SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
FRA' DOLCINO

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Nel Piemonte del 1300 

La storia di

fr� DOLCINO 

di Simonetta (Simi)

Prologo

La sconfitta dell'eresia catara non signific� la fine della lotta contro le eresie: in molti si operarono per un ritorno alla purezza e alla vita semplice descritte nei vangeli.

I casi di Pietro Valdo, Gioacchino da Fiore, Savonarola, sono solo i pi� conosciuti della grande folla di personaggi che popolarono questo tratto di storia: il monaco Enrico, Pietro di Bruis, Arnaldo da Brescia, Ugo Speroni, Giovanni di Ronco e Gerardo Segarelli. Quest'ultimo fu il fondatore del movimento Apostolico che ebbe come protagonista, nei suoi ultimi anni, fra' Dolcino da Novara.

La storia comincia infatti prima di fra Dolcino, a Parma. Nel 1294 quattro persone salirono al rogo in quanto eretici dell'Ordine degli Apostoli.

Il loro capo, Gerardo Segarelli, venne invece condannato al carcere perpetuo. Egli aveva ricevuto un trattamento diverso, di favore si pu� dire, perch� era allora sulla cattedra vescovile Obizzo Sanvitali il quale aveva conosciuto bene il Segarelli e forse, per questo motivo, non se l'era sentita di mandarlo al rogo. Condanna che venne poi eseguita, nel 1300, dal frate domenicano Manfredo, quando il Sanvitali fu sostituito ed inviato alla cattedra di Ravenna.

La considerazione per l' esperienza religiosa di Gerardo era mutata col tempo: dalla piena ortodossia degli inizi era cambiata in eresia a causa delle scelte operate dai vertici ecclesiastici.

Egli invitava i suoi discepoli a farsi simili agli Apostoli e volle che i suoi percorressero il mondo come poveri mendicanti vivendo solo di elemosine.

Furono accusati di non riconoscere pi� l'autorit� dei sacerdoti, la celebrazione della messa, la confessione, e di vagabondare nell'ozio.

Gerardo chiese di essere ammesso nell'ordine dei Minori, ma i francescani non lo accettarono. Vestito con un mantello bianco sopra una tunica bianca e coi capelli lunghi, acquist� presso i semplici fama di santit�.

Si macchi� di eresia, eppure molti lo seguirono, non solo contadini, ma anche gente di citt�, iscritti alle arti, e Gerardo li faceva denudare affinch� nudi seguissero Cristo nudo, e li mandava per il mondo a predicare. Vivevano all'aperto, talora salivano sui pulpiti delle chiese interrompendo l'assemblea del popolo e cacciandone i predicatori.

Si dicevano eredi della dottrina di Gioacchino da Fiore, in realt� la usarono per giustificare le loro follie. Asserivano che anche le donne potessero predicare, come fecero molti altri eretici. E non conoscevano pi� alcuna differenza tra celibi e sposati, ne alcun voto fu pi� considerato perpetuo.

La svolta decisiva fu determinata dalla decisione del Concilio di Lione del 1274: le disposizioni emanate durante il Concilio miravano ad interrompere il proliferare di ordini religiosi, specialmente Mendicanti, sanzionando allo stesso tempo l'eminente funzione e posizione ecclesiastica di Predicatori e Minori. L'assemblea di Lione proibiva la costituzione di qualsiasi nuova religione e imponeva che gli ordini sorti dopo il 1215 bloccassero lo sviluppo e la fondazione di nuove sedi.

Il Segarelli e i suoi seguaci non accettarono di conformarsi a tale normativa. L'atto fu interpretato come segno di tendenza all'eresia e poco dopo venne avviato il processo di ereticazione.

Nel 1286 Onorio IV eman� la bolla Olim felicis recordationis che imponeva alle autorit� ecclesiastiche di ricercare i membri dell'Ordine degli Apostoli obbligandoli a deporre l'abito o ad entrare in un ordine riconosciuto, altrimenti sarebbero stati rinchiusi in carcere.

Dopo quattro anni Niccol� IV ribad� il provvedimento, stabilendo che la facolt� di giudizio spettasse agli inquisitori. Nel 1296 Bonifacio VIII ribadiva pi� o meno le stesse cose. Gli interventi pontifici, volti a rendere operante il Canone lionese, trasformarono le ragioni disciplinari in motivi dottrinali: coloro che avevano disobbedito alle norme ecclesiastiche furono proiettati nell'eterodossia.

I motivi di tanto accanimento contro coloro che intendevano seguire la vita apostolica possono essere chiariti dal Magnus tractatus che il francescano Salimbene de Adam dedic� a Gerardo Segarelli.

Questa fonte aiuta anche a conoscere gli inizi e gli sviluppi della storia degli Apostolici, anche se non rappresenta il resoconto della vicenda, ma un'interpretazione a posteriori, volutamente aderente alla decisione del Canone lionese: decisione alla quale gli Apostolici non si erano adeguati, entrando in concorrenza con i Mendicanti.

L'esperienza del Segarelli fu percepita come inconciliabile con l'universo religioso-culturale che il frate cronista aveva scelto. Era in gioco la questione di chi fossero i veri Mendicanti. Il frate definisce gli Apostolici come ribaldi, stolti, come potevano pretendere di annunciare il vangelo e di mettersi allo stesso livello di Minori e Predicatori?

