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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1923 (8)

I CATTOLICI, PRIMA, DURANTE, DOPO LA GUERRA

(L'argomento trattato, volendo farne una sintesi più ampia (1919-1928) viene integralmente preso dal
Consuntivo Ufficiale - Pubblicazione Nazionale
dell'anno 1928;
A firma dell'ecclesiastico Camillo Panizzardi
(piuttosto blando, ma - ricordiamo. in corso ci sono trattative per il Concordato)
(Nelle pagine del 1929, seguirà poi la Storia del "Concordato" - Relazione - Atti del Parlamento
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(i testi sono integrali e fedeli alla citata "Pubblicazione" che possediamo in originale)

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Da pag. 439 a pag. 445

 

La presa di posizione del Papa (Benedetto XV), quando dichiarò (1 agosto 1917, due mesi prima di Caporetto) che la guerra era una "inutile strage", fece molto scalpore, ed ebbe un effetto devastante sul morale dei soldati e degli italiani tutti, il cui sentimento della grande maggioranza era intimamente religioso. Cadorna era infuriato e non ne fece mistero; "uno dei massimi ufficiali del comando di Cadorna affermò che il papa doveva essere impiccato" (Martin Clark, Storia dell'Italia contemporanea, Bompiani, p.270). Quel che è certo è che la nota del Papa fu ritenuta in parte responsabile dell'insurrezione di Torino tre settimane più tardi (22 agosto), e della disfatta di Caporetto (24 ottobre) (vedi i due fatti in "Riassunti Storia d'Italia").

(extra - non contenuto nel Consuntivo Ufficiale)
Era questo un momento molto difficile per l'Italia, come se non bastasse la difficile situazione dell'isolamento della Santa Sede contristata dalla lunga apostasia ufficiale, a causa dell'irrisolta questione romana.
Il papa nella sua "Nota ai capi dei popoli belligeranti" parlava di PACE, e contrariamente alla prassi diplomatica della S. S., la nota fu subito resa pubblica sulla stampa, sollevando una impressione enorme; per la estrema delicatezza del critico momento,
in cui c'erano già gravi crisi di sfiducia; vi erano contrasti fra i capi militari; c'era l'inasprimento della disciplina nell'esercito; era noto il rifiuto del governo italiano alle varie proposte di pace; inoltre si stavano riprendendo le operazioni sui vari fronti.

Proprio in quegli stessi giorni di agosto (
dopo la micidiale 11ma battaglia dell'Isonzo - Monte Santo - Bainsizza, 18 agosto- che costò all'Italia un numero elevatissimo di perdite: 165.000 uomini fra morti e feriti) si sapeva che gli austriaci stavano preparando un'altra poderosa offensiva in più settori con sette divisioni tedesche, accanto a otto divisioni austriache. Quelle parole per i combattenti italiani ebbero una portata immensa, che andavano ben oltre il pensiero di chi le aveva formulate. Milioni di italiani che si maceravano nelle trincee non potevano non chiedersi "ma se la guerra è una inutile strage, perchè continuiamo a combattere? Perchè non la finiamo subito, gettando le armi?" (e poche settimane dopo lo fecero per davvero)

Quelle parole di pacifismo, prima bombardarono il Parlamento scatenando baruffe, poi si propagarono nelle piazze. Lo sciopero di Torino fu una vera e propria insurrezione; era nata per la mancanza di pane, ma si trasformò in aperta ribellione contro la guerra, e nacque così autonoma che colse di sorpresa perfino i socialisti che da mesi, anni, la piazza la incitavano proprio contro la guerra. Ci furono barricate, scontri sanguinosi contro l'esercito inviato a reprimere la rivolta; italiani contro italiani, come se non bastassero quelli che si stavano da tre anni già scannando in Trentino o in Friuli. E sembrò la rivolta senza sbocco quando in alcuni casi i soldati solidarizzarono con gli insorti, consegnando loro le armi.
Poche settimane dopo ci fu la frana di Caporetto. Lo sciopero generale applicato alla guerra.
Ma da una parte sola !! In quella Italiana !! Gli altri, invece agendo, la stavano vincendo!

