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GRECIA - STORIA

RELIGIONE E SCIENZA - miti, leggende, misteri

Hera e Zeus

I greci fin dall'antichità avevano un singolare gusto per ogni sorta di religione. Essendo per la maggior parte originariamente piccole colonie, provenienti da differenti "nazioni", ciascuna "Colonia", "Stato", "Città", aveva la sua particolare forma di culto. E non solo adottavano quegli Dei dei loro atavici progenitori, ma con opportunismo chi aveva in mano i commerci con altre "nazioni", adottava anche gli Dei di quelle. E non ancora soddisfatti di questa moltitudine, per non far torto a nessuno, i Greci istituirono una gran festa generale in onore di tutti gli Dei dei quali erano ignari. Ancora negli Atti degli Apostoli, apprendiamo che gli Ateniesi avessero eretto un altare al Dio ignoto.

Le più note particolarità intorno alle religioni dei Greci, erano i Templi, i Sacrifici, le Feste, gli Oracoli, e gli Auguri. Se vogliamo qui ricordare i principali Templi, questi erano quattro; in ordine d'importanza, il primo: quello di DIANA in Efeso (reputato come una delle sette meraviglie del mondo); il secondo: quello di APOLLO nella città di Mileto; il terzo: quello di CERERE e Proserpina ad Eleusi; il quarto: quello di GIOVE OLIMPICO ad Atene. Tutti edifici fabbricati in marmo e decorati dai più famosi ed esperti artisti. Anzi la loro architettura, proprio perchè ogni tempio era stato creato da una differente stirpe o "nazione", furono costruiti nei tre principali e famosi ordini, cioè il Dorico, lo Jonico, il Corintio.
Ma di tutti i Templi della Grecia, il più famoso di tutti era quello di Apollo a Delfo, per il gran credito e la gran devozione tributata da tutte le "nazioni" alle risposte del suo oracolo. Questo tempio era pieno di immense ricchezze formate dai donativi lasciati dai pellegrini o inviati da soggetti di ogni ceto, dal popolino fino ai più ricchi signori, da principi o dai governanti di "stati".
Più avanti torneremo a parlare di questi Templi, e di questi riti, qui sotto li accenniamo solo.

Quanto ai sacrifici: per dare una precisa idea di questi, se vogliano attingere alle notizie più antiche, basterà leggere quel racconto nel terzo libro dell'Odissea di Omero, dove minuziosamente sono descritti; e sono quelli offerti nel ritorno di Telemaco ad Itaca. Nestore lo troviamo nella parte di sacerdote e sacrificatore della giovenca, sacrificio accompagnato da: alte esclamazioni e da preghiere, uccisione dell'animale, scorticamento, taglio in piccole parti spruzzate di vino, arrostimento negli spiedi, degustazione dei "fedeli" riuniti al convito.

Delle altre molte feste religiose che osservavano i Greci, le tre principali erano la prima:
la Pan-atenea in onore di MINERVA, Dea tutelare della città che da essa traeva il suo nome. Questa festa Teseo l'aveva sostituita con quella precedente di Atenea, quando egli persuase il popolo dell'Attica di recarsi ad Atene. Essa era ogni anno solennizzata; ed in quell'occasione si svolgevano delle gare di corsa, lotta, musica e poesia. A gare disputate seguivano processioni solenni: i vecchi per primi, seguivano le vecchie, e dopo di loro venivano tutti gli uomini nel fiore della loro età, armati di scudi e di lance; poi seguivano i giovani delle principali famiglie, subito dopo le fanciulle che portavano i canestri con dentro le cose consacrate; infine la processione veniva chiusa da giovanetti in tenera età di entrambi i sessi.

La seconda principale festa: era quella di BACCO, anche se erano due le feste; la Dionisia che si celebrava in primavera, e la Lenea celebrata in autunno. Entrambe erano celebrate in gran pompa, seguite da tante rappresentazioni tragiche ma anche comiche. Gli iniziati vestivano pelli, portando in mano tirsi, con tamburi e corni e la testa adornata di foglie di vite. Nella scomposta ed estroversa allegria, alcuni si comportavano da ubriachi, ma altri lo erano effettivamente, e gli uni e gli altri correvano in tutte le strade della città vociando e agitandosi come "spiritati" cioè come invasati dal demonio; le donne o si univano a loro o passivamente accettavano le più audaci avance, e dato che in questa occasione non si osservava una licenza, ma tutto era concesso, a farla da padrone era la dissolutezza.

