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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI dal 1201 al 1216 

LA TEOCRAZIA PAPALE - LOTTA IMPERIALE - S. FRANCESCO

LA LOTTA DINASTICA IN GERMANIA TRA FILIPPO DI SVEVIA E OTTONE DI BRUNSWICK - ASSASSINIO DI FILIPPO DI SVEVIA - OTTONE IV IMPERATORE - INNOCENZO III CONTRO OTTONE - FEDERICO II ELETTO RE DI GERMANIA - BATTAGLIA DI BOUVINES - TRIONFO D'INNOCENZO III E DELLA TEOCRAZIA PAPALE - IL QUARTO CONCILIO LATERANENSE - S. DOMENICO DI GUZMAN E S. FRANCESCO D'ASSISI - MORTE DI INNOCENZO III
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FILIPPO DI SVEVIA E OTTONE IV, FEDERICO II

Mentre il piccolo FEDERICO II, nel duomo di Palermo, all'età di quattro anni, nella primavera del 1198 cingeva la corona del regno di Sicilia, di là dalle Alpi le rivalità tra Guelfi e Ghibellini risorte dopo la morte di Enrico VI si preparavano a togliergli quella di Germania.

I nemici degli HOHENSTAUFEN, capitanati dall'arcivescovo ADOLFO di Colonia, coronavano re ad Aquisgrana, nel luglio dello stesso anno 1198, OTTONE di BRUNSWICK, figlio di Enrico "il Leone" e nipote di Riccardo I d'Inghilterra; due mesi dopo a Magonza i partigiani degli Hohenstaufen coronavano re a loro volta FILIPPO di SVEVIA il fratello di Enrico VI che per quattro anni aveva tenuto il governo del regno germanico in nome del nipote FEDERICO II (corona che il padre alla dieta di Worms del 30 novembre 1195, gli aveva fatto avere all'età di 1 anno).

Le due parti si rivolsero al Pontefice per avere il suo appoggio. INNOCENZO III, se avesse voluto agire secondo giustizia, avrebbe dovuto pronunciarsi in favore del suo protetto il piccolo Federico II; ma contro gli interessi politici del Papato la soluzione dello scisma germanico a favore del piccolo era tale, che -guardando avanti- avrebbe portato all'unione delle due corone siciliana e tedesca sempre combattuta dalla Santa Sede; d'altro canto, sostenendo la causa dello svevo Filippo, il Papa avrebbe assicurato la vittoria di quel partito che sosteneva l'indipendenza germanica contro ogni pretesa papale.INNOCENZO III sacrificò la giustizia all'interesse politico e il l° marzo 1201 emise il lodo in cui, proclamando la dipendenza dell'impero dal Papato, riconosceva come re legittimo OTTONE IV, il quale l'8 giugno dello stesso giurò di proteggere e conservare tutti i possessi, gli onori e i diritti della Santa Sede, di aiutar la Chiesa romana a conservare il regno di Sicilia e a riprendere tutti i beni non ancora recuperati, fra i quali il territorio da Radicofani a Ceprano, l'esarcato di Ravenna, la Pentapoli, la Marca, il ducato di Spoleto, le terre della contessa Matilde, la contea di Bertinoro e, infine, di assicurare i privilegi del popolo romano e delle leghe di Toscana e di Lombardia e di prestare obbedienza al Papa e ai suoi successori.

La causa di Filippo sembrava perduta; invece si rialzò per le defezioni che si verificarono nel campo di Ottone, il quale vide passare nelle file dell'avversario il langravio di Lotaringia, l'arcivescovo di Colonia e il proprio fratello maggiore Enrico. Alle defezioni si aggiunsero i rovesci militari, la scemata potenza del re d'Inghilterra GIOVANINI SENZATERRA successo nel 1199 al fratello Riccardo I, e la scomunica lanciata dal Pontefice contro il sovrano inglese, che appoggiava Ottone, ma che dopo otto anni di infelice guerra, prima si vide appoggiare, poi si videnuovamente abbandonare da Innocenzo III che si riconciliò con Filippo (e proprio nel momento sbagliato - ma in questo periodo naviga "a vista", spesso sbagliando).

L'avversa fortuna non fece però perdere d'animo e la guerra OTTONE di BRUNSWICK, che grazie agli aiuti promessi dall'Inghilterra e dalla Danimarca, in conflitto avrebbe avuto una più aspra ripresa se il 21 giugno del 1208 Filippo non fosse stato assassinato a Bamberga dal conte palatino OTTONE di WITTELSBACH. Non si trattava di un reato politico, ma di una vendetta personale. Filippo aveva promesso in sposa al conte la propria figlia: conclusa ora la pace col Pontefice, aveva mandato a monte il matrimonio promettendo la figliuola ad un parente di papa Innocenzo III. Né questo era il solo motivo dell'odio di Ottone. Questi aveva, in seguito, chiesta la mano della figlia del duca Enrico di Slesia, ma ne aveva ricevuto un rifiuto, a quanto pare, per le sfavorevoli informazioni che su di lui aveva fornito Filippo.

