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I FENICI - LA STORIA


PER LA ZONA IN CHIARO VEDI CARTINA PIU' AVANTI

IL "TESTO DI PARAIBO" - CIVILTA' SCOMPARSE - CHI ERANO I FENICI ?
LA STORIA - ARRIVANO GLI ASSIRI
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(nella seconda parte)
L'ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO - LA STORIA DI CARTAGINE - L'IMPERO DI CARTAGINE - LE COLONIE DI CARTAGINE - LO SCONTRO CON ROMA - LA RELIGIONE - L'ARTE - ECONOMIA E COMMERCIO
L'ALFABETO FENICIO-GRECO-ETRUSCO-LATINO

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IL TERRITORIO

Guardando la cartina dell'antica Fenicia, si può comprendere come il destino del popolo che la abitava fosse inevitabilmente rivolto verso il mare. La Fenicia infatti, corrispondeva alla maggior parte della costa del Libano attuale, limitata a sud dal monte Carmel, a nord dal golfo diIskenderun; a est dalla catena del Libano e a ovest dal mare. Si presenta come uno stretto passaggio tra l'Africa e l'Asia; al di là del Libano si estendeva il grande deserto della Siria. Gli abitanti erano quindi addensati in una fascia di terra molto stretta perché la catena del Libano dista dal mare soltanto 50 chilometri nel punto più lontano e una quindicina nel punto più vicino. Lo stesso territorio è diviso in parecchi settori isolati e avendo dietro i monti le comunicazioni fra una città e l'altra erano spesso quelle attraverso il mare.
La conformazione del territorio non era quindi tale da far contare su sufficienti risorse agricole.

Costretti in un territorio angusto e scarso di risorse naturali, tutto affacciato al mare e prossimo ai più grandi imperi dell'antichità, è intuibile come la vocazione dei Fenici fosse rivolta ai commerci e come nel mare essi vedessero la via naturale per i loro scambi. Quasi tutte le loro città vennero fondate su capi protesi nel Mediterraneo, preferibilmente nei pressi di isole dove la popolazione poteva rifugiarsi in caso di invasioni nemiche. Si sceglieva di preferenza la posizione a cavallo di un promontorio, perché ciò permetteva l'uso di due porti uno verso il nord, uno verso il sud. I testi ricordano 25 città e moltissime borgate. Fra di esse spiccano per la loro importanza politica o religiosa: Byblos, Sidone e Tiro.

La Fenicia fu abitata da tempi antichissimi, come è provato dai ritrovamenti di località preistoriche. Agli inizi del XXVI secolo prima della nostra era, una forte emigrazione di popoli semiti partì dal nord della Siria e invase il territorio fenicio. Anche i rapporti fra l'Egitto e la Fenicia furono molto antichi, cioè addirittura anteriori all'epoca storica; e lungo il terzo millennio questi rapporti continuarono ancora. Nel secondo millennio sappiamo che i principi della città fenicia di Byblos erano vassalli dell'Egitto. Per quest'epoca abbiamo un documento unico di fonte egiziana che fa un ritratto pittoresco della vita nell'interno del paese della Fenicia. E' il racconto chiamato: Le Avventure di Sinuhe nel quale vi è dipinta con la più scrupolosa fedeltà la vita di questo popolo, che fino a poco tempo fa conoscevamo quasi nulla.

Come per gli Egizi (qualcosa l'Europa apprese dopo la spedizione di Napoleone - dopo il rinvenimento della "Stele di Rosetta" che Champollion poi decifrò), cosi i Fenici, ogni loro traccia, ogni documento rimase sepolto nella polvere.

Il ritrovamento del primo documento della storia fenicia ha qualcosa di avventuroso e comincia nel 1872.
Sembra che l'America sia stata scoperta 1000 anni prima dei Vichinghi, 2000 anni prima di Cristoforo Colombo.
Della stessa scrittura fenicia, nulla sapevamo fino a un secolo fa.
« Noi siamo figli di Canaan, veniamo da Sidone, la città del re. Il commercio ci ha gettati su questo lido remoto, in una terra di montagne. Abbiamo sacrificato un giovane agli dei e alle dee, nel diciannovesimo anno di Hiram, nostro potente sovrano. Partiti da Ezion-geber nel Mar Rosso, abbiamo viaggiato con dieci navi. Siamo rimasti assieme per due anni attorno alla terra di Cam (Africa), ma la tempesta ci ha separato dai nostri compagni. Così siamo arrivati qui, dodici uomini e tre donne, su una spiaggia che io, capitano, governo. Che gli dei e le dee possano benevolmente soccorrerci ».