La terza principale festa, ma per la spettacolarità e la spiritualità era superiore alle altre due: era quella di ELEUSI, o di CERERE, che veniva chiamata de "I Misteri". Anche questa festa si celebrava due volte all'anno: la "piccola" nel mese di novembre, la "grande" nel mese di agosto. La ritualità per essere ammessi era piuttosto complessa: era necessatio lavarsi, pregare, sacrificare, ed osservare una stretta continenza per un certo periodo. La cerimonia dell'ammissione si celebrava nella notte; vi si leggevano libri misteriosi, si udivano voci e scoppi di tuoni, apparivano degli spettri, la terra tremava, lasciando gli iniziati agghiacciati dallo spavento.
Di dice anche che si facevano abominevoli cose, ma se queste veramente avvenivano erano dagli inziati sepolte nel silenzio, poichè era altamente delittuoso il divulgare i misteri di questa festa dell'iniziazione. Ed era anche delitto capitale per ogni persona non iniziata entrare nel tempio di Cerere.
A presiedere le celebrazioni era un onorato Arconte (che assumeva il titolo di Re) assistito da vari scelti ufficiali. Opinione diffusa era che l'iniziazione procurasse una particolare protezione della Dea e il più alto grado di felicità agli adepti.
La festa continuava per nove giorni, i primi tre per le varie cerimonie, nel quarto la processione detta "del canestro" (fatta da donne che portavano appunto canestri con alcune cose consacrate); nel quinto la processione dei "faci" nella quale si imitava Cerere mentre cercava Proserpina; nel sesto vi era la processione di "Jacco" (Bacco) e si portava appunto in giro la statua di Bacco. Era la giornata più allegra perchè oltre a cantare gli inni si suonavano strumenti, si ballava e ovviamente ognuno sprizzava di gioia; nel settimo giorno avevano luogo i giochi e le gare. Gli ultimi due giorni erano dedicati a cerimonie particolari (ma ogni quattro anni) e mentre si svolgevano non si poteva nè arrestare alcuna persona né portarla in prigione.

Non meno rinomato era l'oracolo di APOLLO a Delfo, nella Focide. Venerato con nome di Apollo Pitio, la sua sacerdotessa assumeva il nome di PIZIA (o Pitia). Essa proferiva i suoi oracoli assisa sopra un tripode che era posto all'ingresso di un antro nel monte Parnaso, luogo dove sembra uscisse un vapore che procurava ebbrezza; quando la sacerdotessa ne era inebriata, gli si rizzavano i capelli, il suo sguardo si faceva disumano, la sua bocca schiumava, il corpo si agitava in una satanica frenesia. A quel punto con varie smorfie facciali come magnetizzata, pronunciava isteriche e incomprensibili parole, che i sacerdoti però raccoglievano con gran cura e le disponevano a loro piacimento. Poichè queste risposte erano poco chiare, cioè oscure, indistinte, quasi sempre enigmatiche, o soggette a diverse interpretazioni, il sacerdote da quella esaltazione, considerata profetica, creduto e venerata, riferiva ciò che voleva sull'avvenire.

Nella sostanza tutti questi oracoli erano invenzioni umane, e stabilita la credulità della moltitudinne ignorante, la stessa era mantenuta per l' interesse o dei sacerdoti, o da quelli che governavano la moltitudine e gli stessi sacerdoti (avendo questi ultima di mira i ricchi donativi). Coloro che avevano il principale maneggio degli affari e della politica trovavano spesso convenienti questi oracoli, poichè quando avevano l'idea di introdurre qualche innovazione nel sistema di governo, o avevano bisogno del favore dei loro concittadini, sapevano bene come fare per procurarsi l'approvazione dell'oracolo, cioè del sacerdote che usava l'arte della furberia per imporla alla moltitudine; ed in questo caso il popolo non si azzardava contraddirli perchè -soggiogati- essi erano considerati gli intermediari del volere degli Dei.
Del resto in vari punti delle "Istorie" sappiamo che i sacerdoti accettavano doni per dare ai potenti particolari risposte. Nè possiamo credere - come vollero far credere poi i Padri della Chiesa- che sacerdotesse e sacerdoti erano invasi da un demonio. Più realisticamente possiamo invece credere che erano solo dei grandi furbacchioni, cioè dei ciarlatani.

Vi erano nelle risposte apparenti analogie con le domande che venivano poste all'oracolo. Ma siccome i sacerdoti, grazie ai numerosi pellegrini che giungevano da tutte le contrade, potevano tenersi informati di tutti gli affari degli Stati vicini e lontani, i responsi della Pizia (ovvero le loro interpretazioni) avevano una certa corrispondeza con i fatti, e quindi creduti e messi in esecuzione.
Le profezie le fornivano o in versi esametri, ma per lo più in prosa.

Ma non vi erano solo questi famosi oracoli; altri e numerosi erano famosi: come quelli di TRIFONIO, di ANFIARAO, di APOLLO SPONDIO e tanti altri. Famosi anche gli INDOVINI, a Pilo c'erano i Melampidi, in Beozia i Bacidi. E altrettanto famose (queste pullularono ai tempi della dominazione romana) erano le SIBILLE, profetesse simili alla Pizia. Inoltre vi era una serie di Sette, che consacravano agli dei infermali, e ancora più numerosa era la serie di amuleti, di talismani, che salirono al grado di istituzione.