Il Salimbene per� non riesce comunque ad occultare taluni aspetti positivi dell'esperienza religiosa degli Apostolici. Essi infatti, essendo incerti sulla fisionomia istituzionale da assumere, si erano rivolti al magister Alberto di Parma. C'era stato quindi un tempo in cui essi non erano ribaldi e stolti se un protonotario della sede pontificia si era occupato di loro.

Inoltre, che gli Apostolici conobbero un certo successo � provato dal fatto che i cittadini di Parma li beneficiavano pi� ampiamente rispetto a Minori e Predicatori.

Il successo impose problemi organizzativi: il Segarelli in coerenza con la convinzione evangelica che ognuno era responsabile delle sue azioni, rifiut� sempre di tradurre la sua posizione di prestigio in una funzione di comando istituzionale.

Subentrarono allora contrasti e tensioni nella nuova formazione religiosa. Si era intorno agli anni del secondo Concilio lionese.

Obizzo Sanvitali decise allora di espellere gli apostolici dalla sua diocesi, gli stessi che egli aveva a lungo favorito a motivo di frate Gerardo.

La leggenda

"E cosa c'entra con queste cose fra' Dolcino?" "C'entra, e questo ti dice come l'eresia sopravviva alla distruzione stessa degli eretici." (da: "Il nome della rosa"- U. Eco)


Dolcino era il figlio illegittimo di un sacerdote che viveva nella diocesi di Novara. Era un giovane d'ingegno acutissimo e fu educato alle lettere. Dopo averlo derubato, fugg� verso la citt� di Trento.
L� riprese la predicazione di Gerardo, in modo anche pi� ereticale, asserendo di essere l'unico vero apostolo di Dio e che ogni cosa doveva essere comune nell'amore.
Non sapppiamo come fosse venuto a conoscenza delle dottrine degli Apostolici. Forse passando da Parma ud� Gerardo predicare. Si sa comunque che si mantenne in contatto con gli eretici bolognesi dopo la morte del Segarelli.
A Trento sedusse una fanciulla bellissima e di nobile famiglia, Margherita. Il vescovo lo cacci� dalla diocesi, ma ormai Dolcino aveva raccolto pi� di mille seguaci, e inizi� una lunga marcia che lo ricondusse nei paesi dove era nato.
Lungo il cammino gli si univano altri illusi, sedotti dalle sue parole, e forse anche molti eretici Valdesi che abitavano le montagne da cui passava.

Giunto nel novarese Dolcino trov� un ambiente favorevole alla sua rivolta, perch� i vassalli che governavano il paese di Gattinara a nome del vescovo di Vercelli, erano stati cacciati dalla popolazione, che accolse quindi i banditi di Dolcino come buoni alleati. Cosa avevano fatto i vassalli del vescovo non � dato sapere, ma questo dimostra come l'eresia, in molti casi, si sposi alla rivolta contro i signori.
C'era una lotta tra famiglie nella citt� di Vercelli. Gli pseudo Apostoli ne approfittarono, e, viceversa, queste famiglie si avvalsero del disordine apportato dagli pseudo Apostoli.
I signori feudali arruolavano avventuneri per rapinare i cittadini, e i cittadini chiedevano la protezione del vescovo di Novara.

Non si sa con chi si fosse schierato Dolcino, molto probabilmente faceva parte per se stesso e si era inserito in tutte queste dispute per avere l' occasione di predicare la lotta contro la propriet� altrui in nome della povert�.
Dolcino si accamp� coi suoi, che ormai erano tremila, su un monte vicino a Novara, detto della Parete Calva, una rocca inespugnabile per la sua stessa struttura naturale: situata a 1600 metri di altezza, la montagna dominava la confluenza di Sesia e Sorba e la si poteva raggiungere agilmente solo da Campertongo.
Dolcino e i compagni vi giunsero nell'estate del 1305.
Di l� inviava lettere ai suoi fedeli, in cui esponeva le sue teorie eretiche. Scriveva che il loro ideale era la povert� e che lui e i suoi non erano legati da alcun vincolo di obbedienza esteriore, e che lui, Dolcino, era stato mandato da Dio per dissigillare le profezie e capire le scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento.

II contenuto delle "profezie" veniva spiegato nella lettera che Dolcino scrisse 1300, contemporanea alla morte sul rogo del fondatore degli Apostolici, Gerardo Segarelli.
In essa egli distingueva quattro et� della vita del popolo di Dio. La prima, era quella dell'antico testamento, dei patriarchi e dei profeti, prima della venuta di Cristo, in cui il matrimonio era buono perch� la gente si doveva moltiplicare.
La seconda, l'et� di Cristo e degli Apostoli, era stata l'epoca della santit� e della castit�. Poi era venuta la terza, in cui i pontefici avevano dovuto accettare le ricchezze terrene per poter governare il popolo, ma quando gli uomini avevano cominciato ad allontanarsi dall'amore di Dio era giunto San Benedetto, che aveva parlato contro ogni possesso temporale.

Quando poi anche i monaci di Benedetto erano tornati ad accumulare ricchezze, erano arrivati i frati di San Francesco e di San Domenico, ancora pi� severi di Benedetto nel predicare contro il dominio e la ricchezza terrena.
Giunti alla fine della terza et� occorreva convertirsi agli insegnamenti degli Apostoli. Dolcino asseriva che per porre fine a questa terza et� della corruzione, occorreva che tutti i chierici, i monaci e i frati morissero di morte crudelissima. Che tutti coloro che facevano parte degli ordini dei Predicatori e dei Minori e gli eremiti, avrebbero dovuto essere sterminati, compreso papa Bonifacio VIII.

