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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1918 (15)

LA RESA DELL' AUSTRIA - LE CONDIZIONI DELL'ARMISTIZIO


Villa Giusti, dove l'Austria firmò la resa

Nella precedente puntata abbiamo visto l'esercito Italiano dopo la sua azione offensiva dal 24 ottobre al 4 novembre, arrivare con la resa dell'Austria, al "capolinea" di Vittorio Veneto. In questa puntata, e negli stessi giorni, diamo invece uno sguardo all'esercito Austriaco alle prese con la sua (burocratica oltre che militare) disfatta.
Poche guerre sono state perse in un modo così disastroso, soprattutto se teniamo presente che il perdente era uno dei più potenti e organizzati eserciti del mondo. Nel preparare la loro grande offensiva, avevano approntato perfino un libro in brochure, dove nei minimi dettagli vi era scritto come si dovevano comportare, contemplando arrogantemente due sole possibilita, al punto A) Tracollo immediato dell'Esercito Italiano (speravano in un'altra Caporetto); al punto B) Disfatta dell'Esercito Italiano in dieci giorni. In entrambi i casi come fare gli ingressi trionfali a Venezia e a Milano.

Ma già nel pomeriggio del 28 ottobre l'esercito Austriaco era in condizioni difficili; e il 30 e 31 era già disfatto. Il formidabile strumento di guerra, che era stato capace un tempo di reggere gli urti di cinque stati, pur non difettando la disciplina, la religiosità, la devozione mistica verso l'Imperatore, gli mancava però le due cose più importanti: il vincolo della solidarietà nazionale e l'incitamento dell'amor di Patria. Fu così che il 1° novembre si sfaldò in una fra le più tragiche dissoluzioni registrate dalla storia austriaca; ma anche poco comune nella storia di molte altre nazioni.

L'esercito degli Absburgo aveva mobilitato e ammassato fra lo Stelvio e il mare più di un milione di uomini; tutto un popolo innanzitutto sparso nelle trincee, poi negli attendamenti, nei baraccamenti, negli accantonamenti; ripartiti in Unità, inquadrate in altre Unità, ciascuna delle quali aveva i suoi capi, i suoi ministri del culto, i suoi giudici, i suoi sanitari, e una miriade di uomini che alimentavano il funzionamento del servizio logistico, tutto regolato da leggi imperiose, e ogni cosa dall'inizio alla fine, anche le più semplici si muovevano solo dopo aver messo mano ad una montagna di scartoffie che la pedantesca burocrazia viennese esigeva, sempre, e in ogni caso, in cielo, in terra e in ogni luogo.
A Vienna quasi un milione di uomini si dedicavano all'apparato statale e solo di burocrazia vivevano.

Tutto questo il 28-29-30 ottobre nell'ultima battaglia andò perduto. L'esercito austro-magiaro divenne la moltitudine più numerosa e caotica di sbandati, di affamati, di fuggiaschi, che mai abbia ingombrato con la sua pena e con la sua angoscia le strade del mondo.
Le giornate erano già molto triste, la pioggia non aveva mai smesso di cadere, e c'era fango dappertutto; e su questo fango, autocarri abbandonati, cassoni rovesciati, carretti trascinati da quadrupedi esausti, che a loro volta trascinavano uomini stremati dalla fame, dalle malattie o dalle ferite. Ma soprattutto lacerati nell'orgoglio
Tutto il grandioso allestimento scenico crollava a pezzi.

Turbe di soldati di tutte le nazionalità della ex potente Monarchia absburgica, si aggiravano in scenari che sembravano perfino finti, di cartapesta, e gli uomini delle marionette, lacere, senza scarpe, senza cappotto, fradici senza mantelline sotto la pioggia, alcuni con lo sguardo sbigottito altri rassegnato.
Avevano combattuto con bravura, impegnato duramente i Grigioverdi per quattro anni, ma ormai tutti coscienti di aver perduta la battaglia e con essa la guerra, i soldati di Carlo d'Absburgo si ritrovarono quali erano: Boemi, Slavi, Magiari, Ruteni, Romeni...cui nulla più importava di un Impero scomparso, che l'amor di patria rendeva estranei gli uni agli altri, sollecitati soltanto dall'istinto della conservazione.
L'onore della propria bandiera, scomparso il vessillo unitario, non era che una formula vuota. Non c'era motivo ideale né ragione pratica di battersi ancora. La casa da difendere dov'era? lontana, tanto lontana che di sicuro là i grigioverdi non si proponevano di giungervi. Quindi, tanto valeva gettare subito le armi e salvare ciò che solo aveva valore: la vita.
Le stazioni erano prese d'assalto; sui binari vi erano centinaia di carri chiusi o aperti stipati di uomini, che altri uomini spingevano a pugni e calci pur di entrarci pure loro. Quando partivano i convogli, centinaia si aggrappavano ai respingenti, alle maniglie, o si stipavano sul tetto dei vagoni, ignari che la linea del Brennero attraversa centinaia di gallerie; in quelle basse avvenivano così della ecatombe di uomini maciullati o decapitati, e se scampavano in queste basse gallerie finivano asfissiati in quelle lunghe.

In qualche gola del Trentino, in reparti ancora indenni dallo scoramento, qualche ufficiale ancora con la volontà del sacrificio, guidava alcuni gruppi, che manovravano qualche cannone, qualche mitragliatrice, ma inutilmente. Erano resistenze che finivano in episodi insignificanti, ma il quadro finale era piuttosto a tinte cupe, questi eroici presidi o venivano completamente annientati o a testa bassa si arrendevano.

A Vienna, e a Baden da alcuni giorni giungevano queste notizie lugubri della catastrofe. La sorte stava riservando la conclusione più tragica. Eppure non trovava gli animi disposti ad accettarla, a subirla, e provocò quanto di peggio può toccare ad un esercito e ad un Paese quando la sventura batte alle porte: la discordia fra Sovrano, condottieri e ministri. E così possiamo immaginare cosa accadeva nei vari reparti.
Fin dal 26 ottobre CARLO I d'ABSBURGO intendeva chiedere un armistizio e si era illuso (come quando aveva creduto nella "grande offensiva") di ottenerlo a condizioni che in realtà erano inaccettabili perché viveva fuori dalla realtà. Una di queste condizioni era che voleva fare lo sgombero delle terre italiane invase, ma chiedendo per attuarlo nove mesi di tempo; inoltre non accennava a nessuna cessione territoriale, che forse era la sola che potesse portare ad una conclusione concreta; e meno catastrofica, per il suo impero, la sua dinastia e per la sua Austria.

Questa sua volontà la telegrafò a Baden al Comando Supremo che gli dava però poco ascolto (Guglielmo non aveva mai avuto un'alta considerazione per Carlo) perché sempre fiducioso, il Kaiser intendeva continuare la sua battaglia, in attesa dell'esito cui avrebbero condotto le trattative intavolate con il presidente Wilson. E così per qualche giorno in Italia si seguitò a morire, sugli Altopiani, sul Grappa, sul Piave e gli austriaci nella Val d'Adige, in Carnia, in Friuli.
Il pomeriggio del 28 ottobre per l'Austria ogni illusione cadeva. Ciò pose fine al breve dissidio fra il Sovrano e i suoi generali, risolto da ARTURO von ARZ con l'ordine diramato ai membri dell "Commissione d'armistizio" per l'immediata riunione a Trento.

La stessa sera del 28 si riunivano in questa città, il generale di fanteria VITTORIO WEBER von WEBENAU, il colonnello CARLO SCHENELLER, il tenente colonnello di Stato Maggiore barone VITTORIO SEILER, il capitano di fregata principe GIOVANNI LICHTESTEIN, il capitano di corvetta GIORGIO ZWIEKOWSKI, il tenente colonnello FRANCESCO MYEKHEGYI, il capitano di Stato Maggiore CAMILLO RUGGERA.
Il generale Webenau, presidente della "Commissione" e comandante del VI Corpo d'Armata, non ricevette disposizioni tassative. Gli si prescrisse soltanto di "...trattare e concludere l'armistizio nel più breve termine di tempo, rifiutando ogni clausola disonorevole o avente il "carattere di una capitolazione".
Nessuno sapeva, perciò, quali sarebbero state le rinunce da sottoscrivere, i sacrifici da subire. L'ottimismo dominava ancora a Vienna, a Baden, a Trento, facendo sperare che l'Italia si sarebbe accontentata del "parecchio" giolittiano o di poco più. Questo all'Italia dopo quattro anni di una guerra tremenda, dopo avere riportato una vittoria senza precedenti nella storia, dopo uno sforzo superiore ad ogni previsione, anzi all'immaginabile!