Queste parole sono raccolte su di una tavola di pietra: duecento e quarantasei caratteri fenici, oggi facilmente comprensibili e traducibili. Ma ciò che dà importanza a questo documento, e che ha fatto discutere gli esperti di tutto il mondo, è una circostanza eccezionale: l'incisione è stata ritrovata in Brasile!
Si può quindi dedurre che i Fenici giunsero per primi in America, prima ancora non solo di Colombo, ma anche dei Vichinghi?
La deduzione è però contrastata da molti autorevoli studiosi, che negano con argomenti degni del massimo interesse e rispetto l'autenticità del documento fenicio, ritenendolo un'abilissima prova di falsificazione, dovuta ad un esperto di cose fenicie. Ma vi sono pure autorevoli studiosi che ritengono autentica e veritiera l'incisione.

Cercheremo ora rapidamente di far comprendere ai nostri lettori i termini della questione, che sfumano spesso in caratteri degni d'un racconto giallo: non si tratta infatti d'una questione erudita, ma di una discussione di grande importanza per giungere diritto allo scopo di questo nostro capitolo: illustrare le caratteristiche della vita e della civiltà dei Fenici. L'iscrizione fenicia ha avuto certamente il merito di far riaccendere l'interesse non soltanto degli specialisti e degli studiosi, ma un po' di tutti, su di un popolo e su di una civiltà che per lungo tempo esercitarono il predominio indiscusso sui mari.

IL "TESTO DI PARAIBO"

Dicevamo che la storia dell'iscrizione fenicia è essa stessa avventurosa: comincia nel 1872 ed il primo protagonista è uno schiavo d'una piantagione del Nord Est del Brasile; è lui a trovare questa pietra che porta strani segni sulla sua superficie levigata con cura. Incuriosito la porta al figlio del padrone, che con sensibilità certo rara, provvede a trascrivere con grande scrupolo quei segni misteriosi e poi spedisce la copia della trascrizione al Museo Nazionale di Rio de Janeiro. A questo punto inizia la seconda fase della storia di quello che intanto ha già un nome preciso, che gli viene dal luogo in cui è stato ritrovato: « testo di Paraibo ». Il direttore del Museo, benché non sia uno specialista, intuisce l'importanza del documento e rende pubblica la scoperta invitando gli studiosi a pronunciarsi. Intanto cerca di recuperare la pietra incisa, ma è scomparsa!

Gli studiosi sono profondamente divisi nel giudizio sul « testo di Paraibo »: autentica o falsa, le posizioni sono opposte e inconciliabili. E la questione finisce nell'oblio. Improvvisamente un colpo di fortuna: un professore americano acquista un fascio di vecchie carte presso un rigattiere; tra tante altre cianfrusaglie c'è un quaderno che contiene una lettera spedita dal direttore del Museo di Rio ad uno studioso americano: la lettera contiene il « testo di Paraibo »! E così il testo arriva al noto esperto di cose fenicie Cyrus H. Gordon, che lo studia con estrema attenzione, concludendo con l'affermazione della sua veridicità e autenticità.

