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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1917 (10)

L' "INFAUSTA" BATT. DELLA BAINSIZZA (1) - CADORNA SI DIFENDE



L'altipiano della Bainsizza, una enorme distesa di sassi

LE RAGIONI CHE INDUSSERO IL COMANDO SUPREMO ALL'OFFENSIVA DELL'AGOSTO DEL 1917 - IL MORALE DEL PAESE E DELL'ESERCITO - LE FORZE ITALIANE IMPIEGATE NELLA BATTAGLIA DELL'AGOSTO DAL MONTE NERO AL MARE - LE FORZE NEMICHE - LA BATTAGLIA DELLA BAINSIZZA: LA POSA DEI PONTI E IL PASSAGGIO DELL'ISONZO; OCCUPAZIONE DEI FRATTA E DEL SEMMER; LA RESISTENZA AUSTRIACA A CANALE; L'AZIONE DEL XXVII E DEL IV CORPO D'ARMATA NELLA ZONA DI TOLMINO; PROGRESSI DEL II E DEL VI CORPO; L'IRRUENTE AVANZATA DEL XXIV CORPO; CONDUISTA DEI MONTI JELENIK E KOBILEK; IL RIPIEGAMENTO NEMICO; LA PRESA DEL MONTE SANTO - L'AZIONE OFFENSIVA DELLA III ARMATA - GLI SCARSI PROGRESSI INIZIALI - SOSPENSIONE DELL'OFFENSIVA SUL CARSO - GLI ULTIMI PROGRESSI DELLA II ARMATA SULL'ALTOPIANO DELLA BAINSIZZA
DICHIARAZIONI DEL GENERALE CADORNA
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LE RAGIONI ALL'OFFENSIVA
IL MORALE DEL PAESE E DELL' ESERCITO

Torniamo ai primi giorni di agosto, quando CADORNA, dopo lo stallo della sua offensiva di Primavera, e dopo aver partecipato alla Conferenza Interalleata del 25 luglio a Parigi, dove l'Intesa aveva deciso che l'Italia doveva sferrare due nuove offensive sull'Isonzo con lo scopo di alleggerire il fronte russo, in quei giorni in difficoltà (i bolscevichi non avevano ancora assunto il potere, e il Governo provvisorio, si era impegnato a continuare la guerra con l'Intesa).

Cadorna, dopo poco più di venti giorni, già il 18 agosto, è pronto per la prima offensiva che inizia con l'ennesima battaglia dell'Isonzo (è la 11a), con obiettivo la conquista di Monte Santo e una parte dell'altopiano della Bainsizza.
Quest'offensiva è la più imponente lanciata dall'esercito italiano dall'inizio della guerra; che però dura poco più di tre settimane (si concluse il 15 settembre), senza ottenere risultati decisivi, ma molto modesti rispetto alle aspettative, costato molte vite umane (165.000 uomini fra morti e feriti), che contribuì ad abbassare ancora di più il morale delle truppe; le stesse (!) che dopo poco più di un mese saranno chiamate a sferrare (!) un'altra offensiva (o meglio dire la solita difensiva) a Caporetto.

Molti in seguito sostennero che quello di Cadorna -la Bainsizza- era un obiettivo ininfluente, e comunque non da farsi subito, che semmai bisognava utilizzare il tempo per prepararsi meglio ad un prossimo attacco degli astro-tedeschi, che dopo, quasi certa, prevista defezione della Russia, disimpegnandosi da quel fronte, stavano già concentrando le loro truppe proprio sull'Isonzo (sette divisioni tedesche accanto a otto austriache).
Su questi frettolosi preparativi, sulle critiche e sugli errori di Cadorna, riportiamo (prima ancora dei fatti in dettaglio che seguono) ciò che più tardi -dopo la disfatta di Caporetto- ebbe a dire a sua difesa, proprio CADORNA:

"Si è molto discusso dopo i dolorosi avvenimenti di Caporetto - scrive il generale Cadorna - se sia stato un bene o un male l'avere effettuato l'operazione, offensiva che ci condusse all'occupazione di buona parte dell'altopiano di Bainsizza.
Se quegli avvenimenti fossero stati felici, l'opinione sarebbe stata unanime nel giudicare l'offensiva utilissima per i notevoli risultati conseguiti e come scala a maggiori. Avendo invece, sortito un esito così infausto, molti furono naturalmente coloro che, pensarono e dissero che, senza l'offensiva della Bainsizza, l'esercito si sarebbe trovato in migliori condizioni per sostenere l'assalto austro-tedesco dell'ottobre. È pertanto opportuno qui esporre le ragioni che - nella situazione di allora - indussero il Comando Supremo ad organizzare quella potente offensiva.

