sistema di polizia politica venne del tutto cancellato e sostituito da nove differenti organizzazioni segrete gestite dallo stato, con il fine di sradicare la mentalità di oltre quarant'anni di comunismo dall'organizzazione degli apparati dei servizi segreti. Purtroppo , ad oggi non è ancora stato possibile cancellare del tutto il retaggio del precedente sistema, visto che la transizione che oggi la Romania sta attraversando si riflette anche nell'organizzazione degli apparati del suo sistema di sicurezza. In fondo, la Romania ha ancora oggi difficoltà ad accettare con normalità le elezioni per un parlamento democratico, l'idea di essere in uno stato di diritto, un potere giudiziario completamente indipendente dal potere politico
Nel 1995 si scatenò una campagna giornalistica per cercare di capire quali ex membri della Securitate erano oggi reintegrati negli organici dei nuovi servizi segreti, su quali fossero tali servizi segreti , su quali questioni stessero operando e come stessero operando. Il risultato furono tentativi di intimidazione a intellettuali, giornalisti indipendenti, che denunciarono comunque l'accaduto, cosa che procurò grosso scandalo nel Paese.
Due volte giudice
Dan Voinea era l'uomo inviato da Iliescu nella base militare di Tirgoviste per seguire il processo sommario che una corte improvvisata avrebbe dovuto svolgere contro Nicolae ed Elena Ceausescu. Voinea era un uomo fiero di quello che stava facendo, perché ci credeva, era convinto di arrecare un vantaggio al suo Paese. Poi, vedendo che gli uomini che erano stati fianco a fianco con Ceausescu per anni ritornare ad occupare posti di potere, aveva cambiato idea. Aveva capito che l'omicidio di Ceausescu era stato orchestrato da quanti avevano capito che per mantenere il proprio posto era necessario abbattere il dittatore e che tutto cambiasse affinché nulla, realmente cambiasse.
Negli anni del regime di Iliescu , Voinea creò un'alleanza che comprendeva esponenti democratici dissidenti dal regime del presidente, e, con gli anni, riuscì ad assumere la carica di Capo militare Processore, in pratica l'uomo a cui tocca fare giustizia rispetto a quanto avvenuto nei giorni della Rivoluzione del 1989.
Nell'estate del 1999, Voinea fece processare e condannare due ufficiali dell'esercito sotto il regime di Ceausescu, e successivamente collaboratori del regime di Ion Iliescu, Victor Stanculescu e Mihai Chitac. I due ufficiali furono condannati a quindici anni di galera per aver ordinato il massacro di Timisoara, quando l'esercito sparò sulla folla pallottole vere, facendo una carneficina. Quell'episodio fu a lungo citato da Iliescu come il principale motivo per cui Ceausescu doveva essere giustiziato solo dieci giorni dopo, ma il fatto che i due ufficiali siano poi entrati a far parte dello staff presidenziale lascia ancora molti dubbi su come realmente si svolsero gli avvenimenti in quei giorni. Voinea indaga, ancora oggi, sugli assassini di molte altre decine di persone, uccise in scontri a fuoco anche dopo l'esecuzione di Ceausescu in circostanze mai chiarite. La sua speranza è quella di far luce su questi fatti il prima possibile: "La trasparenza dovrebbe essere totale, e se vogliamo costruire un vero futuro per noi stessi e vivere in normalità, dobbiamo conoscere il nostro passato." Ammette Voinea.