Se veramente fosse scoppiata la pace, con il Papa patrocinatore, lui sarebbe stato sicuramente seduto al tavolo di una "pace bianca", senza vinti e vincitori (ma questo il 1° agosto, mentre il 24 ottobre gli austriaci erano i vincitori e stavano dilagando già al di quà del Piave, in Veneto, con l'intenzione minacciosa di puntare sul Mincio e ritornare -come nel '49 - a Milano.
Questa pace (se accettata) avrebbe inoltre indirettamente dato ragione (era una provvidenziale occasione rivoluzionaria) ai socialisti (e futuri comunisti) che la guerra non l'avevano mai voluta. Anzi paradossalmente quando, pochi giorni dopo Caporetto, questi furono abbacinati dalla Rivoluzione Russa, credettero che (con i soldati e il popolo demoralizzati da tre anni di guerra) la rivoluzione la si potesse fare anche in Italia; che la conquista del potere era cosa fatta; che sarebbe bastato uno scossone alla pianta borghese per far cadere nella cesta proletaria il frutto ormai maturo. Sbagliarono tutto. L'Italia non era la Russia!

Abbiamo detto paradossale, perchè all'"inutile strage" posero invece fine proprio la Russia, facendo appunto abbacinare e sperare i socialisti-comunisti nostrani. I Russi, stanchi pure loro della guerra, con un esercito anarcoide disintegrato (poco più o poco meno come quello italiano a Caporetto), firmarono con gli Imperi centrali la pace (separata) di Brest-Litovsk , accettando le umilianti condizioni e le mutilazioni del territorio, dedicandosi più soltanto alle lotte politiche in casa propria. Con una conseguenza poco simpatica per l'Intesa, perchè gli Imperi centrali riversarono sul fronte occidentale i soldati fino allora impegnati a est. Non solo, ma i Russi, oltre alle mutilazioni di territorio dovettero fornire materiale bellico alla Germania e beni di consumo per uso civile all'Austria trovandosi questa ormai allo stremo.

Proviamo a pensare cosa sarebbe successo in Italia se avessero ascoltato il Papa. Quale umiliante trattato di pace ne sarebbe venuto fuori. E se la vittoria italiana del 4 novembre 1918 fu poi battezzata una "Vittoria mutilata", figuriamoci cosa sarebbe successo con la pace proposta da Benedetto XV, che nella sua nota indicava "alcuni punti guida per le trattative, fra cui un ricorso all'arbitrato internazionale, e il disarmo delle parti contendenti che avrebbero poi dovuto esaminare con spirito conciliante le questioni territoriali".
(l'intera nota, è riportata in queste pagine)

Chiedeva insomma la restituzione dei territori occupati. Affidandosi alla generosità del più forte. E in agosto con la messa a punto di un grande piano offensivo austro-tedesco, il più forte indubbiamente era l'Impero centrale (si era svolta l'11ma battaglia dell'Isonzo, seguita poi da Caporetto).
Francia, Italia e Russia, cui si unì poi l'Inghilterra, stabilirono di non dare risposta alcuna alla nota pontificia. A dire il vero neppure negli Stati Uniti gradirono la nota.
La guerra rappresentava ormai una colossale speculazione, e partito il volano del "grande affare", soffrivano di dover smettere prima ancora di cominciare". Il 30 agosto, il presidente WILSON con tono quasi insolente che rendeva più aspro il rifiuto, volle anche aggiungere "Ogni cuore che sanguina per l'orribile guerra può essere toccato dall'appello del Papa, ma sarebbe tuttavia folle seguire la via di pace che esso indica, perché non conduce allo scopo ricercato". La risposta del Presidente degli Stati Uniti fu accolta con grande favore in Italia da tutti coloro che erano per la guerra ad oltranza e il nome di Wilson fu portato alle stelle. Un po' meno a Roma, anche perchè un'intervento massiccio dell'America avrebbe sicuramente ribaltato la situazione in Europa con tutte le conseguenze - come infatti poi avvenne.
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Fin dall'inizio delle ostilità, gli interventisti democratici pensavano che il Papa fosse troppo vicino all'Austria cattolica; quindi al pari dei socialisti, i cattolici erano tacciati di disfattismo. E se non proprio disfattismo, questa singolare nota papale (dopo tre anni di immani tragedie) indubbiamente rafforzò l'opposizione alla guerra anche a quelli che all'inizio l'avevano appoggiata.