Dolcino annunciava che il tempo della schiavit� sotto la Chiesa infedele a Dio e fedele ai poteri terreni, stava per finire; colui che avrebbe portato a termine la distruzione del vecchio mondo sarebbe stato Federico III d'Aragona.
Dopo ci�, sarebbe cominciato un tempo di pace universale, con l'elezione di un papa santo, vera guida per tutti gli uomini che volevano seguire lo Spirito di Dio. Nel frattempo, a causa della persecuzione della falsa Chiesa, era necessario che gli Apostolici vivessero in clandestinit�.
La lettera di Dolcino era destinata ad ottenere immediatamente una popolarit� straordinaria, ancor pi� incredibile se fu veramente il primo atto pubblico del predicatore.
Probabilmente, Dolcino aveva costruito gi� in passato la propria fama, proprio in quella clandestinit� cui ora invitava a vivere i suoi seguaci: egli percep� il momento di crisi del movimento fondato dal Segarelli e decise di uscire allo scoperto, proponendosi come nuovo capo dottrinale ed organizzativo della setta.

Nel 1303, scrisse una seconda lettera. Se il primo documento aveva un tono profetico (si trattava di ridare linfa ad un movimento che aveva da poco perso il proprio fondatore), in questa seconda lettera gli intenti erano chiaramente mutati.
Occorreva ribadire le profezie e soprattutto spiegare perch� non si erano ancora avverate; ma occorreva anche dare un'organizzazione al movimento.
Dolcino configur� l'Ordine degli Apostolici come una vera e propria gerarchia, fondata su un'obbedienza interiore e spirituale, diversamente da quella della Chiesa ufficiale, che era soprattutto un'obbedienza esteriore (e quindi falsa). Nomin�, inoltre, come suoi luogotenenti, Margherita, Longino da Bergamo, Federico da Novara, Alberto Carentino e Valderico da Brescia.

Non occorre aggiungere come questa premessa conducesse facilmente alla dichiarazione di assoluta libert� dai precetti esteriori che venivano dal papa e dalla sottomissione al Santo Uffizio dell'Inquisizione.
L'obbedienza interiore era, naturalmente, obbedienza a Dolcino stesso: questo culto personale spiega anche l'incredibile fedelt� degli Apostolici alla persona del loro profeta; una fedelt�, che si spinse sino alla morte.
Nella lettera Dolcino vaneggiava su una sequenza di papi venturi, due buoni, il primo e l'ultimo, due cattivi, il secondo e il terzo. Il primo era Celestino, il secondo Bonifacio VIII. Il terzo papa non era nominato. Il quarto papa era ancora sconosciuto, e avrebbe dovuto essere il papa santo, il papa angelico di cui parlava l'abate Gioacchino.
Avrebbe dovuto essere eletto da Dio e allora Dolcino e tutti i suoi (che a quel punto erano gi� quattromila) avrebbero ricevuto insieme la grazia dello Spirito Santo e la chiesa ne sarebbe stata rinnovata sino alla fine del mondo. Ma nei tre anni che precedevano la sua venuta avrebbe dovuto essere consumato tutto il male. E Dolcino cerc� di attuare questo disegno portando la guerra ovunque.

Dolcino dovette scrutare le proprie truppe in quei giorni: uomini e donne giunti da tanto lontano, armati solo della forza della propria fede e della speranza nella sua parola. Guardandoli comprese che la verit� {quella che lui pensava verit�) non poteva pi� bastare a sopravvivere: il povero credente doveva ormai prendere le armi, difendere gli ultimi luoghi della propria esistenza, doveva sopravvivere per non essere dimenticato. Monte Parete Calva divenne il "forte della speranza".
L'Inquisizione era stata giocata. Gli Apostolici erano irraggiungibili. Ma non avevano fatto i conti con altri due potenti nemici: l'inverno alpino e l'indifferenza della gente. Gli abitanti della Valsesia, infatti, per paura o per scelta, non ci � dato sapere, si mantennero neutrali e la loro mancata assistenza agli arroccati, produsse, con la venuta dell'inverno, la tragedia del freddo e della fame.

Dolcino arm� i suoi. Si diresse verso le valli. Saccheggi� le citt�. Rub� cibo e denaro. Rap� ostaggi. Uccise a tradimento. La guerra era cominciata. Gli avversari non poterono fare altro che tendere, a loro volta, agguati agli eretici che scendevano dal monte ed a quelli che, dalla valle, tentavano di raggiungerli. 
Fu una vera e propria guerriglia, quella che prese corpo in quei giorni e che port� il nome sacro di crociata.
I crociati colpirono, da parte loro, tutti quelli che, a valle, erano sospettati di nutrire ed aiutare gli eretici. Il freddo cresceva a dismisura: l'acqua dei torrenti si ghiacciava; i pi�' deboli si ammalavano e morivano; nonostante le razzie il cibo mancava: troppi erano saliti a Monte Parete Calva e molti di costoro erano donne e bambini inabili alla guerra.
I ponti che collegavano alla valle si spezzavano per il ghiaccio; i compagni di Dolcino giunsero a scavare sotto la neve per raggiungere le radici di cui nutrirsi; la carne era terminata da un tempo che sembrava eterno; non c'erano pi� cavalli, ne il loro fieno, divorati dall'inedia prima che dalle bocche degli uomini. Non c'erano pi� neppure i topi, su Parete Calva.
Infine, Dolcino decise di partire.