Iliescu, un presidente contro l'opinione pubblica del suo Paese
I giornali non hanno mai avuto molta simpatia del governo di Ion Iliescu, accusato di non aver reciso del tutto i passati con il governo di Ceausescu e di essere tropo filorusso. Il punto più alto degli scontri tra il Presidente ed i giornalisti si ebbe il 9 maggio 1995 , quando Sorin Rosca-Stanescu, il direttore del quotidiano Ziua, pubblicò un articolo intitolato "Un omicida a capo della Romania". In questo pezzo, il giornale cercava di palesare l'evidenza che Iliescu era stato il primo responsabile per la maggior parte degli omicidi compiuti a Bucarest nella rivolta del dicembre 1989 e la sua repressione nel sangue dei primi giorni. I mezzi di informazione favorevoli alla linea governativa confutarono velocemente le accuse affermando che provenivano da "un informatore prezzolato dalla ex Securitate", alludendo al fatto che Stanescu aveva già confessato di aver cooperato con il vecchio servizio segreto rumeno. Nei giorni in cui scoppiò lo scandalo Iliescu non era a Bucarest, ma a Mosca, invitato a presenziare ai festeggiamenti per la fine della Seconda Guerra Mondiale. Lo Ziua ne approfittò per far seguire al primo un secondo articolo, in cui raccontava il modo in cui Iliescu era stato ricevuto all'Istituto dell'Energia di Mosca , dove era stato studente dal 1950 al 1954. Il corrispondente del giornale, Tana Ardeleanu, raccontò con estrema dovizia di particolari che Iliescu si era incontrato con Igor Bondarchuk e Aleksandr Kavischuk, ex colleghi di Iliescu, che introdussero l'attuale presidente rumeno, allora studente rumeno di tendenze comuniste, come informatore del Kgb nel suo Paese. Nei giorni successivi il dibattito si allargò ancora. Emerse una lettera, in forma di memorandum, che si supponeva scritto da trecento militari di alto rango, che si definivano, "un gruppo di generali in servizio o in pensione" che accusavano Iliescu di "star rovinando le forze armate del Paese ,obbedendo agli ordini della Nato, di voler licenziare settantacinquemila membri di personale militare, e smantellare seicento carri armati , novecento pezzi di artiglieria e trenta aeroplani militari. "Tu hai consegnato l'esercito del Paese, la nostra sovranità ed indipendenza a traditori, spie e speculatori. Per questo tuo alto tradimento, ci potrà essere solo la punizione."
Tutti questi scandali provocarono dibattiti e speculazioni sui media che aprirono una crisi di rapporti tra la popolazione ed i politici. Il dibattito si concentrò soprattutto sull'onnipresente interferenza dei nove servizi segreti rumeni negli affari del Paese che minavano la stabilità della Romania
La presidenza Costantinescu e il ritorno di Iliescu

Il fatto che in Romania tutto sembrava essere cambiato mentre in realtà poco era cambiato nei metodi di gestione del potere, può essere simbolizzato dai discorsi del Presidente della Repubblica Emil Costantinescu, che fin dai primi giorni della sua Presidenza, nel novembre 1996, attaccò la corruzione ancora dilagante nel paese ed accusò gli investitori stranieri di essere troppo duri ad attaccare l'immoralità dei rumeni, visto che proprio loro erano i primi a scendere a patti con faccendieri e politici corrotti della Romani. Arrivò perfino ad accusare gli stranieri che si erano spinti fino ad una "tacita collaborazione" con personaggi corrotti delle alte sfere socioeconomiche del paese, e si appellò a quanti avessero a cuore le sorti della democrazia rumena, affinché fossero eliminati del tutto i retaggi delle vecchie strutture del potere dittatoriale.
Costantinescu affermò che le strutture proprie del precedente regime totalitario erano state rimpiazzate da "ibridi democratici" piuttosto che da genuine strutture democratiche, e che le strutture istituzionali rumene erano talmente fragili da correre il rischio di crollare da un momento all'altro per lasciare di nuovo spazio ad un regime totalitario e dittatoriale. Costantinescu chiese agli investitori stranieri di aiutarlo a salvare la democrazia rumena e prevenire i rischi di un nuovo comunista nazionalista. L'unico modo per perseguire questo obiettivo, secondo Costantinescu, era la globalizzazione, con l'ingresso della Romania nell'Unione Europea e nella Nato per attrarre un maggior numero di investitori stranieri. Uno dei meriti di Costantinescu è stato anche quello di voler definitivamente risolvere le rivalità con gli ungheresi, creando una nuova pacificazione nazionale in Romania .
