VIOLENZA, VIOLENTI, SOCIETA' 
E MASS MEDIA

di LUCA MOLINARI



"La violenza è la levatrice della storia". Queste parole di George Sorel, filosofo francese e padre del sindacalismo rivoluzionario, sottolineano come per un'ampia parte del pensiero e dell'azione politica umana gli atti di violenza abbiano rappresentato il motore propulsore dell'Umanità.
Noi crediamo che siano anche altri  e forse I più importanti elementi del divenire storico, ma non possiamo celare l'importanza che, fin dai tempi di Caino ed Abele e di Romolo e Remo (tanto per fare degli esempi a cavallo tra mito sacro e profano), la violenza ha avuto un ruolo di primaria importanza.

L'uomo "animale politico" (Aristotele) è sempre stato naturaliter attratto dal sangue e dalla violenza, anche quando lo ha condannato o temuto.
I violenti sono sempre stati una piccola, ma significativamente rilevante, componente delle comunità che nel corso dei tempi si sono susseguite nella storia umana.
A seconda dei momenti storici i violenti hanno agito in determinati ambiti (fanatismo politico, fanatismo religioso, ecc. �), scegliendo di volta in volta quel campo che permetteva loro, per le determinate condizioni storiche del momento, di agire in maniere più indisturbata e più eclatante. 
I facinorosi che si aggirano, infestandole, nelle curve dei nostri stadi e che rappresentano una contraddizione di termini con lo spirito sportivo (che vorremmo essere ispirato a motto di De Coubetern "l'importante è partecipare"), non sono altro che le stesse tipologie di schegge impazzite che infestavano i movimenti studenteschi e di protesta del '68 e dintorni.

A loro volta essi non sono altro che i pro-pro-pro nipoti di quanti riempivano gli anfiteatri romani ai tempi dei Cesari per "gustarsi" spettacoli in cui pacifici ed inermi uomini venivano sbranati da fiere feroci o poveri gladiatori erano costretti a scannarsi fra loro per avere salva la vita all'insegna del mors tua vita mea.

A loro volta questi antichi romani ebbero come eredi tutta quella plebe veneziana e "gentile" romano-papalino che trovano normale dare vita a rituali cacce all'Ebreo in occasione del Carnevale. 
Non molto diversi erano quanti, in Europa come nel Nord America, sfogavano la propria naturale inclinazione alla violenza nell'ardere sul rogo povere donne ritenute streghe con un'impressionante scadenza settimanale, come se ciò fosse un appuntamento ludico di ogni week-end che si rispetti. 
Potremmo continuare citando tanti altri esempi storici, ma vogliamo fermarci qui limitandoci a ricordare fatti violenti come lo squadrismo fascista degli anni '20 e quello nazista degli anni '30.

Nella "storia della violenza" un ruolo molto importante lo hanno avuto le istituzioni politiche-istituzionali che, di volta in volta, hanno cercato di sopprimere o di cavalcare movimenti violenti per raggiungere o mantenere il proprio potere.
Il grosso della popolazione, pur non essendo violenta nei termini prima descritti, è comunque sempre stata attratta (per fascino o per ripugnanza) dalla violenza. A testimonianza di ciò si possono chiamare a deporre (metaforicamente) la grande diffusione di romanzi e film gialli e dell'orrore.
Quindi, last but not least, da sempre la violenza ha interessato l'attività professionale dei mass media e degli opinion maker.
Fatti di cronaca nera e violenza "fanno vendere" molte copie o fanno schizzare in su i dati dell'Auditel. Più un fenomeno viene isolato e analizzato nei suoi aspetti più crudi, più chi lo fa (giornalista o regista che sia) ha possibilità di legare il proprio nome ad un "prodotto" di successo che verrà "acquistato" dal più largo pubblico possibile, senza distinzione di ceto e censo.
Quindi è molto più probabile che un organo di informazione in presenza un atto di violenza (collettivo o singolo) tenda ad estrapolarlo dal contesto socioeconomico, politico e culturale in cui è avvenuto, rimandando tali analisi ad un secondo momento.