Al neutralismo socialista e giolittiano si affiancava quello cattolico ma per ben altre ragioni.
Al Vaticano l'Italia (Unita) era dal 1870 che appariva infida. A Roma quel palazzo ch'era stato la residenza dei Papi, era diventato la reggia di "colui che detiene". Quanta amarezza (per non dire rancore) doveva serpeggiare nella Roma papalina nel suo completo isolamento.
L'Austria invece era la nazione cattolica per eccellenza, la più devota; la Chiesa in tutti gli anni della Restaurazione, aveva trovato sempre nella secolare dinastia asburgica la difesa maggiore contro gli italiani che tentavano di "usurpare" il potere temporale, e che alla fine, in un famoso XX settembre del 1870 c'erano anche riusciti.
E' naturale, quindi, che Benedetto XV guardasse con simpatia a Vienna e trepidasse per le sorti della vecchia monarchia, tanto più che quella italiana di tanto in tanto aveva delle forti impennate anticlericali. Un ministro, il Luzzatti, aveva persino vagheggiato di ampliare il concetto cavourriano di "Libera Chiesa in libero Stato" in "Libera Chiesa nello Stato Sovrano". A Roma nelle sacrestie si vociferava che Vittorio Emanuele III fosse massone. La stessa Roma (dal 1907 al 1913) era governata da un sindaco che era il capo della massoneria (Ernesto Nathan). Quindi odore di zolfo. E a Roma forse poche settimane dopo non dispiacque la tragica disfatta italiana di Caporetto. Anzi se fosse finita in una disfatta totale con gli austriaci vincitori, a Roma sicuramente sarebbe tornato il potere temporale del Papa (grazie proprio agli autriaci), come nel '48.

Questo lo aveva già ipotizzato Mussolini durante il periodo della neutralità quand'era in forte contrasto con i socialisti; in un discorso tenuto a Parma il 14 dicembre, aveva dichiarato: "I preti non vogliono la guerra contro l'Austria, perchè è la nazione cattolica per eccellenza, ove l'imperatore segue a capo scoperto il baldacchino nelle processioni del Corpus Domini ed ove in un congresso, presente l'arciduca ucciso a Sarajevo, si facevano voti ufficiali per il ristabilimento del potere temporale. Se noi restiamo neutrali il papa Benedetto XV, che accoppia alla trinità dei suoi difetti fisici, qualità intellettuali e morali inquietanti, troverà modo, direttamente o per interposta persona, di porre nel prossimo congresso della pace la questione romana. Torneremo indietro: a discutere un fatto compiuto, irrevocabile e lo dovremo in parte all'atteggiamento conservatore, assolutamente anti-rivoluzionario e anti-socialista dei socialisti italiani".

Infatti, dopo la dichiarazione di guerra all'Austria gl'imperi centrali tentarono di metter contro il Governo italiano e la Santa Sede e di riaprire la mai risolta "questione romana", facendo gridare dalla loro stampa che l'intervento italiano aveva dimostrato come la famosa legge delle guarentigie non assicurasse in alcun modo al Pontefice il libero esercizio della sovranità spirituale; e sulla "questione romana" scrissero chiaro e tondo "...solo una vittoria degli Imperi centrali avrebbe potuto riaprirla e risolverla, ripristinando il potere temporale".

