POLITICA & FINANZA

SAVOIA A BOLLETTA
SALVATI DAI ROTHSCHILD

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MA CHI SONO I SOCI DELLA BANCA D'ITALIA?

LE BANCHE dei
"Fratelli" d'Italia stretti a
"coorte"

(in fondo pagina: il disegno di legge 4083 - Le Banche! Ma chi vigila? Le Banche !!!)

Giornali e televisioni ogni tanto ci dicono che il popolo italiano ha un mostruoso debito pubblico, ma nessuno ci dice verso chi siamo debitori. Apparentemente la cosa non è semplice da spiegare, in effetti la spiegazione è semplicissima. Per farla capire dobbiamo tuttavia rifarci al 1861. L'anno dell'unità d'Italia.

Nel 1849 si costituiva in Piemonte la Banca Nazionale degli Stati Sardi, di proprietà privata. L'interessato Cavour che aveva infatti propri interessi in quella banca; impose al parlamento savoiardo di affidare a tale istituzione compiti di tesoreria dello Stato. Si ebbe, quindi, una banca privata che emetteva e gestiva denaro dello Stato! A quei tempi l'emissione di carta moneta veniva fatta solo dal Piemonte, al contrario il Banco delle Due Sicilie emetteva monete d'oro e d'argento. La carta moneta del Piemonte aveva anch'essa una riserva d'oro (circa 20 milioni), ma il rapporto era che ogni tre lire di carta valevano una lira d'oro. Il fatto è che, per le continue guerre che i savoiardi facevano, quel simulacro di convertibilità in oro andò a farsi benedire, sicché ancor prima del 1861 la carta moneta piemontese era diventata carta straccia per l'emissione incontrollata che se ne fece.
(ci meravigliamo poi che gli Usa, abbiano fatto la stessa cosa,
quando il 15 agosto del 1971, Nixon annunciò a Camp David la decisione di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, e l'abrogazione unilaterale degli accordi di Bretton Woods "svincolando" il dollaro dal cambio con l'oro.)

Avvenuta la conquista di tutta la penisola, i piemontesi misero le mani nelle banche degli Stati appena conquistati. Naturalmente la Banca Nazionale degli Stati Sardi divenne, dopo qualche tempo, la Banca d'Italia. Avvenuta l'occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete d'oro per trasformarle in carta moneta secondo le leggi piemontesi, poiché in tal modo i Banchi (del bistrattato Sud) avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e così facendo sarebbero potuti diventare padroni di tutto il mercato finanziario italiano.
Invece quell'oro piano piano passò nelle casse piemontesi. Tuttavia, nonostante tutto quell'oro rastrellato al Sud, la nuova Banca d'Italia risultò non avere parte di quell'oro nella sua riserva. Evidentemente aveva preso altre vie, che erano quelle del finanziamento per la costituzione di imprese al nord operato da banche, subito costituite per l'occasione, che erano socie (!) della Banca d'Italia: Credito mobiliare di Torino, Banco Sconto e Sete di Torino, Cassa generale di Genova e Cassa di sconto di Torino. 

Le ruberie operate e l'emissione non controllata della carta moneta ebbero come conseguenza che ne fu decretato già dal 1 MAGGIO 1866, il corso forzoso, cioè la lira carta non poté più essere cambiata in oro. 
Da qui incominciò a nascere il Debito Pubblico: lo Stato cioè per finanziarsi iniziò a chiedere carta moneta a una banca privata.
Lo Stato, quindi, a causa del genio di Cavour e soci, ha ceduto da allora la sua sovranità in campo monetario affidandola a dei privati, che non ne hanno alcun titolo (la sovranità per sua natura non è cedibile perché è del popolo e dello Stato che lo rappresenta). 

 

MA CHI VIGILA?

Oltretutto da quando nel 1935 fu decretato definitivamente che la lira non era più ancorata all'oro, si ebbe che il valore della carta moneta derivò da allora semplicemente e unicamente dalla convenzione di chi la usa e accetta come mezzo di pagamento. La carta moneta, dunque, è carta straccia e in realtà alla Banca d'Italia (che è privata), a cui si dovrebbe pagare il debito pubblico, non si deve dare nulla. (*)

Ed è necessario, infine, ricordare che ancora oggi le quote dell'attuale Banca d'Italia sono possedute da varie Banche e da Assicurazioni, cioè enti privati su cui la Banca d'Italia dovrebbe.... vigilare. 