Ma dove andare? Scendere seguendo il corso del Sesia significava cadere facilmente tra le braccia aperte delle truppe inquisitoriali di Novara; dirigersi verso i ghiacciai di Alagna sarebbe stato, probabilmente, un rischio troppo grande... con quale esito, poi? come li avrebbero accolti in Savoia?
La speranza era il territorio di Vercelli, dove la presenza catara era ancora abbastanza forte e dove pochi anni prima il rogo di una donna considerata eretica aveva prodotto tumulti popolari. Ma anche Vercelli ultimamente era mutata. Mutato il vescovo e cacciata la fazione ghibellina: nuova politica civile ed ecclesiastica. Anche questa via era, quindi, rischiosa, ma qualcosa occorreva fare. Forse rischiare di passare per Vercelli, ma dirigendosi a Biella.

La decisione, infine, era presa. La primavera del 1306 vide muoversi le fila dei sopravvissuti, che avevano abbandonato alla morte i pi� deboli: di notte, nel silenzio che accompagna ogni esilio, gli eretici partirono alla volta delle prealpi biellesi. Era il 9 di marzo.
Percorsero vie che il cronista defin� "inexcogitabiles", vennero superati "grandi monti", attraversati "luoghi impervi e ghiacciai altissimi".
Alle spalle essi potevano quasi percepire la maledizione della gente, di quella stessa gente che, pochi mesi prima, ne ammirava il coraggio, la predicazione e la povert�. La carit� di un tempo si era trasformata in odio.
Dolcino, come un cane rabbioso, piomb� nella regione del monte Rubello. Il 10 marzo vi si insedi�. Vi costru� un forte. Dal monte ruggiva nella valle la sua presenza, scagliandosi subito su Trivero, colpendo la regione con saccheggi e devastazioni, ma, soprattutto, lanciando la sua sfida definitiva: era sfuggito ancora una volta, nonostante tutto, agli eserciti crociati. Ora la fuga di fronte al persecutore si era trasformata in sfida a viso aperto.
I documenti di parte cattolica descrissero compiutamente questa sfida, affermando:

"Dolcino, assediato da tutti i Lombardi per comandamento della Chiesa".

Le costruzioni del monte Rubello, d'altronde, erano segnate dalla definitivit� di chi aveva deciso che l'ultima fuga era gi� data. Le abitazioni presero, man mano, l'aspetto di case che non si voleva pi� abbandonare. Venne scavato un pozzo, una galleria sotterranea. Le vette limitrofe ebbero i loro piccoli fortilizi di difesa.
A quel punto entr� �n gioco il protagonista finale: Raniero Avogadro, vescovo di Vercelli dal 9 agosto del 1303, campione della fede contro l'eresia, il "noarese" dantesco.

Raniero incarnava il vero esempio del vescovo antieretico: dopo aver trascorso pressoch� l'intera esistenza tra le mura della chiesa di Sant'Eusebio, ritorn� ad essere un condottiero di milizie da vecchio, per difendere gli interessi della fede ed i possedimenti terrieri.
Egli decise l'assedio e guid� personalmente le forze comunali ed inquisitoriali. Il monte Rubello venne circondato da posti di blocco che sbarravano ogni via di fuga. Inoltre, Raniero fece appello a Roma, al papa, che a sua volta invitava gli inquisitori di Lombardia, l'arcivescovo di Milano ed il duca di Savoia a sterminare gli eretici, a concludere, infine, quella vicenda.
Il primo scontro avvenne a Mosso, dove la milizia inviata dall'Avogadro fu sorpresa e catturata dai dolciniani, che, come "cani maledetti" ed alla "maniera dei demoni", scesero dalla montagna e fecero irruzione nel mezzo della truppa.
Nuovamente giunse l'inverno e con esso si ripresentava lo spettro della fame, se possibile in modo ancor pi� violento che durante il soggiorno in Valsesia. La fame che colp� Dolcino e seguaci divent� il segno distintivo della loro esperienza eretica, cantato da Dante, ricordato da tutti i documenti dell'epoca.
L'apocalisse sognata dal predicatore Apostolico assunse un volto ben diverso da quello profetizzato, mentre il monte Sion agognato somigliava ormai pi� alla valle di Giosafat.
Non c'era pi� carne da mangiare, neppure quella degli animali. Gli assediati cominciarono a nutrirsi succhiando l'ultima linfa delle pelli e delle ossa. Radici, erbe e foglie furono consumate, finch� si giunse all'estrema conseguenza: nutrirsi della carne dei compagni morti.

Era la beffa del destino. Coloro che credevano nella povert�, che avevano avuto l'animo di lottare contro la Chiesa corrotta, dovettero cedere di fronte alla pi� elementare istanza primaria: la fame.
Alla fine i ribelli furono costretti alla resa, Dolcino e i suoi furono catturati. Nel marzo del 1307, il sabato santo, Dolcino, Margherita e Longino, infine presi, furono condotti nella citt� di Biella e consegnati al vescovo, che attendeva la decisione del papa.
Il papa, nell' apprendere la notizia la trasmise immediatamente al re di Francia Filippo, scrivendo:
"Ci sono giunte notizie graditissime, feconde di gioia ed esultanza, perch� quel demone pestifero, figlio di Belial e orrendissimo eresiarca Dolcino, dopo lunghi pericoli, fatiche, stragi e frequenti interventi, finalmente coi suoi seguaci � prigioniero nelle nostre carceri, per opera del nostro venerabile fratello Raniero, vescovo di Vercelli, catturato nel giorno della santa cena del Signore, e la numerosa gente che era con lui, infettata dal contagio, fu uccisa quel giorno stesso."