In realtà Costantinescu e la sua Convenzione Democratica non riuscirono minimamente a raggiungere gli obiettivi che si erano preposti. Troppo forte era il potere degli uomini del vecchio regime presenti durante il suo mandato nei maggiori posti di potere della Romania, e non riuscì a scalzarli. La situazione economica, invece di migliorare, peggiorò, ed il fatto che la maggior parte degli esponenti di primo piano della Convenzione Democratica fossero intellettuali e non politici condusse la Romania ad una generale situazione di immobilismo politico. E nel 2000, Costantinescu, consapevole del suo fallimento, decise di non ripresentarsi alla Presidenza della Repubblica. Lo fece invece Iliescu, che riuscì ad aggiudicarsi agevolmente l'elezione al suo terzo mandato, alla guida del Partito Socialdemocratico Romeno, che aveva le sue liste infarcite di esponenti dell'ex regime comunista, battendo al ballottaggio un ultranazionalista di destra, che negli anni del regime era stato il cantore ufficiale delle opere di Ceausescu, e vate del regime comunista.
La Convenzione Democratica subì diverse scissioni e sbagliò completamente le alleanze, stabilendo l'incredibile record di partire come lo schieramento del presidente della Repubblica e terminare le elezioni senza aver superato la soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale, cosa che ha portato la Convenzione a non essere rappresentata da neppure un deputato nella nuova composizione del Parlamento romeno.
Nuovi codici. Per un nuovo Paese
Il Senato romeno adottò l'undici aprile 1995, con un voto largamente favorevole, una legge di modifica del Codice Penale e del Codice di Procedura Criminale, includendo cambiamenti per quanto riguarda i reati di terrorismo ed attentato alla sicurezza nazionale. Tra le novità, quella che rendeva il terrorismo un crimine punibile con una pena da uno a cinque anni di carcere, o fino a sette se le persone vittime dell'attentato erano incapaci di difendersi da sole. Furono innalzate ad oltre vent'anni le pene per chi fosse stato trovato colpevole di diffondere falsi allarmi tra la popolazione a scopo eversivo, se tali azioni avessero causato perdite di vite umane. Tra i reati di nuova introduzione, c'era la detenzione di sostanza nucleari o utili alla costruzione di armi nucleari, di narcotici e droghe, ed il reato di crimine organizzato.
Tra le misure più controverse, ci fu la modifica dell'articolo del codice Penale concernente la previsione di un appena da uno a cinque anni di carcere per "diffamazione del Paese e della nazione Rumena", un emendamento considerato, dalle minoranze etniche, come misura repressiva e punitiva contro di loro. Questo articolo fu duramente attaccata dai senatori dell'Umdr, la "Federazione democratica ungherese di Romania", che portavano avanti con forza la tesi che la pena andava bene , ma andava applicata anche a chi compiva atti criminosi e discriminatori contro le minoranza etniche del Paese, ma la loro iniziativa fu respinta.
Anzi, l'azione dell'Umdr ebbe il risultato opposto, rendendo più sospettose le altre frange parlamentari, che nel novembre 1995 votarono una legge che rendeva illegale mostrare in pubblico bandiere o simboli degli altri Paesi, nonché suonare in pubblico gli inni nazionali dei Paesi stranieri, tranne che nei casi previsti dalle leggi.