Da tutto questo potete facilmente capire in mano a chi siamo e che, dato che la Banca d'Italia e soci azionisti hanno un immenso potere finanziario e.... politico..... qualsiasi governo in Italia conta come il due di briscola. (**)

Antonio Pagano

(*) Il debito pubblico non è il debito che i cittadini hanno con la banca, bensì il prestito che i cittadini fanno alla banca sotto forma, per lo più, di titoli di stato. I soldi con cui i cittadini comprano i titoli di stato vengono spesi dal governo o dalla banca dello stato (che come abbiamo notato sono fratello e sorella). Gli interessi del debito pubblico (che lo stato deve ai cittadini contraenti) non sono ricavati dall'investimento dei soldi che hanno acquistato i titoli, bensì dalle imposte che gravano sui cittadini tutti. Da questo punto di vista, il debito pubblico non fa altro che consolidare una fascia di creditori dello stato che si assicurano tramite i titoli comprati una rendita, che è parte delle imposte.

(**) Questo spiega, perchè quando ci sono i governi in crisi, il premier è quasi sempre un governatore della Banca d'Italia (Carli - addirittura a un certo momento assume la presidenza della Confindustria, per poi tornare al governo (assistenzialista) come ministro del Tesoro). Cioè con i "santi" al vertice delle autorità monetarie e quindi di governo.

VEDI ANCHE LA VOCAZIONE DEI SAVOIA A FARE LORO I  BANCHIERI

 

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Se qualcuno non crede a quanto detto sopra

ANDIAMO ALLA FONTE UFFICIALE
ANNO 2003
http://www.senato.it/att/ddl/r4083p.htm
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Senato - Disegno di legge 4083 (testo presentato)

 

ONOREVOLI SENATORI. - La costruzione dell'Unione europea, l'introduzione dell'Euro quale moneta comune tra i Paesi membri e la creazione di un Sistema europeo di banche centrali impongono di guardare con rinnovato interesse al ruolo ed ai compiti che la Banca d'Italia, in qualità di banca centrale del nostro Paese, dovrà svolgere.
Infatti, a partire dal 1º gennaio 1999 i Paesi che come l'Italia partecipano all'Unione economica e monetaria (UEM), hanno perso la sovranità monetaria che é stata trasferita, congiuntamente alla politica del cambio, alla Banca centrale europea (BCE) e al Sistema europeo delle banche centrali (SEBC).
L'integrazione della Banca d'Italia nell'ambito del Sistema europeo di banche centrali rende la stessa partecipe delle scelte relative alla determinazione ed all'attuazione della politica monetaria dell'Europa che, come obiettivo principale, persegue il mantenimento della stabilità dei prezzi.
A questo si aggiunga che, in considerazione della consolidata organizzazione e presenza territoriale, tutte le banche centrali nazionali saranno chiamate a svolgere importanti compiti di natura operativa al fine di realizzare l'obiettivo della stabilità dei prezzi e di esercitare la vigilanza sul sistema bancario. Pertanto alla Banca d'Italia compete, su autorizzazione della Banca centrale europea, l'emissione di banconote in ambito nazionale.

Per comprendere l'importanza di tale funzione, occorre pensare al fatto che la regolazione dei flussi monetari é finalizzata a non lasciare inattive le risorse economiche per mancanza di mezzi monetari e a non far circolare moneta in quantità superiore alle reali necessità del sistema controllando cosí i fenomeni inflazionistici nel breve e soprattutto nel medio periodo. L'assolvimento di questo compito porta prioritariamente all'obiettivo del mantenimento della stabilità del potere di acquisto della moneta e, fermo restando tale obiettivo, alla promozione dello sviluppo economico, all'attenuazione degli effetti economici congiunturali e alla massima occupazione delle forze di lavoro disponibili. Ovviamente, il contemporaneo perseguimento di questi obiettivi puó risultare contraddittorio, per cui é necessario adattare l'azione dell'istituto alle mutevoli prospettive dei fenomeni economici. É quindi evidente che il ruolo di fatto svolto dalla Banca d'Italia, anche al di là delle puntuali previsioni normative, riveste un'importanza primaria nello svolgimento dell'azione pubblica.