Altre ridicole assurdità erano quell'altra specie di divinazione indiretta a cui i Greci ricorrevano: gli AUGURI, che la onoravano col titolo di Scienza, benchè consistesse nelle più ridicole puerilità.
Coloro che erano addetti agli Auguri, erano impegnatissimi ad osservare: se gli uccelli comparivano a sinistra o a destra; se i polli avevano appetito o meno; i tipi di sternuti; il genere di sogni; i vari fenomeni della natura (tempeste, eclissi, stelle varie ecc); oppure come si presentavano le viscere degli animali sacrificati.
Eppure da queste sciocchezze dipendevano perfino i più importanti affari di Stato, poichè è noto che molti importanti uomini fra gli antichi ricorrevano per le loro importanti decisioni a queste assurdità; anche se dobbiamo annotare che altrettanti uomini antichi, come Annibale, Marcello, Cicerone e molti altri irridevano a queste farse, a queste sciocchezze.
Ma questo molto più tardi, perchè le idee religiose ancora nel VI secolo erano ancora ferme al punto di concepire gli Dei come custodi dell'ordine morale nel mondo. Ma l'osservazione - nel momento in cui inizia in questo secolo una certa evoluzione- dimostrava che l'andamento delle cose era assai imperfettamente conforme a questo postulato. E l'antica dottrina secondo la quale la pena cui riesce a sfuggire il colpevole raggiunge i suoi discendenti innocenti non poteva più soddisfare il sentimento di giustizia di quest'epoca.

Sorse così una nuova astrazione religiosa, la credenza nell'espiazione dei delitti nel mondo dell'aldilà.
Non era questa visione una cosa nuova, già l'Odissea, benché in un brano di origine assai tarda, ci dipinge le pene e i tormenti cui sono sottoposti nel regno dei morti Tizio, Sisifo e Tantalo, perché nel mondo terreno si erano resi colpevoli di non aver onorato gli Dei. Simili idee avevano potenzialità e capacità di diffondersi in quanto il regno dei morti era già di per se stesso per ogni vivo un luogo di terrore. Ed anche chi si sapeva esente da qualsiasi colpa di grave entità non poteva tuttavia altro attendersi dopo la morte che una esistenza in mezzo a tenebre eterne.

Di fronte a questa aspettativa sorse e si impose il bisogno di un mezzo di riscattarsi da una simile sorte. Se il favore degli Dei, come aveva già cantato Omero, aveva sottratto alla morte alcuni eroi dell'antichità, come il biondo Menelao, e li aveva trasportati ai Campi Elisi, dove continuavano a vivere in eterna beatitudine, perché un simile favore non avrebbe potuto essere accordato anche a tutti gli altri mortali ?
E se lo stesso delitto più grande di tutti, l'omicidio, poteva essere espiato con sacre funzioni, era naturale pensare che funzioni simili potessero aver la virtù di allontanare la figura paurosa della morte. A tale scopo naturalmente si fece capo ai culti delle divinità ctoniche (divinità che abitavano gli Inferi), della madre-terra Demetra, di sua figlia Persefone, la signora del mondo dei morti, e di Dioniso, il dio della terra.

Fra le numerose località dove si svolgevano queste funzioni sacre o, come erano chiamati, « misteri » salì assai precocemente alla massima fama Eleusi presso Atene. Qui ogni autunno si rappresentò una specie di dramma della Passione (una specie di Via Crucis) che aveva a soggetto il ratto di Persefone ad opera di Hades e la sua ricongiunzione con la madre; il credente doveva attingerne la fiducia che anche a lui sarebbe stata concessa la stessa liberazione dalle pene degli inferni. A questi misteri era ammesso soltanto chi aveva ricevuto l'iniziazione (una specie di comunione) la quale peraltro si concedeva a chiunque la desiderava, non escluse le donne e gli schiavi. Chi non era iniziato rimaneva nel peccato, quindi sotto la minaccia di eterna dannazione dopo la morte.

Queste idee religiose condussero nel sesto secolo alla formazione di un sistema teologico, del quale era ritenuto autore il vate tracico Orfeo, figlio della musa Calliope ; da lui e dal suo allievo Museo, figlio di Selene, la dea della luna, si credeva fossero state redatte le
sacre scritture in cui erano consegnate queste dottrine (i "Libri dei Misteri"). Vi si narrava la creazione del mondo e la genealogia degli Dei, ricollegandosi alla teogonia di Esiodo, ma sviluppando poi le idee qui contenute in modo diverso ed autonomo.
CRONOS (il tempo) crea dal caos e dall'Etra l'uovo argenteo, dal quale si schiude il dio luminoso FANES, detto anche ERICAPEO ovvero PROTOGONO (il primo nato, una specie di Adamo) ; questi genera la notte e con essa il cielo e la terra, dei quali alla loro volta sono figli OCEANO e TETI, cui fa seguito poi Rea ; da ultimo il figlio di Cronos, ZEUS, conquista il regno del cielo e divora Fanes, ne incarna in sé l'intera essenza e diviene il nuovo creatore del mondo. Egli genera con Persefone, DIONISIO o Zagreo, cui ancor fanciullo pone in mano lo scettro ; ma il giovinetto viene dilaniato e divorato dai TITANI e soltanto il suo cuore é salvato da Atena. Zeus lo ingoia e poi genera con SEMELE un figlio che altri non é se non lo stesso Dioniso-Zagreo risuscitato, tornato nuovamente a vita.

