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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI dal 1137 al 1154 

LOTARIO IN ITALIA -TRATT. MIGNANO - RE RUGGERO E LA SICILIA

SECONDA SPEDIZIONE IN ITALIA DI LOTARIO - AVVENIMENTI NELL' ITALIA MERIDIONALE DAL 1130 AL 1137: RIVOLTA DEL PRINCIPE DI CAPUA E DEL CONTE D'AVELLINO; BATTAGLIA DI SCAFATO, FINE DELLA POTENZA MARINARA DI AMALFI - LOTARIO ED INNOCENZO NELL' ITALIA MERIDIONALE - RAINULFO INVESTITO DEL DUCATO DI PUGLIA - MORTE DI LOTARIO - BATTAGLIA DI RAGNANO - MORTE DI ANACLETO - L'ANTIPAPA VITTORE IV - FINE DELLO SCISMA - IL TRATTATO DI MIGNANO E LA PACIFICAZIONE DI RUGGERO CON INNOCENZO - CONQUISTE DI RUGGERO IN AFRICA - GUERRA CONTRO L' IMPERO BIZANTINO - GOVERNO DI RUGGERO - LA SICILIA AL TEMPO DI RUGGERO II - FAMIGLIA E MORTE DI RUGGERO
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SECONDA SPEDIZIONE DI LOTARIO IN ITALIA.

LOTARIO giunse ai confini della Puglia dopo la Pasqua del 1137. Conquistati Castelpagano, Canne, Barletta ed altri territori minori, giunse sotto le mura,
di Bari, che dopo una accanita resistenza si arrese; questa volta non più ai Normanni o alle milizie dei baroni locali, ma ai tedeschi che ci misero il loro quartier generale nell'attesa del ricongiungimento della seconda parte esercito.
Questo nel frattempo guidato dal duca di Baviera, passando per Montecassino, raggiungeva a S. Germano e di là puntava su Benevento, che dopo una breve resistenza, i difensori aprirono anche loro le porte ai tedeschi il 23 maggio, mentre anche Capua si era arresa ed ebbe il ritorno del principe Roberto.

Da Benevento, attraverso Troia, il duca di Baviera seguito dal Pontefice scesero a Bari dove si riunirono all'imperatore.
I domini di Puglia per il re normanno erano andati tutti perduti, ma Ruggero, che aveva offerto una pace vantaggiosa, al rifiuto di Lotario non tentò nemmeno di riconquistare i territori caduti nelle mani tedesche. Sapeva che tutte le spedizioni germaniche nell'Italia meridionale erano state incursioni di breve durata; sapeva che quelle temporanee conquiste erano sempre risultate dannose agli invasori, perdendo i loro eserciti o per il clima o per le epidemie o per le diserzioni; e sapeva infine che l'alleanza dei suoi nemici non poteva durare a lungo, avendo tutti loro interessi contrari; perciò aspettava che la tempesta si dissipasse e che con meno rischio e sforzo potesse riprendersi quello che aveva perduto.

Ruggero, da quel fine politico che era, non s'ingannava. I contrasti tra gli invasori non si lasciarono aspettare a lungo. I primi a disertare il campo furono i Pisani cui erano riuscite vane le speranze di saccheggiare la ricca Salerno; seguirono subito dopo i dissidi tra l'imperatore e il Pontefice. Ciascuno era convinto che la spedizione era stata fatta a proprio beneficio e l'uno e l'altro accampavano diritti sulla regione conquistata e si disputavano il possesso di Salerno, l'alto patronato di Montecassino e altri territori.

Ma era solo l'inizio. I dissidi nacquero prima a parole, poi minacciarono di mutarsi in aperta lotta quando si trattò di dare assetto alla conquistata Puglia. Papa ed imperatore si trovarono d'accordo nello scegliere come duca di Puglia il conte RAINULFO di Avellino come l'unico uomo (e lo dimostrerà subito dopo, come vedremo più avanti) che per il suo valore poteva contrastare un ritorno di re Ruggero; ma chi doveva investirlo del ducato?
Il Pontefice sosteneva che toccava a lui conferire l'investitura per il patto di Leone IX rinnovato dal Guiscardo; mentre l'imperatore pretendeva per sé quel diritto per l'omaggio fatto da Dragone ad Enrico III. Dopo un mese di ostinate ma inutili disquisizioni, la questione fu risolta in un modo stranissimo: entrambi investirono Rainulfo del ducato, tenendo però nel gonfalone che fu consegnato al nuovo duca le insegne del Pontefice in un'estremità e quelle l'imperatore nell'altra. Una bandiera a due facce; ma non è che questo vessillo risolveva il problema del possesso, lo rimandava solo.