Il Gordon basa la sua tesi non soltanto sull'esame linguistico del testo, ma anche sulla piena concordanza che c'è tra i fatti narrati nell'iscrizione e quelli tramandati a noi dagli storici antichi. Erodoto, infatti, racconta che durante il regno del faraone Necho (intorno al 500 avanti Cristo), fu allestita una flotta di navi fenicie, che salpò dal porto di Ezion-geber, sul Mar Rosso, e compì il periplo dell'Africa; le navi fecero ritorno soltanto tre anni dopo attraverso il Mediterraneo: i marinai, suscitando incredulità, affermarono d'aver navigato per lungo tempo con il sole a destra.
Duemila anni dopo, anche Dante Alighieri, scrisse qualcosa nel suo poema che forse molti non capirono Lui neppure forse. Le inserì e basta. Per diversi secoli molti non compresero quelle tre righe così oscure e passarono oltre. Le vogliamo riportare: Nel Primo canto del Purgatorie Dante dice:
Io mi volsi a man destra, e puosi mente
all'altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'alla prima gente.
Goder pareva il ciel di loro fiammelle:
ho settentrional vedovo sito
poichè privato se' di mirar quelle!

(versi 22-27).

Nessuno fino al 1488 (prima di Cao e poi Diaz, nel periplo dell'Africa) aveva mai navigato fino allora oltre i 20 gradi a sud, e la Croce del Sud non è assolutamente visibile se non dal 30° grado.
Ma Dante sa ancora di più, che la terra è rotonda, ha due poli e che l'Orsa maggiore si abbassa sempre più sull'orizzonte man mano che si procede verso sud, mentre la Croce del Sud si alza nel cielo notturno.
Ma come fa a saperlo? - Infatti proseguiamo la lettura nei versi 28-31.

Com'io dal loro sguardo fui partito,
Un poco me volgendo all'altro polo,
Là onde il Carro già era sparito,
Vidi presso di me un veglio solo...

Poi in un altro punto al canto quarto, versi 55 sgg, Dante riferisce d'esser giunto nell'emisfero meridionale e di aver visto il sole a nord. Insomma troppo preciso. Non può essere una invenzione nè teorica nè poetica. Qualcosa da qualche parte doveva aver letto, e anche se le informazioni sono distorte, lui le riporta.
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Riceviamo

"In riferimento a questo articolo sui fenici, in cui sono citati alcuni passi della divina commedia, mi permetto di sottolineare che la costellazione della croce del sud e' visibile con tutte le sue stelle a partire da 25° nord circa e non da 30°sud come si intuisce dal vs scritto....Dante aveva involontariamente commesso un errore nel dire "settentrional vedovo sito" l'errore nasce dal fatto che ai suoi tempi si conosceva poco la geografia del pianeta.e ,secondo i suoi contemporanei, il settentrione del pianeta era soprattutto limitato al mediterraneo ed ai paesi del nord europa i quali sono vedovi di quella costellazione.Il settentrional sito,in cui e'compreso tutto l'emisfero nord del pianeta, non ne e'completamente vedovo.Ora, se consideriamo che buona parte dell'India posta a sud dei 25° nord , , era stata occupata dagli arabi,prima che fosse scritta la divina commedia,(sultanato di delhi 1206)(considerare che Dante nacque nel 1265 e morì nel 1321)risulta ovvio che questi arabi da quelle latitudini sicuramente notarono questa costellazione. Considerando che gli arabi avevano nelle loro file molti astronomi si intuisce da dove Dante abbia potuto trarre quelle informazioni,anche se furono riportate in modo alquanto distorte, e cioe', forse ,da traduzioni di trattati scritti da astronomi arabi.Quindi questi versi di Dante non servono in alcun modo a confermare la teoria secondo cui il poeta avrebbe tratto queste indicazioni da chisa' quali scritti fenici, che poi sarebbero andati persi.e non confermerebbero neanche che i fenici si sono addentrati in latitudini sud.
A conferma del fatto che tale costellazione e' visibile dall'emisfero settentrionale a partire dai 25° nord circa ci viene in aiuto l'astronomia, secondo cui una stella per poter essere vista sorgere e tramontare, la sommatoria,dei valori assoluti della sua declinazione e della latitudine dell'osservatore deve essere inferiore a 90° ;se conderiamo che la stella piu' lontana della croce del sud ha una declinazione di circa 64°S ed alla sua declinazione aggiungiamo 25°N otteniamo il risultato di 89° ,che e' inferiore a 90° e questo ci indica che tutta la costellazione e' visibile a partire dalla latitudine di 25°N circa e che andando verso sud ,a partire da questa latitudine, tale costellazione sara' sempre piu' alta rispetto all'orizzonte . L'India si estende all'incira tra i 08°N ed i 32°N e quindi nelle regioni costiere dell'India che guardano verso sud, da 08°N a 25° N circa ,la costellazione della croce del sud e' completamente visibile.
Quindi da chi Dante avrebbe tratto quelle informazione se non dagli arabi?
Spero che, con queste mie osservazioni,abbia fatto cosa gradita. Saluti.Francesco M.