* * *

Nonostante l'evidente interesse pubblico e nazionale del ruolo della Banca d'Italia, essa ha conservato per molti aspetti l'originaria struttura societaria privatistica, specie con riferimento al proprio capitale.

* * *

La disciplina vigente sull'ordinamento della Banca d'Italia é ancora oggi contenuta in fonti normative precedenti rispetto alla Costituzione della Repubblica italiana.
I principali testi che regolano la materia sono:


1) l'articolo 1 del testo unico di legge sugli Istituti d'emissione e sulla circolazione dei biglietti di Banca, approvato con il regio decreto 28 aprile 1910, n. 204, il quale, nel testo originario, attribuiva la competenza ad emettere biglietti di banca o altri titoli equivalenti - oltre che al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia - alla Banca d'Italia, "con capitale nominale di 240 milioni, diviso in 300 mila azioni nominative di lire 800 ciascuna". Va ricordato che sarà solo con il regio decreto 6 maggio 1926, n. 812, che il servizio di emissione dei titoli di banca verrà unificato;
2) l'articolo 20 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, che ha introdotto la qualifica di "istituto di diritto pubblico" per la Banca d'Italia. Lo stesso articolo ha modificato la disciplina relativa al capitale, disponendo che il capitale della Banca d'Italia fosse di trecento milioni di lire e che fosse rappresentato da trecentomila quote di mille lire ciascuna, interamente versate. Ai fini della tutela del pubblico credito e della continuità di indirizzo dell'istituto di emissione, il terzo comma dell'articolo in esame prevede che le quote di partecipazione al capitale siano nominative e possano appartenere solamente a:


casse al risparmio;
istituti di credito e banche di diritto pubblico;
istituti di previdenza;
istituti di assicurazione;


3) gli articoli 1 e 3 dello statuto della Banca d'Italia, approvato con il regio decreto 11 giugno 1936, n. 1067, che costituiscono la normativa vigente, per cui vengono riportati per intero.


L'articolo 1 recita: "La Banca d'Italia é un istituto di diritto pubblico, ai sensi del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375. Essa esercita funzioni bancarie, puó emettere titoli al portatore e quale unico istituto di emissione, emette biglietti nei limiti e con le norme stabilite dalla legge.
Nel suo nuovo ordinamento la Banca d'Italia riassume tutte indistintamente le attività, i diritti, i privilegi e le passività, gli obblighi e gli impegni dell'Istituto creato con la legge 10 agosto 1893, n. 449".
L'articolo 3 dello statuto, nel testo modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1992 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 75 del 30 marzo 1992), prevede a sua volta che: "Il capitale della Banca d'Italia é di 300 milioni di lire rappresentato da quote di partecipazione di lire mille ciascuna.
Le dette quote sono nominative e non possono essere possedute se non da:


a) casse di risparmio;
b) istituti di credito di diritto pubblico e banche di interesse nazionale;
c) società per azioni esercenti attività bancaria risultanti dalle operazioni di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356;
d) istituti di previdenza;
e) istituti di assicurazione.


Le quote di partecipazione possono essere cedute, previo consenso del Consiglio superiore, solamente da uno ad altro ente compreso nelle categorie indicate nel comma precedente. In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca d'Italia da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici".
Da ultimo l'articolo 27 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461) ha incluso le fondazioni bancarie, i cui statuti sono stati adeguati ai sensi dell'articolo 28, comma 1, tra i soggetti che possono partecipare al capitale della Banca d'Italia a condizione che:


a) abbiano un patrimonio almeno pari a 50 miliardi;
b) operino secondo quanto previsto dai rispettivi statuti, in almeno due province ovvero in una delle province autonome di Trento e Bolzano;
c) prevedano nel loro ordinamento la devoluzione ai fini statutari nei settori rilevanti di una parte di reddito superiore al limite minimo stabilito dall'Autorità di vigilanza ai sensi dall'articolo 10.