Composto in questo modo così ambiguo il dissidio, Innocenzo e Lotario si separarono, dopo aver confermato il possesso dei suoi beni a Giovanni di Tuscolo giunto a S. Germano a portar le insegne del patriziato all'imperatore. Questi, passando per Montecassino, Palestrina e Tivoli, s'incamminò, senza fermarsi a Roma, verso l'Italia settentrionale dove però vi giunse gravemente ammalato.
Presentendo prossima la fine, nel novembre dello stesso 1137, Lotario si mise in viaggio per la via del Brennero, ma giunto in Tirolo, nei pressi del villaggio di Breitenwang, non riuscì a proseguire oltre per la gravità del male, portato in una misera capanna di un contadino, lì morì il 4 dicembre.
La salma fu portata in Sassonia e sepolta nel convento di Lutter.

(la sua successione la tratteremo nel successivo capitolo)

Si era appena Lotario allontanato dall'Italia meridionale, lasciando a Rainulfo un migliaio di soldati tedeschi, quando il re RUGGERO II, con un fortissimo esercito raccolto in Sicilia, apparve sulla terraferma a scatenare la controffensiva.
Salerno gli aprì lieta le porte, mentre Nocera, Capua ed Avellino che avevano resistito, una volta prese, furono saccheggiate; il duca di Napoli chiese perdono e l'ottenne pure; i Beneventani, cacciati i sostenitori di Innocenzo, tornarono a sottomettersi pure loro a Ruggero e a sostenere ANACLETO e non più Innocenzo.
INNOCENZO II, temendo che il re a questo punto fosse anche determinato a salire pure su Roma, gli inviò al campo BERNARDO di CHIARAVALLE con miti proposte di pace. Ma la mediazione del santo monaco riuscì impossibile e quindi infruttuosa perché il Pontefice pretendeva la restituzione di Capua e il Ruggero si rifiutò di accordarla.
Chi invece non si lasciò scoraggiare dai rapidi successi di Ruggero fu RAINULFO, il quale, messo su un esercito con i tedeschi di Lotario e le milizie raccolte a Bari, a Troia, a Trani e a Melfi, che ancora gli ubbidivano, verso la metà d'ottobre del 1137 (mentre Lotario al nord era a poche settimane dalla morte) andò incontro al cognato a Ragnano, dove il re Normanno dovette subire un'altra sconfitta, simile a quella toccata a Scafato.

" Comandava l'ala sinistra dell'esercito regio - scrive il Palmeri - il giovinetto Ruggero, duca di Puglia, il quale, volendo mostrarsi anche lui valoroso, urtò con tale impeto la schiera che gli stava in fronte, che la ruppe, la mise in fuga, né si fermò (commettendo un fatale errore) inseguendo i fuggiaschi fino a Siponto. Il duca Rainulfo, quel momento in cui il figlio non poteva accorrere alle difese del padre, lo colse al volo per attaccare l'ala destra del re con la parte migliore delle sue milizie. I regi resistettero all'urto, si difesero bene, ma poi non potendo contare su nessun appoggio né azione diversiva, iniziarono a soccombere, persero la vita tre mila di loro, fra i quali il duca di Napoli e molti baroni, davanti agli Alemanni scatenati e al valore di Rainulfo.
Ruggero con pochi seguaci riuscì a scampare e a fuggire a Salerno, abbandonando il campo al vincitore (che riuscì a godersi poco la vittoria, morì di febbre pochi mesi dopo)
I Salernitani ed i Beneventani offrirono al re soccorsi e uomini, per metterlo in grado di tornare subito al contrattacco, ma il re non accettò l'offerta.
Con un esercito scoraggiato dalla disfatta, Ruggero riteneva che non era prudente riprendere la battaglia, inoltre c'era l'inverno alle porte.