1° - L'offensiva della primavera ci aveva dato degli importanti risultati, quali erano duelli della conquista del Monte Kuk e del Vodice, e di alcune posizioni sulla fronte carsica, tra le quali l'importante altura di quota 144. Ma erano risultati incompleti. La nostra situazione di fronte ad un'eventuale offensiva nemica in grande stile, rimaneva precaria con quelle due alture del Kuk e del Vodice, isolate sull'altra riva dell'Isonzo. Occorreva completare quei risultati e, acquistare buone posizioni che potessero validamente resistere a qualunque sforzo offensivo nemico, e ciò specialmente in quel tempo in cui la crisi russa poteva consentire, a più o meno prossima scadenza, agli Imperi Centrali di trasportare forze dalla fronte russa alla nostra.
Ora, l'altopiano della Bainsizza fino al Vallone di Chiapovano, la linea Trstely-Hermada, che a guisa di grandi bastioni copre il medio e basso Isonzo, e la cortina formata dalle alture dell'anfiteatro goriziano, avrebbero costituito, quando fossero cadute nelle nostre mani, una fortissima linea difensiva, appoggiata a sinistra al massiccio del Monte Nero, la più breve e la più potente linea per proteggere il fronte Giulia da qualunque minaccia. L'occupazione dell'altopiano della Bainsizza avrebbe anche avuto il grande vantaggio di togliere al nemico la disponibilità dell'importante strada d'arroccamento del Vallone di Chiapovano che, durante tutte le battaglie. dell'Isonzo, fu un'arteria vitale di resistenza del nemico, e di rigettarlo ad oriente in due tronconi, i quali non avrebbero trovato dirette comunicazioni che assai più indietro, all'altezza di Idria, per più lunghe e più difficili vie.
Anche a scopo offensivo, se si volevano raggiungere i fini della guerra, bisognava conquistare anzitutto l'altopiano di Bainsizza e la linea Trstely-Hermada. Quanto alla testa di ponte di Tolmino, difficile ad attaccare frontalmente, sarebbe caduta quando noi avessimo conquistato l'altopiano dei Lom che ci avrebbe consentito d'isolarla e di batterla di rovescio.

2° - Avevamo assunto impegni con gli Alleati fin dalla conferenza di Roma del gennaio 1917, confermati poi nei successivi colloqui con i capi di stato maggiore francese e inglese, ed ancora sanciti in conferenze a Parigi sul finire di luglio (il 25 luglio ricordato sopra - Ndr). In quel periodo i francesi, e specialmente gli inglesi, operarono a lungo e con molta pertinacia sulle rispettive fronti, e male si sarebbero acconciati alla nostra inazione, se questa fosse durata dal principio di giugno alla primavera del 1918 ed avesse permesso agli austriaci di portare forze sul loro teatro di guerra.
Anzi negli accordi di Parigi della fine di luglio, gli alleati avrebbero voluto che noi effettuassimo due grandi offensive, una nell'agosto e l'altra nell'ottobre.

A ciò non si poté consentire perché la scarsità di munizioni e di uomini di complemento non ci permetteva due grandi operazioni. Quanto alle munizioni si richiedevano almeno tre mesi per ricostituire i due milioni di colpi di medio calibro che si prevedeva di consumare in una sola offensiva. Però ad una delle offensive richieste dagli alleati non ci potevamo sottrarre; l'offensiva, anglo-francese era in preparazione; vi era la necessità d'alleggerire, per quanto possibile, il fronte russo-rumena dalla pressione nemica sempre piú minacciosa, e la speranza infine di far rallentare la spinta austro-tedesca in Galizia nella presunzione che, scemata questa, sarebbe stato più facile all'esercito russo di riorganizzarsi.
3° Finalmente contribuì alla decisione offensiva la considerazione che un periodo di completa inazione fino alla primavera del 1918 non sarebbe stato certo il più propizio per tenere elevato lo spirito combattivo delle truppe ed alimentare la resistenza morale del Paese. Chi ricorda quale fu lo spirito del paese in quell'epoca, quali contrasti, quali passioni vi si agitassero, non si meraviglierà della frase scritta il due settembre, da un ministro (Bissolati) che la vittoria (la conquista della Bainsizza - Ndr) ha salvato, per le sue ripercussioni interne, il Paese dal crollo.

A ciò si deve aggiungere la sensazione che si aveva delle cattive condizioni interne e della forte depressione degli spiriti negli Imperi Centrali, specialmente in Austria-Ungheria, sensazione che fu poi sicuramente confermata dalle rivelazioni del dopoguerra".

Nella pagina da noi citata il Cadorna accenna allo spirito del Paese e al morale dell'esercito combattente. Ora tutti sanno che l'uno e l'altro erano grandemente depressi. La guerra era terribilmente lunga e logorante e, secondo l'opinione di molti, non poteva finire che con l'esaurimento dei belligeranti, tanto i vincitori che i vinti, cioè con la rovina, che, insieme con le altre nazioni, avrebbe travolto l'Italia.
Quest'opinione, fatta propria e diffusa dai socialisti e dagli altri neutralisti, se metteva un nero scetticismo nell'anima di molti, in altri ispirava un senso di rivolta, che li stimolava se non proprio a sabotare, a non collaborare. Così cresceva il numero di coloro che facevano una lotta sorda alla guerra, specie con la propaganda disfattista, che, penetrata ed estesasi nelle file dell'esercito, aveva abbattuto in modo preoccupante il morale dei combattenti, aveva fatto aumentare la cifra dei renitenti, degli imboscati, dei disertori, dei soldati che si ammutinavano, di quelli che si arrendevano al nemico, di quelli che, andati in licenza, non tornavano più al fronte e scorrazzavano per le campagne in bande armate e, infine, di quelli, che aiutati da comitati segreti, fuggivano in Svizzera.

