I bambini ebrei attendevano la morte nel ghetto disegnando i loro sogni di libertà

LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
NELL'INFERNO
NAZISTA DI TEREZIN

 

di FRANCO GIANOLA

Il piccolo ebreo tiene il volto scarnificato dalla fame chino sui tasti della macchina per scrivere. Ad ogni battuta un lungo silenzio. Tende l'orecchio al tonfo degli stivali. Le SS pattugliano in continuazione il girone infernale di Terezin, la città-fortezza a sessanta chilometri da Praga che i nazisti hanno trasformato in un gigantesco ghetto. 
Petr Fischl, 14 anni, è stato deportato qui, da Praga, nel 1943, in dicembre. Dietro si è lasciato l'infanzia, la gioiosa ansia di un bambino che si prepara trepidante alla scoperta dell'adolescenza. Le sue dita battono con fatica sui tasti della sgangherata macchina. Scrive di sé e di migliaia di altri bambini che ancora non sanno di essere destinati all'orrore finale di Auschwitz. 

"... Siamo abituati a piantarci su lunghe file alle sette del mattino, a mezzogiorno e alle sette di sera, con la gavetta in pugno, per un po' di acqua tiepida dal sapore di sale o di caffè o, se va bene, per qualche patata. Ci siamo abituati a dormire senza letto, a salutare ogni uniforme scendendo dal marciapiede e risalendo poi sul marciapiede. Ci siamo abituati agli schiaffi senza motivo, alle botte, alle impiccagioni. Ci siamo abituati a vedere la gente morire nei propri escrementi, a veder salire in alto la montagna delle casse da morto, a vedere i malati giacere nella loro sporcizia e i medici impotenti. Ci siamo abituati all'arrivo periodico di un migliaio di infelici e alla corrispondente partenza di un altro migliaio di esseri ancora più infelici...". 

Anche Petr, dieci mesi dopo, partirà con un gruppo di questi infelici. Destinazione Auschwitz. L'orrendo microcosmo di Terezin funziona dal 1941 al 1945. I nazisti vi fanno affluire, dall'Europa occidentale e orientale, circa 150 mila ebrei: tutti quelli che abitano nel protettorato di Boemia e Moravia, governato dal Reichprotektor Reinhard Heydrich, gli ebrei anziani, gli invalidi di guerra, i decorati al valor militare della prima guerra mondiale, illustri personalità.
 Il loro piano prevede il trasferimento graduale degli abitanti del ghetto ai lager, ma per non rivelare il progetto di sterminio della comunità ebraica europea, la propaganda esibisce Terezin come un insediamento modello. Invece ben presto iniziano i trasferimenti nei campi e dall'ottobre del 1942 il punto di arrivo è sempre Auschwitz. Sono circa 140.000 gli ebrei di Terezin: 33.529 muoiono nel ghetto, 88.196 finiscono nelle camere a gas, soltanto 17.247 vengono liberati l'8 maggio 1945. 

Dei quindicimila ragazzi sotto i quindici anni che hanno soggiornato nell'antica fortezza cecoslovacca, appena un centinaio riesce a sopravvivere. In questo luogo tre sono i drammi che lacerano la mente, la carne e la dignità degli esseri umani che vi sono ingabbiati: la promiscuità, la miseria, la fame.

La promiscuità è difficile, se non impossibile, da evitare: su un area che ha contenuto in precedenza un massimo di settemila abitanti, nei momenti di massima concentrazione gli "organizzatori" nazisti stipano fino a 87 mila persone. Questa tecnica di ammassamento fa parte di una precisa finalità che si inserisce nel piano elaborato dai "tecnici della morte" allevati sotto l'ala di Hitler: l'estromissione degli ebrei dalla vita del Paese. Con l'isolamento e la piena disponibilità di controllo dei quantitativi globali di vettovagliamento, i tedeschi possono applicare agevolmente la loro politica di affamamento. Queste condizioni favoriscono un altro effetto tipico del ghetto e di tutti i concentramenti umani ad alto indice di affollamento: le epidemie. è la strage vera e propria. La gente, sfinita dalla fame, muore per le strade. I cadaveri, che vengono raccolti ogni mattina, diventano la componente normale di un paesaggio che sembra la rappresentazione di un delirante incubo notturno. L'altissima mortalità "naturale", aggiunta ai continui rastrellamenti per il fantomatico e misterioso viaggio all'Est di gente che poi non torna più, fa sì che ognuno sia familiarizzato con l'idea della morte, ossessivamente presente sia fisicamente che psicologicamente. Nessuno si sente mai al sicuro né dal contagio, né dalla morte per fame, né dalla deportazione verso l'ignoto. 