IL CASELLO T

Lungo quel tratto della ferrata Verona-Trento che da Ala conduce a Rovereto, a breve distanza da Serravalle e da Chizzola, si trova un casello contraddistinto oggi col numero 69. Durante la guerra veniva chiamato il Casello ferroviario T, per via di due grandi T dipinte sopra i suoi muri, e -durante parecchi e parecchi mesi venne a trovarsi nella terra di nessuno, fra le trincee austriache di Marco e gli appostamenti italiani del Gufo a Serravalle. Giusto in questa fascia, il capitano austriaco RUGGERA usciva allo scoperto il mattino del 29 ottobre, alle ore 10 - protetto dalla bandiera bianca, accompagnato da due trombettieri che richiamavano l'attenzione delle postazioni italiane con lunghi insistenti squilli.
Troppe volte il nemico aveva abusato di questi segnali perché i Grigioverdi non dovessero credere ad un inganno. Ci fu così qualche fucilata e un trombettiere austriaco rimase leggermente ferito.
Chiarito l'equivoco, il capitano Ruggera riuscì ad incontrarsi con gli ufficiali italiani, ai quali presentò una lettera del generale WEBENAU. Prontamente informato, il Comando Supremo di Abano, questo fece rispondere all'emissario nemico che l'Italia era "disposta a trattare l'armistizio purché si fossero presentati plenipotenziari forniti delle necessarie credenziali". Con questo, il capitano Ruggera fu congedato. Chi ci rimase male fu il trombettiere ferito il quale, soccorso e confortato dagli italiani del presidio, aveva sperato di rimanere dove si mangiava bene e si beveva meglio ....

Poiché era stato convenuto di sospendere ogni azione di guerra intorno al Casello T, il 30 ottobre l'intera Commissione austriaca d'armistizio raggiungeva le linee italiane senza incidenti di sorta. In una comoda veloce automobile, dalle tendine abbassate, il generale WEBER von WEBENAU ed i suoi -accompagnati dal generale AMANTEA - furono fatti proseguire per Padova e quindi ospitati a Villa Giusti: una lussuosa dimora estiva a cinque chilometri dalla città del Santo.

I plenipotenziari austriaci avevano da poco lasciato Serravalle, quando un nuovo sventolio di drappi bianchi ed altri squilli di tromba richiamarono l'attenzione delle vedette italiane. Non si sapeva chi mai dovesse presentarsi ancora, tuttavia il parlamentare inatteso fu ricevuto cordialmente. Era un ufficiale superiore dello Stato Maggiore tedesco, fornito di una credenziale firmata da von HINDENBURG. Quale rappresentante del Governo di Berlino, il nuovo venuto chiedeva di essere ammesso ad assistere alle trattative inerenti all'armistizio, ma poiché i plenipotenziari austriaci non avevano fatto alcun accenno a quest'intruso, fu invitato a tornarsene da dov'era venuto.

Nel frattempo, ad Abano la commissione austriaca scesa dal treno....

...condotti a Villa Giusti avvenivano le presentazioni.
Gli ufficiali austriaci si trovavano per la prima volta di fronte ai generali italiani: PIETRO BADOGLIO, sottocapo dello Stato Maggiore italiano, il generale di Brigata SCIPIONE SCIPIONI; i colonnelli di Stato Maggiore GAZZERA, MARAVIGNA e PARIANI; il colonnello MARCHETTI degli Alpini, il capitano di vascello ACCINNI. Fungeva da interprete un capitano della Territoriale, il cognato di Cesare Battisti. Costui, stessa statura, con il caratteristico pizzetto al mento, rassomigliava stranamente nel volto all'Impiccato del Buon Consiglio. E chissà quali sentimenti suscitava nell'animo degli austriaci vinti quella quasi spettrale visione.

Dal Comando Supremo di Abano si era provveduto a telefonare al Consiglio Interalleato per gli accordi relativi al testo dell'armistizio. Da Versailles giunsero via fonogramma direttive abbastanza particolareggiate sul tipo di resa, ma lasciavano liberi gli italiani di decidere riguardo alle modalità d'applicazione ed ai particolari. Era un fono sommario, e non si accennava ancora ai confini territoriali; questi giunsero dopo, con il messaggero portando le carte con le famose "linee Wilson".

Le clausole furono sottoposte alla Commissione austriaca.
WEBER von WEBEANU ed i suoi compagni seppero così cosa e quanto gli Alleati esigevano dalla Monarchia danubiana. La prima sensazione dei vinti fu di smarrimento. Le illusioni cadevano al primo urto contro la realtà.
Posti di fronte a ciò che non si attendevano, i membri della Commissione austriaca - che come sappiamo, erano, state impartite soltanto disposizioni generiche - oltre che costernati, rimasero indecisi.
Che fare?
Nessuno intendeva assumersi la responsabilità di sottoscrivere le condizioni proposte. Incominciava la fuga dei competenti di fronte al loro compito; e non erano i soli, questa caratteristica nella breve storia dell'agonia di un potere secolare si era già molto diffusa nelle alte sfere sia imperiali che militari.
Poiché le circostanze urgevano, era pur necessario risolvere la questione. Ad ogni ora, ad ogni minuto, centinaia di uomini scontavano con la vita o con la cattura le incertezze dei loro capi. I membri della Commissione austriaca decisero che tre di loro sarebbero tornati a Trento a chiedere consiglio, mentre gli altri si trattenevano a Villa Giusti per intavolare le trattative.
Il Comando Supremo italiano di Abano accordò il consenso, così il colonnello SCHELLER, il principe di LIECHTENSTEIN ed il capitano RUGGERA ripassarono per la piccola oasi neutrale stabilita intorno all'ormai famoso Casello T e risalirono l'Adige. Giunti a Trento, vi trovarono il generale WALDSTÁTTEN, cui riferirono ogni cosa.

Per quanto le condizioni militari e politiche della Monarchia danubiana erano diventate via via più gravi, il generale WALDSTÁTTEN non seppe e non volle a sua volta decidere. Si rimise perciò ad ARTURO von ARZ che se ne stava nel lussuoso castello di Schonbrunn, accanto al povero Imperatore.
CARLO D'ABSBURGO, tardo pronipote di despoti che avevano fatto tremare l'Europa e i suoi popoli, viveva ore di abbattimento profondo, di angosciosa incertezza. Per le sale dorate che accoglievano cent'anni prima il fasto d'una Corte divenuta fra le più potenti del mondo, si aggirava ora -smarrito e titubante - un pallido Sovrano taciturno e cupo, senza speranza, senza volontà, senz'ardire. La sventura si abbatteva sul capo biondo di Carlo I ed egli sentiva vacillare la corona portata con fiero orgoglio dagli avi che si credevano gli eletti da Dio, e difesa da loro con fermezza titanica, con misticismo feroce.
ARTURO von ARZ non sapeva far di meglio fuorché condividere le tristezze del suo principe abulico. L'Imperatore di un'immensa Monarchia in sfacelo ed il capo d'un grandioso esercito in fuga non sapevano trovare un atto di fierezza un pensiero virile, una decisione opportuna. Se gli uomini si rivelano nelle congiunture avverse, dalla catastrofe dell'Austria imperiale non balzarono alla ribalta della storia in quei giorni che marionette con dei fili spezzati.