Cadorna si era giustamente preoccupato delle condizioni in cui il disfattismo aveva ridotto l'esercito e non aveva trascurato di informare il Governo e, particolarmente, con stile abbastanza energico e risoluto BOSELLI; ma da Roma non gli si rispondeva e lui ora confidava soltanto in una grande offensiva che, se vittoriosa, avrebbe risollevato lo spirito depresso dell'Esercito e del Paese.

CADORNA a metà agosto con quattro lettere aveva ribadito sempre le sue quasi "ossessive" tesi, che all'interno dell'esercito vi erano sobillatori, dei vili e degli incapaci; e accusava in particolare il ministro dell'interno VITTORIO EMANUELE ORLANDO di atteggiamenti benevoli nei confronti dei disfattisti.
(Dopo Caporetto, ORLANDO divenne presidente del consiglio e si prese la sua rivinvita destituendo dal comando Cadorna).

A parte i veri e propri disfattisti, i contrasti fra i capi militari, l'inasprimento della disciplina nell'esercito, il sospetto nei cattolici e i modesti risultati ottenuti dopo dieci battaglie, queste incomprensioni di Cadorna con i politici non creavano di certo il clima "psicologico" ideale per condurre una guerra così tremenda, epocale, con in gioco non solo i confini dei "cortiletti" di tre imperatori, ma vi era in gioco la perdita dell'egemonia europea nel mondo. Perfino l'Inghilterra nonostante la vittoria finale ne uscì poi ridimensionata.
Con queste prospettive, in Italia, nessun altro "Cadorna" (anche se lui era un ostinato militare "piemontese", nato nel lontano 1850) avrebbe potuto fare di meglio. Soprattutto su un terreno così ostile e, oltretutto -entrando in guerra dopo un anno- aver dato al nemico tutto il tempo per fortificarlo.

LE FORZE IT. IMPIEGATE NELLA BATTAGLIA DELL'AGOSTO
LE FORZE NEMICHE - LA BATTAGLIA DELLA BAINSIZZA: GETTATA DEI PONTI E PASSAGGIO DELL'ISONZO; OCCUPAZIONE DEL FRATTA E DEL SE~N71VIER; LA RESISTENZA AUSTRIACA A CANALE; L'AZIONE DEL XXVII E DEL IV CORPO NELLA ZONA DI TOLMINO; I PROGRESSI DEL II E DEL VI CORPO; L'IRRUENTE AVANZATA DEL XXIV CORPO; CONQUISTA DEI MONTI JELENIK E KOBILEK; IL RIPIEGAMENTO NEMICO; LA PRESA DEL MONTE SANTO

Per l'offensiva, che doveva costituire l'11a battaglia dell'Isonzo e che doveva essere fatta dalla II e dalla III Armata, la preparazione fu accuratissima sia da parte del Comando Supremo che da parte dei comandi delle due armate, specialmente della II, il cui compito era più difficile. Il Comando Supremo inoltre non lesinò nell'impiego di uomini e di artiglierie e concentrò sul fronte Giulia 53 divisioni, 2400 bocche da fuoco di grosso calibro e medio, 1200 pezzi da campagna e 1700 bombarde.
Alla II Armata furono date 26 divisioni e mezza, comprese le quattro del gruppo tattico centrale (VIII Corpo), una divisione di cavalleria, 2366 pezzi e 900 bombarde; alla III 18 divisioni, 1200 pezzi e 800 bombarde. Il Comando Supremo tenne per sé 8 divisioni come riserva.

La II ARMATA era schierata nel seguente modo: dal Rombon alla testa di ponte di Tolmino esclusa, stava il IV Corpo d'Armata del Gen. CAVACIOCCHI su tre divisioni; di fronte alla testa di ponte di Tolmino e alla parte settentrionale dell'altopiano della Bainsizza il XXVII Corpo del Gen. VANZO su 4 divisioni; di fronte alla parte centrale della Bainsizza il XXIV Corpo del Gen. CAVIGLIA su 3 divisioni; sulla sinistra dell'Isonzo, sul Kuk-Vodice e sul versante occidentale del Monte Santo il II Corpo del Gen. BADOGLIO su 3 divisioni; di fronte al Monte Santo-San Gabriele ed alla parte settentrionale delle alture goriziane il VI Corpo del Gen. GATTI su 2 divisioni; dal San Marco al Vippacco l'VIII Corpo d'Armata del Gen. RICCI ARMANI su 3 divisioni. Otto divisioni e mezza disposte su tre linee successive, di cui l'ultima tenuta dal XIV Corpo d'Armata, costituivano le riserve.