Tornando al "Testo di Paraibo", è possibile supporre che nel corso della navigazione, le navi fenicie trasportate verso occidente o da una tempesta o dalle correnti e dai venti, finirono per toccare la punta del Nord-Est del Brasile, che è pure la zona dell'America del Sud più vicina all'Africa!
Ma la tesi di Gordon è respinta da un altro autorevole studioso di cose fenicie, Sabatino Moscati, che in un'intervista ha dichiarato di non credere che l'iscrizione sia autentica: « E' troppo bella e interessante per esserlo ». Ma il parere negativo di Moscati si basa su di un'attenta discussione del testo linguistico dell'iscrizione, troppo bene elaborata per essere stata composta da un marinaio (ma siamo poi sicuri che era un semplice marinaio?). Ma il dubbio resta: è tutto vero o è soltanto l'invenzione d'un bizzarro e geniale cultore di testi orientali?

CIVILTA' SCOMPARSE

Abbiamo soffermato la nostra attenzione su questa vicenda che potrebbe sembrare una questione erudita da risolversi tra specialisti della materia, per far comprendere ai nostri lettori che talvolta l'archeologia, lo studio di ciò che non è più, di ciò che è scomparso, finisce per diventare qualcosa di direttamente attuale e contemporaneo, che tutti interessa e tutti un po' coinvolge: la conclusione dovrebbe pertanto essere di interesse profondo per una scienza che è sì di altissima specializzazione e di grande erudizione, ma spesso può risolversi in argomenti spettacolari, tali da avvincere tutti coloro che provano passione per le grandi vicende della storia dell'uomo.
Ricordiamoci che ancora poco più di un secolo fa, i maggiori scienziati del tempo, chiamavano "buffoni" coloro che sostenevano che i fossili (conchiglie, piante, animali, ecc. ecc.) erano testimonianze di un passato molto remoto della Terra, e non "scherzi della natura" come sosteneva il clero.
Nel 1750 c'era stato un uomo audace, BUFFON, che ipotizzò che la Terra aveva 75.000 anni, e affermava che la vita vi era apparsa dopo 35.000 anni. La reazione del mondo degli studiosi fu quella di perdonare questa "buffoneria" , affermando che si addiceva al nome che l'autore portava. Del resto anche lo stesso Voltaire, in una sua Storia del mondo, considera i fossili uno scherzo della natura e nel parlarne sorvola in gran fretta il tema
La stessa archeologia e paleontolgia era considerata un'eresia. I fossili pietrificati erano scherzi della natura, e che ogni scheletro di uomo o animale non poteva datare oltre il 4004 a.C. cioè dalla Creazione Biblica del mondo, quella cioè che il teologo LIGHTFOOT nel 1675 aveva fissato (dopo discussioni di secoli) con una sua certezza matematica: Dio aveva creato il mondo alle ore 9 del mattino del 26 ottobre, appunto del 4004 a.C.

CHI ERANO I FENICI ?