Si afferma inoltre che anche la nostra anima e di origine divina ed un tempo visse in seno agli Dei beati, ma essa commise un peccato e per scontarne poi la pena fu condannata alla prigionia del corpo; anzi essa deve abitare uno dopo l'altro i corpi dei più diversi animali e uomini prima di potersi riscattare e tornare ad essere accolta nella cerchia degli Dei.
Condizione di tale riscatto é una vita moralmente pura e una rigorosa osservanza dei precetti rituali, come il non mangiare carne in determinati giorni, pregare, osservare le feste ecc.. Ma questo è ancora poco; la condizione principale é la consacrazione, mediante la quale solo dopo questa il credente attira sopra di sé il favore degli Dei. Chi l'ha ricevuta ed entra nella fede pura, conduce una vita beata in festosi conviti, mentre terribili tormenti attendono i peccatori e gli infedeli. L'anima però deve tornar poi ancora ad albergare in un corpo mortale, e soltanto allorché per tre volte si riesce ad essere immune dal peccato può aspirare a vivere in eterna comunione con gli Dei nelle isole dei beati.

Se questa religione si sia sviluppata in modo indipendente da influssi esterni sul suolo greco, ovvero se nella sua formazione abbiano avuto per avventura maggiore o minore influenza idee mitologiche e cosmogoniche dei vicini Traci e Frigi e dei popoli inciviliti dell'Oriente (India?), non é possibile ancora decidere allo stato attuale delle conoscenze. Ad ogni modo la nuova fede trovò presto numerosi profeti che percorsero in lungo e in largo tutto il mondo greco, per fare proselitismo e dispensare a chiunque i loro tesori di grazia celestiale.

Essi - ma anche tanti ciarlatani improvvisati- sanavano mediante preghiere e scongiuri ogni sorta di malattie e sventure, e portavano in giro una collezioni di infallibili responsi degli oracoli che potevano servire di regola in tutte le occasioni; si davano da fare per la salvezza delle anime dei vivi, e nello stesso tempo erano in grado di liberare con le loro preghiere e sacrifici i già morti, dai tormenti degli Inferi.
Naturalmente essi trovarono grande seguito, fra la gente colta come fra le masse incolte; si pensi che Onomocrito, uno dei capi più eminenti di questi sacerdoti, fu ospite ben visto alla corte dei Pisistratidi, e persino un uomo come Pindaro professò le dottrine orfiche o per lo meno ne subì profondamente le influenze. Insomma in generale le scritture orfiche venivano lette con fervore.

Ma il popolo greco era troppo pieno di giovani energie perché una credenza che nega il mondo di qua e trasporta la vera vita nell'altro potesse trovare un accoglimento generale. Perciò le dottrine orfiche rimasero limitate alla cerchia, malgrado tutto relativamente ristretta, degli iniziati, senza riuscire a conquistare la minima influenza sulla religione dello Stato, neppure in quelle città che, come Atene, avevano accolto la celebrazione dei misteri fra i culti pubblici e li avevano posti sotto la protezione delle leggi. Doveva passare quasi tutto un millennio prima che queste idee, benché in una veste teologica molto diversa, riuscissero vittoriose nel mondo greco.

Mentre gli orfici cercavano di risolvere l'enigma dell'universo per via della speculazione teologica, gli stessi problemi vennero contemporaneamente affrontati dal punto di vista diametralmente opposto. Questi tentativi presero le mosse dalla Jonia, la parte del mondo greco che a datare dall'età omerica si trovava alla testa dello sviluppo economico ed intellettuale della nazione. L'attivo commercio con i paesi d'Oriente di antica civiltà, come l'Egitto e la Siria, che aveva subito l'influenza babilonese e dall'ottavo secolo si trovava anche sotto la dominazione assiro-babilonese, fece penetrare nella Jonia la conoscenza degli elementi delle scienze matematiche ed astronomiche, quali si erano sviluppate sull'Eufrate e sul Nilo. Ma, mentre queste conoscenze scientifiche in Oriente servirono semplicemente a scopi pratici, il nuovo acquisito sapere divenne per lo spirito greco il punto di partenza per una nuova concezione dell'universo che abbatté e fece cadere in rovina l'antica e tradizionale concezione mitologica.