La II Armata doveva sfondare le linee austriache tra Canale e la testa di ponte di Tolmino, tenere impegnata con la sinistra del XXVII Corpo la testa di Santa Maria e di Santa Lucia e con la destra e il centro del medesimo corpo puntare sul Lom di Cenale e sul Lom di Tolmino; puntare con il XXIV Corpo d'Armata sul rovescio delle posizioni nemiche del Kuk-Jelenik e del Kobilek, che frontalmente sarebbero state attaccate dal II Corpo, la cui destra doveva, in concorso con l'azione impegnatissima del VI Corpo, far cadere per manovra il Monte Santo e il San Gabriele aggirandoli da nord.
L'VIII Corpo doveva operare a cavallo del Vippacco con azione coordinata con quella dell'XI Corpo della III Armata. Raggiunti i primi obbiettivi, con il XXVII Corpo e una divisione del IV che costituivano l'ala sinistra della II Armata, doveva esser conquistata la testa di ponte di Tolmino; col XXIV Corpo, costituente la destra, si doveva procedere alla conquista di Chiapovano; infine dal Monte Santo e dal San Gabriele si doveva puntare sul rovescio della linea di Madoni per appoggiare l'offensiva del XXIV Corpo e cercar di giungere all'altipiano di Ternova.

La III ARMATA era schierata nel modo seguente: da S. Grado di Merna alle foci del Timavo ed era costituita dall'XI Corpo d'Armata del gen. PENNELLA su 4 divisioni, dal XXV Corpo del gen. RAVAZZA su 3 divisioni, dal XXIII Corpo del gen. DIAZ su 4 divisioni, dal XIII Corpo del gen. SAILER su 4 divisioni, dal VII Corpo del gen. TETTONI di 1 divisione su 4 brigate e di un gruppo di 3 battaglioni ciclisti, dalle sette brigate del Corpo d'Armata A e dalla la divisione di cavalleria composta dei reggimenti Genova, Novara, Monferrato e Roma.
Uno degli obiettivi principali dell'offensiva della III Armata era la conquista del caposaldo nemico dell'Hermada.

Le FORZE AUSTRIACHE erano formate dall'Armata dell'Isonzo, comandata dal generale BOROEVIC, la quale risultava di 13 divisioni della forza complessiva di oltre 300.000 uomini, che aumentarono sensibilmente durante la battaglia con l'arrivo di altri soldati dal fronte tridentino e da quello russo-romeno. Schierati in prima linea erano 5 Corpi d'Armata: dal Monte Nero a Loga il XV (Scotti), da Salcano al Vippacco il XXIV (Kraliczek), dal Vippacco a Korite il XVI (Schariczec V. Reni), da Korite al mare il XXIII (Csicseric V. Bacsany).

Il fuoco d'artiglieria, cominciato il 17 agosto, prosegui il 18 con una violenza mai fino allora raggiunta, distruggendo trincee, ricoveri, camminamenti, mentre ardite pattuglie uscivano al riconoscimento dei varchi, suscitando la viva reazione del nemico, e gli aeroplani, infaticabilmente, a ondate che si susseguivano senza tregua, colpivano le batterie nemiche, bombardavano le truppe austriache ammassate sul rovescio delle linee avversarie e impedivano agli apparecchi nemici di innalzarsi dai loro campi. Il tiro degli italiani cercava anche implacabilmente le retrovie, battendo i nodi stradali, i centri di raccolta, i depositi e i comandi, e provocando incendi a Tolmino, a Palubino, a Medreje, a Santa Lucia, a Canale, a Mesniak, e nelle foreste di Ternova e dell'Hermada.

Nella notte sul 19 agosto, in condizioni difficilissime, furono gettati numerosi ponti fra Anhow e Doblar. Quanto fosse difficile quest'operazione risulta da un comunicato della Stefani di quei giorni:
"Per la natura delle rive del fiume, ripide e rocciose, per la velocità della corrente, per le difese apprestate dal nemico sulla sponda sinistra (una linea di trinceramenti profondi coronante il terrazzo scavato dalle acque e ben appoggiata e ben fiancheggiata da capisaldi sporgenti a guisa di salienti) il passaggio dell'Isonzo nel tratto tra Pod-Selo e Canale, richiedeva abilità tecniche e virtù militari di prim'ordine. Le une e le altre in verità non mancavano ai nostri soldati.