Del resto la sconfitta di Ruggero non era stata tale da assicurare la definitiva vittoria a Rainulfo; n'era convinto anche Innocenzo II, e sapendo che Ruggero sicuramente sarebbe tornato con nuove forze all'offensiva in primavera, si convinse che era meglio fare la pace con il Normanno.
Gli mandò a Salerno legati, per mezzo dei quali gli proponeva di rimettere al suo giudizio la soluzione dello scisma. La stessa cosa fece Anacleto.
Ruggero, sentite le ragioni dell'uno e dell'altro, stabilì di affidare la decisione della contesa ai vescovi siciliani e con i legati dei due Pontefici in un apposito concilio; poi a fine 1137 scese a Palermo; ma prima che il concilio si riunisse Anacleto il 25 gennaio 1138 era morto. E come abbiamo già letto sopra, un mese prima era morto anche Lotario. E poche settimane dopo morì anche il forte e eroico Lainulfo di febbre.

FINE DELLO SCISMA PAPALE

I partigiani di Anacleto, dietro consiglio di Ruggero, elessero il cardinale Gregorio col nome di papa VITTORE IV; ma i Romani, persuasi dagli eloquenti discorsi di Bernardo di Chiaravalle, non vollero riconoscerlo. Rimasto senza sostenitori, abbandonato dagli stessi Pierleoni, Vittore IV depose di sua iniziativa la scomoda tiara e si sottomise come prete ad Innocenzo II.
Così, nella prima settimana di Pasqua del 1039, un concilio ecumenico, riunitosi in Laterano, poté annunziare al mondo cattolico che, dopo otto anni, lo scisma papale era definitivamente finito e che il papa era uno solo.

Nel medesimo concilio INNOCENZO II, messa in soffitta la pace appena fatta tre mesi prima, lanciò una nuova scomunica su Ruggero, pensando forse di far piegare il re di Sicilia ad accettare quelle condizioni di pace che egli pretendeva. Ma la fortuna ormai sorrideva a Ruggero. Il prode Rainulfo era morto a Troia di febbre il 30 aprile del 1138 e, scomparso lui, unico uomo che poteva veramente contrastare Ruggero, tutto pendeva a favore del monarca siciliano.

Ostinato, e sempre convinto che la Chiesa non poteva avere pace se non trionfava su Ruggero, il Pontefice dopo la scomunica, ancora una volta riuscì a radunare un esercito e nell'estate del 1139 lo guidò lui, personalmente nell'Italia meridionale contro il normanno, al suo fianco come subalterni alcuni cardinali e vescovi che lasciati i messali e le prediche, dovettero prendere le armi e fare sermoni di strategia militare. Di appena valido c'era solo Roberto di Capua. La spedizione così improvvisata non poteva che avere un esito infelice.

Il Pontefice aveva posto il suo quartiere generale a S. Germano. Minacciato (con premeditazione) dal re da un lato; lui levò il campo, avviando le sue milizie su un altro lato. Ruggero, spinto Innocenzo a fare questa mossa, inviò il suo primogenito con mille soldati scelti per sorprenderlo davanti su quella via, che l'esercito papale doveva attraversare, mentre lui con il grosso delle truppe si poneva dietro. L'avanguardia pontificia, comandata da Roberto di Capua, cadde nell'agguato e fu dispersa senza che il Papa dietro nemmeno se ne accorgesse; poi il suo esercito si trovò improvvisamente circondato dalle truppe siciliane; così l'esercito, Innocenzo, il suo cancelliere Bimerico, i cardinali e i nobili romani, furono fatti tutti prigionieri (22 luglio).

Ruggero non abusò della vittoria; trattò anzi con rispetto il Pontefice e gl'inviò i suoi ministri a pregarlo di metter fine alla guerra.
"Le preghiere di Ruggero -disse poi il Papa- in quelle circostanze equivalevano a delle imposizione". Cioè, Innocenzo dovette fare buon viso a cattiva sorte e concludere la pace. Due giorni dopo, il 25 luglio del 1139, con bolla pubblicata a Mignano, Innocenzo concedeva a Ruggero il titolo di re di Sicilia, lo assolveva dalla scomunica e gli riconosceva il possesso delle terre da lui conquistate, esclusa Benevento.
I nemici interni di Ruggero, che con l'appoggio del Papa avevano rialzato la testa, non sapendo più con chi stare, e non dando più fastidio, furono abbandonati alla loro sorte; Troia aprì le porte a Ruggero; Bari fece lo stesso dopo breve resistenza e il suo principe processato e condannato alla forca; il conte d'Ariano fu confinato in Sicilia; furono confiscati i beni di tutti quei baroni che avevano prese le armi contro il sovrano; Napoli tornò a sottomettersi, accettando ANFUSO come suo duca, e così in brevissimo tempo tutta l'Italia meridionale, pacificata, riconobbe la sovranità di Ruggero.

