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ANNO 1943

23 Settembre 1943
Un bombardamento alleato su una cittadina del Sud

di Orazio Ferrara


Nella storia più che millenaria di Sarno il 23 settembre 1943, giovedì, resta sicuramente una delle date più nefaste. Paragonabile, per il suo immenso carico di lutti, soltanto alla tragica giornata del 5 maggio 1998.

Quel giovedì terribilis, per tanti Sarnesi, la morte arrivò rapida dal cielo con i capaci ventri metallici dei bombardieri americani.

"Thursday, 23 september 1943 Mediterranean theater of operations Western Mediterranean (Twelfth Air Force): In Italy, XII Bomber Command B-26's bomb bridges at Cancello Arnone and 3 miles (4.8 km) NE of Capua; planes of the NATBF and XII Air Support Command attack motor transport, roads, railroads, town areas, gun positions, and targets of opportunity in the areas of San Severino Rota, Avellino, Sarno, Torre Annunziata, Aversa, Nocera, Resina, Serino, Pompei, and Camarella.
The 525th Fighter-Bomber Squadron, 86th Fighter-Bomber Group, transfers from Barcelona, Sicily to Sele Airfield, Italy with A-36's."
(Giovedì, 23 settembre 1943 Teatro Mediterraneo delle operazioni Mediterraneo Ovest (Dodicesima Forza Aerea): In Italia, B-26 del 12° Comando Bombardieri bombardano un ponte a Cancello Arnone e a 3 miglia (4,8 Km) a Nord-Est di Capua; aerei del NATBF e del 12° Comando di Supporto Aereo attaccano trasporto a motore, strade, ferrovie, aree di città, posizioni di artiglieria, ed opportuni obiettivi nelle aree di San Severino Rota, Avellino, Sarno, Torre Annunziata, Aversa, Nocera, Resina, Serino, Pompei e Camerelle. Il 525° Squadrone Cacciabombardieri, dell'86° Gruppo Cacciabombardieri, si trasferisce con gli A-36 da Barcellona, Sicilia, al campo di aviazione del Sele, Italia).

Queste le scarne righe con cui nel Combat Chronology of US Army Air Forces: september 1943 (Cronologia dei combattimenti delle Forze Aeree militari degli Stati Uniti: settembre 1943) si riporta l'azione di guerra su Sarno ed altre sfortunate città. Dal laconico diario dell'Air Force veniamo a conoscenza che gli aerei, che operano sulla nostra cittadina, appartengono al NATBF (Northwest African Tactical Bomber Force ovvero Forza da bombardamento tattico dell'Africa del Nord-Ovest) e al 12° Comando di Supporto Aereo. Ambedue i gruppi, con basi in Tunisia, sono integrati, dal 1 settembre 1943, nella 12a Forza Aerea degli Stati Uniti, cui è assegnato il fronte mediterraneo.

I tipi di aerei americani che sfrecciano nei cieli di Sarno in quel fatidico giorno sono, per il NATBF, il bombardiere Douglas A-20, il famoso Boston, con quattro uomini di equipaggio e con un armamento offensivo di 1814 chilogrammi di bombe. Questo tipo di aereo è in realtà utilizzato anche come cacciabombardiere, per il suo ottimo armamento difensivo di mitragliatrici e cannoncini da 20 mm. Comunque la copertura contro la caccia tedesca è affidata, in quell'azione, ai caccia americani Curtis P-40 "Warhawk" del 12° Comando di Supporto Aereo (XII Air Support Command). L'armamento offensivo del Curtis è rappresentato da 6 mitragliatrici da 12,7 mm. Però anche questo tipo di aereo è usato come cacciabombardiere, potendo trasportare un carico supplementare di 680 chilogrammi di bombe.