La discussione sul « testo di Paraibo » ci porterà ora ad illustrare le caratteristiche di questa grande civiltà fenicia: nostra guida preziosa e d'eccezionale fascino è il libro di Sabatino Moscati, Il mondo dei Fenici, Il Saggiatore, 1966, cui rinviamo subito tutti quei lettori desiderosi di approfondire e meglio conoscere questo appassionante argomento.
Il nome « Fenici » risale certamente ad Omero, se non oltre, ed è senza dubbio collegato al nesso semantico che in greco vale « rosso porpora », quindi alla tipica industria della colorazione dei tessuti con la porpora, propria delle città fenicie. Fenici è dunque un nome straniero, ma le fonti locali registrano il nome di «Cananei» per gli abitanti e di «Canei» per gli abitanti e di «Canaan» per la regione; nomi che nella Bibbia sono estesi ad indicare genericamente un po' tutte le popolazioni preisraelitiche. Se Cananei fu verosimilmente un nome che i Fenici usarono per designare se stessi, certamente esso non fu l'unico e forse non il principale: troviamo registrato anche quello di Sidonî, dal nome della città famosa di Sidone. Particolarmente interessanti sono le osservazioni che Moscati svolge su questa incertezza della denominazione: « Scarsi e poco frequentemente usati sono i nomi che designano i Fenici come unità, almeno per quanto riguarda i Fenici stessi: il che è chiaro riflesso del frazionamento dell'area e del prevalere in essa della coscienza cittadina su quella nazionale». In questo senso, dunque, già nel loro nome i Fenici rivelano la caratteristica peculiare della propria civiltà.

Da dove proviene questo popolo? Come per quasi tutti gli altri popoli dell'antichità le ipotesi sono diverse e tra loro contrastanti, ma sulla scorta degli spunti che offrono gli autori classici è possibile concretarne diverse: Filone di Biblo afferma che i Fenici sono autoctoni; Erodoto li fa abitare primariamente sul Mare Eritreo; Strabone afferma che sul Golfo Persico si trovavano templi e città simili a quelli fenici; e Plinio lo conferma; Giustino infine narra che, allontanati dalla loro patria per un terremoto, si sarebbero insediati prima sul lago siro (il Mar Morto?) e quindi sulla costa del Mediterraneo. Ma il problema delle origini non ha un valore decisivo per i Fenici, che si costituiscono come « nazione » sulla base di un'evoluzione storica nell'area siro-palestinese e non in quanto frutto di una migrazione di genti dall'esterno: sono anzi altre genti che migrano (Filistei, Ebrei, Aramei) a comprimere le città fenicie in condizioni autonome di vita.

La regione abitata dai Fenici può essere indicata nell'area costiera siro-palestinese; una regione che ha profondamente caratterizzato la storia del popolo che l'ha abitata: essenzialmente montuosa, solcata da brevi valli, più spesso i promontori rocciosi si protendono nel mare, modesti i torrenti che con le piogge s'ingrossano e di estate si seccano; insomma questa situazione geografica ha determinato tre condizioni essenziali: la prima è la frattura con le popolazioni dell'entroterra, isolate dai rilievi montuosi; ma in secondo luogo, i rilievi hanno pure impedito la formazione d'uno stato unitario, e favorito invece la crescita di città autonome; in terzo luogo la sola via che si apre di fronte a queste popolazioni è il mare e il solo strumento di lavoro è il commercio. L'agricoltura era tuttavia particolarmente sviluppata, approfittando d'un terreno che è, a paragone d'altri vicini, molto fertile: la maggior ricchezza della Fenicia erano però le foreste del Libano, che fornivano pini, cipressi e soprattutto cedri, ancor oggi famosi in tutto il mondo.
Un paese dunque di notevoli risorse economiche, ma che la configurazione geografica proiettava naturalmente in una dimensione di scambi e di commerci, in un primo momento con i popoli vicini, poi con tutte le regioni che s'affacciano sul Mediterraneo e anche oltre le mitiche colonne d'Ercole.

LA STORIA

Particolarmente complessa è la ricostruzione delle primissime fasi storiche della civiltà dei Fenici: i dati storici ricavabili da documenti e da iscrizioni sono scarsi, mentre più ricche possono essere le fonti indirette, che forniscono diverse notizie sull'assoggettamento delle città siropalestinesi; tra queste fonti riveste primaria importanza la Bibbia, i cui libri storici danno più volte precise notizie delle relazioni con le città fenicie e con quella di Tiro in modo particolare.
L'invasione dei « popoli del mare », intorno al 1204 avanti Cristo, colpì direttamente alcune città costiere: Arado fu distrutta e probabilmente anche Sidone; tuttavia questa situazione politica e militare conseguente alle invasioni consentì l'inizio di un'era di indipendenza: le città fenicie approfittarono di un momento di inattività delle grandi potenze nell'area siro-palestinese: l'Assiria si era rinchiusa nei suoi confini, l'Egitto era stato duramente sconfitto.