Sta di fatto che nel fatidico anno di neutralità i cattolici furono obbedienti al Vaticano; i socialisti ufficiali e i giolittiani, tutti con sfumature diverse, tutti con fini diversi, tutti traendo il loro convincimento da ragioni diverse, erano concordi nell'impedire l'entrata in guerra dell'Italia.

Quello cattolico era però il neutralismo più subdolo, perchè parlava in nome di un'etica trascendentale (anche se mirava al ristabilimento del potere temporale); quello socialista era il più rumoroso e si richiamava anch'esso a motivi di ordine superiore, ma finiva per cadere nella pozzanghera dell'antipatriottismo più sbracato (non così i loro cugini internazionalisti tedeschi, che risposero sì alla guerra proprio in nome del nazionalismo); quello giolittiano era il più pericoloso perchè parlava al portafoglio della borghesia, che con la neutralità avrebbe fatto lauti guadagni (anche se qualche malalingua ebbe il sospetto che Giolitti machiavellicamente volesse rovesciare Salandra e sostituirsi per fare lui la guerra, completando "lui" il Risorgimento. Del resto in tempi passati gli era stato facile, ritirarsi dal governo quando gli faceva comodo, per poi ripresentarsi nel modo più impensato; lasciava il potere poi lo riafferrava quando si stavano decidendo grandi cose (vedi il suffragio universale), per deciderle lui, essere lui il protagonista. Insomma i precedenti giustificano più di un sospetto di quelle malalingue).
(Bibliografia: Renato Marmiroli, "Storia amara del socialismo italiano". ed. La Nazione, 1964 - pag. 280 e seg.)

Torniamo al Vaticano; in effetti la Chiesa tutta, non prese minimamente parte direttamente alla guerra, e pur nell'ambiguità (il 1870 non era per nulla ancora stato digerito - e lo Stato Vaticano non esisteva ancora) tuttavia nel corso del conflitto organizzò un gran numero di opere di assistenza, e ondeggiando dal nazionalismo al pacifismo, i vescovi, i curati e i cappellani, esortavano i propri fedeli a "fare il loro dovere" di cristiani e di soldati. La messa domenicale perfino in trincea era un appuntamento fisso; l'80-95 per cento dei combattenti facevano la santa comunione).
I pochi cappellani già inseriti da tempo nell'esercito, ebbero però molte crisi di coscienza nel vedere le immani carneficine sul Carso (oltre 500.000 morti). E se le avevano loro, chissà quelli che dovevano sparare, o (in quell'azione cadorniana più in uso) andare all'assalto alla baionetta per sventrare la pancia di qualche austriaco.
Fino al 1917 (cioè prima di Caporetto), forse perchè per nulla sentita dalle altre popolazione che però venivano chiamati a farla, la guerra non era molto popolare. Soprattutto quando (i richiamati dal sud o dal centro Italia) vedevano il teatro di guerra (quel terreno sassoso del Carso senza un albero né un filo d'erba); molti proprio non capivano. Nè capivano l'"irredentismo".

Ma dopo Caporetto, con gli Austriaci sul Piave, arrogantemente intenzionati ad arrivare a Venezia e superando il Mincio perfino a Milano, le cose cambiarono; il conflitto si era fatto serio, toccava un po' tutti; e anche i generali e i politici "guerrieri", avevano bisogno al campo anche di preti-soldati (cappellani); prima come strumento propagandistico, poi anche per far tornare il morale ai soldati il cui sentimento della grande maggioranza -lo abbiamo detto- era intimamente religioso.
Fino allora molti vescovi pur affermando che la guerra era una punizione divina, riuscivano a farla sopportare come una fatalità a chi la combatteva e a chi vedeva i propri compagni morire, o ai congiunti quando ricevevano la ferale notizia, che non sarebbe più tornato a casa il figlio, lo sposo o il padre.
Solo più tardi qualche prete iniziò a fare un serio discorso patriottico, che l'attento Mussolini annotò perfino sul suo diario: "L'Italia anzi tutto e soprattutto" frase detta e gridata da un cappellano in trincea. E "interventista" com'era lui, scrisse "finalmente qualcuno parla chiaro".