In termini riassuntivi, le quote di partecipazione al capitale della banca possono appartenere - oltre che a casse di risparmio, a istituti di diritto pubblico e banche di interesse nazionale, a istituti di previdenza e a istituti di assicurazione - anche a società per azioni esercenti attività bancaria, risultanti dalle operazioni di trasformazione delle casse di risparmio e degli istituti di credito di diritto pubblico di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, recante disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio, ovvero alle fondazioni bancarie.
Occorre a questo proposito sottolineare che le fondazioni hanno natura eminentemente privatistica cosí come stabilito dall'articolo 2 del decreto legislativo laddove vengono definite "persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale".

Ai partecipanti viene distribuito un dividendo - non superiore al 6 per cento del capitale nominale - sugli utili prodotti dall'istituto, dopo l'accantonamento al fondo di riserva ordinaria di una quota massima del 20 per cento. Col residuo possono essere costituite eventuali riserve straordinarie, nel limite del 20 per cento degli utili complessivi. Ai partecipanti puó essere distribuito, ad integrazione del dividendo, un ulteriore importo non eccedente il 4 per cento del capitale. La restante somma é devoluta allo Stato (articolo 54 dello Statuto).
La situazione del capitale della Banca centrale é stata oggetto di piú atti di sindacato ispettivo, a cominciare dalla interpellanza 2-00016 a firma dell'onorevole Nesi, a cui il Governo ha risposto nella seduta dell'Assemblea della Camera dei deputati del 27 giugno 1996. Si ricordano, inoltre, le analoghe iniziative di sindacato ispettivo dell'onorevole Giorgetti (interrogazione a risposta orale 3-00501), dell'onorevole Martinelli (interrogazione a risposta scritta 4-04001) e del senatore Wilde (interrogazione a risposta scritta 4-01918), a cui il Governo ha sempre fornito una risposta pressochè identica a quella esposta nella ricordata seduta del 27 giugno 1996. In quell'occasione, il rappresentante del Ministero del tesoro, rifacendosi ai dati forniti in occasione della relazione del Governatore presentata il 31 maggio 1996 all'assemblea dei partecipanti, ha chiarito che il capitale della Banca era ripartito fra 94 azionisti, 87 dei quali con diritto di voto. Tra i soci con diritto di voto, rientravano a quella data 79 società bancarie (84,5 per cento del capitale sociale), un istituto di previdenza (5 per cento del capitale sociale) e 7 istituti di assicurazione (10,5 per cento del capitale sociale).

Fra i predetti partecipanti al capitale, a parte il caso della Cassa di risparmio di San Marino che comunque non aveva diritto di voto, undici società bancarie ed assicurative risultavano in prevalenza private e ad esse faceva capo il 15,89 per cento del capitale della Banca, trasformato in quote con diritto di voto (17,84 per cento).
Il rappresentante del Tesoro, nella stessa occasione, aggiunse che "l'autonomia dell'istituto, nello svolgimento delle funzioni pubbliche assegnategli dalla legge, non discende dall'appartenenza del capitale della Banca all'area pubblica ovvero privata, ancorchè la prevalenza pubblicistica venga conservata dall'articolo 3 prima richiamato. Essa é, invece, assicurata dalla ripartizione dei poteri tra gli organi amministrativi e direttivi dell'ente. Ai primi, espressione dell'assemblea dei partecipanti al suo capitale, l'ordinamento affida l'amministrazione e la gestione dell'ente, mentre riserva ai secondi i poteri per l'esercizio delle funzioni istituzionali di emissione, di governo della moneta e di vigilanza sul sistema finanziario".

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Già in sede di replica, segnalammo che, quale che sia il capitale della Banca d'Italia la sua proprietà non é mai indifferente rispetto all'azione della Banca e all'interesse generale del Paese. Del resto, se l'autonomia dell'istituto non fosse legata all'assetto proprietario del suo capitale, non avrebbero senso le previsioni del suo statuto volte a mantenere in mano pubblica la maggioranza delle quote del capitale.
Non a caso, la disciplina dei maggiori Paesi stranieri é univoca nel senso di mantenere in capo al soggetto pubblico il controllo del capitale delle banche centrali.
In Francia, la legge 4 agosto 1993, n. 980, precisa all'articolo 6 che la Banca di Francia é un'istituzione il cui capitale appartiene allo Stato. In Gran Bretagna, il Bank of England Act del 1946, che non é stato mai modificato, stabilisce che l'intero ammontare in azioni del capitale della Banca d'Inghilterra viene trasferito, libero da ogni peso, ad un soggetto nominato dal Tesoro inglese, per essere detenuto dalla stessa persona per conto del Tesoro. In Germania, lo statuto della Deutsche Bundesbank del 26 luglio 1957 stabilisce che la Bundesbank é una persona giuridica federale di diritto pubblico e il suo capitale appartiene allo Stato federale. Anche negli Stati Uniti, la Federal Reserve, pur avendo uno statuto atipico ed essendo di proprietà delle banche federali, puó essere considerata, sulla base del combinato disposto delle leggi che regolano la materia, una vera e propria banca pubblica.