"L'assassinio si consumò nelle ore pomeridiane, nel palazzo vescovile di Bamberga, dove Filippo riposava. Ottone di Wittelsbach, recatosi al palazzo, lasciò -scrive il Prutz - nell'anticamera gli armati della sua scorta, ed entrò solo, con la spada nuda in mano nella camera dove il re era adagiato sopra un letto. Non era la prima volta che concedeva all'abile spadaccino il permesso di entrare con la spada nuda; e anche questa volta il re Filippo, credendo che il conte palatino, come spesso molte volte aveva fatto, volesse divertirlo con l'abilità del maneggio della spada, nel vederla roteare lo pregò di dispensarlo questa volta dallo "spettacolo".

"Ma a quel punto Ottone, esclamando che non si trattava ora di un trastullo, brandisce la lama e recide la gola al re, il quale, balzato in piedi, dopo alcuni passi stramazza morto al suolo. Dei pochi compagni di Filippo presenti nella camera al momento del delitto, il vescovo di Spira, temendo per i propri giorni, era corso a nascondersi; Enrico di Waldburg, che cercò di fermare il braccio dell'assassino, riportò anche lui una grave ferita".

L'improvvisa morte del pericoloso rivale rialzò subito le sorti di Ottone IV, il quale, rientra all'improvviso nelle grazie del Pontefice, e l'11 novembre del 1208, nella dieta generale di Francoforte fu acclamato re da tutti gli stati dell'impero, e per consolidare maggiormente la sua posizione nella Germania meridionale si fidanzò con Beatrice, la maggiore delle figlie di Filippo, che allora contava dieci anni (Ottone 28).

Invitato dal Pontefice, verso la fine di luglio del 1209 OTTONE IV scese in Italia per cingervi la corona imperiale. Le città italiane lo accolsero festosamente, specie Milano nella cui basilica di Sant'Ambrogio fu incoronato dall'arcivescovo UMBERTO di PIROVANO. Passando da Bologna, convocò una grande dieta, nella quale pacificò i due capi di parte guelfa e ghibellina, AZZONE D' ESTE, signore di Ferrara, ed EZZELINO da ROMANO, poi, attraverso la Toscana, si recò a Viterbo, qui incontrò il Papa e con lui entrò a Roma. Nella basilica di San Pietro, il 4 ottobre 1209, Ottone riceveva da Innocenzo III, la corona imperiale.
Ma appena consacrato all'impero, Ottone sentì tutta la difficoltà della posizione che si era lui stesso creato con gli impegni da lui precedentemente contratti: da un lato, egli aveva promesso ai principi tedeschi, che avrebbe serbata inviolata la maestà dell'impero e rivendicati tutti i diritti perduti: e dall'altro, aveva fatto al Papa delle promesse, le quali erano in aperta contraddizione con quelle fatte ai principi.

Infatti, pochi mesi prima di scendere in Italia e a Roma, a Spira, aveva fatto un patto con i principi tedeschi con la rinuncia alle prerogative imperiali riconosciute dal concordato di Worms e rivendicava i diritti su tutti i territori del papato, inclusi i beni matildini e la Sicilia. Messo alle corde, Ottone, dovendo scegliere fra le due promesse, seguì quella che il suo interesse gli consigliava, e si mise in opposizione con il Papa.
Allora fu toccato con mano quello che nessuno avrebbe mai creduto fino ad ora: che la lotta fra l'impero e il Papato era una cosa fatale e prestabilita, indipendente dalla volontà di questo e di quello, o imperatore o Papa, ma insita nella natura dei due enti, che avevano invaso l'uno il campo dell'altro.
La separazione della Chiesa dallo Stato, che è uno delle basi della civiltà moderna, a quel tempo era un concezione di vita del tutto sconosciuta.
Ma ora la Chiesa toccò con mano quanto fosse impraticabile la strada per mettere in atto le sue pretese teocratiche, una volta che queste avessero trovato un oppositore.
Nell'arco di pochi anni Innocenzo III, era saltato da uno all'altro pretendente, sempre in aperta contraddizione, e altrettanto fecero i pretendenti."Il Papa aveva esaltato il guelfo Ottone IV, perché fosse difensore della Chiesa e lo trasformò in un suo nemico. Era la situazione che armava il braccio di Ottone, non la sua volontà sua: se c'è un appunto da fargli, questo consiste nell'avere prestato al Papa un giuramento, che sapeva di non poter mantenere. "Ma non doveva il Papa già saperlo quando torno a ingraziarselo? E' che la cupidigia appassiona, e la passione non ragiona. Innocenzo provò, pertanto, un gran disinganno quando nel consacrarlo, vide l'uomo davanti a lui fare tutto l'opposto di ciò che gli aveva promesso. (Bertolini)".