In questa circostanza, si è detto che la guerra favorì molto l'annoso processo di riconciliazione tra l'Italia unita e il cattolicesimo organizzato. Ma questo durante e fino all'ultimo giorno del conflitto, poi si tornò a prendere le distanze. E come i reduci, tornati a casa, vilipesi e allo sbando, anche i circa 20.000 cappellani furono abbandonati al loro destino; ma non del tutto, perchè la guerra aveva stimolato anche il processo opposto; ovvero -la costruzione di istituzioni cattoliche indipendenti. E queste stimolarono una serie di iniziative, fondando perfino una confederazione sindacale che rivaleggiava con la Cgl socialista. Che preoccupò non poco, sia il Vaticano, sia i prefetti d'Italia, dato che l'azione di questi cattolici stava prendendo una dimensione sempre più apertamente politica (come quella di don Sturzo, di cui abbiamo parlato in altre pagine; azione -in seguito- poco gradita, sia dal nuovo governo Mussolini, sia
dalla stessa Chiesa ufficiale, che infatti, mandò a dire al prete siciliano (Corriere della Sera, del 25 giugno) a firma di monsignor Pucci, probabilmente ispirato dal Vaticano,"...a non creare eccessivi imbarazzi alla Santa Sede" (in 24 ore gli procurarono un passaporto per l'estero).

Ecco comunque una relazione ufficiale, che ci racconta, il critico periodo del conflitto e gli anni del dopoguerra fino al 1926, a firma di dell'ecclesiastico Camillo Panizzardi nel Consuntivo Ufficiale - Pubblicazione Nazionale dell'anno.... 1928 (non era ancora stato firmato il Concordato, si noti la "sviolinatura" al fascismo)

* * *

I CAPPELLANI MILITARI - PRIMA DELLA GUERRA -
DURANTE LA GUERRA - DOPO LA GUERRA

La legge sull'assistenza spirituale ai militari delle Forze Armate della Nazione è una delle innovazioni compiute dal Governo Nazionale Fascista, che maggiormente riflette, nel campo religioso, le direttive del Duce : pieno riconoscimento della Religione Cattolica.

PRIMA DELLA GUERRA

L'avversione all'idea religiosa, triste retaggio del materialismo una volta predominante, lo scrupolo falso del rispetto alla libertà di pensiero, il pavido timore che l'opera dei Sacerdoti Cattolici potesse svolgersi a danno della Patria, avevano fatto sì che le Forze Militari d'Italia, alla vigilia della grande guerra, si trovassero, a differenza di quelle delle altre Nazioni belligeranti, sprovviste affatto d'ogni assistenza spirituale.

Ma la durezza delle prove imminenti fece sentire tutta l'assurdità di condurre agli estremi cimenti il fiore della giovinezza italiana - nella stragrande maggioranza cattolica - privo dei conforti che dalla Religione poteva trarre. E subito si vide quale immenso coefficiente di coesione e di saldezza morale avrebbe potuto apportare, a complemento del dovere disciplinare ed a rinforzo del sentimento patriottico, il ministero Sacerdotale presso i combattenti ; i quali, sebbene costituiti da elementi di svariate e, talora, avverse ten
denze politiche, erano pronti a ritrovarsi fratelli dinanzi al pericolo, nella comunanza della Fede e dei riti della Religione di Cristo, ispiratrice sempre dei più nobili sentimenti nel cimento e nel sacrificio.

La Chiesa Cattolica per quanto negletta e contristata dalla lunga apostasia ufficiale, sempre maternamente sollecita della salvezza spirituale di tanti suoi figli chiamati a presidiare, con le armi, le fortune della Patria, si trovò pronta a dare, con la più larga benevolenza, tutto il concorso necessario alla organizzazione dell'assistenza religiosa nell'Esercito e nella Marina.