Ma uno dei più discussi cambiamenti nel Codice Penale fu la revisione dell'Articolo 150, che riguardava la classificazione come secretati con la dizione "segreto di stato" tutti i documenti ufficiali. Questo articolo forma un tutt'uno con la non abrogata legge 23/1971 sui segreti di stato, fortemente voluta da Ceausescu, che aveva una paura molto grossa delle spie e dei servizi segreti stranieri, tanto da farne una vera e propria mania. La fin troppo vaga definizione di "segreto di stato", l'estensione dell'attività dei servizi segreti rumeni anche nel settore economico, e la loro sempre più presente influenza nel decidere gli alti gradi dell'amministrazione pubblica ed addirittura di quella privata, furono viste con diffidenza dalla gran parte della popolazione che sperava di essersi liberata dalla Securitate. Al contempo furono emanata nuove leggi riguardanti la censura dell'informazione e pene più aspre per quei giornalisti che fossero stati considerati non solo antidemocratici, ma anche dannosi per il processo di integrazione della Romania tra i paesi dell'area occidentale. Il nuovo Codice di Procedura Criminale, tuttora vigente in Romania, prevede, che registrazioni audiovisive e fotografie prese di nascosto e senza il consenso dell'interessato possano essere portate in tribunale come prove, ed autorizza l'intercettazione telefonica, laddove sia suffragata da "solide presunzioni" che le persone interessate nella telefonata stiano preparando o perpetrando un atto criminoso. Inoltre, qualcuno propose addirittura cambiamenti alla legge 51/1991 sulla sicurezza nazionale, proponendo di considerare quale "attentato alla sicurezza nazionale" una più ampia gamma di reati e non solo quello originariamente previsti dalla legge come "tutti i piani ed azioni volti ad intaccare la sovranità, l'unità, l'indipendenza, l'indivisibilità dello Stato rumeno, come il tradimento, lo spionaggio, il sabotaggio, il terrorismo, e la partecipazione ad azioni totalitarie ed estremiste di natura comunista, fascista, legionaria, razzista, antisemita, revisionista o separatista."
Le proposte di emendamento alla elegge 51/1991allargavano questi ambiti, anche ai tentativi di restaurare la monarchia, o a rivendicare autonomie territoriali basati su criteri etnici, motivo, quest'ultimo che veniva fatto rientrare nell'accusa di separatismo. Tale proposta fu , come capirono tutti i rumeni, chiaramente mirata ad attaccare la politica dell'UDMR, che richiedeva maggior autonomia per l'etnia ungherese , una minoranza stanziata nelle zone della Transilvania.
Ma un'assoluta novità per il sistema giuridico rumeno fu la previsione di protezione legale per gli informatori ed i collaboratori dei servizi segreti rumeni, che rappresentavano da sempre in Romania la miglior rete di persone del controllare e prevenire le emergenze e le forme organizzate di dissenso ed opposizione. Dopo la Rivoluzione del Dicembre 1989 i successori di Ceausescu decisero che sarebbe stato disdicevole ed odioso il solo pensare di rendere pubblici i nomi degli informatori del vecchio regime. Ma molti osservatori politici capirono subito che questa nuova legge avrebbe spaventato quanti, contattati dai nuovi servizi segreti, avessero visto proporsi un nuovo incarico di collaborazione, nient'affatto diverso da quello che avrebbero potuto avere sotto il regime dittatoriale di Ceausescu.

La fine del culto di Ceausescu
Che il culto di Ceausescu è stato, se non cancellato , almeno "estinto" dagli animi della grande maggioranza dei cittadini rumeni, ne è prova che moltissimi dei cimeli appartenuti a Ceausescu , a sua moglie ed alla sua famiglia sono stati ben presto battuti all'asta. Questa sorte è toccata ad una limousine della casa automobilistica statunitense Buick ,regalata a Ceuasescu nel corso della visita ufficiale di Nixon, o ad una scacchiera con due serie di scacchi, bianchi e neri, annesse, regalate al dittatore dal grandissimo campione russo di scacchi Anatoly Karpov. Cappelli, abiti, automobili ed oggetti di uso comune appartenuti alla famiglia presidenziale furono venduti, anch'essi all'asta. Uno dei pezzi più famosi tra quelli venduti fu un particolare ritratto raffigurante Elena Ceausescu in vestita di una toga universitaria blu scura, che la faceva sembrare veramente un'accademica di altissimo livello.