"Et siluit terra in conspectu eius", dicono gli Annali Cavensi, testimoniando con bella laconicità la potenza del re; ma non fu "silenzio" generale, da quella terra che si dicevano a lui "sottomessa", anche dalle bocche dei suoi nemici si alzavano alte le lodi al Re Normanno:
come Bernardo di Chiaravalle, che gli scriveva: "Per tutto il mondo si è sparsa la vostra potenza: e dove mai non sarebbe penetrata la gloria del vostro nome?", e l'abate di Cluny esclamava: "Sicilia, Calabria, Puglia, una volta covo di Saraceni e di ladroni, sono oggi, grazie a voi, divenuti luogo di pace, posto di riposo e regno nobilissimo, in cui impera un secondo pacifico Salomone".

Eppure, quando Innocenzo II tornò in Roma, non poche furono le rimostranze fatte al Pontefice per il trattato di Mignano, e quella pace di cui parlava l'abate di Cluny, sembrò correre un grave rischio due volte: l'anno dopo nel 1140, quando Ruggero fece occupare dal suo primogenito la provincia di Pescara sulla quale il re sosteneva di vantare diritti, e nel 1143, alla morte dello stesso Innocenzo che prima di morire (24 settembre) aveva ritrattato il patto di Mignano perché fatto in stato di soggezione.

Infatti il suo successore CELESTINO II, nominato papa il 26 settembre, si rifiutò di confermare il trattato di Mignano e Ruggero già prima ancora dell'inizio della primavera si era mosso con l'esercito dalla Sicilia verso il continente; ma la morte anche di questo Pontefice, avvenuta l'8 marzo del 1144 scongiurò un conflitto.

Questo però scoppiò sotto il pontificato di papa LUCIO II (eletto il 12 marzo 1144) che aveva le stesse idee dei suoi due predecessori: riuscito infruttuoso un convegno a Ceprano, Ruggero occupò nello Stato pontificio, Ferentino e Terracina e strinse d'assedio Veroli.
Da qualche mese Roma era impegnata a farsi Comune; i romani sostenitori dell'autonomia ribellandosi al papa (nel 1143 - c'era ancora Innocenzo II, subito dopo Celestino II) avevano costituito sul Campidoglio un governo comunale con a capo un consiglio detto "Sacer Senatus".
Scese in campo lo stesso Lucio con le sue milizie per impadronirsi del Campidoglio e di quel covo di "ribelli", ma furono questi a vincere, e il papa stesso ferito gravemente morì il 15 febbraio 1145.
(questi drammatici avvenimenti romani li riprenderemo poi nel prossimo capitolo)

La morte di Lucio e la situazione critica del suo successore EUGENIO III (monaco cistercense, discepolo di Bernardo di Chiaravalle, eletto e consacrato il 18 febbraio) arrestarono i progressi e le conquiste del re normanno, che però si vide confermato tacitamente il trattato di Mignano.

CONQUISTE DI RUGGERO IN AFRICA E GUERRA CONTRO I BIZANTINI

Consolidato il suo dominio in Italia, più che rivolgersi a nord, Ruggero pensò di ingrandire il suo stato oltre il mare. L'Africa e la Grecia in questo periodo furono la meta del suo sogno di conquistatore. La prima con le sue interne discordie porgeva l'occasione al re Normanno di tentarne la conquista; la seconda, che aveva provato i duri colpi del Guiscardo, forse stimolava con la politica dei suoi imperatori l'ambizione del Normanno ad un'impresa che avrebbe potuto guadagnargli un impero, o, nella peggiore ipotesi, fare ragionare un vecchio ed ostinato nemico.

L'impresa africana ebbe inizio nel 1146. Nel giugno di quell'anno Ruggero mandò una grande flotta nelle acque di Tripoli, che facilmente cadde in potere dei Siciliani; due anni dopo (22 giugno del 1148), attaccata da un'armata di circa duecento navi, fu conquistata Mhedia e poco tempo dopo tutto il territorio da Tripoli a Tunisi, dal deserto al mare riconosceva la signoria di Ruggero, il quale a ragione poteva fregiare la sua spada col motto superbo: "Apulus et Calaber, Siculus mihi servit et Afer".