A capo di questo movimento sta TALETE di Mileto (verso il 600 a. C.). Egli é il primo Greco che sia riuscito a predire l'avverarsi di una eclissi solare e a dimostrare quindi la natura normale di questo fenomeno che aveva prestato sempre copioso alimento alla superstizione e solo mezzo secolo prima era sembrato ad Archiloco un prodigio incomprensibile. Gli astrologi caldei avevano, è ben vero, fatto tutto ciò prima di Talete, ma non erano state le loro osservazioni che lo avevano messo in grado di fare le sue previsioni.
Questo perché i Caldei si erano limitati alla semplice registrazione dei fatti senza smarrirsi nella fantastica supposizione che il corso delle stelle stesse con le sorti dell'umanità avesse una relazione di causa ae effetto. Talete invece tirò d'un tratto tutte le conseguenze dalla sua scoperta ; alla sua mente apparve evidente che in natura tutto avviene secondo leggi fisse. MA troppo scarse erano le sue conoscenze positive di scienze naturali perché egli potesse trovarsi in grado di costruire qualcosa di più che i primi ed imperfettissimi rudimenti di un sistema per le spiegazione dei fenomi della natura. A suo credere, l'elemento primordiale da cui tutto il mondo si é svolto é l'acqua ; é innegabile l'analogia che ricollega questa sua teoria al mito cosmogonico di Oceano e Teti. Il suo vanto consiste appunto nell'avere arditamente spogliato quella dottrina della veste mitologica e ciò gli meritò la fama di fondatore di ogni scienza umana.

Talete trovò un successore nel suo contemporaneo più giovane e compaesano ANASSIMANDRO. Anch'egli era convinto che tutto si fosse svolto da un elemento primordiale unico, ma comprese che questo elemento primordiale non poteva identificarsi con alcuno degli elementi esistenti. «Principio delle cose - egli dice - é l'infinito, e là onde esse traggono il loro nascimento, colà devono fatalmente finire con la morte, poiché esse pagano l'una all'altra in ordine di tempo la pena ed il fio della loro malvagità».

Come si vede, questo pensatore si aggira ancora in parte nel campo delle idee orfiche ; come é chiaro che il suo « infinito », lasciato senza una determinazione qualitativa, non é altro che l'antico caos di Esiodo. Dall'«infinito » si sarebbero, secondo il suo pensiero, staccati anzitutto i quattro elementi in maniera che l'elemento solido (la nostra terra) venne ad occupare il centro dell'universo; attorno ad essa in seguito si dispose l'acqua per prima e dopo di questa l'aria; da ultimo all'estremo cerchio il fuoco, di cui sono composte le stelle. La terra aveva per lui la forma di un disco circolare piatto, che si mantiene sospeso nello spazio perché da ogni parte ugualmente distante dal limite estremo dell'universo. Nella formazione degli esseri organici egli ammetteva una progressione dalle forme inferiori alle superiori; così secondo lui gli uomini sarebbero, derivati per via di evoluzione dai pesci. È questo il primo barlume della teoria darviniana della origine delle specie.

Anassimandro si occupò pure profondamente di studi geografici; e gli estesi rapporti commerciali della sua patria, Mileto, gli permisero di procurarsi copioso materiale e quindi molte conoscenze del mondo.
Egli é stato il primo che abbia abbozzato una carta della terra. In essa il Mediterraneo era già esattamente descritto come un bacino chiuso, e pensava che il margine della terra era circondato tutt'intorno dal mare, probabilmente per influenza delle concezioni mitiche di Oceano e per una geniale generalizzazione delle notizie che aveva sull'esistenza del mare al di là delle colonne d'Ercole e dell'istmo di Suez.
Anassimandro fu così il fondatore della geografia. Ma anche nella storia della letteratura greca la sua figura segna un'epoca, nel senso che egli fu il primo che ripudiò, come un impaccio opprimente la forma poetica e scrisse in semplice prosa.

Nello stesso indirizzo di Anassimandro si trova il suo contemporaneo alquanto più giovane ANASSIMENE, salvo che egli ritorni alla dottrina di Talete che muoveva da un determinato elemento primordiale, elemento ch'egli ritiene dover vedere nell'aria, poiché egli afferma «come la nostra anima é aria e per questo ci tiene uniti organicamente, così l'alito e l'aria abbracciano tutto l'universo ». Da questo elemento primordiale nacquero poi le altre materie per via di condensazione e di rarefazione ; di modo che esse altro non sono che modi di aggregazione di quell'unico elemento. Con ciò aveva compiuto il primo passo verso una spiegazione meccanica della natura.
Non è che una modificazione di tare dottrina, quella di un altro pensatore ionico, ERACLITO di Efeso (verso il 500 a. C.) che ritenne principio elementare essere il fuoco. Tutte le cose, egli diceva, sono in continua fluttuazione e stanno fra loro in una rotta costante che però si svolge secondo leggi determinate; da ultimo esse si risolveranno nel fuoco da cui un tempo uscirono, ed allora il ciclo potrà ricominciare. Questo sistema venne da lui esposto con un linguaggio oscuro, talora quasi incomprensibile, condito da numerosii paradossi; inoltre egli attaccò nel modo più aspro la religione nazionale e con pari calore i misteri e le cerimonie orfiche, nonché i grandi poeti dell'antichità: Omero, Esiodo, Archiloco, e i grandi pensatori dell'epoca, Pitagora, Xenofane, Ecateo; per gli uomini in genere e per i suoi concittadini in specie, gli Efesi, il nostro filosofo manifesta il più profondo disprezzo.
I libri di questo genere, nei quali ciascuno può credere di intravedere ed intendere ciò che vuole, hanno esercitato in tutti i tempi grande influenza, e infatti neppure ad Eraclito mancarono seguaci entusiastici; ancora due secoli dopo la Stoa mutuava da lui tutto il suo armamentario di principii di filosofia della natura. Tuttavia un sistema così oscuro e pieno di contraddizioni non era certo adatto a far avanzare la scienza.