Allontanatosi da Roma, subito Ottone diede alla sua politica un indirizzo nettamente ostile al Papato: mise dei propri ufficiali a governare i beni matildini che avrebbe dovuto restituire alla Santa Sede; si fece (come aveva fatto Barbarossa) dai giureconsulti bolognesi confermare il diritto che l'Impero pretendeva di avere sulla Puglia e sulla Sicilia, e, non tenendo in nessun conto le preghiere e le minacce del Pontefice, al quale lui si dichiarava disposto a riconoscere soltanto la potestà spirituale, occupò alcune città di dominio della Chiesa, fra cui Orvieto e Perugia, saccheggiandone il territorio, poi, nel novembre del 1210, penetrò nel reame normanno e, senza colpo ferire, si rese padrone di Montecassino, Capua, Aquino, Aversa, Napoli e Sorrento, che, dandosi all'imperatore, furono poi imitate da altre città di qua dal Faro e misero in fermento nuovamente tutta la Sicilia.

"INNOCENZO III- scrive il Prutz - riuscite vane le preghiere e le minacce, irritato per le pesanti ingerenze sulle terre del "patrimonio di San Pietro" e per la sua pretesa di occupare il regno di Sicilia, non possedendo un esercito, ricorse alle armi spirituali, le sole di cui poteva disporre, e il 18 novembre lanciò la scomunica contro OTTONE IV, sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà, eccita contro di lui le terre della Toscana, quelle Lombarde, e con il Re di Francia favorisce la candidatura di Federico di Svevia.

"La scomunica la rinnovò il Giovedì Santo dell'anno seguente. Non contento di ciò, inviò lettere a tutti i principi dell'impero, pregandoli di aiutare la Chiesa, di soccorrere il re di Sicilia e di abbandonare l'imperatore sul quale gravava l'anatema, riuscendo a guadagnare alla sua causa, in Italia, Cremona e i marchesi di Este e a procurarsi non pochi aderenti in Germania, dove non si era contenti del regime rigoroso e talora anzi dispotico del Guelfo, i principi si aspettavano da lui la sovranità e l'autonomia; si biasimava il suo attacco contro l'Italia meridionale e dalla riuscita dell'impresa si temeva sarebbero derivati i medesimi pericoli, dei quali a suo tempo Enrico VI aveva minacciato la costituzione dell'impero; e ben volentieri si voleva contribuire a dileguare quei pericoli prima ancora che prendessero di nuovo corpo. "D'altra parte le esortazioni del Pontefice erano assecondate nel modo più efficace dalle trame del re di Francia; per costui l'alleanza di Ottone con il re d'Inghilterra costituiva un pericolo continuo; Filippo vedeva pertanto con gioia l'antagonista messo a mal partito, e gareggiava con il Pontefice a fargli sorgere nemici in Germania.

Così l'arcivescovo Sigfrido di Magonza, il langravio Ermanno di Turingia ed Ottocaro di Boemia furono facilmente indotti a passare nelle file dell'opposizione e a formare la base di una lega di principi contro Ottone. L'elezione di un antirè fu subito la questione principale che si agitò, tra questi principi e il loro alleato francese, e fu risoluta in modo da evitare ogni rivalità tra gli avversari del Guelfo, benché d'altra parte dovesse inspirare gravi apprensioni.
Come gli inglesi, per danneggiare il re di Francia avevano sempre con tutte le loro forza cercato di sostenere la monarchia guelfa, così Filippo naturalmente vedeva nella restaurazione degli Hohenstaufen, a lui sempre favorevoli, il fatto che meglio garantiva per l'avvenire la sicurezza della Francia.
E fu infatti, Filippo che accennò al re di Sicilia come a colui che meglio era indicato come antirè contro Ottone IV.

"Innocenzo III aveva lasciato correre, quantunque quella candidatura fosse tale da inspirare non poche inquietudini alla curia romana; questa -considerazioni già fatte prima- racchiudeva il pericolo dell'unione delle corone di Sicilia e di Germania. Comunque fosse, il giovine Hohenstaufen tuttavia possedeva un titolo incontestabile al trono tedesco, e questa circostanza non solo toglieva gran parte del carattere odioso, che altrimenti avrebbe rivestito la sua elezione, ma lasciava pure sperare che a suo riguardo ai principi si sarebbero messi d'accordo più facilmente che non per qualunque altro candidato.
Inoltre, Federico II era vassallo del Papa e suo pupillo, cresciuto sotto la sorveglianza e l'influenza del Pontefice; Innocenzo era quindi autorizzato a sperare di trovare anche per l'avvenire, nel giovine sovrano, un discepolo ubbidiente, di vederlo seguire la politica inspirata dal Pontefice a favore della Chiesa, e finalmente di veder scongiurati, nel miglior modo possibile, sotto l'impero dell'Hohenstaufen, i pericoli che altrimenti non potevano andare disgiunti dall'unione, sotto un medesimo sovrano, dei regni di Sicilia e di Germania. "Strano destino che, dopo un decennio di gravi sconvolgimenti e di crudeli sofferenze nei paesi interessati, l'evoluzione storica tornava al punto di partenza, quando la morte repentina di Enrico VI l'aveva interrotta, e che volgeva di nuovo nella direzione designata da Enrico VI, nel suo testamento, come quella che prometteva di conciliare gli interessi della Chiesa e dello Stato e di promuoverli allo stesso modo!