Il bollettino del 26 agosto ha reso onore al 2° e al 4° battaglione del 4° reggimento pontieri del genio e tutte le compagnie dei due battaglioni dovrebbero essere citate per l'ardimento e per la perizia con la quale portarono a termine le loro azioni. A dare un'idea di quello che i pontieri del genio hanno saputo fare giova il rapporto sulla costruzione di uno dei ponti nel tratto Bodrez-Canale da parte della 14a compagnia.
"Alle 23.30 della notte del 18 agosto, gli arditi della 5a brigata bersaglieri (reggimenti 4° e 21°) erano traghettati in barca sulla sinistra del fiume per dar modo ai soldati del genio di gettare il ponte. Ma subito uno sfolgorio di razzi bianchi, rossi e verdi partiti dalle trincee austriache dava l'allarme. Due mitragliatrici incrociavano il fuoco sulla lunga fila di portatori del materiale che affluivano alla riva destra. Condurre a fine il lavoro da questa riva era impossibile. Con felice intuito il comandante la 14a compagnia ordinava che parte dei suoi pontieri passasse il fiume in barca ed iniziasse il ponte anche sulla riva sinistra così da congiungere poi questa sezione con quella costruita sulla destra. Defilati al tiro delle mitragliatrici appostate sul terrazzo suaccennato, in 30 minuti i pontieri finivano la costruzione e il 23° e il 21° battaglione zappatori del Genio, sfidando il furore delle mitragliatrici e della fucileria nemica, passavano immediatamente il fiume. All'alba del 19, orientatosi, il nemico concentrava sul ponte un violento tiro di distruzione che durava per tutta la giornata e per tutta la notte del 20. Parecchie volte il ponte fu colpito e danneggiato, altrettante volte, noncuranti delle perdite che l'artiglieria austriaca loro cagionava, i pontieri accorrevano intrepidi a riparare i danni. Fu per loro orgoglio e una grande ricompensa morale, vedere che mai sul loro ponte il transito poté essere interrotto dal fuoco nemico. Battaglioni e battaglioni sfilarono ininterrottamente su quel ponte preceduti dal 360 battaglione del 12° bersaglieri, che passò rapidissimo e ordinatissimo all'alba sotto raffiche furiose di mitragliatrici, incitato dai bravi pontieri padani; erano in gran parte dei distretti di Mantova e di Piacenza, i quali gridavano: Viva l'Italia ! Viva il 12° bersaglieri ! Il favorevole svolgimento del passaggio del fiume consentì alla 1° e 5a brigata bersaglieri la celere ardita avanzata sulla linea Fratta-Semmer che sorprese il nemico, e la mossa iniziale e fondamentale della manovra con la quale fu conquistata la maggior parte dell'altopiano di Bainsizza".

"All'alba del 19 agosto, su quasi tutto il fronte del XXIV e del II Corpo, le fanterie italiane iniziarono il passaggio dell'Isonzo e alle 9 cominciarono ovunque a prender piede stabilmente sulla sponda opposta, impadronendosi delle linee avanzate del nemico. I progressi maggiori nel primo impeto dell'avanzata furono fatti dalle truppe del XXIV Corpo d'Armata, al centro dello schieramento, e specialmente dalla 5a e dalla la brigata bersaglieri che in poco tempo investirono e travolsero le difese nemiche, del Fratta e del Semmer. Più dura e più lunga fu la resistenza nemica a Canale, ridotta a fortezza inespugnabile, che i nostri, dopo averla invano assalita di fronte, dovettero prendere d'assalto e conquistare più tardi, con un aggiramento dalla sinistra.

"Poca fortuna ebbe l'attacco del XXVII Corpo d'Armata, del quale, durante l'azione, fu poi silurato il comandante, generale VANZO, e sostituito col generale BADOGLIO. Gli scarsi progressi di queste truppe furono causati prima dalla mancanza di un proprio ponte che costrinse i soldati a servirsi con notevole ritardo del ponte del XXIV, poi dal fatto che le truppe di testa (brigata Trapani) erano attratte verso est per concorrere alla conquista del Monte Fratta. Più a sud, sul fronte del II Corpo le cose andavano meglio, ma anche qui la resistenza avversaria era accanita e le difficoltà dell'avanzare molte. Le forze che dovevano espugnare lo Jelenik erano inchiodate presso il fiume sull'una e sull'altra sponda, che non tutte si erano potute portare sulla sinistra dell'Isonzo. Lo Jelenik, importantissimo nodo della difesa, punto di allacciamento per le barriere del Na Kabil e del Kabilek, resisteva disperatamente. Per cooperare di fianco a questa azione, la sera precedente alcune truppe nostre erano avanzate, da Globina e da Palievo, verso nord, mentre durava ancora il bombardamento, ed avevano occupati i villaggi di Britof e di Descla, ridotti a un cumulo di rovine; ma oltre Descla, erano state fermate da una linea fortissima di ridotte e trincee che correvano sopra uno dei contrafforti dello Jelenik. All'ala destra il VI Corpo, che doveva svolgere azione dimostrativa, ottenne qualche vantaggio verso Grazigna; all'ala sinistra invece il IV incontrò viva e tenace resistenza nelle posizioni nemiche del Mrzli.

"Nella notte sul 20 agosto si riuscì a gettare un nuovo ponte di fronte a Canale e questo permise di far passare maggior numero di truppe alla sinistra dell'Isonzo e di riprendere con rinnovata energia l'avanzata. Il XXVII continuò, è vero, a procedere lentamente verso i Lom, che, se fossero caduti, ci avrebbero data in mano la testa di ponte di Tolmino; non molto rapida fu l'avanzata del II ostacolata dall'accanita resistenza del nemico, ma il XXIV Corpo in compenso sfondò le difese avversarie, dilagò nella conca di Vrh, sorpassò il villaggio omonimo, prese di fronte e di fianco le difese del Kuk (711), sloggiò gli austriaci dagli sbarramenti del vallone dell'Auscek, avvolse il Kuk e lo costrinse a cadere.