DURANTE LA GUERRA

E fu così che, appena I' Italia entrò in guerra, con disposizioni emanate dai due Poteri, vennero nominati i Cappellani Militari, istituito l'ufficio del Vescovo di Campo e formata la sua Curia. Ove si pensi alla grande rapidità con la quale occorse provvedere, senza alcuna preparazione, alla scelta degli elementi adatti a disimpegnare il delicatissimo ufficio di Cappellano presso le truppe, ed al criterio che si dovette adottare, anche per non menomare l'assistenza religiosa alla popolazione civile, di limitare la scelta ai Sacerdoti aventi obbligo di rispondere alle chiamate alle armi, vien fatto di attribuire ad un singolare favore della Provvidenza se fu possibile reclutare un personale così mirabilmente capace di corrispondere degnamente all'arduo compito.

Dotati, per generosa e sollecita iniziativa privata, del minimo degli arredi sacri occorrenti per il loro ministero, i Cappellani Militari delle truppe combattenti entrarono subito in azione negli Ospedali da Campo, nelle trincee, disputandosi il posto in prima linea, affratellati coi soldati, ilari, attivissimi, sempre sereni, desiderati, cercati, ascoltati.
Dire dei frutti spirituali prodotti dalla loro azione durante la guerra non é umanamente possibile.
Né gli episodi isolati per quanto commoventi, né
le aride cifre degli atti di culto e di pietà compiuti presso i combattenti - spesso sotto l'infuriare del fuoco nemico - possono dare un'idea adeguata dell'immensa onda di bene che ne scaturì rivelando, e facendo apprezzare sotto aspetti ignorati, l'efficacia pratica della Religione, attirando nella sua orbita tanto i semplici quanto i dotti, e sradicando sovente pregiudizi strani ed inveterati in anime cresciute in ambienti irreligiosi od indifferenti.

L'azione spronatrice ad eroiche gesta, di più immediato interesse dal punto di vista militare, fu da tutti i Comandi unanimemente riconosciuta nei Cappellani Militari. Essi furono bene spesso i più efficaci collaboratori dei Comandanti alla vigilia dei fatti d'armi più importanti ; forti sostenitori degli animi nella resistenza e nella speranza della sicura vittoria finale ; fattori, tutt'altro che trascurabili, del successo.
Più commovente fu l'azione dei Cappellani Militari in guerra nel campo della Carità. Li infiammava di fatto, non una vacua o puramente umanitaria filantropia, ma la carità di Cristo che é dedizione completa, disinteressata, senza riserve e senza limiti, al bene altrui. E oggetto della loro carità furono anzitutto i sofferenti, i feriti, gli agonizzanti e poi i valorosi soldati bisognosi di paterni consigli, di affettuosi conforti e di mille cure per attenuare i disagi di quei momenti criticissimi, ed infine i congiunti dei combattenti e dei gloriosi Caduti, che ai Cappellani si rivolgevano come ai confidenti delle loro trepidazioni e dei loro dolori, come a coloro che avevano raccolto l'ultimo respiro, le ultime sacre parole dei cari morenti.

Mirabili furono pure gli eroismi di questi ministri di Dio che, appena fuori del Santuario, seppero - se sospinti da impellenti e travolgenti necessità del momento - compiere atti di grande valore. Lo attestano luminosamente le centinaia di decorazioni, anche altissime, che il personale dei Cappellani seppe guadagnare sul campo ; lo conferma, a ricordo glorioso e imperituro, il numero rilevante di Cappellani caduti, s
pesso accanto ai soldati, nell'atto di compiere il loro pietoso ufficio.