Non stava dunque in questo fatto una severa critica, una condanna della politica fatta dalla curia romana, che aveva voluto costringere le cose a muovere per vie assolutamente diverse? Splendidamente giustificati rimanevano da questo rivolgimento straordinario la perspicacia politica, i ragionamenti di Enrico VI". (Prutz)A Norimberga si unirono gli oppositori di Ottone IV e fu stabilito di proclamare imperatore Federico (ora aveva 17 anni), al quale, sul finire dell'estate del 1211, furono segretamente inviati dei messi per invitarlo a recarsi in Germania per ricevervi la corona regia. Federico accettò l'offerta dei principi tedeschi, ma per vincere l'opposizione dei baroni siciliani dovette promettere loro che, ricevuta la corona imperiale, avrebbe rinunciato a quella del reame siciliano in favore del figlio Arrigo, natogli da Costanza, sorella di Pietro II d'Aragona.

Nel marzo del 1212, a Roma, FEDERICO II ripeté la stessa promessa, giurando di rimaner fedele, ubbidiente e grato alla Santa Chiesa; poi, per via mare, si recò a Genova e, attraversata l'alta Italia, dove oltre Cremona e i marchesi d'Este, si erano schierati in suo favore pure Pavia, Como, il marchese di Monferrato e il conte di S. Bonifacio, passò le Alpi.
Il 5 dicembre del 1212 Federico II era eletto re ad Aquisgrana e quattro giorni dopo riceveva la corona a Magonza.
Con l'incoronazione di Federico un nuovo periodo di lotte si apriva per la Germania; la parte settentrionale ed occidentale parteggiava per Ottone e la meridionale ed orientale, la Svevia, la Boemia, la Baviera, l'Austria e la Turingia, sosteneva il nuovo sovrano.
La guerra tra i due rivali non durò a lungo, perché OTTONE IV, sceso in campo con il re GIOVANNI d'Inghilterra contro FILIPPO di Francia, il tedesco il 27 luglio del 1211, subì a Bouvines una sanguinosa sconfitta e, ritiratosi nei suoi stati, visse assistendo al trionfo di Federico, il quale, riconosciuto ormai da tutti, fu nuovamente incoronato ad Aquisgrana nell'estate del 1215, il 4 luglio.
Il concilio lateranense di INNOCENZO III, dello stesso anno confermò il risultato della guerra civile tedesca con la deposizione formale di Ottone e il riconoscimento di Federico, e accellerò la fine della lotta quando sul carro del vincitore salirono anche quelli che erano stati fino allora molti indecisi.
Ottone, da parte sua, continuò a lottare con tenace perseveranza e inesauribile coraggio, sempre sostenendo di essere l'imperatore -un imperatore quasi senza sudditi e senza terre- finchè il 19 maggio 1218, a Harzburg mise prematuramente fine alla sua vita, sembra, ingerendo una dose massiccia di farmaci.
L'opposizione agli Hohenstaufen era giunta al termine; dei Guelfi rimase solo il fratello di Corrado, Guglielmo, un moderato, il quale si guadagnò la fiducia di Federico e da lui fu fatto duca di Brunswich-Luneburgo, capostipe di una lunga discendenza di Guelfi, che portarono alla dodicesima generazione uno di loro sul trono d'Inghilterra.

TRIONFO DI INNOCENZO III E DELLA TEOCRAZIA PAPALE
QUARTO CONCILIO LATERANENSE
S. DOMENICO E S. FRANCESCO D'ASSISI
MORTE D' INNOCENZO III

Il trionfo di Federico II era dovuto alla forte politica di Innocenzo III; e questi era alla fine dei conti, il vero trionfatore, avendo attuato, in tutti i punti, il suo superbo programma politico.
Nell'allocuzione, pronunziata il giorno stesso della sua consacrazione, egli aveva affermato:
"E di me che è detto nel Profeta: io ti ho preposto ai popoli e ai regni con la missione di sradicare, distruggere, disperdere, ricostruire, piantare; è di me che è detto nell'Apostolo: io ti do le chiavi del Regno dei Cieli; ciò che legherà in terra sarà legato in Cielo". In un'altra allocuzione aveva detto: "La chiesa romana non è venuta incontro a me con le mani vuote; essa mi ha portato in dote il potere spirituale e l'estensione dei domini temporali, perché soltanto l'apostolo Pietro è stato Rivestito della duplice autorità. Da Roma io ho ricevuto la mitra, segno dell'autorità religiosa, e la tiara, segno del dominio terreno".