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In Italia, come stabilito nel 1936, le casse di risparmio hanno sino a poco tempo fa posseduto la maggioranza del capitale della Banca d'Italia. Questo é, tra l'altro, il motivo per cui, dopo la relazione annuale del Governatore del 31 maggio, prende la parola il presidente dell'associazione nazionale delle casse di risparmio. Ma ció aveva ragione di esistere quando le casse di risparmio erano pubbliche. Adesso non é piú cosí: nella tabella dove sono elencate le quote di partecipazione al capitale, non si parla piú delle casse di risparmio.
Nella tabella, da qualche anno si legge infatti che il capitale di maggioranza della Banca appartiene a società per azioni esercenti attività bancaria, a seguito delle operazioni di trasformazione delle casse di risparmio e degli istituti di credito di diritto pubblico di cui all'articolo 1 del decreto legislativo n. 356 del 1990, ossia a seguito della privatizzazione di tali istituti.

Se é vero che l'articolo 3 dello statuto stabilisce che in ogni modo per la maggioranza del capitale della Banca d'Italia debba essere assicurata la partecipazione di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia a sua volta posseduta da enti pubblici, cosa accadrà quando tutto il sistema delle casse di risparmio sarà diventato privato? Che valore avrà la norma statutaria dinanzi alla trasformazione in società per azioni degli operatori finanziari, assicurativi e di previdenza? Inoltre, quali conseguenze avranno sugli assetti proprietari della Banca d'Italia i processi di fusione, di trasformazione attualmente in atto nel sistema bancario italiano ed europeo?
La necessità di salvaguardare l'autonomia della banca centrale porta quindi alla conclusione che sia necessario fissare per legge il principio per cui il capitale della Banca d'Italia deve essere integralmente pubblico, come già previsto in Germania, in Francia e in Inghilterra.

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Il presente disegno di legge all'articolo 1 attribuisce al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica la titolarità dell'intero capitale della Banca d'Italia, prevedendo altresí la incedibilità delle quote di partecipazione.
L'articolo 2 delega il Governo ad emanare, entro un anno dalla entrata in vigore della legge, un decreto attuativo avente ad oggetto le modalità di rimborso delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia. Le quote devono essere rimborsate avendo riguardo al valore nominale delle stesse ed alla media degli utili netti assegnati ai partecipanti negli ultimi cinque anni.
L'articolo 3 contiene le disposizioni relative alla nuova composizione del Consiglio superiore della Banca. I consiglieri, debbono essere eletti in numero di tredici, di cui dodici dal Parlamento in seduta comune ed uno dalla Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, disciplinata dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
I membri del Consiglio superiore devono essere scelti secondo criteri di onorabilità, professionalità e competenza e devono avere maturato un'esperienza complessiva non inferiore a venti anni in materia monetaria, finanziaria e del credito.
Le norme riguardanti la nomina del Consiglio superiore sono estremamente solenni e rigide. Solenni perchè prevedono una modalità di elezione quale il Parlamento in seduta comune che rende l'idea dell'estrema importanza delle nomine stesse (fatto eccezionale nella legislazione delle istituzioni del Paese). Rigide perchè limitano la scelta a persone che per età e per storia professionale abbiano maturato un'esperienza di alto livello.
Viene poi istituita una Commissione bicamerale avente compiti di vigilanza sull'attività del Consiglio. Il governatore é tenuto a relazionare la Commissione sull'operato e sulle attività svolte dal Consiglio almeno una volta ogni sei mesi.
L'articolo 4 richiama le disposizioni di nomina e revoca del governatore contenute nell'articolo 19 dello statuto della Banca d'Italia e le mantiene invariate. In tal modo si intende ereditare l'attuale sistema in grado di garantire la piena indipendenza del Governatore come previsto dai trattati comunitari.
L'articolo 5 infine dispone che l'adeguamento dello statuto della Banca sia deliberato dal nuovo Consiglio entro tre mesi dal suo insediamento ed approvato con decreto del Presidente della Repubblica.