Ed é con vera commozioni che leggiamo esempi di eroismo come i seguenti:
« Il Cappellano FUSCONI dei Granatieri vieni travolto nelle rovini della grotta ov' é il suo posto di medicazione e ferito orribilmente rimani quasi cieco ; il Cappellano BALDI di Fanteria brucia vivo presso un morente nel posto di medicazione colpito da gas incendiari ; il Cappellano DEL MONTE vi muori col capo fracassato. Ecco Don EMILIO PONTE chi tutto sfida e di null'altro si cura che di dar conforto ai caduti, proprio sul terreno ove si svolge la lotta. I proiettili gli fischiano sinistri d'intorno, ed egli sorride per consolare chi piange, per assistere chi muore, ementre, chino sopra uno di questi infelici gli porge a baciare il Crocifisso, é colpito in pieno da una granata che ne fa orribile scempio : ecco un ROBBIANO che dopo la Messa vuol recarsi fra i combattenti, sfidando ogni pericolo, emuori fra i nemici, dissanguato per una larga ferita. Don CERBARA dopo aver tentato più volti di uscire dalla trincea per seppellire i morti rimasti insepolti fra le opposti trincee, sotto il grandinare dei proiettili nemici prende la stola, inalbera il Crocifisso, e accompagnato da due soldati, si avanza impavido di fronti al nemico chi non rispetta neppure il sacro emblema ».
E questi non sono che taluni dei tanti campioni della Fidi edella Patria, fra i Cappellani Militari.

DOPO GUERRA

Ma a nulla valse l'esperienza della guerra che poneva in evidenza la funzioni morali dei Cappellani, incitatori dei combattenti a compiere il dovere fino al sacrificio, anche quando dal paese saliva alla trincea l'eco penosa della indifferenza dei gaudenti dimentichi dei fratelli ; a nulla valsero l'esemplare contegno, le benemerenze di questi Sacerdoti di Cristo e della Patria !

Cessata la guerra, ottenuta la grande Vittoria, si tornò a ripristinare i sistemi del passato. - Così, tra le opere di svalutazione della Vittoria, ci fu anche quella di privare le Forze Armate dell'assistenza spirituale. Diciamo di svalutazione della Vittoria, perché questa doveva portare - e non portò allora - al tramonto dei vecchi pregiudizi che avevano inquinata la vita pubblica italiana, condannando all'ostracismo i diritti di Dio e della sua Religione.
Così i Cappellani Militari furono, via via, licenziati dall'Esercito, e in parte dall'Armata, limitandosene il numero a quello necessario per compiere il pietoso ufficio di rintracciare le salme dei Caduti e dare loro onorata e benedetta sepoltura.
L'ultimo atto demolitore che sopprimeva la carica di Vescovo di Campo e dei Cappellani Militari, fu compiuto proprio il 29 ottobre 1922 ; ma un'altra demolizione, che era ad un tempo luminosa alba di un'epoca ricostruttrice delle forze d' Italia, maturava - per fatale Némesi storica - in quei giorni.

E venne il Governo Nazionale.
Il problema dell'assistenza spirituale alle Forze Armate s'impose ben presto per la R. Marina. Poiché é proprio sul mare, a contatto con l'infido elemento, che si fa più vivo il senso dell'infinito e del divino ! Il Governo Nazionale, ricostruttore dei valori morali, provvide subito, con Decreto del 15 luglio 1923, a istituire ufficialmente i Cappellani di Marina, anche per il tempo di pace, dando ad essi stato e prerogative di ufficiali.
Ma nello svolgimento graduale e sistematico del suo programma rinnovatore, di elevazione di tutti i valori spirituali e nazionali, di rivalutazione della grande Vittoria italiana, non sfuggì al Capo del Governo la necessità di affrontare il problema dell'assistenza religiosa presso le Forze Armate, non solo per la Regia Marina, ma per l'Esercito, l'Aeronautica e la M. V. S. N.