Questo era Terezin. Soltanto una piccola parte di quel gigantesco piano di sterminio - la shoà - nato dalla "psicopatologia di Httler e dal suo gruppo di sgherri. Il seme ispiratore di questo orrendo obiettivo lo si trova già nel "Mein Kampf" (La mia battaglia), folle bibbia del nazismo scritta in un rozzo tedesco dall'ex imbianchino austriaco fra il 1925 e il 1927. Da questo libro, indubbiamente la più feroce e sanguinaria teorizzazione dell'antisemitismo, si scatena l'immenso massacro che cancella dalla faccia della terra oltre 6 milioni di ebrei, siano neonati, bambini, ragazzi, donne, vecchi.

Perché, nel "civile" XX secolo, questo atroce capitolo di storia? Perché "una nazione che, nell'era della soppressione delle razze, pensa ai migliori elementi della propria stirpe, deve essere un domani a padrona del mondo". Sono le ultime tre righe di "Mein Kampf". Dopo la tragedia, la lenta rimozione del ricordo, il silenzio. Ma bisogna "che il silenzio non sia silenzio" ammonisce Primo Levi - lo scrittore ebreo morto alcuni mesi orsono - che nel corpo e nello spirito portava gli indelebili segni incisi nel periodo di Auschwitz. Per rompere questo silenzio, che favorisce la formazione di focolai antisemiti con radice prenazista o nazista, pubblichiamo questa serie di testimonianze della vita del ghetto di Terezin raccolte clandestinamente fra il 1941 e il 1945. 

Fra i vari documenti, 77 disegni di bambini e di adulti che appartengono all'Associazione in ricordo dei martiri di Terezin "Beit Teresienstadt", ospite del kibbutz Givaat HaimIhud, in Israele, dove vivono superstiti del ghetto ed ebrei cecoslovacchi. Come fosse la vita a Terezin ce lo ha già descritto all'inizio Petr Fischl. Orrori di ogni genere, poi la morte. Eppure da questo inferno dove non esistevano materiali per dar vita a una qualsiasi forma espressiva, sono uscite poesia, disegni - persino un quadro a olio - composizioni musicali, commedie, spettacolini per cabaret. Nel ghetto, dove i prigionieri si autogestiscono sotto l'occhio degli aguzzini, il senso della dignità resiste al montare della degradazione. Nel futuro c'è quasi sicuramente la morte, ma gli adulti preparano quotidianamente i bambini alla vita. 

"Noi esistiamo, viviamo e qui i nostri figli debbono sentire che li amiamo. Una casa non significa solo un tavolo, delle sedie e un armadio. Una casa significa amare". 

Karel Schwenk, uno dei più popolari "teatranti" del ghetto (verrà ucciso in un campo di sterminio polacco) scrive un inno, forse in assoluto la prima composizione artistica nata a Terezin, che nel testo finale dice: "Dove c'è una volontà, là c'è la vita. Prendiamoci per mano e un giorno rideremo sulle rovine del ghetto". Il compito che i "grandi" si sono prefissi è pesantissimo. Nel ghetto gli ostacoli più duri sono la paura e la fame. Il sogno di molti bambini è di andare nel piccolo ospedale, organizzato alla meno peggio, dove c'è un letto pulito, cibo mangiabile, la dolce assistenza delle infermiere. Sul foglio strappato da un quaderno un piccolo anonimo scrive una toccante poesia: 
"... quindici corpi che vogliono vivere qui / trenta occhi che cercano quiete / teste rasate che ricordano la galera... / Il cibo che danno qui è un vero lusso./ Troppo lunga è la notte per un giorno troppo breve. / Malgrado tutto non voglio abbandonare / questa stanza più grande, / la mia polmonite / e le infermiere, ombre vaganti / che aiutano i piccoli malati. / Vorrei restare qui, piccolo malato in questo luogo di visite mediche / finché non sarò guarito / a lungo, a lungo. / Poi vorrei vivere / e tornarmene a casa".