" La battaglia continuò accanita a partire dal 21 agosto. Ogni giorno posizioni conquistate erano punto di partenza per altre conquiste; il nemico resisteva, contrattaccava, si batteva col furore della disperazione, ma inesorabilmente, alfine, era costretto a cedere. Caddero in nostro potere, per opera delle truppe del XXIV Corpo, Mesnjak e l'altura di Osseinca e furono attaccate le posizioni di Na Gradra, Leupa, la quota 856 di fronte al Kuk e lo Jelenik, mentre il II Corpo d'Armata s'impadroniva della linea nemica Bavterca-Rutarsee.

(quanto sopra l'ufficiale "Bollettino di guerra"
mentre un lettore precisa:
Mi permetto di segnalare che il 21.8.1917 Mesnjak - che non era sul fronte del XXIV Corpo d'armata- non cadde affatto. Il pese fu conquistato solo il 26 agosto 1917 per opera del 274° reggimento fanteria della brigata Belluno che subì perdite fortissime, tra le quali il suo comandante colonnelo Alceo Cattalochino di Terni che, ferito in questo giorno, morì quello successivo a Molini di Klinac. Evidentemente poi, aver indicato il monte Na Gradu come Na Gradra è un mero e comprensibile errore materiale. Spero che quanto segnalato possa esserle utile. (Gerardo U.)


Contrattacchi furiosamente sferrati dal nemico con truppe fresche furono respinti dai nostri durante la notte, e il 22 l'avanzata proseguì: furono conquistate le impervie balze dell'Oscedrik (m. 856) e fu da due parti investito lo Jelenik, che nelle prime ore del pomeriggio, preso in mezzo da tre colonne e attaccato, cadde in nostro potere con quasi tutto il presidio.
Poichè tra il XXVII Corpo e il XXIV, per l'impetuoso avanzare di questo, si era prodotto un distacco rilevante, a saldare le linee fu mandato il XIV Corpo, che era di riserva, al quale fu affidato il compito di puntare risolutamente su Chiapovano.

" Il 23 agosto il XXIV Corpo d'Armata spinse la 53a divisione che formava la sua destra ad avviluppare da nord il Kobilek per agevolarne la conquista al II Corpo. E il Kobilk fu preso. Perduti i suoi capisaldi, il nemico incapace di contenere la nostra irruzione, cominciò la sua ritirata, che i nostri aviatori segnalarono e le nostre squadriglie da bombardamento resero penosa e difficile. Il nemico lasciava cannoni, armi d'ogni specie, munizioni, viveri, magazzini pieni, e in lunghe colonne, portandosi dietro carri e quadrupedi, scendeva dalla Bainsizza nel Vallone di Chiapovano e risaliva sull'altipiano di Ternova.
"Il 24 agosto, per effetto della manovra che portava le nostre truppe a Slemo e permetteva, loro di affacciarsi dal Ma-Kobil sul Vallone di Chiapovano; cadeva nelle mani nostre il Monte Santo e le truppe dell'8a divisione, comandata dal valoroso generale CASCINO, vi piantavano la bandiera italiana sull'estrema quota (682). Sulla Sella di Dol si stabiliva il collegamento tra il II e il VI Corpo d'Armata. Verso le nostre retrovie affluivano i prigionieri che in quei giorni di battaglia, sul fronte soltanto della II Armata superavano i 10.000. Parecchie diecine erano i cannoni sottratti al nemico e innumerevoli le mitragliatrici e i fucili".

I progressi maggiori furono fatti al centro. Il Comando supremo che fino allora aveva, specie su questo fronte, circondato di mistero l'azione, nel suo bollettino di guerra del 26 agosto, riassumeva brevemente la battaglia e faceva nomi di località e di brigate:
"Le valorose truppe - diceva - della II Armata, gettati 14 ponti sotto il fuoco nemico, varcavano l'Isonzo nella notte sul 19 e procedevano all'attacco dell'altopiano di Bainsizza, puntando decisamente sul fronte Jelenik Vhr, aggiravano le tre linee difensive nemiche del Semmer, del Kobilek e di Madoni, poi riunitisi contemporaneamente attaccavano le stesse linee anche di fronte e le rompevano, nonostante l'ostinatissima difesa del nemico; conseguenza dell'ardita manovra la caduta di Monte Santo.
"Le truppe dell'Armata continuano ad avanzare verso il margine orientale dell'altopiano di Bainsizza, incalzando il nemico che oppone vivacissima resistenza con forti nuclei di mitragliatrici e di artiglierie leggere. Nei combattimenti dal 19 al 23 si sono fra tutti distinti per valore ed ardire: le brigate Livorno (33° e 34°), Udine (95° e 96°), Firenze (127° e 128°), Tortona (257° e 258°), Elba (261° e 262°, il 279° fanteria (brigata Vicenza), la 1a e la 5a brigata bersaglieri (reggimenti 6° e 12°, 4° e 21°), il 9° e il 13° raggruppamento bombardieri, il 2° e il 4° battaglione pontieri del genio.