L'impresa di Grecia non ottenne gli stessi risultati, ma riuscì a mostrare al mondo la potenza del regno di Sicilia. RUGGERO aveva, scrive il Palmeri, particolari motivi di dolersi degli imperatori bizantini perché questi, non potendo rassegnarsi alla perdita della Calabria e della Puglia, da dove i principi normanni li avevano cacciati, non trascuravano di arrecare molestia a Ruggero o a tessere trame contro di lui; soccorsi di danaro avevano dato al conte d'Avellino ed agli altri baroni di Puglia, che contro di lui avevano prese le armi; per i rapporti di affari che avevano con i Veneziani ogni tanto spingevano questi a mettersi contro di lui; e per finire cercavano alleanze per spingere perfino gli imperatori di Germania a muovergli guerra.

Ancora nel 1143 Ruggero aveva intenzione di porre fine a questi rancori, quando propose d'imparentarsi con l'allora imperatore GIOVANNI COMNENO, con una sua figlia, con il figlio Ruggero duca di Puglia. Purtroppo gli ambasciatori normanni che recavano questa proposta, giunti a Costantinopoli, trovarono morto l'imperatore e fecero la richiesta ad EMMANUELE, il quarto figlio e suo successore.
Aderito alla proposta, mandò in Sicilia BASILIO XERO a preparare e a concludere i preliminari. Costui, oltrepassando i limiti della sua ambasciata, sedotto forse dai doni del re, inserì nel trattato questa condizione, che dopo l'unione matrimoniale "da allora in poi i Re di Sicilia dovevano essere trattati con le stesse onorificenze degli Augusti, e pari ai Principi della famiglia imperiale".

Gl'imperatori bizantini - e l'abbiamo visto anche nei precedenti secoli - su queste prerogative "cesaro-sacrali", ci tenevano molto di più che qualunque altro sovrano. Per loro tutti gli altri erano dei "barbari", senza una nobile stirpe.
Proprio lo stesso Emanuele Comneno, quando il giovane re di Francia Luigi durante la sua crociata passò da Costantinopoli, durante un'ufficiale riunione di corte, riservò al sovrano di Francia un misero sgabello.

L'ambasciatore Xero, non rientrò a Costantinopoli perché morì durante il viaggio, ma ugualmente quel documento giunse nelle mani del giovane imperatore, che fu talmente offeso da quella condizione, che non solo la proposta fu rifiutata, ma da allora non volle più vedere al suo cospetto ambasciatori siciliani; e alcuni storici latini affermano che quelli che vi giunsero furono messi in carcere.

Ruggero che non era meno indignato dallo sprezzante rifiuto, ricorse alle vendette; alleandosi perfino con i Guelfi di Germania, onde favorire Serbi e Ungheresi a fare aggressioni ai Bizantini tenendoli così impegnati a nord e sguarnendo così il sud, in Grecia, e lì lui avrebbe attaccato
L'ammiraglio siciliano GIORGIO ANTIOCHENO, inviato nel 1147 nel mar Egeo con una flotta, s'impadronì di Corfù e, lasciati sull'isola mille Siciliani, invase l'Acarnania e l'Etolia; entrato poi nella Beozia, prese d'assalto Tebe e, insieme con un ingente bottino, fece numerosi prigionieri, uomini e donne che inviò in Sicilia. Molti di questi erano degli esperti nell'arte segreta della seta; della coltivazione, del gelso, del baco, della filatura e della tessitura.
Maggiore fu il bottino e il numero dei prigionieri fatti a Corinto, che si arrese dopo un brevissimo assedio. La ricchezza giunta in Sicilia con quelle prede fu enorme, ma quello che più arricchì l'isola fu lo stabilimento delle manifatture di seta alle quali Ruggero destinò gli "artisti" prigionieri.