QUOTE DI PARTECIPAZIONE AL CAPITALE:
Porzione di testo non disponibile

http://www.senato.it/att/ddl/r4083p.htm

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Curiosamente, chissà perché, in rete manca la parte più interessante, cioè la composizione societaria
QUINDI COME DETTO SOPRA, NON SAPPIAMO CHI SONO I PROPRIETARI DELLA BANCA D'ITALIA.
Ma qualcosa si sa (*). Ed è abbastanza singolare. Anzi anomalo. Dei 77 soci, quattro maggiori gruppi bancari ( proprio quelli ultimamente coinvolti nelle incredibili vicende dei risparmiatori italiani) detengono il 66,6 % del capitale sociale di Bankitalia, cioè l'istituto che dovrebbe essere preposto al controllo delle banche stesse.
Dire in certi "salotti dell'alta finanza" a chi spetta il controllo dev'essere piuttosto imbarazzante. E dirlo dentro gli ambienti politici lo è ancora di più (sembra proprio che nessuno voglia fare chiarezza - nonostante tanti strepitio di voci)

(*) Banca Intesa, cioè la più grande banca italiana "possiede la maggioranza relativa delle quote di partecipazione in Via Nazionale" e lo dice lo stesso Giovanni Bazoli presidente della Intesa con l'abito di maggior socio. "Qualcuno ha ravvisato una grave anomalia nella singolarità dell'assetto istituzionale che vede il capitale della banca centrale detenuto da istituti soggetti alla sua vigilanza".
Una governance che dà vita a un conflitto di interessi. Ma, prosegue Bazoli:
"E' sufficiente osservare che tale assetto proprietario non consente ai partecipanti di esercitare la minima interferenza nè sulla composizione degli organi di vertice, nè sulla gestione. La struttura di governo di Banca d'Italia è tale da garantire una rigida separazione tra proprietà formale e poteri effettivi".

La cosa è abbastanza singolare, e se qualcuno ha "ravvisato" che è una "grave anomalia" non c'è da meravigliarsi. Un "padrone" si comporta sempre da padrone. E non ha bisogno di palesarlo. Soprattutto se ha il "coltello per il manico" (i crediti).

Si parla tanto di "riforme" ma i vertici "padronali" premono per una "autoriforma" fatta in casa (cioè fatta dal "padrone" della "casa")
"Che tipo di Riforma? Deve cambiare la proprietà. Non può essere di proprietà delle banche, di fatto i vigilati sono alla fine dei conti i padroni"
(il Ministro Alemanno in una intervista al Corriere d.S.)

"C'è un'idea della Banca d'Italia assolutamente sorpassato; continuano a funzionare come se fossimo a 10 o a 20 anni fa, quando le quote del Tesoro erano in passato in mano alle banche che erano però pubbliche, mentre oggi sono private. Va evitato il conflitto d'interesse fra controllante e controllore. Il capitale della Banca d'Italia dev'essere esplicitamente pubblico" (il Seg. Gen. della Cgil Epifani in una intervista al Corriere d.S.)

Prima o poi ne vedremo delle belle! O forse (dopo tanto baccano) si ritornerà agli "opportuni (e opportunistici) silenzi". O al massimo all'autoriforma, mantenendo integro l'autogoverno, l'autogestinone, l'autocrazia, e quindi la vigilanza (sic!) dei conti dei propri padroni.


(*) vedi tabella recentemente pubblicata dall'ufficio studi e ricerche di Mediobanca.
Apparsa su "Il Gazzettino" del 28-1-2004)
La lista compare nelle pagine di "IL SISTEMA MONETARIO OGGI? UN INFERNO ! " (vedi link sotto)

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VEDI ANCHE - PER CAPIRE MEGLIO IL MECCANISMO

"NASCITA DELLA MONETA" e la "MONETA OGGI"

infine: IL SISTEMA MONETARIO OGGI? UN INFERNO !!!


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