"Alla sinistra però l'azione non ci fruttò quasi alcun vantaggio. Il XXVII Corpo doveva con la sinistra mantenere impegnate Santa Maria e Santa Lucia e col centro e la destra conquistare il Lom di Canale e il Lom di Tolmino, la cui presa avrebbe causato la caduta della testa di ponte; ma il compito di questo Corpo fallì. Lo stesso dicasi dell'azione del IV Corpo, che con la sua 46a divisione doveva aiutare il XXVII a conquistare la testa di ponte di Tolmino. Questa divisione ottenne, all'inizio, qualche vantaggio sul Mrzli, ma non riuscì a mantenerlo.
"Il VI Corpo, alla sinistra, doveva concorrere col XXIV e col II Corpo a far cadere per manovra il Monte Santo e il San Gabriele, ma la sua 2a divisione non riuscì a sostenersi sulla sommità di questo secondo monte che aveva già raggiunto. Maggiori vantaggi ottenne invece l'azione dell'VIII Corpo, il quale in concorso con il XI Corpo della III Armata si impadronì del saliente formato dalle trincee austriache a Raccogliano, alla confluenza della Vertoibizza nel Vippacco".

L'AZIONE OFFENSIVA DELLA III ARMATA
SCARSI PROGRESSI INIZIALI
SOSPENSIONE DELL'OFFENSIVA SUL CARSO
GLI ULTIMI PROGRESSI DELLA II ARMATA SULLA BAINSIZZA
DICHIARAZIONI DEL GENERALE CADORNA

Mentre si svolgeva accanita la battaglia da Monte Nero al Vippacco e le fanterie della II Armata conquistavano l'altopiano della Bainsizza, dal Faiti al mare un'altra battaglia era combattuta dalle truppe della III Armata e nel primo balzo, erano conquistate le trincee nemiche di quota 378 a sud-est del Dosso Faiti e quelle tra le quote 220, 244 e 251 a nord e a nord-est di Korite.
"Sull'altopiano carsico - diceva un comunicato del Comando Supremo - e nella zona litoranea, sotto la poderosa pressione delle truppe della III Armata, la linea nemica ha cominciato ad inflettersi e a cedere in più punti. Le valorose fanterie del XXIII Corpo ancora una volta si sono coperte di gloria; le brigate Granatieri (là e 2°), Bari (139° e 140°, Lazio (233° e 234°, Piceno (235° e 236°) e Cosenza (243° e 244°) hanno gareggiato in bravura riuscendo ad oltrepassare le poderose difese nemiche tra Korite e Selo, verso la forte posizione di Stari Lokva"

"Anche la brigata Pallanza si distingueva, impadronendosi di una posizione nemica a sud-est del Dosso Faiti, e il Comando Supremo la elogiava più tardi per avere saputo tenere la posizione nonostante i ripetuti e furenti contrattacchi austriaci. Inoltre cadevano nelle nostre mani tra l'altopiano carsico e il mare la quota 43 e la galleria ferroviaria di San Giovanni di Duino.
Però i risultati ottenuti dal primo balzo offensivo contro l'Hermada e contro la dorsale del Trstely non erano stati grandi e solo al centro il XXIII Corpo d'Armata aveva potuto compiere, notevoli progressi. Temendo che sul Carso l'offensiva, proseguendo, desse risultati non adeguati agli sforzi e alle perdite, la mattina del 20 il generale Cadorna avvertì il Duca d'Aosta di continuare l'azione e di svilupparla solo nel caso che la battaglia promettesse di svolgersi in nostro pieno favore; e di sospenderla ordinando alle truppe di sostare nelle posizioni raggiunte nel caso che il combattimento languisse o assumesse carattere locale e quindi non potesse influire al raggiungimento degli obbiettivi assegnati all'Armata.

"Nonostante questi ordini del Comando Supremo, le truppe della III Armata furono costrette a continuare a combattere nei giorni 20 e 21 per resistere ai furiosi contrattacchi del nemico. Questi furono tutti respinti e qua e là, in direzione di Selo e di Medeazza, i nostri si spinsero ancora avanti.
Non erano però progressi tali da indurre il Comando Supremo a insistere nell'offensiva, e il Cadorna diede ordine alla III Armata di sospendere l'azione, ma di tenersi pronta a riprenderla non appena le fosse stato ordinato. Inoltre la III doveva cedere alla II Armata 3 batterie da montagna, 50 di medio calibro e 6 batterie di bombarde da 240 e da 58, mettere a disposizione del Comando Supremo due divisioni e porsi in grado di convergere verso la regione del San Marco il fuoco di un centinaio di grosse e medie artiglierie".