E altrove aveva affermato: "Nel popolo di Dio il Sacerdozio va avanti all'impero".
In questa affermazione era tutto il suo programma, con il quale il grande Pontefice intendeva dare alla Chiesa il dominio universale; programma che in altri punti egli precisava meglio, rivendicando all'Italia e a Roma il primato nel mondo. "Per decreto della Provvidenza l'Italia ha la superiorità su tutte le regioni dell'universo: nell'Italia si trova il fondamento della religione cristiana, nel primato della Sede Apostolica si fondono l'autorità dell'Impero e del Sacerdozio".

E ancora: "Roma è ora per l'autorità del Pontefice più grande di quanto non fosse per il primato imperiale. Allora era la capitale della menzogna, ora è l'istitutrice della verità. Essa è stata prescelta come sede di una dignità tanto elevata che le sue decisioni, così come sono pronunciate in terra, sono confermate in Cielo. Nella persona del Pontefice si riflette l'autorità divina, e lo stesso imperatore romano è sottoposto al Papa".Da quindici anni Innocenzo III era l'arbitro della politica dell'intera Europa. A Roma e nello stato della Chiesa aveva restaurato l'autorità papale; nel regno normanno aveva assicurato il trono a Federico II; in Germania aveva prima favorito contro Filippo di Svevia il rivale Ottone IV di Brunswich che aveva promesso di esser ligio alla S. Sede, poi quando era venuto meno alle promesse lo aveva poi avversato, mettendogli contro Federico; aveva ottenuto che il re di Francia riprendesse la moglie Ingheberga che aveva ripudiata e seguisse la politica papale nelle relazioni con l'impero e con il sovrano inglese; aveva ricevuto dichiarazione di vassallaggio da parte della Svezia, della Danimarca, di Sancio I re del Portogallo, di Alfonso di Leone e Castiglia, di Pietro II di Aragona e di Giovanni d'Inghilterra oltre che dell'impero latino d'Oriente; era stato ricercato di aiuti dai sovrani di Serbia, di Bulgaria e d'Armenia; aveva ottenuto (12 giugno 1213), nella dieta di Eger, da Federico II i beni matildini, Spoleto, Ancona, l'esarcato di Ravenna, la Pentapoli, la Sicilia, la Sardegna, e la Corsica; aveva promosso una crociata in favore dei re di Castiglia e d'Aragona, i quali sconfiggevano, il 16 luglio del 1212, i Mori a Las Navas de Tolosa; aveva, infine, riunita la Chiesa greca alla latina e debellata la setta degli Albigesi.

Grazie all'opera d'Innocenzo, Roma era tornata ad essere, dopo parecchi secoli, il centro della politica mondiale e il Papato aveva raggiunto il suo apogeo. Pieno era il trionfo della teocrazia e se ne ebbe una prova nel quarto concilio lateranense che fu tenuto nel novembre del 1215.

Fu celebrato l'effimero trionfo di Innocenzo su tutta l'Europa con parole che promettevano addirittura una nuova età."L'adunanza - scrive il Prutz - fu così numerosa e così splendida, che ben meritava di essere considerata come personificazione della Chiesa intera. Non meno di 70 patriarchi ed arcivescovi, fra cui primeggiavano quelli di Gerusalemme e di Costantinopoli, oltre 400 vescovi e più del doppio tra abati e priori si erano raccolti in quei giorni intorno ad Innocenzo III.

Erano comparse ambasciate dei re di Germania, dì Francia, d'Inghilterra, d'Aragona, di Castiglia, d'Ungheria, di Cipro, di Gerusalemme, ed anche altri principi e città avevano mandato i plenipotenziari. Gli argomenti che il Papa, convocando il concilio, aveva designato come i motivi principali dell'adunanza, cioè il miglioramento della Chiesa e l'avvenire della Terrasanta, furono trattati senza difficoltà ed in modo conforme ai suoi desideri. Ma le questioni, che toccavano i punti dove, per così dire, lo Stato confinava con la Chiesa, diedero luogo a gravi divergenze tra Innocenzo ed una parte dei convocati, e pare anzi che più di uno si scagliasse contro il modo con il quale il Pontefice aveva, fino allora, governato la Chiesa. "Quando si giunse a discutere della contesa dinastica in Germania, non solo i comuni lombardi, e primo fra tutti quello di Milano, che erano rimasti fedeli ad OTTONE IV, apertamente sfogarono il loro malcontento per la politica papale, ma anche nel grembo stesso del concilio il Guelfo trovò calorosi difensori; non pochi temevano che la vittoria di Federico di Hohenstàufen, assecondata dal Pontefice, avrebbe fatto risorgere per la Chiesa il pericolo già corso da Enrico IV. Sembra perfino che Innocenzo III fu formalmente invitato a ritirare la sua mano dal re di Sicilia e di andare con tutte le risorse della Chiesa a sostegno del trono vacillante di Ottone IV.
"L'autorità pontificia però, ignoriamo in qual modo, ebbe ragione dell'opposizione, e in che modo nell'ultima seduta le misure prese da Innocenzo III contro Ottone IV furono approvate; la sentenza papale per lo sventurato imperatore, scomunicato e destituito al cospetto del mondo. Tutto questo ottenne naturalmente vasta e profonda impressione e contribuì non poco ad accelerare la piena vittoria (del Ghibellino) Federico Il ed a togliere ogni speranza (paradossalmente) al partito guelfo.
Quanto e come erano mutati i tempi!