Ma veniamo alla giornata di giovedì 23 settembre 1943. Fin dalle prime ore del mattino cominciano le incursioni aeree degli Alleati sulla Valle del Sarno, per contrastare qualsiasi azione di contrattacco delle forze tedesche tesa ad alleggerire la pressione sulle loro colonne in ripiegamento. Il continuo martellamento aereo è stato disposto dal Comando Alleato, deciso a non dare altre chances ai Tedeschi, i quali, solo pochi giorni prima, sono stati sul punto di ributtare a mare gli Anglo-americani. Allora la situazione era stata così critica che alcuni reparti inglesi si erano perfino ammutinati, rifiutandosi di raggiungere la linea del fuoco.
Quest'oscuro e grave episodio di insubordinazione, sempre taciuto, uscirà dagli archivi militari solo alla fine degli anni Sessanta.

Per Sarno l'acme dei bombardamenti si ha nel primo pomeriggio, quando, all'improvviso, dalla collina del castello sbucano una quindicina di aerei americani, che virano subito verso il centro cittadino, quasi avessero un obiettivo prestabilito. Sono circa le ore 15.00 e per gli abitanti della nostra cittadina, già duramente provati da un rastrellamento tedesco avvenuto in mattinata, è l'inizio di un vero e proprio inferno.
Grappoli di bombe distruggono interi caseggiati, seminando la morte a piene mani. Alla fine del raid si contano quasi un centinaio di vittime, molte orribilmente straziate. A vico San Martino la strage più esecrante, il villino De Masellis, centrato in pieno da una bomba, è praticamente polverizzato. Nel villino, ubicato alle prime pendici del Saretto, avevano cercato rifugio una cinquantina di persone. Non se ne troverà viva neanche una.

Oltre a vico San Martino, vengono colpiti il vecchio compreso di case dei Robustelli all'inizio di via Fiume (ora via Onofrio Tortora), un fabbricato all'angolo di vico Primicerio, diverse case al vico San Michele e al vico dei Miracoli. Completamente sventrata la parte mediana di via Laudisio, dove sono letteralmente scomparsi i palazzi dei Cotini e degli Squillante. Vari altri edifici sono gravemente danneggiati in tutte le zone adiacenti ai vicoli ed alle strade appena citati.

Del perché gli aerei americani abbiano colpito il cuore della città e non, invece, lungo viale Margherita sotto i cui platani ancora il giorno 23, come testimonia il Ruocco per averla vista di persona, è riparata una forte colonna di carri armati tedeschi (colonna certamente segnalata dalle numerose spie in zona) sembra apparentemente inspiegabile. Osservando su una cartina topografica le zone in cui sono cadute le bombe, si nota che le stesse insistono tutte in un cerchio dal raggio di qualche centinaio di metri, il cui centro coincide grosso modo con la piazzetta Capua, detta anche dei Morti. Anche la subitanea virata che, per concorde racconto di molti testimoni oculari, gli aerei hanno effettuato subito dopo essere sbucati dalla collina del castello, lascia intuire che gli stessi avessero un obiettivo prestabilito.

Ora nella piazzetta Capua o dei Morti in cui si apre il vico o pendino di San Martino, escludendo per ovvi motivi le due chiese delle Tre Corone e dell'Immacolata, come eventuale obiettivo sensibile non resta che l'imponente settecentesco palazzo Capua, già Ungaro. Ma perché quest'ultimo e non la colonna corazzata di viale Margherita? La spiegazione è che gli Americani hanno saputo, tramite i loro servizi di intelligence imbeccati da spie locali, che il comando delle forze tedesche della zona è dislocato a villa Capua. La cosa risponde a verità, ma si tratta della villa Capua sita alla via Bracigliano e non del palazzo Capua della piazzetta dei Morti. I due edifici peraltro sono assai distanti tra loro. Questo banale, ma tragico equivoco in cui incappano gli Alleati li porterà a bombardare una zona che, proprio per la mancanza di obiettivi militari, era ritenuta sicura dai Sarnesi. Il risultato è un altissimo tributo di sangue innocente. Annotiamo che, per ironia della sorte, il palazzo Capua verrà soltanto sfiorato da quella tempesta di ferro e fuoco, e che quindi non si sarebbe comunque raggiunto il risultato.