Il papa fu spietato nei confronti dei prigionieri e comand� al vescovo di metterli a morte. Nel luglio dello stesso anno, il primo giorno del mese, gli eretici furono consegnati al braccio secolare.
Mentre le campane della citt� suonavano a stormo, furono messi su un carro, circondati dai carnefici, seguiti dalla milizia, che percorse tutta la citt�, mentre a ogni cantone con tenaglie infuocate si laceravano le carni dei rei.
Margherita fu bruciata per prima, davanti a Dolcino, il quale non mosse muscolo del volto, cos� come non aveva emesso un lamento quando le tenaglie gli mordevano le membra. Poi il carro continu� la sua strada, mentre i carnefici infilavano i loro ferri in vasi pieni di braci ardenti.
Dolcino sub� altri tormenti e rest� sempre muto, salvo quando gli amputarono il naso, perch� si strinse un poco nelle spalle. Quando gli strapparono il membro virile lanci� solo un lungo sospiro, come un mugolio.
Le ultime cose che disse suonarono a impenitenza e avvert� che sarebbe resuscitato il terzo giorno. Poi fu bruciato e le sue ceneri furono disperse al vento.

La storia

Il caso di fra' Dolcino aiuta a comprendere meglio uno dei percorsi atipici dell'indagine inquisitoriale la quale non si trov� di fronte ad un povero perseguitato, ma ad un vero e proprio condottiero, capace di trasformare il proprio credo eretico in milizia.
E di vera guerra dovette trattarsi poich� il tribunale inquisitoriale non era pi� lo stesso che aveva affrontato, ai suoi albori, il problema cataro: l'Inquisizione, al tempo dell'eresia dolciniana, era ormai strutturata per intervenire su tutto il territorio della fede.
Di questo frate si sa pochissimo, almeno sino al 1300, data della sua prima lettera scritta in veste di guida del movimento apostolico. Nonostante la scarna biografia, Dolcino resta forse il pi� famoso eretico dell'intero Medioevo, incarnarnando sia un'immagine di guida religiosa, che quella di comandante di milizie capaci di guerriglie e razzie, che quella di ribelle e precursore delle rivolte contadine.
Al di l� del mito, che Dante stesso concorre a produrre,

"Or di' a fra Dolcin dunque che s'armi,
Tu che forse vedrai lo sole in breve,
s'egli non vuol qui tosto seguitarmi.
S� di vivanda, che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch'altrimenti acquistar non saria lieve"
(Inferno, Canto XXVIII)

Dolcino sembra voler incarnare, all'inizio della sua direzione degli Apostolici, una figura profetica, sulla scia di quella precedentemente assunta da Gioacchino da Fiore.
Dolcino, in effetti, incarna l'esempio di ogni vero credente: egli �, per primo, l'"homo bonus" che ciascuno deve essere, ma soprattutto, egli � "caput et magister", "maestro e condottiero".
Questa duplice figura dell'uomo �, probabilmente, la ragione della vera e propria devozione che attorno alla sua figura si viene costruendo.

In un primo tempo, come i primi anni del 1300, in cui la necessit� di un rinnovamento spirituale si incontra con il bisogno di una figura forte anche dal punto di vista politico, Dolcino � forse l'unico a comprendere con pienezza il bisogno dei propri contemporanei: se la Chiesa ufficiale non � pi� "maestra" della fede, essa non � pi� neppure capace di "determinare la storia".
E della storia, Dolcino � un attento lettore. Sempre nella lettera del 1303, eccolo affermare che l'ultimo papa buono fu Celestino V, mentre Bonifacio VIII aveva perduto ogni riferimento a Pietro.
Dopo la seconda lettera di Dolcino, l'Inquisizione si rimette in moto: poich� gli Apostolici ed il loro capo, vivono in clandestinit�, bisogna cominciare a colpire coloro che li ospitano, i villaggi che li proteggono, le famiglie che li nascondono.
Le diocesi muovono il loro esercito di segugi: a Padova e Piacenza gli inquisitori francescani vengono rimossi dall'incarico, perch� poco efficienti e sostituiti dai domenicani. A Vicenza, Aiulfo colpisce con estrema forza le presenze eretiche, imprigionando molti ed obbligando altri all'esilio: siamo nel 1304 ed i dolciniani del Trentino cominciano il loro esodo, verso la Lombardia ed il Piemonte.
Come nel caso dei Catari, anche per gli Apostolici accade che la persecuzione tenda a renderli pi� ammirati e venerati, mentre la violenza dell'Inquisizione non gioca certo a favore dei domenicani.
L'eretico, nonostante la persecuzione, continuava a fare adepti, poich� da "caput et magister", e "uomo buono", si stava ormai trasformando in "martire". La tradizione del mito dolciniano avrebbe prodotto anche un passaggio ulteriore: da martire a santo e taumaturgo.