è sopravvissuto il piccolo anonimo? Difficile dire se ha avuto la fortuna di essere nel gruppo di quel centinaio di bambini che i nazisti non sono riusciti a "liquidare" essendo sopraggiunto nel 1945 il crollo del "grande Reich". Ma anche se la sua vita è stata breve e trascorsa nelle tenebre di Terezin, s'è salvato dall'abiezione e l'affetto degli adulti gli ha alleggerito certamente, e qualche volta fatto dimenticare, il peso di un'angoscia dalla quale ci si può difendere soltanto rifugiandosi nella follia. I bambini del ghetto sono al centro dell'attenzione degli adulti. La loro vita collettiva viene organizzata nelle baracche definite "case d'infanzia". Qui i gruppi di due-trecento vengono suddivisi per età e lingua in piccole comunità di quindici-quaranta elementi diretti da un educatore aiutato da alcuni assistenti. Un medico, un infermiere, un assistente sociale e uno staff ausiliario seguono la vita di ogni "casa d'infanzia". I "pedagogisti", scelti fra giovani insegnanti e studenti, operano senza tregua dopo le estenuanti ore di lavoro che debbono fare per i tedeschi. Nessuno di questi educatori ha una propria vita privata: alloggiano nella stessa baracca dei bambini per essere continuamente a loro disposizione. Per facilitare l'apprendimento riscrivono alcuni libri di testo a memoria. I bambini più piccoli sono sempre occupati come in un asilo: leggono, scrivono, ascoltano con attenzione le storie dei loro paesi e disegnano tutto ciò che vedono. L'attività ludica è l'unica permessa, perciò vengono inventati dei giochi per imparare tutte le materie. I bambini in età scolare redigono settimanalmente un giornalino scritto e illustrato a mano.

Esiste una parola d'ordine per segnalare l'arrivo di una delle tante ispezioni tedesche: quando risuona, al rumore ritmico degli stivaloni dei nazisti, ogni materiale d'insegnamento sparisce e lascia il posto ad attività ginniche e canzoni. Accanto al lavoro degli educatori, l'assistenza delle famiglie e delle singole donne che curano indistintamente bambini con genitori oppure orfani. Il ghetto di Terezin diventa paradossalmente un grande atelier per attività creative in tutti i settori: arti grafiche, musica, teatro, canto, poesia, letteratura di ogni genere, sia per i bambini sia per gli adulti. è un'attività ora clandestina ora tollerata, a seconda delle necessità propagandistiche dei nazisti. Nel 1942, ad esempio, viene dato inizio al programma di "abbellimento" della città che deve servire a dimostrare la "generosità" del Reich nei confronti degli ebrei: apertura di un caffè con orchestra, istituzione di un finto Tribunale del Ghetto e di una "Banca dell'autogoverno ebraico", puramente fittizia. 