Tutt'altra strada tenne il samio PITAGORA. Egli fu l'uomo più dotto del suo tempo, e nel campo delle matematiche la sua opera fu fondamentale; oltre al teorema che porta il suo nome, é dovuta a lui la fondazione della teoria dei numeri e la teoria dell'irrazionale. È poi sua la scoperta che la lunghezza della corda sonora sta sempre in un rapporto determinato con l'altezza del suono, ond'egli é stato il creatore della teoria matematica della musica. Anche maggiori furono i suoi contributi come astronomo; egli per primo insegnò che la terra avesse forma sferica e le attribuì un movimento proprio, per quanto dicesse che tal moto si compiva non attorno al suo asse, ma attorno ad un « fuoco centrale », che a suo credere costituiva il centro dell'universo, la cui luce era riflessa dal sole, e che, se rimaneva invisibile, era perché il lato abitato della terra gli volgeva costantemente le spalle. Egli dunque contribuì alla conoscenza della vera struttura del mondo più che ogni altro dei suoi predecessori e contemporanei.

Ma, appunto perché la matematica costituiva l'oggetto principale delle sue indagini e delle sue meditazioni, egli fu condotto a vedere nelle quantità matematiche, e specialmente nei numeri, la vera essenza delle cose, e a questa modo divenne il fondatore di un arido misticismo fondato sui numeri che costituisce la sostanza della sua teoria filosofica e che gli fece perdere il miglior frutto delle sue scoperte. Oltre a ciò egli era una natura profondamente religiosa ; accettò con tutte le sue conseguenze la dottrina orfica della trasmigrazione delle anime e condusse alla maniera dei credenti in quella fede una vita ascetica. Tuttavia la sua patria ionica non era terreno adatto alle sue dottrine, e perciò Pitagora emigrò in Italia e fondò a Crotone una scuola che ben presto conseguì larga diffusione e continuò ad esistere per secoli e secoli fino all'epoca del tramonto dell'evo antico; gli studi matematici ed astronomici vennero in questa scuola coltivati per lungo tempo con passione e con successo, finché essa in ultimo degenerò nel misticismo.

Il Pitagorismo era una dottrina religiosa su fondamento scientifico; e tale fu pure il sistema che costruì verso la stessa epoca XENOFANE di Corofone (570-470 circa). Anch'egli non rimase fermo nella sua patria ; per quasi settant'anni, come egli stesso ci narra, girò per il mondo greco, proclamando dovunque le sue dottrine. Buon poeta com'era, scelse allo scopo la forma poetica, l'unica possibile in quel tempo, anche perchè non esistendo ancora un pubblico di lettori, non si poteva certo sperare nella diffusione di una vera e propria opera letteraria in prosa; in questo egli seguì l'esempio degli orfici, al contrario degli altri sapienti ionici dell'epoca, i quali scrissero o per una ristretta cerchia di amici, oppure, come Talete e Pitagora, si servirono per diffondere le loro dottrine dell'insegnamento orale.

Xenofane si manifestò apertamente contrario ed attaccò aspramente l'antropomorfismo inerente alla religione popolare greca: «Se i bovi e i cavalli -egli diceva- avessero le mani e potessero dipingere, si sarebbero dipinti degli Dei in forma di bovi e di cavalli», perfettamente come i negri si immaginano neri i loro Dei e i Traci se li raffigurano biondi. Né meno a fondo egli attaccò Omero ed Esiodo, quali principali rappresentanti di questo antropomorfismo, ma anche per le cose immorali che avevano narrato intorno agli Dei: «furti, adulteri e vicendevoli inganni ». Poiché « uno solo é il dio massimo, tanto fra gli Dei quanto fra gli uomini, dissimile dai mortali per la forma, dissimile per il pensiero ». Questa divinità, come non ha avuto un principio, così rimane anche immutabile e « perdura immota sempre allo stesso luogo....tuttavia senza posa essa agita il tutto con la potenza dello spirito ». Inoltre anche Xenofane cercò di porgere una immagine di come si era formato il mondo e spiegare alcuni fenomeni naturali.