Ma di questa rivalutazione, di "uomo che compie miracoli", Dolcino non avrebbe potuto godere. Il destino di uomo di guerra che lo accompagner� negli ultimi anni di vita, gli impedir� questa sorta di santificazione popolare.
In realt�, il mito del Dolcino apostolico creato dalla tradizione ha un carattere particolare rispetto alla classica mitologia del "buon eretico". Potremmo affermare che Dolcino � soprattutto il primo eretico moderno, dove la nozione stessa di eresia viene a significare la capacit� di lottare contro un ordine prestabilito, anche con le stesse armi di quell'ordine, ma in nome del diritto alla propria libert�.
Se vale la tesi che il tribunale inquisitoriale �, innanzitutto, un tentativo (della Chiesa e del potere civile, con essa) di appropriarsi e delegittimare l'interiorit� dell'uomo, Dolcino � il primo a riaffermare che tutto appartiene alla coscienza e che la povert� stessa � l'affermazione della libert� di uno stile di vita.

Questo ribadire la libert�, contro tutto e contro tutti, si esplicita chiaramente nello stile di vita che l'Apostolico perseguitato � obbligato ad addossarsi dopo la ripresa della persecuzione: sempre in viaggio, non pu� lavorare per sostentarsi; deve, quindi affidarsi alla bont� di chi, nei villaggi, lo voglia ospitare.
Giunge nei luoghi abitati quasi sempre verso sera, affinch� non lo vedano in molti. Non potendosi fermare a lungo, trascorre la notte a predicare nelle case dei suoi benefattori presso i quali si radunano i credenti che desiderano ascoltarlo; poich� spesso i benefattori non sono ricchi, va a dormire nelle stalle o nei boschi; spesso, con i compagni, giunge in un villaggio da cui viene subito scacciato, pi� per la paura della persecuzione, che per mancanza di piet�.
La mattina dopo normalmente ripartono, mentre il rischio della diffamazione colpisce i loro ospiti che, non molto tempo dopo, sono convocati dall'Inquisizione per essere interrogati.
Alcuni riescono a sfuggire al tribunale inquisitoriale, per altri la speranza di cavarsela a buon mercato � remota. Ecco, allora, che nasce un altro mito, quello della "sequela del percorso di Dolcino". Chi riesce a fuggire alle maglie dell'Inquisizione si mette sulle tracce del "maestro", dirigendosi in Piemonte, dove forse si potr� essere al sicuro.

L'Inquisizione, d'altronde, non sta a guardare: presto diviene chiaro l'intendimento di Dolcino e dei suoi seguaci e le strade vengono battute dalla polizia inquisitoriale e vescovile.
Dolcino, intanto, � giunto a Novara fin dal 1304. La sua ritirata verso il Piemonte � determinata dallo stringersi delle maglie dell'Inquisizione, ma assume un significato ulteriore: la strada che percorre � una specie di pellegrinaggio eretico a rovescio. E' la "via Lombardiae" che permise ai Catari prima, ed ai Valdesi poi, di sfuggire alle persecuzioni della Linguadoca.

Ma, al di l� dei significati simbolici, � estremamente chiaro che Dolcino sta fuggendo.
Sostenere che gi� da quel momento egli avesse previsto una specie di via dell'insurrezione, ossia di un percorso pensato per incontrare masse contadine ed incitarle alla rivolta armata, � probabilmente un errore: in quell'anno Dolcino � ancora semplicemente un "caput et magister" perseguitato, che cerca la salvezza per se e per i propri compagni.

La politica �, per Dolcino, il luogo possibile della realizzazione di un utopia, ma della materia politica concreta egli ha avuto soltanto esperienze fallimentari. A Parma non pu� rimanere perch� non c'� pi� un Obizzo Sanvitali a proteggere come al tempo del Segarelli; a Milano l'Inquisizione � potente; a Novara, probabile luogo di nascita di Dolcino, non c'� una pace serena che permetta di sostare. Soprattutto, a Vercelli, dal 1303, si � insediato il vescovo, terrore degli eretici, Raniero Avogadro.
Dolcino � in fuga, dunque; Dolcino non si pu� fermare. Egli ha previsto la nascita di una nuova Gerusalemme e di un nuovo monte Sion ove i credenti potranno abitare in pace: nessun luogo civile corrisponde a questa descrizione. Probabilmente � la ricerca di questo luogo che lo spinge a risalire l'Italia.

Dal dicembre 1306 alla fine del marzo seguente si consuma la tragedia degli Apostolici che giungono a primavera senza pi� forza ne speranza.
A quel punto, il 23 marzo, Raniero decide l'attacco: una sola giornata di battaglia per chiudere un caso che � gi� durato troppo.
Una giornata in cui le truppe organizzate del vescovo, del duca e dell'Inquisizione, si scontrano con le milizie denutrite, ma spinte dalla disperazione, di Dolcino. Molti cadono per le spade avversarie, molti altri non hanno neppure la gloria di morire in combattimento, trascinati dalla piena del torrente che sfiora il monte e percorre la piana di Stavello. 140 infine i catturati, tra cui Dolcino e la fedele compagna Margherita. Essi dovevano essere presi vivi: l'Inquisizione non poteva lasciarsi sfuggire un'occasione unica per mostrare a tutto il popolo la conclusione della vicenda.