Poiché nemmeno l'Imperatore, per quanto irresoluto, poteva sottrarsi a una scelta imposta dalle circostanze quanto mai tragiche, fu deciso di organizzare una (burocratica quanto inutile) riunione di un Consiglio cui parteciparono CARLO I, ARTURO von ARZ, l'ammiraglio NICOLA HORHY de NAGY-BANYA e i Ministri presenti.
La riunione aveva il compito di far giungere al colonnello SCHELLER ed ai suoi compagni la risposta che essi attendevano ansiosamente a Trento. Vana attesa! Da Schónbrunn non giungeva un bel nulla. Motivo: invece che dare disposizioni, la piccola assemblea si era risolta a lanciare un retorico proclama alle popolazioni della Monarchia e... a rimettere ogni decisione riguardante l'armistizio al Consiglio di Stato da convocare d'urgenza.
Nel proclama si diceva che ciascuna delle nazionalità male amalgamate nell'Impero più eterogeneo del mondo era autorizzata a costituire un proprio esercito. Mentre si apponevano le firme, il ministro ungherese della guerra LANDER avanzò la richiesta che le truppe magiare fossero richiamate a presidiare la patria (quale non la specificò !?). ARTURO von ARZ si oppose e ne derivò un tafferuglio.

Ed eccoci al nuovo atto della pietosa tragedia: alla riunione del Consiglio di Stato. Questo si comportò come� la Commissione d'armistizio, come� il generale Waldestátten, come� von Arz, come� l'Imperatore, come ... tutte le personalità e gli organi responsabili, decidendo.... di rimettere ogni giudizio al Consiglio della Corona. Sembrerebbe che a questo punto, giunti all'ultima tappa, la vicenda intrecciata come certe filastrocche infantili dovesse avere fine.
Invece, il Consiglio della Corona, riconosciuto competente a decidere solo il Consiglio di Stato, si dichiarò incompetente e si rimise all'assemblea che si era rimessa a lui, da convocare per la seconda volta.
A Trento passivamente si attendeva, ad Abano passivamente si attendeva, mentre non attendevano i campi di battaglia, dove sia da una parte sia dall'altra si continuava a sparare e centinaia e centinaia di uomini cadevano uccisi, feriti o fatti prigionieri ad ogni ora, ad ogni minuto.

Le decisioni relative al (sommario) testo dell'armistizio avevano preso il biglietto di ritorno ed ora sembravano destinate a rifare passo passo il cammino percorso, fino al punto di partenza. Fra gli squarci del dramma sanguinoso ora irrompeva perfino il grottesco. Il lato immancabile in ogni figura della geometria umana, anche grandiosa.
Nel frattempo, giungeva ad Abano il corriere speciale partito da Versailles con il testo scritto dell'armistizio da imporre ai vinti. Letto dal Comando Supremo e immediatamente rimesso al generale WEBER, il documento comprendeva otto clausole militari, undici navali.
(che riportiamo integralmente)

LE CLAUSOLE MILITARI

1. - Cessazione immediata delle ostilità per terra, in mare e in cielo (qui non si parlava di ore né prima né dopo la firma. - Ndr)
2. - Smobilitazione totale dell'esercito austro-ungarico e ritiro immediato di tutte le Unità che operano sul fronte dal Mare del Nord alla Svizzera.
Non sarà mantenuto sul territorio austro-ungarico, nei limiti più sotto indicati al paragrafo 3, come forze militari austro-ungariche, che un, massimo di 20 Divisioni, ridotte all'effettivo di pace prima della guerra.
La metà del materiale totale dell'artiglieria divisionale, dell'artiglieria di Corpo d'Armata, nonché il corrispondente equipaggiamento, a cominciare da tutto ciò che si trova, sui territori da evacuare dall'esercito austro-ungarico, dovrà essere riunito in località da fissarsi dagli Alleati e dagli Stati Uniti, per esser loro consegnato.
3. - Sgombro di tutto il territorio invaso dall'Austria-Ungheria dall'inizio della guerra e ritiro delle forze austro-ungariche, in un periodo di tempo da stabilirsi dai Comandi Supremi delle forze alleate sui vari fronti, di là d'una linea così fissata: dal Pizzo Umbral fino al nord dello Stelvio, essa seguirà la cresta delle Alpi Retiche fino alle sorgenti dell'Adige e dell'Isarco passando per il Resia, il Brennero e i massicci dell'Oetz e dello Ziller; quindi volgerà verso sud attraverso i monti di Toblac e raggiungerà l' attuale frontiera delle Alpi Carniche seguendola sino ai monti di Tarvis;
correrà poi sullo spartiacque delle Alpi Giulie per il Predil, il Mangart, il Tricorno, i passi di Podberdo, di Podlasciam e di Idria; a partire da questo punto, la linea seguirà la direzione di sud-est verso il Monte Nevoso (Schneeberg), lasciando fuori il bacino della Sava e dei suoi tributari; dallo Schneeberg scenderà al mare, includendo Castua, Mattuglie e Volosca. Analogamente tale linea seguirà i limiti amministrativi attuali della provincia di Dalmazia, includendo a nord Lisarica e Tribani e a sud tutti i territori fino ad una linea partente dal mare vicino a Punta Planka e seguente verso est le alture formanti lo spartiacque, in modo da comprendere nei territori evacuati tutte le valli e i corsi d'acqua che discendono verso Sebenico, come il Cikola, il Kerka, il, Butisnica e i loro affluenti.
Essa includerà anche tutte le isole situate a nord e ad ovest della Dalmazia: da Premuda, Selve, Ulbo, Sperda, Maon, Pago e Puntadura a nord, fino a Meleda a sud, comprendendo Sant'Andrea, Busi, Lissa, Lesina, Tereola, Curzola, Cazza e Lagosta, oltre gli scogli e gli isolotti circostanti, e Pelagosa, ad eccezione solamente delle isole Grande e Piccola Zirona, Bica, Solta e Brazza.
Tutti i territori così evacuati saranno occupati dalle truppe degli Alleati e dagli Stati Uniti d'America.
Tutto il materiale militare e ferroviario nemico che si trova nei territori da evacuare sarà lasciato sul posto.
Consegna agli Alleati ed agli Stati Uniti di tutto questo materiale (approvvigionamenti di carbone ed altri compresi) secondo le istruzioni particolari date dai Comandanti Supremi sui vari fronti delle forze delle Potenze associate. Nessuna nuova distruzione, né saccheggio, né requisizione delle truppe nemiche nei territori da evacuare dall'avversario e da occupare dalle forze delle Potenze associate.
4. - Possibilità per gli eserciti delle Potenze associate di spostarsi su tutte le totabili, strade ferrate e vie fluviali dei territori austro-ungarici, che saranno necessarie.
Occupazione in qualunque momento, da parte degli eserciti delle Potenze associate, di tutti i punti strategici in Austria-Ungheria ritenuti necessari per rendere possibili le operazioni militari o per mantenere l'ordine.
Diritto di requisizione, contro pagamento, da parte degli eserciti e delle Potenze associate, in tutti i territori dove esse si trovino.
5. - Sgombero completo, nello spazio di 15 giorni, di tutte le truppe germaniche, non solamente dai fronti d'Italia e nei Balcani, ma da tutti i territori austro-ungarici.
Internamento di tutte le truppe germaniche che non avranno lasciato il territorio austro-ungarico prima di questo termine.
6. - I territori austro-ungarici sgombrati saranno provvisoriamente amministrati dalle Autorità locali sotto il controllo delle truppe alleate e associate di occupazione.
7. - Rimpatrio immediato, senza reciprocità, di tutti i prigionieri di guerra, sudditi alleati internati e popolazione civile fatta sgombrare, secondo le condizioni che fisseranno i Comandanti Supremi degli Eserciti, delle Potenze alleate sui vari fronti.

8. - I malati ed i feriti non trasportabili saranno assistiti a cura del personale austro-ungarico che sarà lasciato sul posto con tutto il materiale necessario.