Durante questo periodo arrivano 70.850 prigionieri provenienti dal protettorato di Boemia e Moravia, dalla Germania, dall'Austria e dai territori cechi occupati. Per mancanza di posto, 28 mila vengono avviati verso i campi di sterminio dell'Est: parte il primo "carico" per Auschwitz. Un episodio analogo accade nel maggio del 1944, quando la Croce Rossa danese chiede di visitare il ghetto: i nazisti diminuiscono l'affollamento mandando ad Auschwitz 2.780 ebrei giovani e abili al lavoro, per dimostrare che Terezin è un "luogo di riposo per anziani". Queste continue e larghe decimazioni sconvolgono ogni volta i gruppi d'insegnamento e coloro che sovrintendono alle attività creative: nella comunità di allievi ed educatori si aprono grandi vuoti. Un altro esempio. Per un certo periodo i nazisti permettono le manifestazioni artistiche. Viene formato un coro e subito dopo nasce anche un'orchestra; tutti e due sono diretti da ottimi professionisti e composti da elementi di tutto rispetto. Pur senza azione scenica vengono rappresentate alcune opere liriche come "La sposa venduta" e "Il bacio" di Smetana, "Il flauto magico" e "Bastiano e Bastiana" di Mozart.

Anche in questo caso orchestra e coro si trovano privati improvvisamente di molti elementi, avviati verso i campi di sterminio. Ma la volontà fermissima di non lasciarsi uccidere spiritualmente vince anche l'idiota brutalità nazista. Hans Krasa, un valente musicista, compone un'operina per bambini intitolata "Brundibar". è l'unica opera lirica che può essere rappresentata in forma teatrale con scene e costumi. Lo scenografo Zelenka cura anche la regia realizzando un geniale allestimento con mezzi di fortuna. Gli adulti s'impegnano con entusiasmo nella preparazione di questo lavoro dedicato ai piccoli e interpretato totalmente da bambini-protagonisti e da bambini-coristi. L'operina viene replicata cinquantacinque volte. Il livello dello spettacolo è tanto elevato che da Berlino arriva una troupe cinematografica nazista per girare un documentario di propaganda. In quell'unica occasione "Brundibar" viene rappresentata in un teatro vero e proprio. Finite le riprese tutti i membri dell'orchestra, i collaboratori e i bambini che vi avevano partecipato vengono deportati ad Auschwitz.

è possibile sopportare questo orrore? Karel Ancérl, che fa parte del gruppo dei musicisti, così scrive dei suoi compagni di Terezin: "Ho sperimentato che la potenza della musica è così grande da poter portare nel suo regno qualunque essere umano che possieda un cuore e una mente aperta, da rendere possibile sopportare le più terribili ore della propria esistenza". Ricordando la sua attività teatrale nel ghetto l'attrice Jana Sedova scriverà: "Be', difficilmente un attore potrà sperimentare un entusiasmo pari a quello degli spettatori di Terezin. Qualcuno forse si chiederà: come si può parlare di fame di cultura in un luogo dove manca il pane? Invece di dilungarmi in spiegazioni, voglio raccontare un episodio. Nell'intervallo di una recita del "Matrimonio" di Gogol suonò la sirena che segnalava l'imminente partenza di un convoglio per Auschwitz. Nessuno, tra gli attori e il pubblico, sapeva se, tornando alla propria baracca, avrebbe trovato il foglio di via per il suo viaggio verso la morte. Gli organizzatori volevano sospendere lo spettacolo, ma il pubblico non lo permise e sacrificò il poco tempo per radunare l'essenziale, salutare gli amici e poi assistere, per l'ultima volta, a una recita teatrale. Questi spettacoli trasformavano una massa obnubilata dalle sofferenze in una comunità umana piena di entusiasmo e questa scintilla dava luce e calore per parecchi giorni. Sono convinta che questo fosse il dono più prezioso che il nostro teatro potesse fare al suo pubblico". 

Ecco. Dalla profondità del tempo la vergogna della shoà e l'orgoglio dello spirito, il concetto del male e il concetto del bene. I due volti dell'umanità dei quali i bambini di Terezin hanno fatto il ritratto nei loro disegni, nelle loro poesie: il volto della tragedia e quello della gioiosa speranza.

Ringraziamo per l'articolo l'autore
FRANCO GIANOLA, 
direttore di

vedi anche 

ANTISEMITISMO -STORIA 1  ANTISEMITISMO -STORIA 2   HITLER-WAGNER-GLI EBREI

LA RIVOLTA DEL GHETTO DI VARSAVIA


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