Dopo il terribile bombardamento le vittime, come accennato, assommano a quasi un centinaio, tra cui numerosissimi i bambini. Particolarmente straziante la scena al civico 53 di Corso Umberto I, dove trovano orribile morte, tra le braccia del padre pietrificato, l'avvocato Salvatore Crescenzi, i piccoli Cecilia di anni 12 e Michele di anni 9, colpiti da scheggioni di bombe. Ma l'episodio che raggela il cuore di tutta la città è l'ecatombe del villino De Masellis. Di fatto sterminata la numerosa famiglia del nuovo proprietario del villino, il capitano dei Reali Carabinieri Nilo Esposito. La strage di vico San Martino provoca un'ondata di sdegno generale contro i bombardamenti indiscriminati sui civili da parte degli Americani, corrivi a questo tipo di comportamento come dimostrano le sanguinose incursioni, sempre su Sarno, dei giorni precedenti. Molti osservano amaramente che i liberatori Alleati non si presentano certo col volto migliore, anzi spesso danno punti ai Tedeschi.

Abbiamo ricostruito le ultime ore del capitano Esposito e sembra che egli, spinto da un destino beffardo, abbia fatto di tutto per non mancare al fatale appuntamento. Il capitano dei Reali Carabinieri Nilo Esposito, di Antonio e di Orza Ester, nasce a Sarno il 15 maggio 1878. Nel settembre del '43 presta servizio a Salerno presso l'Ufficio Censura. Quando infuriano i combattimenti tra i due eserciti contrapposti, cerca disperatamente di raggiungere la sua famiglia a Sarno. Fortunosamente riesce ad attraversare la linea del fronte e il giorno 22 settembre giunge sfinito a Striano, dove ha dei parenti. Trova ospitalità per la notte presso la famiglia Risi.
L'alba di giovedì 23 lo vede già sveglio. Dopo aver consegnato la sua pistola d'ordinanza ad Alfonso Risi nel timore di un'eventuale perquisizione di qualche pattuglia tedesca, si avvia a piedi verso Sarno. Vi giunge dopo mezzogiorno a causa di un lungo giro fatto per aggirare i diversi ponti minati e distrutti sul fiume.
Si crede ormai al sicuro tra l'affetto dei familiari, quando si sente il sordo rumore di aerei in avvicinamento.
Muoiono con il capitano Nilo Esposito, la moglie Manca Antonietta, nata ad Alghero, di anni 45 e i figli Ester di anni 20, Aldo di anni 18, Dora di anni 15, Oscar di anni 14 e Antonio di anni 7.
Si salvano, perché in quell'occasione non presenti nel villino, gli altri due figli Vittoria detta Vivina e Gianfranco. Muore anche il fidanzato della figlia Ester, il sottotenente medico Francesco Bruno Murdaca di anni 26. Originario di Sant'Ilario Ionico, fino all'8 settembre 1943 è stato in forza all'ospedale militare di Sarno, allocato nella scuola De Amicis. Nel triste episodio perdono la vita altri parenti del capitano, tra cui le giovani studentesse Titina e Iole Esposito, rispettivamente di anni 18 e 16, unitamente alla loro madre Grazia Cardaropoli.

Tra le decine di vittime del villino De Masellis vi sono anche il gioielliere napoletano Filippo Corsi di anni 53 e i suoi tre figli, Clara di anni 20, Iolanda di 16 e Aldo di 14. Dopo la morte del Corsi, per lungo tempo si è favoleggiato quale fine avesse fatto il tesoro di pietre preziose, che il facoltoso commerciante portava sempre con sé. Tesoro che pare ammontasse a svariati milioni dell'epoca. La conferma che il tesoro esistesse effettivamente e che anche in quell'occasione il Corsi l'avesse presso di sé e che, per il tipo (diamanti?), non avesse subito danni nell'esplosione, ci è data dal Ruocco che racconta del ritrovamento, sul luogo della strage, di una sola pietra preziosa dal valore di circa un milione.
E le altre pietre? A tutt'oggi resta ancora un mistero. Solo sussurri……

Orazio Ferrara

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