 Secondo momento che si potrebbe definire con l'espressione baconiano della pars costruens in cui si opera solo per quella componente più ristretta della pubblica opinione (più attenta, più colta, ecc. �) interessata ad andare più a fondo nei meandri e nelle contraddizioni dei fenomeni violenti interessati.
In una prima parte i mass media devono, se non altro per ragioni di cartello, raggiungere ed interessare tutto il pubblico, tutte le parti del grande pubblico anche quelle più pigre o deboli a cui non si possono sottoporre analisi troppo fini perché si correrebbe il rischio di non essere sufficientemente seguiti lasciando per strada una parte degli utenti (e quindi di proventi).

Questa è, sempre per usare una terminologia cara a Francis Bacone, la destruens pars, quella in cui si mette in pasto alla pubblica opinione la versione più cruda e semplice dei fenomeni. 
è, spesso, questa la fase in cui si cercano i colpevoli più facilmente identificabili della violenza, dimenticandosi di eventuali altri responsabili collaterali.

In questa prima fase si preferisce ritenere la società completamente sana e non responsabile di aver coltivato nel proprio seno i germi della violenza. Tutte le colpe sono esclusivamente e solamente dei violenti, spesso descritti come animali, rinnegati della civiltà e barbari .

Sono queste metafore ad effetto valide in tutti i campi indipendentemente dal grado di danno e di pericolosità della violenza: dai tifosi (ma sarebbe meglio parlare di delinquenti) che gettano un motorino in un campo di gioco dello stadio San Siro di Milano ai terroristi (valida anche qui l'aggettivo delinquenti!) che dirottano due aerei per schiantarsi con un sucidio-attentato sulle Tween Towers di New York.

In entrambi i casi la prima reazione della stampa è di allarme sociale e di denuncia della violenza fine a sa stessa: non si ricercano complicità, responsabilità o omissioni da parte di terzi. Ci si limita a compattare una pubblica opinione sgomenta nella condanna e nell'esecrazione dei fenomeni violenti.

Non si cerca di vedere perché, pur restando inflessibilmente ferma la condanna degli atti delinquenziali citati ad esempio, ciò sia accaduto e perché sia potuto accadere. 
Nel caso del motorino gettato dalle gradinate di San Siro non ci si pongono domande sul dove fossero le forze dell'ordine preposte ai controlli e perché nessuno sia intervenuto. 
Nel caso degli attentati alle Torri gemelle di Manhattan non ci si chiede chi abbia per anni finanziato le organizzazioni terroriste e su come le misure di sicurezza degli aeroporti di linea della più grande potenza mondiale siano state eluse da terroristi sconosciuti ed armati di semplici coltellini cutter.

Queste analisi vengono demandate ad un secondo modello, in prima battuta ci si limita ad una denuncia della violenza fine a se stessa e di chi l'ha compiuta per allarmare e compattare la pubblica opinione, solo dopo cronisti e giornalisti lasciano la scena a psicologi, sociologi ed esperti che forniscono interpretazioni e spiegazioni più o meno accurate e più o meno sfumante.

In tutto questo si deve tenere presente che tutti gli organi di informazione rispondono a precise linee editoriali che, pur essendo tutte legittime, sono tutte parziali e, come ogni azione dell'agire umano, viziate e condizionate dalle opinioni e dalla formazione personale di ogni singolo commentatore.

Quindi, nell'analizzare un articolo o una trasmissione radiotelevisiva, si deve sempre fare la tara, ossia andare a vedere chi sia l'editore, ossia il proprietario, dell'organo di informazione in questione. Fatti oggettivi nel mondo dell'informazione (e nel mondo in generale) non esistono. Esistono solo notizie, ossia resoconti filtrati da uno o più informatori che rispondono a logiche ed intendimenti ben precisi. 

L'importante è che ciò non avvenga basandosi su falsi dati e mantenendo una corretta etica professionale che non venga mai meno al rispetto della propria onestà intellettuale verso la pubblica intelligenza. Il compito dei mass media è proprio questo e per analizzarlo bene non potevamo non ricordarlo. 

di LUCA MOLINARI


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