A tale riguardo egli accennava alla pietrificazione (fossili) di pesci e piante marine per provare che il mare un tempo doveva aver coperto tutta la faccia della terra. Ma tutto ciò che insegnava Xenofane non pretendeva di dare altro valore che una opinione soggettiva; giacché, egli afferma, «quanto alla verità, non vi é e non vi sarà uomo a saperla così per riguardo agli Dei, come per riguardo a tutte le cose di cui parlo; anche se eventualmente un uomo cogliesse nel giusto, non saprebbe egli stesso dì aver indovinato poichè quella che si è diffusa su tutto e sola apparenza».

Xenofane trovò da ultimo una nuova patria nella ionica Elea nel lontano Occidente; originario di Elea é anche il suo miglior discepolo, PARMENIDE (verso il 500 a. C.). Egli spogliò la dottrina del suo maestro della veste teologica e la sviluppò facendone un sistema filosofico completo. Egli parte dal principio che non si può pensare se non ciò che é reale. Ora un nascere dal nulla ovvero un finire nel nulla é inconcepibile e quindi é anche impossibile.
Con ciò veniva ad essere dimostrato il principio della persistenza della materia. Siccome il non-essere é cosa inconcepibile, non vi é che una sola materia che occupa uniformemente l'universo, ed ogni altro movimento e trasformazione é impossibile. L'esistente ha poi la forma di una sfera ; giacché «se fosse sconfinato, sarebbe imperfetto». In quest'ultima concezione si scorge chiara l'influenza pitagorica.

Questo é il mondo delle cose considerato in sé. Accanto ad esso poi si ha il mondo dei fenomeni, il quale non ha una esistenza reale ed é semplicemente un inganno dei nostri sensi. Parmenide ha tentato di spiegare anche questo mondo fenomenico, ma egli insiste espressamente a dichiarare che sotto questo riguardo non può offrire che delle ipotesi. Esse si aggirano sulle stesse orme già tracciate dai suoi predecessori ionici e possiamo astenerci dal fermarvi l'attenzione, tanto più che ne siamo poco informati.

Il sistema di Parmenide é la più profonda astrazione filosofica che lo spirito umano sia riuscito fino al suo tempo a concepire. Esso fu il primo passo sulla via della creazione di una metafisica scientifica. Per quanto i risultati di Parmenide possano poco soddisfare dal lato positivo, gli rimane nondimeno la gloria imperitura di essere stato il primo a riconoscere che dietro il mondo fenomenico esiste un mondo intelligibile il quale é il solo che sia reale. E di essere nel tempo stesso stato anche il primo a distinguere nettamente il sapere certo dall'ipotesi. A lui quindi spetta uno dei primi posti nella storia della scienza.

Mentre la filosofia dell'eleate Parmenide risente in parte di influenze della scuola pitagorica, l'Oriente del mondo greco invece per il momento rimase estraneo alle conquiste scientifiche della scuola medesima. Si continuò ancora per lungo tempo a ritenere che la terra fosse un disco piatto. E tale infatti la riteneva anche il contemporaneo di Parmenide, ECATEO di Mileto, il primo che abbia scritto un'opera geografica.

In quest'opera Ecateo ci illustra una minuziosa descrizione delle coste del Mediterraneo, mentre naturalmente poco era in grado di sapere dell'interno dei continenti e nulla addirittura sulle coste del mare esterno (l'oceano) che non era stato ancora mai solcato da un Greco; a quest'ultimo riguardo pertanto egli si attenne, in mancanza di meglio, alla rappresentazione che ne aveva fatta Anassimandro nella sua carta.
Inoltre Ecateo si occupò di storia, o di ciò che lui riteneva storia. Si soffermava sui miti che costituivano il contenuto dell'epopea narrati dai poeti o dal popolo; ma appunto per questo tipo di narrazione, non poteva accettarli tali e quali erano stati tramandati e credette necessario eliminare le contraddizioni e le evidenti assurdità della tradizione. «lo scrivo queste cose -egli dichiarò all'inizio della sua opera- in quella forma che ritengo vera. Poiché i racconti degli Elleni a mio credere sono in gran parte ridicoli».

Coerentemente a tale principio egli razionalizzò il mito: Non é vero ad es. che Ercole sia disceso all'inferno, ma più semplicemente « esisteva sul Tenaro un serpente maligno che per il suo morso mortale era denominato il cane dell'Hades ; é questo serpente che Ercole recò ad Euristeo ».