LE CLAUSOLE NAVALI

1. - Cessazione immediata di ogni ostilità sul mare e indicazioni precise del posto e dei movimenti, di tutte le navi austro-ungariche.
Sarà dato ai paesi neutrali avviso della libertà concessa alla navigazione delle marine da guerra e mercantili delle Potenze alleate e associate in tutte le acque territoriali, senza sollevare questioni di neutralità.
2. - Consegna agli Alleati ed agli Stati Uniti d'America di 15 sottomarini austro-ungarici costruiti dal 1910 a 1918 e di tutti i sottomarini germanici che si trovano, o che possono venirsi a trovare, nelle acque territoriali austro-ungariche. Disarmo completo e smobilitazione di tutti gli altri sottomarini austro-ungarici che dovranno restare sotto la sorveglianza degli Alleati e degli Stati Uniti.
3. - Consegna agli Alleati ed agli Stati Uniti d'America, con il loro armamento ed equipaggiamento completo, di 3 corazzate, 3 incrociatori leggeri, 9 cacciatorpediniere, 12 torpediniere, 1 nave posamine, 6 monitori del Danubio, che verranno designati dagli Alleati e dagli Stati Uniti d'America.
Tutte le altre navi da guerra di superficie (comprese quelle fluviali) dovranno essere concentrate nelle basi navali austro-ungariche che saranno determinate dagli Alleati e dagli Stati Uniti, e dovranno essere smobilitate e disarmate completamente e poste sotto la sorveglianza degli Alleati e degli Stati Uniti.
4. - Libertà di navigazione di tutte le navi delle marine da guerra e mercantili delle Potenze alleate e associate nell'Adriatico, comprese le acque territoriali, sul Danubio e i suoi affluenti in territorio austro-ungarico.
Gli Alleati e le Potenze associate avranno il diritto di dragare tutti i campi di mine e distruggere le ostruzioni, il cui posto dovrà essere loro indicato.
Per assicurare la libertà di navigazione sul Danubio, gli Alleati e gli Stati Uniti potranno occupare o smantellare tutte le opere fortificate o di difesa.
5. - Continuazione del blocco delle Potenze alleate e associate nelle condizioni attuali: le navi austro-ungariche trovate in mare restano soggette a cattura, salvo le eccezioni che saranno concesse da una Commissione che sarà designata dagli Alleati e dagli Stati Uniti.
6. - Raggruppamento ed immobilizzazione, nelle basi austro-ungariche determinate dagli Alleati e dagli Stati Uniti, di tutte le forze aeree navali.
7. - Sgombero di tutta la costa italiana e di tutti i porti occupati dall'Austria-Ungheria fuori del suo territorio nazionale e abbandono di tutto il materiale della flotta, materiale navale, equipaggiamento e materiale per via navigabile di qualsiasi specie.
8. - Occupazione per parte degli Alleati e degli Stati Uniti delle fortificazioni di terra e di mare e delle isole costituenti la difesa di Pola, nonché dei cantieri e dell'arsenale.
9. - Restituzione di tutte le navi mercantili delle Potenze alleate ed associate trattenute dall'Austria-Ungheria.
10. - Divieto di ogni distruzione di navi e di materiali prima dello sgombero, della consegna o restituzione.
11. - Restituzione, senza reciprocità, di tutti i prigionieri di guerra delle marine da guerra e mercantili delle Potenze alleate ed associate in potere dell'Austria-Ungheria.
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Decisa una prima riunione per l'esame delle diciannove clausole riferite sopra, in un'altra riunione che si protrasse fino a tarda notte, si concluse con la consegna ai plenipotenziari austriaci delle "CONDIZIONI AGGIUNTIVE" imposte dal Comando Supremo di Abano.
(che riportiamo anche queste integralmente)

CONDIZIONI AGGIUNTIVE
PER QUANTO RIGUARDA LE CLAUSOLE MILITARI.

1. - Le ostilità per terra, per mare e nell'aria cessano su tutti i fronti dell'Austria-Ungheria 24 ore dopo la firma dell'armistizio, e cioè alle 15 del 4 novembre (ora dell'Europa Centrale).
Da tale momento, le truppe italiane ed associate si arresteranno dall'avanzare oltre la linea a tale ora raggiunta.
Le truppe austro-ungariche e le truppe dei Paesi alleati dell'Austria-Ungheria dovranno ritirarsi ad una distanza di almeno 3 km. in linea d'aria dalla linea raggiunta dalle truppe italiane o dalle truppe delle Potenze alleate ed associate.
Gli abitanti della zona di 3 km. compresa fra le due suddette potranno rivolgersi, per ottenere i necessari rifornimenti, al proprio esercito nazionale o alle truppe delle Potenze associate.
Tutte le truppe austro-ungariche che all'ora della cessazione delle ostilità si troveranno dietro la linea di combattimento raggiunta dalle truppe italiane, saranno - prigioniere di guerra.
2. - Per quanto concerne le clausole degli articoli 2 e 3 circa le artiglierie con relativi equipaggiamenti ed il materiale bellico che deve essere riunito in luoghi stabiliti o lasciato sul posto nei territori che saranno evacuati, i plenipotenziari italiani, in qualità di rappresentanti di tutte le Potenze alleate ed associate, dichiarano di dare alle dette clausole la seguente interpretazione, che avranno carattere esecutivo
a) Ogni materiale di cui si possa far uso per la guerra, o le cui parti, possano in questo uso essere impiegate, dovrà essere ceduto alle Potenze alleate ed associate.
L'esercito austro-ungarico e le truppe tedesche sono autorizzati a trasportare con sé solo ciò che fa parte dell'equipaggiamento e dell'armamento personale dei militari cha debbono sgombrare dai territori indicati all'articolo 3, come pure i cavalli degli ufficiali, i carri ed i quadrupedi organicamente assegnati ad ogni unità per il trasporto dei viveri, delle cucine, del bagaglio ufficiale e del materiale sanitario.
Questa clausola va applicata a tutte le varie armi e servizi dell'esercito.
b) Per ciò che concerne particolarmente le artiglierie resta stabilito che l'esercito austro-ungarico e le truppe germaniche lasceranno nel territorio che deve essere evacuato, tutto il materiale d'artiglieria e relativo equipaggiamento.
Il calcolo necessario per stabilire in modo esatto e completo il numero totale delle artiglierie di Divisione e di Corpo d'Armata di cui dispone l'Austria-Ungheria al momento della cessazione delle ostilità, la cui metà deve essere ceduta alle Potenze associate, sarà fatto più tardi, in modo da stabilire - se sarà necessario - la cessione di altro materiale d'artiglieria da parte dell'esercito austro-ungarico ed, eventualmente, la restituzione del materiale a detto esercito per parte delle armate alleate ed associate.
Tutte le artiglierie che non fanno organicamente parte delle artiglierie divisionali e di Corpo d'Armata, dovranno essere cedute senza alcuna eccezione; non sarà pertanto necessario calcolarne il numero.
e) La cessione di tutte le artiglierie divisionali e di Corpo d'Armata dovrà effettuarsi per il fronte italiano nelle località seguenti: Trento, Bolzano, Pieve di Cadore, Stazione per la Carnia, Tolmino, Gorizia e Trieste.
3. -I Comandanti supremi delle Armate alleate ed associate sui vari fronti d'Austria-Ungheria nomineranno Commissioni speciali che dovranno immediatamente portarsi, accompagnate dalle scorte necessarie, nei luoghi che giudicheranno più indicati per controllare l'esecuzione di ciò che è più sopra stabilito.
4. - Resta inteso che le denominazioni di Monte, Toblach e Monte Tarvis vogliono indicare i gruppi di monti che dominano la sella di Toblach e quella di Tarvis, come risulta dallo schizzo al 500.000 annesso a titolo di chiarimento.
5. - L'evacuazione delle truppe austro-ungariche e alleate dell'Austria-Ungheria dovranno per ciò che riguarda il fronte italiano, trovarsi al di là della linea: Tonale-Noce-Lavis-Avisio-Pordoi-Lavinallongo-Falzarego-Pieve di Cadore-Colle Mauria-Alto Tagliamento-Sella-Roccolana-Sella di Nevea-Isonzo; esse dovranno, inoltre, avere effettuato la loro ritirata fuori del territorio della Dalmazia fissato nel numero più sopra indicato.
Le truppe austro-ungariche di terra e di mare o le truppe loro alleate, che non avranno effettuato la loro ritirata fuori del territorio nel periodo di 15 giorni, dovranno essere considerate come prigioniere di guerra.