I prigionieri sono condotti a Biella, nelle carceri vescovili.
Dolcino � posto sotto stretti vincoli, come d'uso per gli uomini pericolosi e di cattiva fama. La gestione del processo � quasi disputata tra l'Inquisizione e la giustizia vescovile.
Processare Dolcino fa gola a tutti. Ma si tratta comunque di un processo estremamente veloce, altrettanto veloce quanto la scomparsa della sentenza che lo riguarda. Ci� che � certo � l'avvenuto interrogatorio inquisitoriale. Sul resto rimane il mistero.
Dolcino ha ceduto? ha resistito fino alla morte? Ha rinnegato tutto di fronte ai compagni? il guerriero si � rivelato un vile?
Nelle testimonianze riguardanti la fine di Dolcino si scontrano la persistenza dell'uomo e la sua trasformazione in mito. La sentenza, che non possediamo, � comunque e naturalmente di condanna.

Il 1� giugno 1307, dopo l'arrivo del nullaosta papale, Dolcino � giustiziato a Vercelli.
Ma prima dell'atto definitivo, viene inscenata un'orrenda "via crucis": l'eretico, incatenato mani e piedi, viene fatto salire su un carro. La meta � il rogo, ma le tappe sono ben pi� terribili.
Passando in mezzo ad una folla di uomini e donne che non gli hanno certo perdonato le scorrerie e la violenza, il carro si ferma varie volte: ad ogni sosta la folla pu� godere di uno spettacolo che normalmente si svolge nelle segrete delle prigioni, la tortura del condannato.

A Dolcino vengono straziate le carni con tenaglie roventi. Il mito afferma che, in tutto ci�, egli rimase sereno, mentre invitava la sua Margherita a mantenersi integra nei patimenti.
Certo � che lo spettacolo della devastazione del corpo di un eretico (che aveva devastato il corpo della Chiesa) dovette ridurre a piet� anche la folla esacerbata nei suoi confronti.
Ma occorre in questo caso porre l'accento su un aspetto ulteriore: la violenza dei supplizi pubblici fece di Dolcino un martire, lo riconsegn� alla storia come esempio non dell'eretico giustamente punito, ma del precursore ingiustamente devastato.
Colpendo il suo corpo si colpiva un'idea, si riduceva al silenzio una prospettiva, in qualche modo si martirizzava una speranza. Se la condanna del razziatore e del ribelle significava la riaffermazione della pace nelle regioni del Rubello, la tortura pubblica dell'eretico manifestava l'accanimento contro chi aveva cercato, giustamente o ingiustamente non contava pi�, di rinnovare l'anima del suo tempo.

Brevi cenni biografici dei personaggi citati.

Pietro Valdo: ricco commerciante originario del delfinato, residente a Lione, scopr� la vanit� dei beni terreni e, offerte le proprie ricchezze ai poveri, riun� attorno a s� i cattolici decisi a lottare, predicando, contro il lusso del clero. I Valdesi rifiutavano ogni autorit� religiosa. Anche se Valdo ottenne il parziale appoggio di papa Innocenzo III, in occasione del Concilio Laterano III (1179), i Valdesi furono scomunicati nel 1182 e condannati come eretici nel 1184. Due anni pi� tardi, con il nome di Poveri di Lione, vennero inclusi in una generale condanna delle eresie promulgata da papa Lucio III. Ridotto in clandestinit�, il movimento fu spinto a radicalizzare le proprie posizioni. Valdo appare come una sorta di Francesco d'Assisi mancato. Un santo mancato per la sua ostinata disobbedienza alle gerarchie ecclesiastiche. Egli viene configurato, pi� che come eretico, come scismatico, cio� capace di provocare fratture all'interno della Chiesa.

Gioacchino da Fiore: asseriva che all'unit� e trinit� di Dio corrispondevano l'unit� e trinit� della storia. I tre stati o condizioni storiche di vita cristiana, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il gioachinismo fu inteso come annuncio di un'et� di pace compresa tra la persecuzione e l'annientamento dell'Anticristo e la fine del mondo. Le sue idee esercitarono grande fascino sui Predicatori e sui Minori, che le assunsero per dare giustificazione storico-teologica al loro modo di essere. Ne conseguirono scontri con i maestri dell'universit� di parigi e la condanna delle proposizioni del monaco calabrese.

Pietro di Bruis: questi i principi della dottrina elaborata da Pietro di Bruis:
1) rifiuto del valore salvifico del battesimo ai bambini;
2) superfluit� degli edifici sacri;
3) aborrimento delle croci;
4) inefficacia della celebrazione eucaristica.
L'eresia di Pietro di Bruis stimol� le scelte religiose di un altro eretico: il monaco Enrico.

Il monaco Enrico: figura dal profilo biografico incerto. La sua predicazione attir� l'attenzione di Pietro il Venerabile,(Abate di Cluny 1092ca.-1122. Intervenne nelle principali controversie religiose del suo tempo con spirito critico ed innovatore. Sostenne papa Innocenzo II nello scisma del 1130), che lo riteneva discepolo di Pietro di Bruis. La vicenda di Enrico cominci� verso il 1116 a Le Mans. Si presume che il messaggio di Enrico abbia risvegliato nel popolo tensioni mai sopite e che fosse stata la sua predicazione a scatenare le sollevazioni popolari. Il vescovo cacci� Enrico dalla diocesi. Fu arrestato due volte: la prima nel 1134, la seconda nel 1145. Dopo questo secondo arresto di lui si perse ogni traccia.
Principi del pensiero di Enrico:
1) piena responsabilizzazione di ogni cristiano nel suo rapporto con Dio;
2) il peccato � colpa individuale e non si tramanda;
3) povert� del sacerdozio.