"Pochi decenni prima l'imperatore Federico I, invocando l'esempio di Costantino, di Giustiniano e di Carlo Magno, aveva citato dinanzi al suo foro i Papi che combattevano, affinché dal suo labbro sentissero la propria sentenza; ed ora il Papa, assecondato da un concilio generale, spogliava del trono e del regno un successore di quegli stessi imperatori romani, un principe in altre parole che, a misura che si consolidava sul trono, andava sempre energicamente abbracciando le massime sostenute da Federico I. Eppure nello stesso tempo il Pontefice soccorreva e proscioglieva dal giuramento, con cui aveva promesso di rispettare la Magna Charta, fino ai suoi abusi capricciosi, re GIOVANNI D'INGHILTERRA.
"Ponendosi al disopra di popoli e principi, e al disopra pure dei loro giuramenti reciproci, che egli scioglieva o manteneva, secondo che lo esigeva l'interesse variabile della sua posizione, Innocenzo III appariva il rappresentante di un dominio mondiale, che in sé riuniva la somma autorità temporale e spirituale: Innocenzo era Papa e imperatore nello stesso tempo e poteva ben vantarsi di avere realizzati gli ideali di Gregorio VII".(Prutz)

Si è detto sopra, che per due scopi era stato convocato il concilio: la liberazione dei Luoghi Santi e la riforma della Chiesa. La spedizione fu decisa e si stabilì che i crociati si sarebbero radunati a Brindisi e a Messina per salpare nel giugno del 1217.

Della riforma della Chiesa non si discusse a lungo; ma furono date disposizioni (le abbiamo già accennate sopra - il famoso canone "Excommunicavimus") per combattere l'eresia e comminare pene contro gli eretici, come la privazione dei diritti civili, l'interdizione dalle cariche pubbliche, la confisca dei beni e, occorrendo: la perpetua prigionia.
Sempre nel corso del 4� Concilio Lateranense fu stabilita l'esclusione degli Ebrei da ogni genere di uffici,� l'obbligo di portare una uniforme ben distinguibile ed infine sono istituiti i ghetti per ospitarli con delle limitazioni di orario per l'entrata e l'uscita dagli stessi. A parte gli Ebrei, odiati da sempre, risulta da queste severe disposizioni, quanto era grande la preoccupazione del Pontefice per il diffondersi delle varie sette.

SAN DOMENICO E SAN FRANCESCO

Non furono però le disposizioni prese nel concilio lateranense quelle che dovevano far rifiorire il sentimento religioso, il quale rinacque specialmente per opera di due grandi uomini, che la chiesa doveva santificare: DOMENICO di GUZMAN e FRANCESCO D'ASSISI, "al cui fare, al cui dire, - come canta Dante - lo popol disviato si raccorse".

DOMENICO di GUZMAN, (fondatore dei "frati predicatori" poi detti Domenicani") nato a Calahorra (Castiglia) nel 1170, compiuti gli studi all'università di Valenza e ordinato prete dal vescovo di Osma, viaggiando nel 1206 in Francia e vedendo le dottrine ereticali degli Albigesi diffondersi tra il popolo della Linguadoca, aveva voluto dedicare tutta la sua attività alla conversione degli eretici.
"Tutto inteso - come scrive il Gregorovius - alla realtà pratica della vita, tutto forza operosa, pensava ai modi più pratici per sterminare l'eresia, e ne teneva consiglio con i fanatici eroi della guerra degli Albigesi, con il vescovo FOLCO di TOLOSA, con l'abate ARNALDO di CITEAUX, con PIETRO di CASTELNAU legato pontificio, e col terribile SIMONE di MONFORTE.
Fu spettatore dell'eccidio di un popolo generoso, vide le rovine fumanti di Bèziers, dove al cenno dell'abate ARNALDO furono scannati ventimila uomini, e pregò in estatica contemplazione nella chiesa di Maurel, allorché SIMONE di MONFORTE, con i suoi feroci crociati, fece a pezzi l'esercito di Pietro d'Aragona e del conte di Tolosa.