Occorreva inoltre portare un ordine cronologico nella confusione dei miti. Ecateo in tal modo, seguendo il metodo dell'epopea d'Esiodo, si valse dell'ordine successivo delle generazioni, ragione per la quale anche la sua opera porta il titolo di « Genealogie ». Con l'aiuto di questi mezzi Ecateo ha dato in sostanza alla preistoria greca quella forma sotto la quale essa visse più tardi nella coscienza della nazione ellenica ed anche oggi si riscontra nella maggior parte dei nostri manuali, cioè a dire che all'inizio la Grecia era abitata da popoli barbari, soprattutto da Pelasgi; poi immigrati stranieri vi si recarono portando l'incivilimento e vi fondarono grandi regni; essi sono quegli eroi che secondo il mito vennero dall'Oriente, il fenicio Cadmo, l'egiziano Danao, il lidio Pelope. Seguì poi la spedizione degli Argonauti, la spedizione dei sette contro Tebe, e quanto altro l'epopea narrava di simili imprese. A ciò contribu' appunto l'epoca delle migrazioni.

Omero non conosce ancora il nome di Tessaglia, e quindi i Tessali dovevano essere immigrati nella pianura del Peneo soltanto dopo la guerra troiana. Ad Argo ed a Sparta secondo Omero vi erano degli Achei con a capo i re della famiglia dei Pelopidi, mentre i re di ambedue le città nell'epoca storica facevano derivare la loro stirpe da Ercole e il loro popolo lo si credeva di razza dorica. Del resto già i contemporanei di Tirteo avevano riferito che i loro antenati avevano in tempi antichissimi immigrato nel Peloponneso dalla Doride nei pressi dell'Oeta sotto la guida degli Eraclidi. La data precisa dell'immigrazione risultava dal fatto che Temeno, l'antenato dei re Argivi, derivava da Ercole in quarto grado, ed Ercole, secondo Omero, aveva vissuto una generazione prima della guerra di Troia. E siccome Creta e la Dorida dell'Asia Minore erano state colonizzate da abitanti del Peloponneso, la colonizzazione delle isole e della sponda occidentale dell'Asia Minore doveva di conseguenza essere avvenuta molto più tardi. Così si ebbe l'illusione di possedere una storia prammatica delle epoche primitive elleniche. Se non che questo sistema ha tanto da vedere con la verità storica, quanto i sistemi dei filosofi contemporanei con le leggi della fisica e della chimica.
Ma come l'importanza dei sistemi filosofici non sta nei loro contributi positivi, ma nell'avere solo affrontato in genere il problema della spiegazione scientifica della natura, così ad ECATEO rimane il merito di essere stato il primo a sottoporre a critica la tradizione storica; ciò che ha fatto di lui il fondatore della scienza storica.

Nel chiudere queste pagine - prima di passare alla vera storia greca- vogliamo soffermarci sui personaggi di quelle avventure, che diedero luogo ad una quantità di racconti e miti greci, il cui complesso costituisce la MITOLOGIA.
Ma dobbiamo subito far notare, che la religione degli Dei greci era locale, e pur chiamato con lo stesso nome, il dio di una città non era lo stesso dio di una città anche vicina. Così Zeus, Apollo e gli altri Dei principali si moltiplicarono, distinti nei diversi luoghi con soprannomi diversi.
A creare poi una ulteriore confusione ci si misero anche i Romani. I Latini iniziati alle lettere e alle arti dai Greci confusero i loro Dei nazionali con gli Dei della Grecia. Cosicchè dai Romani noi ereditammo l'abitudine di indicare i Dei Greci con i nomi latini. Nelle righe sotto, citando le principali divinità greche, affiancheremo a ciascuna (dentro la parentesi) anche il nome latino:



Zeus (Giove) ----------- Apollo (Febo) ------------ Hera (Giunone);

Poseidon (Nettuno); Hades (Plutone); Demetra (Cerere); Artemide (Diana);
Ares (Marte); Atena o Pallade ( (Minerva); Afrodite (Venere); Efesto (Vulcano);
Hermes (Mercurio);Moira (Fato) ecc. ecc.

Dalla pregevole opera Gli Elleni (di Attilio De Marchi - Vallardi editori, Milano) citiamo nelle successive pagine, una sintetica esposizione di questi Dei e quindi della mitologia greca.

GLI DEI, I RITI RELIGIOSI, LA MITOLOGIA > >

Bibliografia e testi
WILLIAM ROBERTSON - ISTORIA DELL'ANTICA GRECA - 3 vol. 1822
PFLUGK-HARTTUNG - STORIA UNIVERSALE, LO SVILUPPO DELL'UMANITA' , Vol. 1 - Sei 1916
STORIA UNIVERSALE DELLE CIVILTA' - SONZOGNO, 1927
STORIA ANTICA CAMBRIDGE- VOL V- GARZANTI - 9 vol. 1968
JOHN D. GRAINGER Seleukos Nikator ECIG
FRANCA LANDUCCI GATTINONI -Lisimaco di Tracia - Jaca book 1992
RICHARD A. BILLOWS Antigonos the One-Eyed (University of California Press 1997)


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