La vendita di questi oggetti può essere rappresentata come dissociazione dei rumeni dal precedente status culturale della nazione, che ormai veniva considerato come parte della storia, anche se dolorosa, del Paese. Ne è riprova il fatto che lo stesso Ministero della Cultura partecipò alle aste acquistando alcuni cimeli. Uno degli organizzatori di queste aste non potè non commentare che: "Ceausescu è stato tra i dieci maggiori dittatori della storia". Quindi qualsiasi cosa egli abbia toccato nella sua vita oggi si trasforma in oro. "L'occasione da non perdere diventava quella di acquistare un prezzo della storia della Romania, ed in brevissimo tempo, la maggior parte delle proprietà appartenute a Ceausescu furono vendute. D'altra parte, invece, molti oggetti appartenuti ad Elena, forse considerata un personaggio "secondario" della storia della seconda metà del secolo in Romania, erano rimasti invenduti, cosa che fece diminuire ancora di più l'importanza e la credibilità del suo personaggio come figura di "rilevanza storica". Il vero potere era identificato dai cittadini come quello che era nelle mani di Nicolae Ceausescu e la loro partecipazione alle aste per acquistare unicamente gli oggetti che a lui erano appartenuti ne era una riprova evidentissima.
Secondo alcuni osservatori, però, la popolarità delle aste in cui venivano venduti oggetti appartenuto a Ceausescu aveva il significato primario di una vera e propria perpetrazione del culto della personalità del dittatore assassinato. L'adorazione di Ceausescu aveva solo subito una trasformazione in una forma di ammaliamento verso un passato per certi aspetti ancora pieno di fascino. Nel frattempo, però , quelli che una volta erano temuti simboli del potere dittatoriale di un mostro erano ormai oggetti privi di ogni significato ideologico e politico e come tali erano visti anche dai loro acquirenti.
Conclusioni
In Romania, a dispetto di alcuni cambiamenti positivi nel sistema politico nel corso degli ultimi anni, come la lenta ma decisa avanzata di una stabile economia di mercato, della libertà di spostamento ed espatrio, della libertà di associarsi e di svolgere attività politica, la possibilità di avere una stampa libera ed indipendente, ancora oggi sono molti i critici del nuovo regime democratico, per troppi aspetti ancora legato con filo doppio ad uomini e strutture risalenti al vecchio regime dittatoriale di Ceausescu.
I nuovi governanti del paese sono tutti comunisti che hanno cambiato opinione e si sono convertiti ad un nuovo liberalismo, ed i potentati economici presenti nel Paese sono tuttora gestiti da uomini del vecchio apparato di governo, che continuano a far sentire la loro influenza sulle decisione politiche prese dal Parlamento e dal Governo.
Soprattutto, giornalisti ed intellettuali si chiedono quale futuro ci potrà essere per una nazione che si definisce "democratica", ma in cui l'unica grande polizia politica del vecchio regime, la Securitate, si trova oggi ad essere rinvigorita, seppur spezzettata in almeno nove differenti tipologie di servizi segreti, tutti ancora gestiti dalle stesse persone che gestivano il comparto ai tempi di Ceausescu, con le stesse direttive e gli stessi metodi di allora. Se a questo aggiungiamo che la democrazia rumena , con il suo sistema parlamentare viene considerato ancora "debole" dagli osservatori internazionali, vista la sua giovane età, i rischi di una nuova deriva autoritaria, seppur nascosta da una patina dei legalità, siano ancora vivi ed esistenti a oltre dieci anni dalla Rivoluzione del 1989.
La rivolta iniziata a Timisoara a dicembre di quell'anno ha rapidamente portato la Romania ad essere l'unico Paese dell'ex Patto di Varsavia a subire una rivoluzione violenta, con tanto di guerriglia urbana e di morti (più di mille in quei giorni), che portò Nicolae Ceausescu , ad essere l'unico capo di Stato ad essere assassinato dai rivoluzionari, fucilato da un plotone di esecuzione improvvisato al termine di un processo-farsa.

L'uccisione del dittatore doveva per forza comportare un passaggio di consegne traumatico verso un nuovo regime, che sovvertisse i principi di quello precedente, cercando quante meno mediazioni possibili con il passato. Oggi possiamo dire che questo è avvenuto solo in parte. Il nuovo governo si dimostrò incapace, come il precedente, di gestire la politica economico-finanziaria del Paese, cercando di risollevarlo dalla crisi, ed anche il ripristino della piena legalità era risultato difficile. Come noto, i codici esistevano anche al tempo di Ceausescu, ma erano pure indicazioni: nessun giudice le rispettava, istruendo processi od emettendo condanne in modo assolutamente arbitrario, seguendo le dirette indicazioni del dittatore o della Securitate. Cancellare con un colpi di spugna venticinque anni di dittatura feroce in cui le regole democratiche erano state a dir poco calpestate era e resta un'impresa difficilissima.