In mezzo a questi orrori .... Domenico spagnolo e fanatico, non ne cavò altra sensazione che amore sempre più ardente per la Chiesa, null'altro che fervente umiltà: né in lui viveva altra passione che l'intento impetuoso di convertire gli uomini a idee diverse da quelle che lui reputava delitti".

Di indole del tutto diversa fu FRANCESCO, figlio di un Pietro Bernardone, mercante di Assisi, dove nacque intorno al 1182. Colto da una crisi interiore dopo una grave infermità e una prigionia di guerra sofferta nel 1202-03 a Perugia, abbandonò gli agi della vita e gli affetti della famiglia e indossò un umile saio.

"Lo si beffeggiò, - citiamo ancora il Gregorovius - fu chiamato pazzo, ma di là a qualche tempo torme di uomini pii diedero ascolto alla sua portentosa eloquenza; e discepoli da lui conquistati, vestiti di abiti a brandelli, seguirono il suo esempio, in quella che lui fondava come prima comunità in una cappella presso Assisi.
"Le parole di Cristo, ripetute dalla bocca di un apostolo mendico: "Getta via quel che possiedi, e seguimi": queste parole tornarono a risuonare per le vie e per le piazze, in mezzo agli entusiasti della povertà, i quali ne interpretavano alla lettera la dottrina. L'ardore inesplicabile per cui gli uomini s'invaghirono di quella fratellanza mistica, la cui massima dottrina era non possedere alcuna cosa, i cui modi di trarre la vita derivavano dalle elemosine volontarie, il cui ornamento stava nell'abito di accattone, è pur uno degli stranissimi avvenimenti del medio evo, e tale da indurre ogni intelletto severo a meditare i quesiti che toccano più gravemente i destini della società umana.

"Non era una ribellione contro le impari ripartizione dei beni terreni ciò che spingeva quegli idealisti dell'Umbria ad uscire dalle condizioni pratiche della vita ed a gettarsi in braccio della nuda povertà.
Diventavano cinici e comunisti, non per convincimenti filosofici, ma per un impulso religioso che agitava la mente umana inferma. Se il visionario serafico, sul breve confine che divide la luce dalle tenebre, fosse stato un uomo di animo triviale, si sarebbe dileguato dal mondo, rifugiandosi in qualche romitaggio; ma Francesco aveva indole ardente di affetti, inspirata, seducente, per cui, egli attrasse a sé gli uomini con la prepotenza dell'esempio. In quel profeta fervido, tutto cuore, si rifletteva un raggio del genio divino, che in altre età forse avrebbe fatto di lui il fondatore di una religione; ai suoi giorni invece egli non poté essere altro che uno dei santi della Chiesa, già saldamente disciplinata; un'imitazione vivente e leggendaria di Cristo, di cui i suoi discepoli pretendevano aver visto in lui impresse le fattezze e le stimmate.
"

Ma i suoi seguaci non penetrarono nel fondo di un animo poetico, come quello di Francesco, le cui estasi sovrumane loro non riuscivano a comprendere; ad un regno di mesti rapimenti, che si libravano di là dal mondo materiale, i discepoli diedero forma rozza ed esteriore; chiesero che l'assenza della libertà entusiastica dell'anima si richiudesse in uno stato monacale sottoposto ad una regola, dove la povertà, mistica regina, sedesse sopra un trono d'oro, in mezzo a frati mendicanti che cantassero salmi ed inni.

Tuttavia quei discepoli operosi di un santo non riuscirono a riformare la società umana: i bisogni dell'uomo sono fecondi di trovati e rivoluzionari, e senza di essi la povertà non è principio riformatore; in conseguenza di ciò non poterono fare altro che costituire un ordine di frati erranti, senza supporre l'influenza che il nuovo istituto avrebbe esercitato sulla società; e costrinsero il loro Santo, che non era un filosofo, né un teorico, ma un semplice figliuolo di Dio, a diventar legislatore.Chiamando i fratelli alla povertà come alla predicazione Francesco d'Assisi aveva, come s'è visto, introdotto nella sua opera un'intima contraddizione che doveva provocare gravi turbamenti, già emersi, vivente ancora il fondatore, quando il successo dell'opera superò le speranze stesse di S.Francesco.
Lui non aveva mai pensato di fondare un Ordine, ma la sua confraternita lo stava diventando, e che per la sua estensione medesima sfuggiva al controllo del suo fondatore. E non si poteva permettere che divenisse nella cristianità fonte di disordine e fors'anche di eresie. Quindi ci voleva, e gli fu imposto un minimo di organizzazione, e che a S. Francesco mancava. Questa trasformazione inizia a partire dal 1217 quando il Capitolo suddivide l'Ordine in Province. Quando l'Ordine inserisce numerosi chierici e letterati provenienti dalle Iniversita, cercando di dare all'Ordine un carattere clericale che non aveva di certo all'origine; reclamando i sacerdoti compiti di direzione ai quali paiono destinati.
Francesco all'inizio si ribella ma poi dirà ai suoi: "non voglio privilegi che non quello d'essere umilmente sottomesso a tutti.... Siate sottomessi a tutti i prelati affinché, se è possibile, non si susciti alcuna gelosia"