6. - Il pagamento delle requisizioni che le Armate delle Potenze alleate e associate potranno eseguire nel territorio austro-ungarico dovrà compiersi secondo le norme contenute nel primo paragrafo della pagina 22 del Servizio in Guerra, Parte Il, edizione 1915, attualmente in vigore presso l'Esercito italiano.
7. - Per quanto concerne le strade ferrate e l'esercizio del diritto riconosciuto alle Potenze associate dall'articolo 4 del protocollo d'armistizio tra le Potenze alleate e l'Austria-Ungheria, resta stabilito che il trasporto delle truppe, del materiale di guerra e dei rifornimenti delle Potenze alleate e associate sulla rete ferroviaria austro - ungarica, fuori del territorio sgombrato secondo le clausole dell'armistizio, come pure la direzione e l'esercizio delle linee, saranno affidate alle Autorità ferroviarie austro-ungariche, sotto il controllo, però, di Commissioni speciali nominate dalle Potenze alleate e dei Comandi militari di stazione che sarà giudicato necessario stabilire.
Le autorità austro-ungariche dovranno effettuare detti trasporti con precedenza su tutti e garantirne la sicurezza.
8. - All'atto della cessazione delle ostilità, nel territorio da sgombrarsi, dovranno essere scaricate e rese completamente inoffensive, tutte le mine stradali, ferroviarie, i campi di mine e tutte quelle predisposizioni del genere intese a interrompere comunque le comunicazioni stradali e ferroviarie.
9. - Entro 8 giorni dalla cessazione delle ostilità, i prigionieri e gli internati civili in Austria-Ungheria, delle Potenze associate, dovranno cessare da qualsiasi lavoro che non sia agricolo, sempre quando a tale lavoro fossero già addetti prima del giorno della firma dell'armistizio. In ogni caso, essi dovranno essere tenuti pronti a partire immediatamente dal momento della richiesta che sarà fatta dal Comandante supremo dell'esercito italiano.
10. - L'Austria-Ungheria dovrà provvedere alla protezione, alla sicurezza e al vettovagliamento, verso rimborso, delle varie Commissioni dei Governi alleati incaricate del ricevimento del materiale e dei controlli di qualsiasi specie, sia che le dette Commissioni si trovino nei territori da sgombrare, sia che si trovino in qualunque altra parte del territorio austro-ungarico.

CONDIZIONI AGGIUNTIVE
PER QUANTO RIGUARDA LE CLAUSOLE NAVALI

1. - L'ora della cessazione delle ostilità sul mare è identica a quella per la cessazione delle ostilità per terra e nell'aria. Alla stessa ora il Governo austro-ungarico dovrà comunicare al Governo italiano e a quelli associati, per mezzo della stazione R . T . di Pola, che le trasmetterà a Venezia, le indicazioni necessarie per far conoscere il luogo dove si trovano tutti i bastimenti austro-ungarici nonché i loro movimenti.
2. - Tutte le unità indicate nei numeri 2 e 3 che devono essere cedute alle Potenze associate, dovranno affluire a Venezia entro le ore 8 del 6 novembre; a 14 miglia dalla costa imbarcheranno il pilota.
Si fa eccezione per i monitori del Danubio, i quali dovranno presentarsi nel porto che verrà indicato dal Comandante supremo delle forze associate sul fronte balcanico, con le modalità che egli riterrà più conveniente stabilire.
3 . - Le navi che dovranno affluire a Venezia sono le seguenti: Tegethoff, Prinz Eugen, Ferdinand Max, Salda, Novara, Helgoland; 9 cacciatorpediniere del tipo Tatra (da 800 tonnellate al minimo) di costruzione più recente; 12 torpediniere del tipo di 200 tonnellate; nave posamine "Camaleon"; 15 sommergibili costruiti dal 1910 al 1918, e tutti i sommergibili tedeschi che si trovano, o che possono trovarsi, nelle acque territoriali austro-ungariche.
Qualunque danneggiamento o distruzione che venga effettuato o predisposto sulle navi da cedere, sarà dai Governi associati ritenuta come gravissima infrazione al presente armistizio.
La flottiglia del lago di Garda sarà consegnata nel porto di Riva alle Potenze associate.
Tutte le navi che non devono essere cedute alle Potenze associate, dovranno essere concentrate nel termine di 48 ore dalla cessazione delle ostilità nei porti di Buccari e Spalato.
4. - Per il diritto al dragaggio di tutti i campi di mine e per la distruzione di tutte le ostruzioni, il Governo austro-ungarico si impegna sul suo onore di consegnare entro le 48 ore dallo spirare delle ostilità al Comando della piazza di Venezia e al Comando dell'armata navale a Brindisi, i piani
dei campi minati e delle ostruzioni dei porti di Pola, Cattaro e Fiume; ed entro 96 ore quelli del Mediterraneo, delle vie fluviali e lacuali del fronte italiano, comprendendovi anche i campi e le ostruzioni posate per ordine del Governo germanico che sono a sua conoscenza.
Nel tempo di 96 ore analoga comunicazione dev'essere trasmessa al Comandante delle forze associate al fronte balcanico per tutto quanto riguarda il Danubio e il Mar Nero.
5. - La restituzione delle navi mercantili appartenenti alle Potenze associate dovrà effettuarsi entro 96 ore dalla cessazione delle ostilità, secondo le modalità che ciascuna Potenza associata sceglierà e che comunicherà al Governo austro-ungarico. .
Per la Commissione prevista dal n. 5 le Potenze associate si riservano di stabilire e di comunicare al Governo, austro-ungarico le modalità per il funzionamento di essa e le località dove risiederà.
6. - La base indicata al n. 6 è quella di Spalato.
I7 . - Per l'evacuazione di cui al n. 7 valgono i limiti di tempo stabiliti per lo sgombro dell'esercito oltre la linea d'armistizio. Nessun danno dovrà essere arrecato al materiale fisso, mobile e galleggiante esistente nei porti. L'evacuazione potrà essere effettuata utilizzando i canali della laguna e adoperando imbarcazioni austro-ungariche fatte affluire dal di fuori.
8. - L'occupazione di cui al n. 8 sarà fatta entro 48 ore cessate le ostilità.
Dev'essere garantita dalle Autorità austro-ungariche l'incolumità del naviglio destinato al trasporto del personale, per la presa di possesso di Pola e delle sue isole, e delle altre località previste nelle condizioni di armistizio per l'esercito.
Il Governo austro-ungarico disporrà perché all'arrivo a Pola di navi appartenenti alle Potenze associate, e che a 14 miglia dalla piazza si trovi il pilota per indicare le rotte più sicure da seguire.
9. - Qualunque danno che venisse arrecato alle persone e ai materiali delle Potenze associate sarà considerato come gravissima infrazione al presente armistizio.
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Posti di fronte al testo integrale dell'armistizio, il generale WEBER ed i suoi compagni - tanto più in considerazione dell'assenza dei tre delegati che si trovavano a Trento- non avevano nessuna intenzione di sottoscriverlo.
Conveniva attendere. Le ore trascorrevano ad una ad una, angosciose per i poveri Cirenei dell'espiazione austriaca, senza che il colonnello SCHNELLER, il principe LIECHTENSTEIN, il capitano RUGGERA, né altri messaggeri si facessero vivi.
Che fare?
Trascorse il resto della notte insonne, passò il grigio mattino del 3 novembre. L'ansia, l'inquietudine, il tormento degli ospiti stranieri di Villa Giusti aumentavano fino allo spasimo. Essi sapevano quanto dipendeva da una loro parola, ma dal loro Paese non giungevano consigli di sorta ad illuminare queste anime in pena.
Poiché a mezzogiorno nessuno si era presentato alle linee italiane, Armando Diaz ed i suoi collaboratori -giustamente preoccupati di non prestarsi ad eventuali tresche degli avversari - decisero di tagliar corto ad ogni indugio. Cosi alle ore una del pomeriggio il generale Weber fu avvertito che, "...se per la mezzanotte non si fosse giunti alla firma dell'armistizio, le trattative in corso sarebbero rimaste sospese come se nemmeno fossero avvenute".

In seguito a quest'ultimatum perentorio, i plenipotenziari austriaci avevano ancora undici ore di tempo. Sarebbero tornati, Schneller e gli altri due, prima della mezzanotte? E se non tornavano? Tormentato da quest'interrogativi. WEBER von Webenau si risolse ad inviare a Trento un nuovo messaggero. Gli italiani acconsentirono alla partenza e fornirono anzi a quest'altro pellegrino dell'incertezza una velocissima automobile. Ma, appena fu predisposto quest'altro viaggio, giunse la notizia che la lotta ardeva sulle rive dell'Adige. (alle 15,15 gli italiani erano entrati a Trento). Non era possibile, per il momento, infilare la piccola porta diplomatica e convenzionale aperta dall'Italia all'Austria dopo quaranta mesi di guerra.