"Sospendendo l'offensiva sul Carso, il generale Cadorna intendeva proseguire con maggiore vigore la lotta sull'altopiano della Bainsizza, dove era avvenuto lo sfondamento delle linee nemiche, ed estenderla, con il concorso di artiglierie della III Armata sull'anfiteatro goriziano.
Il 25 agosto la II Armata, continuando nell'azione offensiva, fece nuovi progressi a nord conquistò il Veliki Vrh, al centro si spinse fino alle falde del Volnik (955) e a sud s'impadronì di Madoni; ma nei giorni seguenti, sia per la stanchezza delle truppe, sia per la difficoltà dei rifornimenti, sia per la resistenza accanita del nemico, che aveva sistemato a difesa l'orlo occidentale del Vallone di Chiapovano e sull'altopiano boscoso di Ternova, l'azione non poté progredire".

In sostanza la grande offensiva d'agosto era terminata dopo una settimana precisa di lotta accanita, che costò gravissime perdite al nemico, al quale prendemmo circa 30.000 prigionieri ed una settantina di cannoni. I centri militari stranieri lodavano il valoroso contegno delle truppe italiane, l'importanza dei progressi fatti e la strategia del generale Cadorna, il quale all'on. BARZILAI, che le pubblicava il 29 agosto sul "Secolo", faceva le seguenti dichiarazioni: (ribadendo chi era il "Comandante")

"Poiché i critici militari dei Paesi stranieri lo affermano, sia lecito a me confermare, che la manovra svoltasi in questi giorni per ardimento, vastità, complessità e probabili conseguenze e ripercussioni, è la più grande di quante siano state compiute durante la guerra dai diversi eserciti belligeranti. Il nemico ne ha l'infallibile sensazione. Il Paese può ben ritenerlo e può essere anche certo di questo, che, mentre la marcia si svolge, nonostante una tenacissima resistenza, felicemente su questo fronte e negli altri nostri settori di guerra ho garanzie di Sicurezza perfetta.
Noi abbiamo iniziato la battaglia sopra una distesa di 70 chilometri e non è concepibile che essa proceda simultaneamente con la stessa intensità in ogni punto. È di competenza del Comando Supremo l'ideazione del piano della manovra; spetta ai comandanti d'Armata la responsabilità dell'esecuzione. Ma sempre, manovra compresa, rimane al Comando Supremo il compito di armonizzare gli sforzi, sfruttare le situazioni, facendo affluire truppe, artiglierie e mezzi tecnici di ogni sorta, sottraendoli dove minore è il bisogno per lanciarli quando e dove possono essere meglio utilizzati.
E noi siamo per fortuna lontani dai tempi e dagli ordini di cose deplorati dal Machiavelli quando esortava il Principe a liberare l'Italia dai barbari. Ricordava il segretario fiorentino quanto gl'Italiani fossero superiori con le forze, con la destrezza, con l'ingegno. Quanto grande fosse la virtù nelle membra quando essa manovra nei capi. Ma, la debolezza di questi paralizzava le virtù della razza, perché quelli che sanno non sono ubbidienti ed a ciascuno par di sapere, né alcuno è tanto rilevato per virtù e per fortuna che altri vi cedano.

"Perciò in tante guerre quando non vi è stato un esercito tutto italiano, esso ha fatto mala prova. Ma da quei giorni siamo fortunatamente ben lontani. E ancora prima che della nostra vittoria finale l'Italia può essere fiera dell'immenso armonico sforzo che essa compie con mezzi poderosi e con la integrazione delle attitudini e delle funzioni degli individui. E a coloro che si attardano a lamentare il sacrificio delle vite, dei miliardi e delle comodità personali, ripetiamo che qui prima ancora di Trento e di Trieste si redime tutta l'Italia, si costruisce la sua dignità, la sua forza, la coscienza della sua forza e il suo prestigio nel mondo. Il prestigio, che significa non solo difesa dell'indipendenza politica, della libertà civile, ma di ogni attività economica, dei commerci, del lavoro, dei supremi interessi di tutti, umili o posti in alto. Io non vi consiglierei a ripetere le cifre che posso esporvi intorno alla potenzialità dell'esercito, degli uomini e dei mezzi che da umili origini abbiamo potuto mettere in opera in questi giorni. Al nemico non occorre offrire elementi di analisi, ci basti che egli subisca la sintesi. Certo ogni Italiano non disposto a rinnegare le proprie origini, sua madre, il suo titolo di cittadinanza nel mondo, non può essere insensibile dinanzi a questa gagliarda espressione delle rinnovate energie del suo paese".

Purtroppo la strategia di Cadorna si rivelerà sbagliata; lo vedremo nel capitolo "l'esercito alla vigilia di Caporetto".

... sempre in questo periodo e in questa offensiva, diamo uno sguardo al concorso della
Marina e dell'Aviazione, alla nascita degli...


..."ARDITI", e alle ultime lotte nell'anfiteatro goriziano > > >

Fonti, citazioni, testi, bibliografia
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

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