Resta fedele alla semplicità della predicazione come a quella di tutta la vita dei Fratelli e conserva la sua diffidenza di "idiotus", di ignorante (come si definisce egli stesso) verso l'istruzione.
E' malcontento che abbiano costruito una casa a Bologna e non ammette che i Fratelli possiedono libri. Entrando nell'Ordine i letterati devono assumere l'umiltà e il metodo degli ignoranti; la povertà resta la nota essenziale dell'Ordine e l'istruzione è sempre sconsigliata: "Quelli che non conoscono le lettere, non si preoccupino di apprenderle".
Nel dire questo pone senza volerlo un problema arduo poichè ogni predicazione presuppone un minimo di cultura, dunque studi, ciò che mal s'accorda con l'obbligo della spoliazione totale e d'insicurezza materiale. Quindi suscita la diffidenza della gerarchia, desiderosa di conservare il controllo della predicazione e allarmata della pretesa di insegnare direttamente ai fedeli.

"La Chiesa vietava la fondazione di nuove regole, per il motivo che ormai il numero degli ordini monastici era esageratamente salito e tutti ridotti mondani e decaduti tutti; perciò a Francesco, ossia ai suoi seguaci, non fu cosa agevole poter fra quelli ottenere accoglienza. Ciò nondimeno il Santo trovò a Roma degli amici potenti, il ricco cardinale GIOVANNI COLONNA, il cardinale UGOLINO DI SEGNI, uomo pronto ad appassionarsi e zelantissimo dei suoi protetti, che più tardi diventò papa GREGORIO IX (Scomunicò Federico II, affidò l'Inquisizione ai Domenicani), ed inoltre l'illustre MATTEO ORSINI, padre del futuro papa, NICCOLÒ III.

"INNOCENZO III, l'uomo dal grande intelletto pratico, non comprese l'importanza del sorgente ordine dei mendicanti: ci vedeva forse il pericolo di una dottrina che era decisamente ostile alla potestà temporale della Chiesa? Non c'è maggiore contrapposto di quello che si scorge tra Innocenzo III e Francesco, tra il sommo sacerdote, seduto sul trono con la maestà di signore universale, e la persona dell'umile accattone. Un Diogene vero del medio evo, che stava davanti al Papa come l'altro stava davanti al suo Alessandro; povero é malato sognatore, ma nel suo nulla, più grande di Innocenzo, profeta che lo ammoniva; specchio in cui pareva che Dio mostrasse l'effigie del loro tempo, Innocenzo III e San Francesco sono per verità due profili meravigliosi".

"I futuri SS. Domenico e Francesco chiesero ad Innocenzo III che confermasse i due nuovi ordini monastici, ma il grande Pontefice, pur non essendo alieno dal confermare le due istituzioni che rappresentavano una forte milizia e che, con la predicazione l'uno e con l'esempio l'altro, costituivano un mezzo potentissimo per combattere nel mondo cattolico l'eresia e difendere la Chiesa, non ne ebbe il tempo e fu il successore suo, ONORIO III, che nel dicembre del 1216 confermò al primo l'ordine dei "Domenicani" con il titolo di "Frati predicatori", sottoponendolo alla regola degli "Agostiniani", e nel novembre del 1223 al secondo quello dei "Francescani" sotto il nome di "Frati minori" e sotto la regola dei "Benedettini".(Gregorovius)

INNOCENZO III non sopravvisse a lungo al concilio lateranense, che era stato l'ultimo suo atto; cessò di vivere a Perugia otto mesi dopo, il 16 luglio del 1216 fra i preparativi della crociata; con lui finiva la teocrazia papale, mentre, per opera di FEDERICO II, si preparava una nuova lotta tra l'autorità pontificia e quella imperiale.

Nel prossimo capitole e nei successivi parleremo proprio di FEDERICO II,
e ne parleremo moltissimo, iniziando

dal periodo dall'anno 1216 al 1237 > > >

 

(VEDI ANCHE I SINGOLI ANNI o nella TEMATICA)

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia
GREGORIUVUS - Storia di Roma nel Medioevo - 1855
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
KUGLER, "Storia delle Crociate"
LANZONE - Storia dei Comuni italiani dalle origini al 1313
MAALOUF, Le crociate viste dagli arabi, SEI, Torino 1989
J.LEHMANN, I Crociati,- Edizioni Garzanti, Milano 1996
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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