Che cosa effettivamente accadde in quelle ore sulle rive dell'Adige, le versioni sono contrastanti. Gli Italiani l'avanzata con le armi in mano la giustificarono, sostenendo che l'armistizio non era stato ancora firmato, o anche se lo era, il cessate il fuoco era contemplato a 24 ore dopo la firma, e che avevano tutto i diritto (e il dovere di soldati) di proseguire l'attacco. Gli Austriaci sostennero che per qualche scriteriata fucilata di qualche avventato sul confine, non rispettando l'attesa delle trattative in corso, gli italiani quelle fucilate le utilizzarono come pretesto per continuare l'offensiva e invadere prima il Trentino poi l'Alto Adige con delle truppe già con le armi al piede (dopo il fono di Arz alle ore 15, che leggeremo più avanti).

Torniamo ad Abano, alle ore 15 sempre del 3 novembre. Poiché il tempo stringeva, iniziò lo scambio di vedute sulle clausole dell'armistizio. I delegati italiani si dichiararono disposti a fornire solo schiarimenti, ma non intendevano trattare. Spettava ai vinti sottoscrivere o respingere le condizioni proposte. I plenipotenziari austriaci non si accordavano fra di loro; soldato e gentiluomo, il generale Weber von Webenau si comportava con assoluta dirittura e faceva ogni sforzo affinché la discussione procedesse con obiettiva e leale signorilità. Per contro, il capitano di corvetta ZWIERKOWKI avrebbe voluto ripetere ad Abano le scene, le scenette e le scenate di Brest-Litowski imitando il contegno provocante dei Bolscevichi, passando ad ogni qual tratto a digressioni inconcludenti, aggrappandosi a cavilli e a sofismi; inoltre pretendeva che le trattative si svolgessero in lingua tedesca; in quanto al tenente colonnello Sceller, tutto preso dalla fatica di tradurre quanto dicevano i delegati, sembrava preoccupato soltanto di se stesso, della sua carriera di ufficiale di un esercito prossimo a scomparire.
Fin dalle prime battute, sorsero aspre divergenze riguardo all'applicazione della prima clausola militare, dato che gli austriaci intendevano che la cessazione immediata delle ostilità venisse intesa alla lettera, mentre i nostri prospettando l'impossibilità pratica di far giungere istantaneamente gli ordini opportuni a tutti i reparti operanti - esigevano l'interposizione d'un congruo lasso di tempo dalla firma dell'armistizio (24 ore,- vedi clausola 1).
Privo di collaboratori e di notizie, in disaccordo con il capitano Zwirkowski, Vittorio Weber si trovava nelle condizioni del nocchiero cui l'uragano ha portato via il timone.

La vicenda sarebbe finita chissà come e chissà quando se nel contempo - il generale ARTURO von ARZ non si fosse lasciato andare ad un colpo di testa (ma però abbastanza razionale). Visto e considerato che nessuno intorno a lui: né l'Imperatore, né i consiglieri della Corona, né i Ministri, osavano affrontare le proprie responsabilità, il capo di Stato Maggiore dell'esercito austriaco andò al telefono, si mise in comunicazione col generale WALDSTÁTTEN a Trento e lo assicurò che "�le condizioni poste dall'Italia e dall'Intesa venivano accettate. Di conseguenza - aggiungeva von ARZ - le ostilità per terra, per mare, nel cielo, dovevano cessare immediatamente".
Lasciato il telefono, il capo di Stato Maggiore attendeva di partecipare alla nuova riunione del Consiglio di Stato (già accennata sopra) i cui membri furono invitati a riunirsi d'urgenza subito dopo il gran rifiuto del Consiglio della Corona. Ma la riunione non si tenne perché vi parteciparono solo quattro persone le quali se n'andarono non appena costatata la mancanza del numero legale.
Ed ecco che Arturo von Arz viene invitato a presentarsi all'Imperatore. Il generale si trovò di fronte a un Sovrano ben diverso da quello che aveva lasciato poco tempo prima. Quasi quasi, veniva fatto di credere ad una sostituzione di persona. Prima turbatissimo, abulico, depresso, Carlo d'Absburgo appariva ora sereno, fiducioso, animato da una volontà decisa.

Che cos'era avvenuto?
Si era verificato un miglioramento improvviso, imprevedibile, miracoloso nella situazione militare?
Nemmeno per sogno! Per contro, la catastrofe si manifestava via via più spaventosa. L'energia fittizia del giovane Sovrano dipendeva dalla suggestione esercitata su di lui dalla moglie, di tempra ben più salda, non incline allo scoramento. A differenza di tutti, Zita non si era lasciata prendere da smarrimenti e propendeva a credere inutile o almeno non urgente l'accettazione delle condizioni imposte dal Comando Supremo italiano.
Arturo von Arz non mancò d'informare l'Imperatore riguardo alle disposizioni già impartite a Trento. CARLO d'Absburgo le annullò immediatamente e fece spedire diretti a Waldstátten, uno dopo l'altro, vari telegrammi. Subito dopo, però, posto di fronte alle notizie dolorose che gli giungevano dal fronte, il povero Sovrano - dimentico degl'incitamenti della moglie, abbandonato dall'ebbrezza momentanea che gli aveva infuso un vigore tanto fuggevole come quello suscitato nei moribondi da un sorso d'ossigeno - ricadde in abbattimento profondo. Fatte partire altre missive, di tono diverso dalle precedenti, Carlo I dichiarò di rimettere il comando in capo delle forze armate austro-magiare ad ARTURO von ARZ.

Ma - a quel punto "di non ritorno" - il generalissimo della Monarchia danubiana, nel tempo d'un batter di ciglia, si sottrasse all'onore e all'onere, scaricandoli al maresciallo KÓWESS, il quale si trovò ad essere, in pratica, il capo supremo di un esercito che non esisteva più.
A Trento intanto, alle ore 15, ricevuti dal generale Waldstátten gli ordini che questi aveva ricevuti a sua volta da Arturo von Arz, nonché il bel fascio di folli telegrammi dell'imperatore, il colonnello CARLO SCHNELLER reputò conveniente tornare con il principe Lichtenstein e con il capitano Ruggera, a Villa Giusti dove i tre messaggeri erano tanto attesi.
Ma a Padova, il silenzio, la mancanza d'ogni comunicazione aveva perfino fatto supporre a Vittorio WEBER von Webenau perfino che l'Austria non avesse più né l'Imperatore, né il Governo, né il Comando Supremo.
Ma anche l'arrivo di Carlo Schneller e dei suoi compagni portava agli altri delegati in pena la luce ed il sollievo da ogni responsabilità, com'essi avevano sperato; infatti, dalle missive telegrafiche e telefoniche - contraddittorie e confuse - pervenute a Trento, non risultava nessun ordine perentorio di accettare incondizionatamente tutte le clausole proposte. Tanto meno, vi era l'autorizzazione a sottoscrivere un armistizio che non ammetteva la cessazione immediata delle ostilità.

L'ultimatum del Comando Supremo Italiano, scadeva, come sappiamo, alla mezzanotte di questo fatidico giorno 3 novembre. Non c'era più il tempo per tornare a Trento, né del resto dopo l'esperienza fatta, Weber e i suoi potevano sperare che un nuovo viaggio valesse a procurare loro delle direttive precise.
Mentre gli altri apparivano incerti, il colonnello SCHNELLER inoltrò la proposta, accolta dagli italiani, di dare vita alla riunione definitiva.
Al centro di una vasta sala, intorno ad una tavola rotonda...