L'incursione siciliana costituiva un gravissimo pericolo per l'esistenza dell'impero bizantino, ed Emmanuele Comneno s'impegnò moltissimo per allontanare questo pericolo. Un esercito numeroso fu allestito nel 1149 ed una flotta di molte navi, rinforzata da sessanta galee veneziane, fu mandata a riconquistare Corfù; nonostante privi di aiuto e a corto di vettovaglie, i mille Siciliani del presidio resistettero eroicamente per tre mesi e solo quando i viveri furono terminati si decisero alla resa; ma questa fu onorevole per i difensori che pretesero ed ottennero di uscire liberi con le armi, i bagagli e tutti gli onori di guerra.

Poco tempo dopo il medesimo valore siciliano-normanno fu mostrato in un'altra operazione, condotta con grande ardimento: quaranta galee dell'armata di Ruggero sempre al comando di GIORGIO ANTIOCHENO, passarono i Dardanelli, si presentarono davanti alle acque di Costantinopoli che tempestarono di saette incendiarie. Si narra, che l'audacia degli assalitori fu così tanta che alcuni di loro scalarono le mura dei giardini imperiali e ne asportarono i frutti migliori. Uscite dal Mar di Marmara, le galee siciliane si scontrarono con la flotta bizantina, e, se non la sconfissero, le recarono gravi danni; riuscirono pure a liberare il re di Francia il quale, reduce da un'infelice spedizione in Terrasanta, era stato catturato dai Greci.
La guerra tra Ruggero e i Bizantini, durò ancora qualche tempo: un esercito greco si era spinto ad assediare Brindisi, ma fu sbaragliato e catturarono il generale che lo comandava; un'altra flotta più tardi fu distrutta dall'armata siciliana e lasciò nelle mani del nemico l'ammiraglio; un'altra flotta a dare una mano ai Normanni ci pensò il mare, quando una flotta bizantina diretta in Puglia fu dispersa e distrutta da una tempesta.
Infine, più per i rovesci che per le preghiere di papa EUGENIO II, furono avviate trattative fra i due stati per giungere ad una pace e questa fu poi conclusa nel corso del 1150.

SPLENDORE DEL REGNO DI SICILIA SOTTO RUGGERO II

La guerra contro l'impero bizantino fu l'ultima che Ruggero ebbe a sostenere. In pace trascorse gli ultimi anni della vita, che dedicò a render prospero con i commerci e le industrie il suo regno, salda la monarchia grazie ad un governo saggio, illuminato ed energico.

"Il sistema sul quale era fondato il governo di questo stato, era quello stesso che predominava in tutto l'Occidente; ma fin da principio il monarca era riuscito a stringere salda in pugno la spada del comando: per cui ai discendenti degli avventurieri, che, come eguali, avevano seguito gli Altavilla, fu impossibile, quando questi con le conquiste andarono a costituire la nobiltà baronale del regno meridionale, di separare, senza proprio danno, i loro interessi dagli interessi dinastici di questa famiglia. Ambiziosi ci furono, già con il Guiscardo, ma avevano solo la presunzione, non le capacità, e molti li abbiamo visti tentare il colpo, ma anche finire miseramente o a sottomettersi.

"Una saggia amministrazione provvedeva ai rapporti di questo ceto che era emerso a fianco degli Altavilla, con il resto della popolazione; pertanto la tirannide feudale, che ancora a questi tempi infieriva nella maggior parte dell'Europa, trovò nel re un fortissimo repressore. La legge, come multava di morte il giudice che aveva pronunciato un'ingiusta sentenza, così puniva severamente le violenze, le spoliazioni, gli arbitri del più forte. La vita municipale dovette anch'essa confondersi, perdersi in quell'ordinamento, per cui mezza Italia ebbe politicamente l'unità con un governo centralizzato forte; tuttavia a molte città furono concesse importanti franchigie; molte conservarono il diritto di nominare i propri amministratori; specialmente Napoli, Gaeta, Amalfi, Bari, Messina, Palermo poterono godere di grande prosperità; e il popolo italiano di quelle province, chiamato negli eserciti normanni fino dai tempi di Roberto Guiscardo, fu sottratto ai funesti effetti delle fiacchissime dominazioni anteriori (Lanzani)".

Mai, una monarchia, si era vista innalzarsi a tanta potenza, dopo pochi lustri dalla sua costituzione, e questa fu la grande gloria di Ruggero II il quale seppe mantenere nei suoi domini quanto di buono vi aveva trovato, seppe con la sua saggezza stringere in un saldo organismo popoli diversissimi per razza, temperamento, religione e civiltà, seppe promuovere le industrie e rivaleggiare nel commercio con le floridissime repubbliche di Pisa, Venezia e Genova; proteggere le arti e la cultura chiamando intorno a sé da ogni paese grandi ingegni, e abbagliare con lo sfarzo della sua corte, del suo tempo da nessun'alta superata.