Arnaldo da Brescia: Brescia fine XI secolo - Roma 1155. Trasferitosi in Francia, viene notato da Bernardo di Clairvaux (Fondatore e primo abate di Chiaravalle, dottore della Chiesa. Considerato il padre della mistica occidentale, condann� il razionalismo della scuola di Abelardo) accanto a Pietro Abelardo (Filosofo e teologo francese 1079-1142. Volendo approfondire lo studio della teologia si rec� a Laon dove segu� le lezioni di Anselmo, decano del capitolo di quella citt�. Essendo sorti contrasti con il maestro, ritorn� a Parigi dove riprese l'insegnamento della dialettica. In quest'epoca si colloca l'episodio del suo amore per Eloisa. Dopo il dramma della sua evirazione si fece monaco. Il suo trattato De unitate et trinitate divina fu condannato dal concilio di Soissons del 1121. Perseguitato da molti nemici err� finch� si stabil� a Saint Gildas, in Bretagna. Durante il concilio di Sens (1140), San Bernardo ottenne contro di lui una nuova condanna, ma Pietro il Venerabile lo accolse nella sua abbazia a Cluny e tent� di riconciliarlo con la Santa Sede. Mor� nel silenzio e nella solitudine.), durante il Concilio di Sens. In quell'occasione Bernardo chiese al papa la condanna di Arnaldo alla reclusione monastica. Il legame tra Arnaldo ed Abelardo non � molto chiaro, il loro incontro resta comunque importante perch� le riflessioni di Abelardo fornirono il quadro teorico in cui le intuizioni religiose di Arnaldo trovarono conferma. Grazie a papa Eugenio III, Arnaldo pot� ritornare a Roma, dove la sua predicazione fu inizialmente ben accolta. Il corso degli eventi costrinse Arnaldo a pensare anche in termini politici, poich� la ribellione antipapale rischiava di interrompersi se Eugenio III avesse stipulato un accordo con l'imperatore Federico I. Il favore dell'inizio cominciava ad affievolirsi a causa del mutato clima politico. Nel 1155 Adriano IV lanci� l'interdetto sulla citt� di Roma e Arnaldo dovette fuggire. Federico I lo fece catturare e consegnare al papa. Condannato, fu bruciato sul rogo. Le sue proposte religiose furono ben accolte finch� fornirono elementi di coesione ai ceti dirigenti romani, ma vennero successivamente respinte e sconfessate quando divennero una minaccia per gli stessi che lo avevano sostenuto.

Ugo Speroni: membro di una famiglia dell'aristocrazia piacentina. La religiosit� di Speroni essendo tutta interiorizzata non diede modo al suo messaggio di avere grande diffusione. Sugli speronisti l'unica fonte di informazione � un'anonima summa antiereticale datata ai primi anni del duecento. Dopo l'elenco dei loro principali errori (peccato originale soltanto secondo la carne, salvezza dei buoni anche prima dell'avvento di Cristo), il testo asserisce che discendevano da un giudice piacentino, che comparvero contemporaneamente ai Poveri di Lione, ma che avevano modi di vita opposti, perch� i Poveri di Lione vivevano di elemosine e senza propriet�, mentre gli speronisti avevano possedimenti e permanevano nel matrimonio. Gli speronisti non seguivano nessuna forma di vita religiosa. Lo speronismo era soprattutto adesione all'orizzonte concettuale di Ugo Speroni, un orizzonte che non comportava una scelta di tipo missionario. La coscienza che ci� che contava era la grazia divina con i suoi disegni imperscrutabili, si coniugava con l'esigenza intellettuale di eliminare le irrazionalit� che gli uomini avevano contrapposto al messaggio cristiano. Le irrazionalit� dipendevano in gran parte dalla volont� di dominio della chiesa. Speroni aveva teorizzato la non evangelicit� della distinzione tra chierici e laici, che egli equiparava alla distinzione tra padroni e schiavi, sulla base della convinzione che per mezzo del battesimo i chierici con i laici sono un'unica cosa nel Cristo. Speroni fu accusato di filosofeggiare, accusa con un fondo di verit�. Speroni aveva spinto l'uso dell'intelligenza in campi in cui era insolito che si avventurassero uomini di governo. Egli si fa chierico non in quanto pretenda di sostituirsi al sacerdozio, ma in quanto intellettuale. La mediazione di un clero indegno aveva corrotto il messaggio cristiano, messaggio che Speroni aveva riscoperto nella sua genuinit�, non attraverso il modello di vita apostolica, ma con l'uso della propria intelligenza ed � questo che lo distingue dai gruppi suoi contemporanei.

Giovanni di Ronco: piacentino, seguace di Valdesio, fu il capo dello scisma lombardo che divise il movimento valdese nel 1205. Le cause della frattura non sono chiare. Visto che le fonti non citano motivi dottrinali � possibile che sia sorto qualche conflitto tra personalit�.

di Simonetta (Simi)

Bibliografia:
"Il nome della Rosa" - U. Eco
"Il libro nero dell'Inquisizione" - N. Benazzi/M.D'Amico
"Eretici ed eresie medievali" - G.G. Merlo
"Divina Commedia - Inferno" - D. Alighieri

vedi anche L'INQUISIZIONE


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