 

....si trovavano riuniti gli ufficiali italiani cui spettava di documentare la vittoria italiana agli austriaci soccombenti. Si sentiva quasi pesare nell'aria la solennità dell'ora, grave di storia. Per quanto ciascuno tentasse di dominarsi, erano troppo vive in tutti le passioni per, cui due eserciti si erano straziati durante quaranta mesi e si premevano ancora affinché la riunione potesse avere il carattere di formale cortesia propria a tante altre assemblee. La grandiosità e la tragicità delle circostanze facevano vibrare le anime e battere i cuori. Ben di rado la storia aveva affidato un compito di pari importanza ai suoi artefici.
La discussione si riaccese sul punto più controverso: il momento in cui sarebbero cessate le ostilità. Al solito, i delegati austriaci pretendevano che i Grigioverdi mettessero le armi al piede nel momento medesimo della firma, cioè, un'assurdità inattuabile, mentre gli italiani insistevano per la dilazione delle 24 ore. Lo scambio di vedute divenne presto serrato, le parole si fecero vivaci, i gesti concitati. D'un tratto, il capitano ZWIERKOWSKI - un ufficiale scelto molto male per il compito affidatogli - trascese ad espressioni censurate dai suoi stessi compagni.
Allora PIETRO BADOGLIO forse rammentando che per cent'anni erano stati sempre gli italiani a dover tacere e accettare ogni tipo di vessazioni, scattò in piedi; pallido di sdegno nel viso, con uno sguardo lampeggiante, con voce che tradiva la commozione, e scandendo le sillabe come scalpellate, lampeggiante dichiaro la ferma volontà italiana.
"L'Italia non aveva chiesto l'armistizio, né lo mercanteggiava. I soldati d'Italia non erano convenuti ad una partita di cavilli. Qualora tutte le clausole non fossero state accettate senza riserve, la battaglia sarebbe continuata a divampare. Avremmo dettato poi, con le armi in pugno, condizioni ben più dure".

Il colonnello Schneller si affrettò a scusare il capitano Zwierkowski, e a quel punto il generale WEBER si dichiarò pronto a sottoscrivere il testo integralmente approvato.
Rimanevano soltanto le formalità strettamente burocratiche. Furono verificate le copie dei documenti e gli schizzi annessi, quindi - alle 18 del 4 novembre - i delegati austriaci firmarono ad uno ad uno l'intero contenuto dell'armistizio.
L'atto di morte dell'Impero degli Absburgo apparteneva alla storia.

Le clausole navali dell'armistizio italo-austriaco stabilivano, come abbiamo visto sopra (ma solo nelle "condizioni aggiuntive" fatte dal Comando italiano di Abano), la consegna agli Alleati della maggior parte dell'Armata navale e il disarmato delle altre unità di superficie o subacquee. Basta questo a dimostrare che i Comandi italiani non erano a conoscenza dell'equivoca cessione della "K K Flotte" già assegnata il 30 ottobre alla Jugoslavia. Commettendo una slealtà vera e propria, i delegati austriaci timorosi che la mancata consegna della Flotta mandasse all'aria le trattative - nulla dissero di quanto sapevano in modo certo od anche approssimativo.
Vittorio Weber von Webenau ebbe in seguito a dichiarare. "Della comunicazione che l'Armata era stata ceduta agli Jugoslavi, fattami soltanto un'ora prima della firma del trattato, non si fece cenno ai delegati italiani".
Un altro ufficiale austriaco: il capo della Delegazione di Marina, anche lui in seguito scrisse :
"Se avessimo dichiarato prima o dopo l'armistizio che la Flotta era stata consegnata già dal 30 ottobre agli Jugoslavi, ciò avrebbe avuto l'effetto che non si sarebbe venuti alla cessazione delle ostilità, il che, date le circostanze, erano assolutamente da evitare".

Dopo queste testimonianze spontanee dovute a nemici vinti, quindi insospettabili, è perfettamente inutile insistere sulla buona fede dei nostri Comandi navali, i quali promossero pure l'epica gesta fatta dagli affondatori della Viribus con la certezza di agire contro degli avversari, non immaginavano che le navi già appartenevano alla nascente Iugoslavia.

Pure KOCH poi obiettò che la monarchia danubiana non poteva cedere il 3 novembre ciò che aveva rinunciato il 30 ottobre.

Anche le ultime vicende belliche nello scacchiere italo-austriaco diedero motivo a pesanti insinuazioni da parte di nemici e anche di falsi amici.
Non appena ebbe ricevuto avviso dai suoi rappresentanti della conclusione dell'armistizio, il Comando Supremo austriaco s'affrettò a diramare alle truppe gli avvertimenti di circostanza.
Fu mera fatalità?
Fu inganno voluto ad arte? Fu errore d'interpretazione?
Un fatto è certo, che per effetto d'inesattezze avvenute nel trasmettere oppure nel ricevere, si verificò un drammatico grosso equivoco.
Molti Comandi scambiarono l'ora della firma dell'armistizio per quella della cessazione delle ostilità e invitarono i propri soldati di porre le armi al piede con parecchie ore d'anticipo, fiduciosi di avere pieno diritto di ritirarsi senza molestie.

Bene informati erano i Grigioverdi che sopraggiungevano. Esercitando il loro diritto e adempiendo al proprio dovere (il 1° novembre il Comando Supremo aveva emanato gli ordini per l'inseguimento) procedettero l'offensiva fino alle ore 15 del 4 novembre - e quindi alla cattura degli avversari incontrati nella rapida e travolgente avanzata, disarmati o no.
Il 2 novembre, per un banale incidente di un militare austriaco (che aveva sparato sul confine accidentalmente un colpo contro gli italiani) verso le ore 15 al XXIX Reparto d'Assalto fu dato l'ordine di lanciarsi sullo sbarramento al Casello T (Serravalle), e proseguendo con impeto alle 20,45 entrava a Rovereto, seguiti dagli Squadroni di Cavalleggeri d'Alessandria (14°) che si lanciarono poi sulla via di Trento, dove vi entrarono alle ore 15,15 del 3 novembre.

Ne derivarono discussioni e proteste che non mutavano, ben s'intende, la sorte dei vinti già in rotta. Qualora l'equivoco non si fosse verificato, certamente una maggior celerità nella fuga avrebbe consentito a parecchie Unità austro-magiare di mettersi in salvo.
Da parte sua, il Comando Supremo austriaco accusò violentemente gl'Italiani di trasgressione ai patti e di soverchieria. La calunnia velenosa fu raccolta oltr'Alpe con livido compiacimento. Conoscendo in parte i fatti narrati sopra.
Si giunse a dire che fra il 3 ed il 4 novembre il Comando Supremo di Abano s'ingegnò a condurre una battaglia incruenta, ad inventare a proprio beneficio una vittoria inesistente. Cioè ad avanzare prendendo come pretesto -come detto sopra- qualche fucilata.
Compiuta un'inchiesta rigorosissima sulle estreme vicissitudini della guerra in Italia, il Governo austriaco giunse a queste conclusioni rese di pubblica conoscenza dalla Wehrzeitung:

1.° Nei primi giorni di novembre, prima della firma dell'armistizio, tutto il fronte dall'Adige all'Adriatico era in pieno crollo;
2.° La pretesa che le ostilità dovessero cessare prima delle ore 15 del giorno 4 novembre è ingiustificata: ogni ufficiale [austriaco] avrebbe dovuto sapere che per il nemico è assolutamente impossibile sospendere effettivamente le ostilità nel minuto preciso della dichiarazione di accettazione, perché la notifica lungo un fronte esteso richiede parecchie ore;
3.° Il Comando Supremo [austriaco] ha tentato di attenersi ad un punto di vista sicuramente contrario al vero nelle sue proteste e nelle sue manifestazioni prepotenti e totalmente errate nel tono; esso voleva bollare a fuoco dinanzi al mondo intero la condotta del Comando Supremo italiano; e dichiarava che per il Comando Supremo italiano si trattava di catturare quanti più prigionieri fosse possibile per fabbricare in tal modo una vittoria che non aveva mai arriso alle armi italiane e che così intendeva con la sua interpretazione di facilitare le trattative future. Come se l'accusa di obbrobriosa rottura del trattato e la diminuzione di prestigio militare del vincitore avessero potuto facilitare le trattative di pace!� Obiettivamente, è giusta l'interpretazione del Comando Supremo italiano".

Da ciò che si legge ogni altra parola sarebbe superflua.
Come mai l'equivoco tanto deprecato - escluso in modo assoluto ogni sopruso dei Grigioverdi, vincitori fin dal 28, dal 29, dal 30 ottobre, di una battaglia fra le più grandi della storia, tanto deleteria al nemico da non richiedere punto dilatazioni artificiose - potè avvenire?
Tenute presenti le condizioni politiche interne della Monarchia danubiana, qualcuno ha trovato per quest'interrogativo una risposta ingegnosa. Poiché le nazionalità oppresse dagli Absburgo erano in rivolta, il Comando Supremo Tedesco di Baden - vista la Dinastia di Vienna giunta al tramonto - avrebbe regolato le trasmissioni in modo da far conoscere l'ora esatta della cessazione delle ostilità soltanto alle truppe fedeli tedesche e croate. Si contava così di condurre di qua della linea d'armistizio un esercito molto sminuito, sì, ma sicuro e senza avversari, da impiegare per il pronto ristabilimento dell'ordine in Germania dove in quelle ore ce n'era assoluto bisogno (vedi sconfitta della Germania).
E' sembrato ad altri che tali calcoli non erano possibili in un'ora caotica in cui tutto si trasformava, si sfaldava, crollava, si dissolveva (in Germania più ancora che in Austria).