Il sentimento della grande maggioranza della Nazione, la quale, intimamente religiosa, conservava e conserva ogni ora vivo il ricordo del conforto recato dai
Cappellani Militari ai combattenti ed alle loro famiglie ed a quelle dei Caduti, reclamava, e giustamente, nella nuova atmosfera creata dall'avvento del Fascismo, che non si negasse più oltre ai giovani chiamati alle armi, nel momento più critico e difficile della loro vita, lontani dalla famiglia, in nuovi ambienti da questa troppo diversi, il beneficio dell'assistenza religiosa.
Maturò così la legge andata in vigore l'11 marzo 1926 che costituisce una delle più autentiche benemerenze del Governo Nazionale verso la Religione Cattolica, le famiglie e la Patria, e nel medesimo tempo é un atto di riconoscenza e di giustizia.

Bisogna infatti convenire che, per quanto era possibile ottenere nell'attuale stato di cose, il Legislatore (come é luminosamente chiarito nelle preziose relazioni ai due Rami del Parlamento) ha risolto nel modo migliore le molteplici difficoltà che la materia delicatissima offriva, giungendo a dare al sistema delle nomine un assetto che consente al Capo dell'assistenza religiosa delle Forze Armate ed al suo personale Ecclesiastico, la possibilità di un'azione libera e dignitosa, nell'orbita delle direttive stabilite. D'altra parte il criterio informatore della legge risponde a un concetto organico tale da consentire tutti gli ulteriori sviluppi che man mano si manifesteranno opportuni.
La legge, applicata con prudenza e zelo dai nostri Cappellani, ha già dato frutti meravigliosi e consolanti nell'Esercito, nella Marina, nell'Aeronautica e nella Milizia si da destare l'approvazione e l'ammirazione della maggior parte dei Comandanti, specie di quelli che seppero e videro l'opera dei Cappellani in guerra.
Certo, molto ancora rimane da fare perché sia raggiunto appieno lo scopo della legge quale é stato definito magistralmente dalla parola del Capo del Governo « armonicamente congiungere l'efficacia dei principi religiosi alla virtù educatrice del servizio militare».

E arride la ferma speranza che la Religione, per mezzo del ministero Sacerdotale, possa compenetrare
le Forze Armate in una sempre più intima e stretta collaborazione con gli insegnamenti degli austeri doveri militari. Occorre perciò che la parola del Cappellano - scelto tra i più distinti Sacerdoti del Clero d'Italia per prudenza, coltura, bontà e sano patriottismo - possa giungere al soldato, incitatrice e confortatrice, non soltanto in una corsia di Ospedale o nella solitudine di un carcere, ma anche quando, nel pieno vigore della giovinezza e della sua integrità morale, si addestra alle armi, per i futuri cimenti della Patria.

Ché se, nel miraggio che affascina - bellissimo si, ma molto incerto - del sorgere di una pace senza tramonto, la parola del Sacerdote non ha più, oggi, lo scopo di far affrontare, con animo sereno, l'estremo sacrificio, essa avrà pur sempre il compito di dare al sentimento del dovere, nell'ardua forma che é propria dello stato militare, la granitica base, la sola incrollabile e sicura per la formazione degli individui e dei popoli : la Fede in Dio.
Così, e solo così, l'assistenza religiosa - come appare negli intendimenti del Legislatore - entra veramente e dignitosamente a far parte delle nostre istituzioni militari ; e la applicazione della legge senza timori o pregiudizi risponderà alle legittime aspettative della Nazione, la quale ha benedetto il Governo Nazionale che l'ha voluta. E le madri italiane fiere bensì di dare i loro figli alla Patria, ma altrettanto gelose del loro patrimonio religioso, non avranno più motivo di trepidare, sapendo la giovanile inesperienza tutelata e protetta dall'amorevole assistenza del Sacerdote di Cristo.
Considerata e applicata così, la legge sull'assistenza spirituale ai nostri soldati sarà legge prettamente fascista, che avrà il merito di concorrere alla sana formazione della nuova gioventù italiana.
- CAMILLO PANIZZARDI.

dalla PUBBLICAZIONE NAZIONALE UFFICIALE (da pag.439 a pag. 445.
(con l'assenso del capo del governo), 1928

SCRITTI DI M. - "FORZA E CONSENSO" - "IL POPOLO" > > >


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