Ci appoggiamo qui ad un altro originale e interessante passo di LA LUMIA:

"Ruggero. Lo seduceva a preferenza quella civiltà musulmana della quale in Sicilia e a Palermo viveva e si spiegava il prestigio; il nuovo trono cristiano si circondava di pompa e di splendore orientale. Uno storico arabo poté lodar più tardi il monarca normanno di avere preferito agli usi dei Franchi quelli dei sovrani islamici; poté lodarlo di una imparziale giustizia che nei suoi tribunali era esercitata (quando fu giudicato perfino il suo stesso figlio); poté attestare l'amore meritatosi dai Saraceni suoi sudditi che spesso proteggeva contro alcuni rozzi Franchi.
Battezzato dall'Eremita S. Bruno, continuando nei regi diplomi i titoli assunti dal padre di "pio e potente in Cristo e aiutator dei Cristiani", riuscì per i modi, le maniere, le inclinazioni ai gusti, ad eccitare la meraviglia e lo scandalo di seguaci più rigidi del proprio suo culto. La corte e il governo respiravano la presenza e l'influsso più dei vinti che dei vincitori. La cancelleria era musulmana; e musulmana era la finanza, la zecca, le leggende scolpite che le monete riportavano; i Musulmani frequentavano le sale del palazzo, occupavano alti uffici, sedevano nelle regie consulte; parecchi forse mostravano per convenienza di accettare il Vangelo, ma nessuno si metteva ad indagare se le conversioni erano sincere o dubbie; la tolleranza era grande.
La guardia del re si componeva di arcieri saraceni; un intero corpo di milizia saracena era in permanenza al suo soldo, e come abbiamo visto nelle varie battaglie, l'accompagnavano nelle imprese fuori dall'isola a fare con Ruggero conquiste.

"In quella reggia, si potevano incontrare ad ogni passo un prelato, un feudatario cristiano e un Khàid islamico. E Ruggero, da legato apostolico, assisteva alle sacre funzioni coperto da una ricca dalmatica trapunta a cifre cufiche in oro, portante la data dell'Egira musulmana.
"Il castello di un nuovo barone, un villaggio degli Arabi, un'antica città di denominazione greca o romana, una fresca colonia lombarda, di quelle introdotte dal Conte, e alcune arrivata più tardi, potevano trovarsi in Sicilia nello spazio di poche miglia soltanto; nella stessa città, con la vecchia popolazione nativa, un quartiere di Saraceni o di Ebrei, un altro di Franchi, di Amalfitani o Pisani; e dappertutto in quei diversi abitanti, di tipo diverso c'erano le tranquille apparenze di concordia reciproca. I Mélcovenent, i Grentsménil, gli Avenel, i Berlais, i De Lucy e gli altri signori scesi dalla Normandia o dalla Bretagna a seguire le insegne del Conte, vivevano in pace con i feudatari vicini di origine lombarda o pugliese, con i locali antichi nobili investiti di feudi o con i Saraceni, cui, a titolo allodiale o feudale, si lasciavano gli antichi possessi; i suffeudi, nelle grandi contee, creavano una serie di rapporti promiscui di signoria e vassallaggio tra uomini differenti di schiatta.

"Se l'elemento normanno e francese prevalse nell'aristocrazia baronale in proporzione maggiore degli elementi natii, in compenso questi ultimi predominavano nelle cariche militari o civili, in cui fin dal principio, sui nomi francesi abbondavano i nomi latini, i nomi arabi o greci.
Per ciascuna nazione, come c'erano i propri codici e le consuetudini proprie, così c'erano i propri notai che ne registravano gli atti concernenti le persone e gli averi, né c'era preminenza di ragioni e di diritti dell'una gente sull'altra.
La campana di una chiesa novella, il salmeggiare dei monaci in un nuovo convento si univa al grido che dai minareti alzavano i muezzin, chiamando alla preghiera i credenti. Presso il culto latino, modificato secondo le norme della liturgia gallicana, perduravano i riti e le cerimonie dei Greci-Bizantini, allo stesso modo le discipline e le osservanze degli ebrei con la loro legge mosaica.