Le città protagoniste di questa nuova fiorente fase storica sono: Arado, Biblo, Sidone, Tiro; tra tutte forse Sidone ha esercitato un predominio ed un'influenza particolare. Il momento felice di questa fase di espansione è testimoniato da documenti che ci narrano d'una spedizione compiuta dal re assiro Tiglatpileser I (1112-10741 nell'Alta Siria dove ricevette tributi da Arado, Biblo e Sidone.: il re confermò l'autonomia della zona e probabilmente stipulò contratti commerciali con alcune città fenicie.

Nella loro espansione territoriale e commerciale i Fenici trovarono come diretti antagonisti i Filistei e gli Israeliti: se sui rapporti con i primi ci resta la sola notizia della distruzione di Sidone ad opera degli Ascalonesi, per quanto riguarda gli Israeliti tutto il Vecchio Testamento è ricco di dati e di racconti storici.
Con ogni probabilità, ad esempio, David, nell'espandere il suo stato, incluse in esso larga parte della costa fenicia: ma Tiro, la città fenicia più importante in questo periodo, rimase certamente autonoma, e inviò a David artigiani e legno di cedro per edificargli un palazzo.

Al tempo di Salomone (961-922) le notizie si fanno ancora più precise e più ricche: a Tiro regna ancora Hiram (969-936), che ingrandisce la città e l'abbellisce con nuovi templi e opere pubbliche. In questo periodo i rapporti tra i Fenici di Tiro e gli Israeliti sono molto buoni ed improntati al riconoscimento della rispettiva autonomia; un particolare curioso, che bene rivela lo spirito d'amicizia che unì i due re, è quello che ci mostra Salomone e Hiram in gare di sapienza, intenti a risolvere gli indovinelli che a vicenda si pongono. Al di là di questi episodi aneddotici, sta il fatto piuttosto rilevante d'una spedizione marittima nel paese di Ofir intrapresa in comune dai due re: Salomone costruì le navi, dice la Bibbia, ma Hiram fornì i marinai, «navigatori esperti del mare». Dunque fin dal X secolo la perizia marinara dei Fenici si era affermata sui paesi vicini.

Ad Hiram successe Baleazar, che visse quarantatre anni e ne regnò diciassette (935-919); Abdastratos, che visse ventinove anni ne regnò nove (918-910) e fu ucciso dai figli della sua balia. Di questi regnò prima Methustratos, che visse cinquantaquattro anni e ne regnò dodici (908-898); quindi Astharymos, che visse cinquantotto anni e ne regnò nove (897-889); quindi, assassinando il fratello, Phelles che visse cinquant'anni e regnò otto mesi (888). Phelles fu assassinato da un sacerdote di Astarte, Ittobaal, che visse sessantotto anni e ne regnò trentadue (887-856), inaugurando una nuova dinastia che sarebbe durata almeno un secolo.
Il periodo di agitazioni e di guerre intestine che Ittobaal conclude corrisponde significativamente ad un analogo periodo di torbidi in Israele nel momento in cui la normalità torna a Tiro, anche tra gli Israeliti torna per opera di Omri; e tra Omri e Ittobaal si riprende quel clima di relazioni amichevoli tra i due stati. La potenza di Tiro sotto Ittobaal si estende fino a porsi come egemonia su tutta la regione fenicia; ma la religione dei Fenici acquista vantaggio anche presso gli Israeliti, come chiaramente mostrano alcune dure pagine della Bibbia.

ARRIVANO GLI ASSIRI

Questo periodo di autonomia delle città fenicie è interrotto dalla decisa ripresa della potenza politica e militare degli Assiri, sotto il re Assurnasirpal II (883-859), che intorno all'875 organizzò una spedizione in Fenicia. Le città fenicie si arrendono senza ingaggiare battaglia, com'era costume dei piccoli stati, ma pagando tributi e donando omaggi al più potente: Tiro, Sidone, Biblo, Arado ed altre città minori si piegarono al re assiro. Anche il suo successore, Salmanassar III (858-824) compie a più riprese spedizioni in occidente, esigendo tributi e imponendo la sua supremazia; la situazione si tranquillizza alla sua morte, ma non per questo vien meno il senso dell'egemonia assira sulle coste fenicie.