Ma resta il fatto che appena note in Germania le clausole dell'armistizio italo-austriaco, un folto gruppo di ufficiali prussiani giungeva ad Innsbruck. I nuovi venuti -volenti o nolenti le autorità locali austriache- requisivano caserme, depositi d'armi e di munizioni, magazzini di viveri e quanto serviva al traffico della ferrovia Brennero-Bolzano-Trento. Fino al punto che i Bavaresi (fondando all'istante una propria Repubblica) ma che si erano spinti fino al Brennero e alcuni reparti pure a Bressanone, salutarono e chiesero aiuto alle stesse truppe italiane, che infatti scesero (quindi non invasero) su Innsbruck e qui rimasero quasi tre mesi in attesa che la situazione si chiarisse.
(Non dimentichiamo che i Bavaresi, e quindi i Tirolesi, non avevano mai avuto buoni rapporti con la burocratica Corte Viennese che li aveva trattati sempre come "bovari". Erano sempre stati legati alla dinastia dei Wittelsbach, che era una famiglia principesca tedesca, fin dal 907 e ininterrottamente continuata fino all'attuale Luigi III).

Molto probabilmente l'anticipo con il quale l'esercito austriaco cessò di battersi non fu che la conseguenza del collasso da cui tutti: Imperatore, Comando Supremo, Governo, Ufficiali, Soldati e Cittadini locali (Bavaresi e Tirolesi), furono presi quando la disfatta apparve già segnata in ogni suo funesto particolare.

Al primo rintocco funebre, i vinti si affrettarono a gettare le armi a terra perché non ne potevano più. Sarebbe stato ben difficile farle conservare più a lungo ad un esercito che aveva lasciato oltre un milione e mezzo di morti lungo le tappe atroci del suo cammino concluso da una fra le più spaventose catastrofi militari.

Le ragioni erano quelle già dette qui all'inizio: i soldati di Carlo d'Absburgo si ritrovarono quali erano: non austriaci, questi erano a Vienna (leggi le impietose accuse di ROBERT MUSIL (l'autore de "L'uomo senza qualità") rivolte ai suoi concittadini - In "La guerra parallela" (Reverdito editore) e i suoi articoli sul giornale di guerra " Soldaten Zeitung" (*)); sul fronte avevano mandato i Boemi, gli Slavi, i Magiari, i Ruteni, i Romeni e...i Bavaresi...cui nulla più importava di un Impero che stava scomparendo, che l'amor di patria rendeva estranei gli uni agli altri, sollecitati soltanto dall'istinto della conservazione. Non c'era motivo ideale né ragione pratica di battersi ancora. Quindi, tanto valeva gettare subito le armi e salvare ciò che solo aveva valore: la vita.
Onore della propria bandiera? Ideali? Ma quale bandiera? Quali ideali?

(*) In una di questi articoli intitolato "Strani patrioti" ( Soldaten Zeitung n. 19 del 15 ottobre 1916 pp. 4-5) Musil così scriveva: "Il patriottismo verbale dell'Austria. - Le sue frasi preferite: l'Austria è veramente il paese più ricco del mondo; l'Austria è il paese dei più grandi ingegni del mondo; l'Austria è il paese meglio organizzato del mondo; l'Austria è veramente il paese più felice del mondo. Ma quel "veramente" era stato cucinato con un uovo marcio, lo stesso usato per la fantasticheria e la malinconia....Quanto fossimo grandi, uniti, organizzati, felici, non lo abbiamo mai saputo. Gli austriaci non sembrano andar fieri d'altro che del fatto di non aver saputo qualcosa....In genere tutti trovano l'energia all'ultimo momento, ma la superiorità consiste nell'averla prima l'energia, nel lavorare in anticipo; e come ce la saremmo cavata adesso con la guerra? si rispondeva: "con la trincea!".
La "bella trincea" imbottì splendidamente tutti i cervelli. I democratici dicevano: quelli della trincea hanno imparato ad essere indipendenti; quando tornano, ve ne accorgerete. Gli autocrati dicevano: hanno imparato ad ubbidire, ve ne accorgerete. I clericali dicevano: hanno imparato a pregare, ve ne accorgerete. I liberi pensatori dicevano: hanno imparato ad avere fiducia in se stessi, ve ne accorgerete. I filo-statali dicevano: hanno imparato ad apprezzare un governo forte, ve ne accogerete. I politici dicevano: non si faranno mettere i piedi sul collo, ve ne accorgerete. E tutti dicevano: quelli? ve ne accorgerete. Ciascuno aspettava con fiducia infantile ciò che certissimamente avrebbero fatti gli altri, quelli che erano nella e sarebbero tornati dalla trincea. La trincea era lo specchio in cui ognuno scorgerva il proprio viso; la trincea era il favoloso zio d'America, che avrebbe portato a ciascuno quattrini a palate. La trincea era il paese della cuccagna, dal quale a ciascuno sarebbe volata in bocca la nuova Austria cucinata secondo la sua ricetta....Sacrifici? Ciascuno pensa: farei ben volentieri quanto mi si chiede, ma siccome gli altri non lo fanno, non voglio io essere il babbeo...Questi sono i patrioti verbali. Ci sono poi i patrioti afoni, che un giorno avevano detto a chiare parole ciò che si sarebbe dovuto fare, e che oggi "non hanno proprio più nulla da dire"; poi ci sono quelli silenziosi, dai quali non giunge alcun suono, evidentemente perchè sono collocati troppo in alto....Ed eccoci ai fasti patriottici e ai nefasti patriottici, i peggiori dei quali sono i poeti di guerra, i corrispondenti di guerra, i pittori di guerra, la beneficenza di guerra, l'insulsaggine di guerra, e chi più ne ha ne metta. Anche una cantante, quando si presenta in pubblico lo fa a scopo patriottico, e tutti ne parlano; così un poeta con le sue poesie; così un funzionario quando fonda un'associazione patriottica; così la nobildonna quando offre il tè lo fa a scopo benefico; il commerciante di bende fa il patriota e intanto vende agli ospedali; il birraio vende e nutre con la sua birra il popolo ed è stimato patriota....Il patriottismo commerciale è attinente soltanto all'economia di guerra; la sua legge è "Se calano le entrate, deve aumentare il patriottismo". Patriottismo da latte, da uova, da bovini, da cereali, da luppolo, da ombrelli, da pellami, e molti altri; ci sono tanti patriottismi quanti sono gli articoli, ma fra essi non c'è quello con l'articolo maschile, "il" patriottismo". Musil scriveva questo il 15 ottobre del 1916!!

Pressappoco accadde la stessa cosa in Germania. Forse era sempre valido quella massima che soleva ripetere l' avo di Guglielmo II, il Prussiano Federico II il Grande, quando girava nei domini dei suoi Principi "Non trattate come bestie i vostri sudditi, ma trattateli da amici, perché qualora ne avreste bisogno per difendere le vostre terre e la vostra vita, vi trovereste a disposizione delle bande di animali, non uomini a voi fedeli".
Ma di "illuminati" (da Voltaire) Federico II nel mondo ne nascono pochi.

Vista la disfatta austriaca, ora andiamo proprio in Germania; alla sconfitta dell'erede del Grande Federico: Guglielmo II di Hohenzollern, l'uomo che appena salito sul trono germanico, nel 1888, licenziò Bismarck non sopportandone la tutela. Lui si sentiva già Federico II il Grande.

La disfatta della Germania - Le dure condizioni > > >

Fonti, citazioni, testi, bibliografia
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
A.TAMARO - Il trattato do londra e le rivendicazioni italiane, Treves, 1918
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

+ AUTORI VARI DALLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE  

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