"Le strade, le piazze, i mercati offrivano un singolare miscuglio di costumi e di fogge; il breve saio latino, la tunica greca, il turbante orientale, il bianco mantello degli Arabi o la ferrea cotta di cavalieri normanni; differenza di abitudini, feste, esercizi, spettacoli, contrapposti infiniti e continui, che però armonizzavano il complesso.
L'agricoltura e l'industria prendevano dalle pratiche antiche e indigene, oppure da quelle introdotte dagli Arabi. Gli opifici della seta erano nella reggia medesima, e alla corona di Ruggero poterono i donzelli e gli scalchi mostrarsi ornati di stoffe, che erano una volta sfoggio dei soli Augusti d'Oriente.
Il commercio si animava, per cui sorgevano e prosperavano allora le mercantili repubbliche delle coste italiane. L'arte, ereditando le tradizioni degli Arabi e accoppiandovi insieme i cristiani elementi, alzava edifici di una magnificenza incredibile. La reggia e la cappella di S. Pietro in Palermo, il Duomo di Cefalù, il castello di Faworah (Favorita) o Mardolce, l'altro di Mimnermo o Menani, erano opere intraprese e condotte allora; e dinanzi a quelle moli superbe, la curiosa attenzione di chi giungeva dall'Occidente rimaneva abbagliata, e l'immaginazione orientale si trasportava a meraviglia e delizie appena viste nel mondo, o vagheggiate soltanto nei suoi poetici sogni.

La capitale dell'isola, con i viventi ricordi dei suoi emiri gelbiti, e con il moderno splendore di quella corte normanna, a fronte delle rozze città del continente europeo, delle stesse italiane città poste tra le Alpi ed il Tevere, si offriva prodigio di eleganza e di lusso; all'entusiasmo e all'iperbole ricorrevano a chi la descriveva; era lì che Ruggero, e degnamente, sosteneva la sua gloria, Ruggero il re dei re tra i Cesari. Sommata ogni cosa, non c'era altro regno che si volesse preferire alla Sicilia, né fra i principi e monarchi dell'epoca, chi tale era poteva eguagliarsi a Ruggero".(La Lumia)

Ruggero il re di Sicilia ebbe quattro figli -che altrove abbiamo nominati- ma di questi sopravvisse solo uno: GUGLIELMO, il terzogenito. ENRICO, il primogenito morì adolescente; ANFUSO, principe di Capua e duca di Napoli morì nel 1144 e nel 1148 morì RUGGERO duca di Puglia, che lasciò due figli naturali: Tancredi e Guglielmo.
Nel 1151, il terzogenito GUGLIELMO, che era succeduto al fratello nel ducato pugliese, fu dal padre associato al regno e incoronato a Palermo.

Ruggero essendogli morta da tempo la moglie Elvira, della famiglia regnante di Castiglia, era passato in seconde nozze con Sibilla, figlia del duca di Borgogna, e, morta poco dopo anche questa, sposò Beatrice, figlia del conte di Rethel, dalla quale nacque COSTANZA; la donna che porterà la corona di Sicilia agli Svevi.
Ma Ruggero non la vide nascere: lui morì prima che venisse al mondo, il 24 febbraio del 1154, nel cinquantanovesimo anno di età e nel ventiquattresimo di regno.

Lasciamo ora il Regno Normanno e riportiamoci alla morte dell'imperatore Lotario, avvenuta nel 1137; agli avvenimenti con la sua successione in Germania e in Italia e la nomina di CORRADO II.

Ma dobbiamo pure ritornare a quella rivoluzione Romana che abbiamo appena accennato sopra,
quando nel volerla stroncare morì con la spada in pugno papa Lucio II.
E insieme a Roma parleremo anche di un grande personaggio Arnaldo da Brescia

ed è il periodo
dall'anno 1138 al 1152 > > >


(VEDI ANCHE I SINGOLI ANNI o nella TEMATICA)

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
LANZONE - Storia dei Comuni italiani dalle origini al 1313
GREGORIUVUS - Storia di Roma nel Medioevo - 1855

L.A. MURATORI - Annali d'Italia
MAALOUF, Le crociate viste dagli arabi, SEI, Torino 1989
J.LEHMANN, I Crociati,- Edizioni Garzanti, Milano 1996
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

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