Durante tale periodo è da segnalare la spedizione effettuata da Adadnirari III (809-782).
Con Tiglatpileser III (745-727) la pressione assira si rinnova e si fa più decisa, passando risolutamente all'annessione territoriale delle reaioni settentrionali della Fenicia fino all'altezza di Biblo, restando questa città e Aràdo in condizioni di relativa autonomia. In seguito Salmanassar V (726-722) conquista Samaria, e Sargon II (721-705) porta la supremazia assira su Cipro: questo fatto finisce per limitare notevolmente le ancor fiorenti capacità commerciali dei Fenici; la conquista di Cipro da parte assira decide anche il controllo del bacino orientale del Mediterraneo. L'avanzata degli Assiri procede con regolarità: sotto il regno di Asarhaddon (681-668) il territorio fenicio è ormai diviso in province sottomesse all'autorità assira: al nord Simira, al centro la zona di Sidone, a sud quella di Tiro; resistono soltanto alcune autonomie cittadine, ormai isolate e direttamente minacciate: Arado, Biblo e Tiro insulare. Sotto Assurbanipal (668626) anche queste città, dopo un tentativo di rivolta, connesso a quello egiziano di scuotere il dominio assiro, cadono e diventano tributarie.

Successivamente, al ritorno dalla campagna contro le tribù arabe, Assurbanipal deve affrontare nuove ribellioni fenicie.
La situazione si presenta immutata alla caduta dell'impero assiro e all'arrivo dei Babilonesi, nel 612; e così pure ben poco dovette cambiare al momento del sopravvento dei Persiani, fino alla riforma dell'impero persiano decisa da Dario I, che nel 515-514 divise il vastissimo territorio a lui sottomesso in satrapie e riunì le città fenicie nella quinta satrapia, lasciando tuttavia i re e le autonomie locali sotto il controllo però di commissari, che curavano il pagamento dei tributi e la fedeltà militare.
In questo periodo si registra un certo predominio di Sidone sulle altre città: il re di Persia vi aveva una propria residenza.

Con il IV secolo a.C. si può notare una certa evoluzione nella politica delle città fenicie verso la Persia. Nel 392, quando il greco Evagora s'impadronisce di Cipro e attacca la Fenicia, Tiro e altre città gli si sottomettono temporaneamente. Nel 362 il re Stratone di Sidone si riavvicina ai Greci, fino ad ottenere il soprannome di Filelleno. Tenne, re di Sidone dal 354 al 344, si ribella nel 346, distruggendo il palazzo del satrapo e saccheggiando il parco reale: il re Artaserse Oco interviene compiendo una strage terribile e annientando la rivolta: Sidone è messa a ferro e fuoco e più di quarantamila abitanti sono massacrati.

Il dominio persiano si conclude con la conquista, di Alessandro Magno: dopo la vittoriosa battaglia di Isso (333) le principali città fenicie gli aprono le porte. Tiro. invece vuole conservare la propria autonomia e Alessandro decide di conquistarla, cingendola d'assedio. E' questa una delle pagine militari più importanti nella storia della strategia antica. Alessandro per raggiungere l'isola di Tiro intraprende la costruzione di un terrapieno e per proteggersi durante i lavori ottiene l'aiuto della flotta delle altre città fenicie: alla fine anche Tiro, cui viene a mancare il promesso aiuto di Cartagine, è costretta a cedere con gravi perdite.

La conquista di Alessandro Magno segna praticamente la fine della potenza fenicia: tutto il territorio siro-palestinese si ellenizza, la stessa lingua greca sostituisce le lingue locali. Ma il processo della crisi è molto lento e non senza alcuni significativi ritorni di autonomia. Anche dopo la conquista romana, nel 64 a.C, Tiro, Sidone e Tripoli, continuano a godere di una certa autonomia: malgrado queste resistenze, il corso generale della storia dei Fenici può considerarsi concluso.

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