Oggi, i mezzi di comunicazione non devono più subire la censura dei comunisti, ma sono comunque servi degli interessi particolari dei grandi magnati che ne detengono le proprietà. La libertà di spostamento e di espatrio si è tramutata in una possibilità per poche persone, quelli che hanno soldi, vista la schiacciante inferiorità del lei al cambio con le monete occidentali, o carte di credito.
Ceausescu assoggettò il suo popolo ad ogni sacrificio necessario per mantenere il suo potere assoluto e feroce. Il risultato finale fu una nazione sul lastrico, economicamente ripiegata al suo interno e politicamente isolata, abbandonata sia dai paesi occidentali che da quelli del blocco comunista, per la dissennata politica estera del proprio leader. L'isolamento politico è ben presto terminato dopo la morte di Ceausescu, la crisi economica resta ancora oggi, ed i cittadini rumeni guardano, oggi, speranzosi, ai vantaggi ed ai benefici che potrebbero loro essere apportati da un possibile ingresso nel mercato Comune Europeo, con la loro integrazione ai Paesi più ricchi dell'Europa Occidentale, che dovrebbero sostenerli con sussidi.
In definitiva, la caduta di Ceausescu ha aperto nuovi spiragli per il rinnovamento completo ed assoluto dello Stato rumeno. Il coraggio di centinaia di persone , scese in strada a rischi della propria vita, sarà ricordato a lungo come estremo tentativo, riuscito di fronteggiare un infame tiranno, un "satrapo ignorante" così come definito dalla stampa italiana. Se si sia trattato di un Colpo di stato, messo in atto dall'alto, con le popolazioni manovrate da agenti segreti stranieri, o di una rivoluzione in piena regola, in cui il ruolo primario è stato giocato dalle ragioni emotive e dalla stanchezza e dalla rabbia dei fin troppo vessati abitanti della Romania, h a poca importanza. Il risultato delle lotte di quei giorni è stato la nascita di un paese antidittatoriale ed anticomunista, e l'inizio di un processo che sembra ancora lungo e irto di difficoltà, che lasci a ben sperare per il futuro della popolazione rumena.
Uno dei passi più importanti della storia rumena post-rivoluzionaria, è stato indubbiamente l'ingresso, per la prima volta, nel 1996, dell'Unione dei Democratici Ungheresi in Romania nella coalizione di governo. Negli ultimi anni grossi passi avanti sono stati fatti per l'avvicinamento delle due culture, l'ungherese e la rumena, e molte concessioni politiche sono state date alla minoranza ungherese. I Rumeni e gli Ungheresi sono ormai sulla strada di comprendere che le loro culture possono essere integrate, seppur nei diversi ambiti, all'interno di un unico stato. Entrambi i popoli appartengono alla Nuova Romania, che è sempre meno nazionalista, meno isolata ed è sempre più parte integrante dell'Europa.
Ma la Romania è , e resta, uno dei Paesi europei maggiormente minati da contraddizioni di fondo. Una Rivoluzione che, nata come colpo di stato del popolo, è stata "confiscata dal potere" non poteva certamente portare stabilità. Il nuovo regime non riesce a scrollarsi di dosso l'ingombrante peso di un passato fin troppo vicino, o forse non ne ha alcuna voglia. La crisi dei partiti democratici alle elezioni di fine 2000, che ha riaperto la strada ai più misteriosi, ma di certo più concreti, seguaci della prima ora di Ceausescu è sintomatica di come la Romania faccia fatica a spiccare il volo verso la creazione di un nuovo sistema democratico che faccia chiarezza sul suo passato e che permetta ai suoi cittadini di guardare con serenità al loro futuro.


Michele Ippolito


ALLA PAGINA PRECEDENTE 

TABELLA NAZIONI - HOME PAGE CRONOLOGIA